Il verso stridulo della ghiandaia
Di Carlo Torti
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Anteprima del libro
Il verso stridulo della ghiandaia - Carlo Torti
Prefazione
Sulle colline ondeggianti dell'Oltrepò Pavese quel giorno splendeva il sole, era una bella giornata di un mite mese di aprile. Mentre guidavo mi piaceva guardare in lontananza fin dove lo sguardo arrivava, giù nella pianura, che da quelle colline sembrava un morbido tappeto ai piedi delle montagne ancora innevate.
Non è sempre possibile ammirare tale bellezza, ma quel giorno il cielo era particolarmente terso, limpido, e l'aria tanto pura che sembrava donarmi sollievo ad ogni respiro.
Da Costa Cavalieri, che offriva questo splendido paesaggio, a Zavattarello, la mia meta, il percorso è breve e ricco di scorci che rallegrano l'animo. E' stato in quel momento che ho pensato all'argomento per il mio prossimo libro, passando per Costa Pelata, dove in una stretta curva a gomito della strada che declina verso Torre Degli Alberi una lapide in pietra ricorda i nomi dei caduti dell'omonima battaglia avvenuta il 12 marzo 1945.
A ricordo del 12 marzo 1945, battaglia decisiva per la storia delle nostre montagne
Da quando ho iniziato a scrivere questo racconto, quasi due anni fa, ogni volta che rivedo questi luoghi non riesco a non tornare indietro col pensiero a quel tragico periodo, agli ultimi anni della guerra, alle persone che l'hanno vissuta sulla propria pelle. E' stato allora, dopo l'8 settembre del 43, a seguito della terribile repressione nazi-fascista iniziata proprio in quel periodo, che su queste colline nacquero le prime formazioni partigiane.
Era forte in me la contrapposizione fra la serenità che queste colline mi stavano donando ed il pensiero delle persone che vivevano in quei luoghi, in quel periodo oscuro e terribile, apparentemente così lontano ed estraneo al nostro modo di vivere attuale.
Non ho inteso scrivere un libro sulla resistenza, in quel particolare periodo storico, sui motivi che l'hanno causata, ma mi piaceva sopratutto parlare delle persone, dei sentimenti, cercando di immaginare la fatica del vivere in tempo di guerra, su quelle colline che conosco bene avendovi vissuto la mia infanzia.
I luoghi, e alcuni dei personaggi citati nel libro, sono reali, così come molti eventi ed accadimenti. La storia che racconto, invece, è frutto della mia fantasia, così come i dialoghi fra le figure reali e quelle in realtà mai esistite, pur nel rispetto dei dati delle caratteristiche umane dedotte dalle biografie dei personaggi storici.
Il fascismo tenterà di risorgere mascherato.
Soltanto un potere veramente democratico darà garanzie di annientamento del fascismo.
(tratto da Il Garibaldino
Giornale delle Divisioni Garibaldine dell'Oltrepò Pavese del 29 marzo 1945)
INDICE
Prefazione 9
Capitolo I Monte Penice, febbraio 1945 15
Capitolo II Adele 33
Capitolo III Al Cont
45
Capitolo IV Agnese 53
Capitolo V Gipén
65
Capitolo VI Come le aquile 75
Capitolo VII Voglio esserci anche io 85
Capitolo VIII La Milanesa 93
Capitolo IX La sera del Dakota 107
Capitolo X Il lupo 117
Capitolo XI Al dutur
125
Capitolo XII Un bacio 131
Capitolo XIII Berto 141
Capitolo XIV A casa 151
Capitolo XV Prima della battaglia 161
Capitolo XVI Sulla strada di ritorno 169
Capitolo XVII Costa Pelata 179
Capitolo XVIII Reclusa 189
Capitolo XIX Zavattarello 199
Capitolo XX La fine 205
Capitolo I
Monte Penice, febbraio 1945
Alle prime luci dell'alba Zeno non riuscì più a nascondere la stanchezza che lo attanagliava, la sensazione era quella dei denti di un cane rabbioso nei polpacci, che ringhiava e non mollava la presa.
Maino... non ce la faccio più ... non possiamo fermarci un po'?.... ho i crampi nelle gambe...
La morsa del freddo non era meno tenace. Anche il capitano Maino avanzava a fatica affondando gli stivali nella neve alta fin sotto i ginocchi, seguito dal resto della squadra.
Erano tutti ragazzi giovani, tranne Nicolò, Pietro
, che aveva oltrepassato i sessanta e stentava a tenere il passo del gruppo.
Avevano camminato a lungo, nei boschi, dove i sentieri erano coperti di neve ed anche il capitano faticava ad orientarsi, partiti appena dopo la mezzanotte dalle alture del Monte Penice in direzione nord-ovest, verso il monte Calenzone, dove avrebbero dovuto ricongiungersi al resto della compagnia.
Quella notte di guardia c'era Nicolò.
Non vantava una vista d'aquila ma non aveva faticato a scorgere in distanza fra gli alberi le luci di alcuni automezzi, poco prima della mezzanotte, che salivano verso il Penice arrivando probabilmente da Bobbio.
Soldati tedeschi, che da un po' di tempo perlustravano quelle zone che erano state teatro del grande rastrellamento invernale iniziato il 22 novembre del '44 e che si era concluso da poco.
