Una settimana al Bellavista
Di Carlo Torti
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Anteprima del libro
Una settimana al Bellavista - Carlo Torti
Carlo Torti
UNA SETTIMANA
AL BELLAVISTA
Youcanprint
Titolo | Una settimana al Bellavista
Autore | Carlo Torti
ISBN |979-12-20350-59-4
© 2019 - Tutti i diritti riservati all'Autore
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"Non so esattamente ciò che sto cercando, qualcosa che non è stato ancora suonato. Non so che cosa è.
So che lo sentirò nel momento in cui me ne impossesserò, ma anche allora continuerò a cercare."
JOHN COLTRANE
Ad Antonia e Federica
Dorothy Parker diceva odio scrivere ma amo aver scritto
.
Credo di poter comprendere, impudicamente, il significato di questa breve frase e di poterla condividere.
Scrivere è una fatica nera, non si scrive in alcune ore e nemmeno in alcuni giorni.
E' un po come la corsa all'oro nell'America dei pionieri; una faticaccia, uno sforzo non da poco ripagato solo dal raggiungimento dell'obiettivo, trovare almeno qualche pagliuzza del prezioso metallo; ecco, credo che l'oro, per lo scrittore, sia dato dal buono
che riesce a far emergere dal fondo dell'anima, ben conservato e nascosto nello scrigno delle nostre difese, celato dalla nostra paura di svelarci, mostrare le debolezze, le ipocrisie e le falsità che spesso ci infestano, nostro malgrado.
Ho parlato degli scrittori con la consapevolezza, certa, di non potermi considerare tale.
Ammetto, nel momento in cui sto scrivendo questo breve prologo, di non avere ancora le idee chiare su quello che vorrei scrivere, o meglio raccontare
, ma credo che quello che mi spinge a non desistere sia appunto il mio desiderio di raccontare
.
Non di raccontarmi
, non interesserebbe a nessuno, ma più semplicemente raccontare gli altri delle cose che ho visto, che vedo ogni giorno, attraverso i miei occhi, delle persone, dei sentimenti.
Scrivere è davvero un percorso emozionale, che mette in gioco i tuoi sentimenti, te stesso.
E' come attraversare l'Atlantico in una vasca da bagno
, diceva Stephen King.
E' un lungo viaggio; un percorso pieno di insidie che ti mette a dura prova.
Non mi resta che attrezzarmi per il viaggio, e partire.
Questa è un’opera di pura fantasia,
nata dall'immaginazione dell'autore.
Solo alcuni personaggi ed episodi
sono ispirati dalla realtà.
Capitolo I
Mercoledì 17 giugno 1970
La partita del secolo
La grande vetrata, di fronte alla scrivania, rifletteva quello che offriva la vista dalla finestra dell'ufficio, alle mie spalle.
Le guglie del Duomo che si elevavano dai tetti delle case, quasi bucando un cielo solcato da scie aeree biancastre.
L'ufficio era al quinto piano di un palazzo antico, nel centro di Milano, in corso Monforte, sede del mio giornale, L'Informazione
.
Stavo riflettendo sull'aspetto della mia scrivania, considerando che in fondo fosse abbastanza ordinata.
Pochi oggetti riposti ed il mio nome sulla targhetta, al centro: Giorgio Savasta – Cronaca
. Quella mattina ero arrivato in ufficio a piedi; avevo lasciato la mia Fiat 124 dal meccanico, poco distante, per un guasto alla frizione, ed ora ero li, abbastanza assonnato e con la voglia di un secondo caffè, mentre leggevo le pagine del giornale fresco di stampa.
«Buongiorno Giorgio!».
La voce della signora Binetti, per tutti in redazione tacco a spillo
.. una donna sulla cinquantina ancora abbastanza piacente, distolse i miei occhi dalle pagine del giornale, catturando la mia attenzione.
Con un sorriso compiaciuto risposi con una domanda...
«Buongiorno Luciana, già bevuto il caffè?»
«Si grazie signor Savasta..»
disse, allontanandosi con il rumore dei tacchi che risuonò lungo il corridoio fino a sparire nel momento in cui entrò nel suo ufficio.
Tornai a sfogliare le pagine del giornale, svogliatamente, pensando a quanto fossero complicate le donne, in generale, a partire da mia moglie che ormai non vedevo da almeno un mese.
Sulle pagine dello sport non si parlava d'altro che della partita che sarebbe stata trasmessa a mezzanotte, in diretta dallo stadio Azteca di Città del Messico.
Non sono un gran tifoso di calcio, non lo sono mai stato, ma la nazionale è la nazionale, e poi quello era il giorno della semifinale dei mondiali di calcio in Messico, Italia-Germania.
Era il 17 giugno 1970.
Continuai a guardare le pagine del giornale, un articolo sui Beatles, nelle pagine dello spettacolo.
L'articolo ripercorreva la vita artistica dei quattro di Liverpool che in quell'anno, l'otto maggio, avevano pubblicato il dodicesimo album, l'ultimo insieme prima di sciogliersi, "Let it be".
Stavo guardando le foto dei quattro di Liverpool, riflettendo sul fatto che l'unico sorridente fosse George Harrison, quando il rumore dei tacchi della signora Binetti tornò a martellare nelle mie orecchie facendosi sempre più vicino, fino a ché la testa bionda di Luciana fece capolino alla porta dell'ufficio.
