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Rocce nella nebbia
Rocce nella nebbia
Rocce nella nebbia
E-book121 pagine1 ora

Rocce nella nebbia

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Info su questo ebook

Nuovo caso per Fergus McWallace e John Norton che, da Darachgleann, si sposteranno nelle Highlands sulle tracce di Winston Prendergast, ex maggiordomo ormai in pensione, che scompare nel nulla dopo un’inaspettata telefonata. I due poliziotti si ritroveranno nel castello del defunto Alexander Oswald, proprio quando tutti i familiari si sono riuniti per la lettura del testamento. McWallace e Norton dovranno collaborare con l’ispettore capo Edmundstone, dall’atteggiamento schivo e distaccato, per risolvere il caso e districare un mistero che si intreccia con la storia della famiglia Oswald.

Nata nel 1990 a Genova e divenuta poi milanese d’adozione, Federica Tampoia Vezzi, poliglotta e laureanda in Storia presso l’Università degli Studi di Milano, è da sempre appassionata di viaggi all’estero. Nel 2009 si reca in Scozia e se ne innamora; ci torna più volte e quella terra diventa l’ambientazione perfetta per i suoi gialli. Dopo La cenere continuava a danzare nell’aria, Rocce nella nebbia è il nuovo capitolo della serie che ha come protagonisti l’ispettore capo Fergus McWallace, scozzese doc, e il detective John Norton, londinese trapiantato nel piccolo villaggio di Darachgleann.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2020
ISBN9788830633131
Rocce nella nebbia

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    Rocce nella nebbia - Federica Tampoia Vezzi

    Federica Tampoia Vezzi

    Rocce nella nebbia

    © 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-2850-2

    I edizione dicembre 2020

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2020

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Rocce nella nebbia

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1 - Banchetto per corvi

    Occhi sbarrati dal terrore si riflettevano senza vita nel freddo specchio della pozzanghera, la cui liscia superficie cominciava a essere infranta da piccole gocce di pioggia preannunciante il temporale in avvicinamento.

    Lì, accasciato sulla roccia, un uomo giaceva nel mezzo del nulla con la gola squarciata, mentre alcuni corvi, attratti nel frattempo dall’odore, cominciavano ad avvicinarsi incuriositi, iniziando a beccare affamati i punti dove la carne era esposta, mentre la pioggia cominciava a cadere lenta su quel banchetto spettrale.

    In quel momento, arrivò anche la nebbia, che come se qualche mago la avesse invocata dal nulla, scese dalle colline circostanti, andando a coprire la macabra scena come le tende di un sipario.

    «Attento!» esclamò la signora Rosemary, stringendo il grembiule da giardino nelle mani, mentre lo sguardo agitato rimaneva fisso in alto sull’albero di mele del suo giardino, dove John era arrampicato nel tentativo di aiutare Nostradamus a scendere.

    «S-sto bene signora, non si preoccupi!» disse il londinese, mentre cercava goffamente di mantenere il precario equilibrio.

    «Parlavo col gatto, giovanotto» si affrettò a precisare la padrona di casa, mentre osservava preoccupata il felino miagolare con il collare impigliato in uno dei rami, noncurante dell’espressione senza parole dell’agente Norton.

    «Col gatto... certo...» mormorò John, mentre, prendendo coraggio, cercava di fare leva con il piede destro su un ramo abbastanza robusto. Nel frattempo, guardò giù per un istante, pentendosi subito. Finalmente, dopo non pochi tentavi funamboleschi, riuscì ad arrivare vicino a dove si trovava Nostradamus.

    «Buono micio, buono micio... no, no, non soffiare Nosferatus!», esclamò il poliziotto cercando di allungare la mano.

    «Nostradamus!» esclamò spazientita la signora Copper, mentre John con uno scatto tirò indietro dolorante la mano, dopo essere stato graffiato.

    «Allora... cerchiamo di collaborare! non posso aiutarti se continui ad agitarti!». Ma, non appena provò ad avvicinarsi di nuovo, l’indice e il medio della sua mano destra vennero pizzicati da un morso fulmineo.