Una colonna, una decina fra autocarri e camionette. Qualche giorno prima Maino e i compagni avevano attaccato un convoglio della 64a divisione di fanteria Turkestan, comandata dal generale Wlassow, i mongoli
, che erano arrivati da poco nelle valli fra il piacentino e l'Oltrepò pavese, dove si erano resi protagonisti di fatti inenarrabili a danno della popolazione civile.
Era formata da cosacchi del Volga, chirghisi, calmucchi e mongoli, inquadrati nelle SS tedesche con reparti di Brigate nere, bersaglieri della Littorio, Alpini della Monterosa e Marò della San Marco.
Con il benestare del comando tedesco avevano depredato e stuprato donne di tutte le età, combattendo ubriachi in preda al delirio di onnipotenza.
C'era la probabilità che i tedeschi cercassero proprio loro, i partigiani che avevano teso una imboscata alla colonna dei mongoli, motivo per il quale appena ricevuto l'allarme da Nicolò, Maino aveva dato l'ordine di ritirarsi immediatamente e scendere dal versante opposto percorrendo i sentieri nei boschi.
Maino
era il nome di battaglia del Conte Luchino Dal Verme, discendente della nobile famiglia originaria di Verona, i Dal Verme, capitani d'arme, feudatari e governatori di città fino dal 1300.
Voltandosi verso il ragazzo Maino si fermò un istante.
La sua figura eretta, longilinea, incuteva agli occhi degli altri un senso di sicurezza e un profondo rispetto.
Luchino Dal Verme era un giovane di bell'aspetto, longilineo, un fisico asciutto e nervoso, un viso dai lineamenti ben disegnati, con gli zigomi sporgenti e una folta capigliatura corvina.
Tutti sapevano che fosse un nobile.
Al cont
... come lo chiamavano con reverenza nonostante condividesse umilmente con loro la fatica di ogni giorno, la paura, gli stenti, i pidocchi... la fame, disponendo solo dello stretto necessario per sopravvivere.
«Dai Zeno! ... non possiamo fermarci! Non saremo al sicuro prima di arrivare almeno sopra Tovazza, coraggio dai... cammina!»
Il tono era deciso, duro... nessuna flessione, indecisione... lucido, come gli occhi che lo guardavano severi e allo stesso tempo compassionevoli, come quelli di un padre che vede un figlio in difficoltà e non può fare nulla per aiutarlo.
Era entrato nella resistenza dopo aver abbandonato definitivamente le tradizioni monarchiche della famiglia ed aveva partecipato attivamente all'organizzazione delle prime formazioni partigiane.
Fra la fine del '44 ed i primi mesi del '45, dopo l'8 settembre, nell'Oltrepò pavese era in atto una terribile repressione antipartigiana contro i ribelli
come venivano chiamati dalle forze nazi-fasciste.
Luchino era rimasto nascosto per mesi nel castello di famiglia, a Torre Degli Alberi, per poi prendere il comando della divisione Garibaldi Antonio Gramsci
, con il nome di battaglia Maino
.
Zeno si fermò solo un momento, appoggiando le mani sulle ginocchia piegate... con il respiro affannoso.... e guardò Maino che aveva ripreso a camminare affondando i passi nella neve.
La luce dell'alba fendeva le fronde degli alberi, con i rami ricoperti di neve, in un silenzio profanato solo dal verso stridulo di una ghiandaia.
Zeno la scorse poco distante e restò ammirato dal celeste e dall'azzurro intenso delle piume, che per un momento sembrò colorare il grigiore di quel gelido mattino. Un istante che sembrò non finire, quando senza distogliere lo sguardo da quella creatura, e senza apparente motivo, Zeno si trovò col pensiero indietro nel tempo, quando bambino percorreva ogni mattina un lungo tragitto, attraversando i campi, per arrivare a scuola in Costaiola, una piccola frazione sopra Romagnese. Anche allora l'inverno era molto rigido, e la neve arrivava puntuale ogni anno, imbiancando i tetti, i prati, i boschi.
Poche cose nella cartella; oltre ad un quaderno, una matita, un temperino, una gomma... ed il libro di lettura, con il disegno del fascio littorio in copertina e la scritta Il libro della terza classe elementare
.
Una citazione, posta sul portone di ingresso alla scuola, che con il tempo aveva imparato a memoria, era tornata all'improvviso alla mente del ragazzo...
"Entrate, non pensate forse di essere attesi?
Alzate lo sguardo alla parete. Ecco il crocefisso.
Le divine braccia distese sulla Croce indicano la via del Suo amore. Da oriente ad occidente.
Fra tutti però, voi siete i preferiti, perché il vostro cuore è senza macchia, è più bello del cielo stesso".
Maino si voltò verso Zeno, continuando a camminare, accorgendosi che non aveva ripreso il cammino. Lo vide immobile, ad osservare la ghiandaia che sembrava fissarlo a sua volta.
Erano passati nove anni da quando aveva dovuto abbandonare la scuola.
Servivano anche le sue braccia per il lavoro nei campi, per accudire le bestie, contribuire a garantire il pane quotidiano alla famiglia.
Anni difficili. Zeno era nato e cresciuto durante il fascismo. In un primo momento, sopratutto nel periodo della scuola, aveva assorbito pienamente i valori che quell'ideologia