«Signor Savasta, la vuole il Capo».
Breve pausa e poi un perentorio ...
«Subito per favore!»
accompagnato da un sorriso sarcastico.
Quel modo di fare e quel subito per favore
, pur essendoci abbastanza abituato, mi irritò non poco, tanto da faticare a trattenere una risposta poco gentile, ma mi sforzai comunque di non manifestare il mio stato d'animo ed in perfetto stile Savasta
esibii un sorriso che agli occhi della signora Binetti parve del tutto naturale.
Sono quello che si dice un buon osservatore
, attratto dalla gente, in generale; amo osservarla, e preferisco ascoltare piuttosto che parlare, trovare la chiave per entrare nell'interiorità delle persone, senza farmi accorgere ovviamente..una forma di voyeurismo interiore, a dir poco singolare».
Pietro, il dottor Gianesi , capo redattore del giornale, mi stava aspettando nel suo ufficio quando bussai picchiettando due volte sulla porta con le nocche delle dita.
«Entra, entra, vieni Giorgio, siediti», disse sorridendomi.
Il tono era cortese, cosa che mi tranquillizzò subito, dato che il carattere di Pietro era lunatico e spesso ne avevo fatto le spese nonostante il rapporto di amicizia che ci legava da tempo.
Pietro era sposato, con Silvia, ed aveva due figli, un maschio e una femmina; Io li stavo osservando, ritratti nella foto scattata da Pietro, in costume da bagno, la vacanza al mare dell'estate del '69, ad Albissola.
Dieci giorni, all'Hotel Gardenia; una vacanza insieme, la mia famiglia e quella di Pietro.
In un flash di una frazione di secondo mi sentii stringere lo stomaco nel momento in cui pensai a mia moglie, ma non ebbi il tempo di commiserarmi più di tanto perché la voce di Pietro mi riportò alla realtà.
Quel lampo improvviso nei miei occhi e quell'espressione che grondava malinconia non passò inosservata, tanto che Pietro si sentì in dovere di rivolgermi qualche parola di conforto, pur senza troppa convinzione.
«Dai Giorgio, cos'è quella faccia?..cerca di stare su! Vedrai che l'anno prossimo saremo ancora tutti insieme al Gardenia o da qualche altra parte, sono cose che si sistemano lo sai, è capitato anche a noi e poi tutto si è risolto, sarà lo stesso anche per voi; adesso devi solo cercare di non pensarci troppo, lo so che non hai voglia di nulla e che ti sembra di non avere più un domani, ma qui deve entrare in gioco il lavoro; Giorgio, pensa al lavoro, è l'unica cosa che ti possa aiutare davvero, credimi, e lascia passare il tempo, che tutto si sistema...a proposito, dato che mi hai detto che quest'anno non hai nessuna intenzione di fare ferie, e proprio non ti capisco, ti ho chiamato appunto per farti una proposta».
A quel punto lo guardai con attenzione, mi accomodai sulla sedia accavallando le gambe ed assunsi una espressione preoccupata, di attesa.
La grande pala appesa al soffitto ricordava l'elica di un aereo ed una ventata di aria fresca arrivò sulla mia testa, sempre più curioso e grondante di sudore per il caldo, in ansia per la proposta che stavo per ricevere.
«Ah, dimenticavo.. vieni a cena da noi stasera? A mezzanotte ci vediamo la partita e ci facciamo qualche whisky, che dici?.».
Per un momento la mia ansia si attenuò.
Mi presi qualche secondo per trovare la risposta migliore ma non riuscii a trovare nulla di meglio di un
«Ti ringrazio davvero Pietro, ma sono troppo stanco, preferisco restare a casa; non so neppure se riuscirò a rimanere sveglio fino a mezzanotte».
Mentre dicevo queste parole mi stavo già preoccupando che quella bugia non fosse troppo palese ma mi tranquillizzai subito quando Pietro rispose sorridendo:
«Ti capisco Giorgio, non preoccuparti, tanto lo so che è tutta una scusa per evitare la cucina di mia moglie, e ti comprendo!.»
Quella battuta stemperò la mia tensione per un attimo, poi tornai ad assumere l'espressione preoccupata di attesa per la proposta che Pietro stava per farmi.
Alle 19 ero alla guida della mia Fiat 124 in mezzo al traffico di una Milano caotica; ero passato a ritirarla dal meccanico, dopo aver pagato un conto che non mi aspettavo e che mi aveva lasciato l'amaro in bocca. L'autoradio stava trasmettendo Mungo Jerry, In the summertime
, un motivetto allegro che mi aiutò a dissipare i pensieri, mentre l'acqua verdastra del Naviglio Pavese scorreva lentamente, così tanto lentamente da sembrare immobile, con un senso di ineluttabilità che mal si combinava con la musica che l'autoradio stava diffondendo. Passando davanti al Bar Doria scorsi Romeo, il gestore, che mi salutò con un gesto della mano; ricambiai fugacemente il saluto, sforzandomi di sorridere, senza fermarmi. Non quella sera, non ero dell'umore giusto.
C'era qualcosa che rendeva più sopportabile la giornata, ma non riuscivo a ricordare cosa, poi mi ricordai delle semifinali in Messico, la partita con la Germania, e un bagliore di buonumore tornò a darmi un