    L’anziana Rosemary non poté fare a mano di alzare gli occhi al cielo e, mettendosi le mani sui fianchi, aggiunse: «Vuole che le chiami dei rinforzi, agente?» mentre dalla cima dell’albero continuavano a provenire gli Ahi! di John seguiti dai miagolii striduli del gatto.

    Finalmente, dopo un paio di minuti, sentì esclamare «Ci siamo!» e pochi istanti dopo vide il gatto scendere giù dall’albero con due balzi, seguito a ruota da John, il quale, mettendo male un piede, era scivolato verso la parte finale, cadendo come una mela matura, seduto proprio ai piedi dell’albero.

    «Va tutto bene, agente?» chiese la donna, sistemandosi gli occhiali da vista, osservando John massaggiarsi il fondo schiena dolorante mentre era intento a rialzarsi.

    «...benissimo signora!» rispose il londinese, cercando di mascherare con un sorriso una smorfia di dolore. «S-se non ho più bisogno di me... io andrei alla centrale...» e, mentre diceva queste parole, cominciò a dirigersi un po’ ingobbito verso il cancello.

    «Farebbe bene a prendersi un bel decotto di artiglio del diavolo! Altrimenti si accorgerà del mal di schiena che avrà stasera!» disse con tono profetico la signora Copper.

    «Brutta bestiaccia...» sibilò John a denti stretti, mentre il suo collega, Bobby Tucker, cercava con pazienza serafica di disinfettargli la mano destra.

    «In effetti, a volte, i tagli più sottili sono quelli più dolorosi... di certo il nostro amico non c’è andato leggero con te... alla fine come hai fatto a farlo scendere?» domandò Tucker incuriosito, mentre si apprestava a prendere dal kit di pronto soccorso un cerotto abbastanza largo.

    «Ho chiesto alla mia padrona di casa di passarmi una zappa che aveva lì vicino, ahi! Ho usato quella per liberare il collare. Una volta libero, puff! È saltato giù dall’albero come se niente fosse»

    «Beh... Forse sarebbe stato meglio se ti fossi fatto venire in mente quell’idea un filo prima, ragazzo» aggiunse bonariamente l’agente Stanford, impegnato a versarsi una tazza di tè poco lontano dai due.

    John non disse nulla e si limitò ad accennare sarcasticamente un sorriso, mentre Bobby finiva di fasciargli la mano.

    «Ecco qui! Non sono certo un infermiere, ma quando passi la tua vita a crescere in una fattoria finisci per imparare un paio di cose» disse ammirando il suo lavoro.

    «Grazie, va meglio ora» ringraziò John. In quel momento, vennero raggiunti dall’ispettore McWallace, intento a sorseggiare una tazza di caffè fumante.

    «Buongiorno, signori. John, che ti è successo alla mano?» chiese incuriosito, inarcando un sopracciglio, mentre poggiava il giornale che teneva nella mano sinistra su una scrivania libera.

    «Nosferatus! Ecco cosa mi è successo!» aggiunse seccato il londinese, mostrando la mano appena fasciata. Tuttavia, vedendo i colleghi sghignazzare, Bobby più di tutti, con tono perplesso aggiunse: «Perché ridacchiate?».

    «Nosferatu, senza la -s, è molto probabilmente una derivazione del rumeno Nesuferit ed è diventato famoso con il romanzo Dracula del 1897 di Bram Stoker. A quanto pare Stoker credeva che il termine significasse non morto in rumeno. Per non parlare poi del film muto del 1922, dal quale prende appunto il titolo, Nosferatu, diretto dal grande registra F. W. Murnau. Oppure un’altra interpretazione è che derivi dal greco nosophoros, che letteralmente significa portatore di malessere. Ora che ci penso però, se non sbaglio c’è un’altra interpretazione...».

    «Grazie, Bobby – disse McWallace facendo segno all’agente di fermarsi un attimo – devi sapere che il nostro Tucker è

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