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Canto di Natale
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E-book106 pagine1 ora

Canto di Natale

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Info su questo ebook

"Marley era morto, partiamo da qui.” Così inizia la storia natalizia più amata al mondo. Canto di Natale accompagna con la sua musica un vecchio avaro dal cuore inaridito, Ebenezer Scrooge, nel suo viaggio verso la redenzione, costringendolo a guardarsi attorno e a scrutare dentro di sé con l’aiuto di tre spiriti, i Fantasmi del Natale Passato, Presente e Futuro.

È un canto che risuona nella poesia del testo, con la sua metrica e i blank verse tanto cari a Dickens, quasi ci invitasse a leggerlo a voce alta, a ricercare un ritmo nella nostra lingua e a tendere l’orecchio verso le note che segnano il passo di una storia in cui perfino i rumori per le strade possono diventare melodia.

Il ballo di Fezziwig, l’impetuosa canzone del guardiano del faro, il motivo canticchiato dai marinai… fino alla malinconica canzoncina intonata da Timmy, ogni nota aiuta il cuore di un altro bambino, ormai cresciuto, a sciogliersi a poco a poco fino a riscoprire, in un’arietta semplice e carica di ricordi, ciò che è buono e sacro.

E così, nella musica, il miracolo è pronto a compiersi, le campane a suonare a distesa e il lettore ad aprirsi alla magia di una favola immortale.
LinguaItaliano
Data di uscita16 set 2021
ISBN9788830530706
Autore

Charles Dickens

Charles Dickens was born in 1812 and grew up in poverty. This experience influenced ‘Oliver Twist’, the second of his fourteen major novels, which first appeared in 1837. When he died in 1870, he was buried in Poets’ Corner in Westminster Abbey as an indication of his huge popularity as a novelist, which endures to this day.

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    Anteprima del libro

    Canto di Natale - Charles Dickens

    STROFA PRIMA

    IL FANTASMA DI MARLEY

    Marley era morto, partiamo da qui. Non c’è il minimo dubbio al riguardo. Il registro di morte era stato firmato dal pastore, dall’impiegato, dal becchino e dal capo piagnone. Lo aveva firmato Scrooge e il nome di Scrooge era una garanzia in Borsa, per qualsiasi cosa su cui decidesse di mettere le mani. Il vecchio Marley era morto come il chiodo di un battiporta.

    Badate! Non dico di sapere, di per me, cosa ci sia di particolarmente morto nel chiodo di un battiporta. Sarei più incline, personalmente, a ritenere il chiodo di una bara il pezzo di ferraglia più defunto in commercio. Ma nella similitudine è racchiusa la saggezza dei nostri avi e le mie mani profane non la turberanno, o povera Patria. Permettetemi dunque di ripetere, e di sottolineare, che Marley era morto come il chiodo di un battiporta.

    Scrooge lo sapeva che era morto? Certo che sì. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Lui e Scrooge erano stati soci per non so quanti anni. Scrooge era stato il suo solo esecutore, solo amministratore, solo erede, solo legatario, solo amico e il solo alla cerimonia. E neanche Scrooge era stato tanto addolorato dal triste evento; anzi, era stato un eccellente uomo d’affari perfino il giorno del funerale, onorandolo con un affare vantaggioso.

    Parlare del funerale di Marley mi riporta al punto da cui ero partito. Non c’è dubbio che Marley fosse morto. Bisogna che questo sia ben chiaro, o niente di meraviglioso potrà nascere dalla storia che sto per raccontare. Se non fossimo assolutamente convinti che il padre di Amleto muore prima dell’inizio della tragedia, il fatto che se ne vada a spasso di notte, lungo i bastioni del suo castello sferzati dal vento dell’Est, non sarebbe più straordinario della sortita di un qualsiasi gentiluomo di mezza età che, al calar del buio, sbuchi in un luogo ventoso – diciamo nella zona del vecchio cimitero di St. Paul – al preciso scopo di sconvolgere la debole mente del figlio.

    Scrooge non aveva mai rimosso il nome di Marley. Era ancora là, dopo tanti anni, sopra la porta, Scrooge e Marley. La ditta era nota come Scrooge e Marley. Talvolta, chi era nuovo nel campo chiamava Scrooge Scrooge, e altre volte Marley, ma lui rispondeva a entrambi i nomi. Per lui faceva lo stesso.

    Oh! Ma che spilorcio indefesso era Scrooge! Un vecchio, cupido peccatore che agguantava, schiacciava, scorticava, torceva, spremeva. Duro e tagliente come selce, da cui nessun acciarino aveva mai fatto scaturire fuoco generoso; riservato, ritroso e solitario come un’ostrica. Il freddo che aveva dentro gli aveva raggelato i lineamenti, pizzicato il naso appuntito, avvizzito le guance, irrigidito il passo, iniettato gli occhi di rosso, tinto le labbra bluastre, e si esprimeva pungente nella sua voce aspra. Una gelida brina gli velava la testa, le sopracciglia e il mento ispido. Ovunque andasse, portava con sé la sua algida temperatura; congelava l’ufficio nella canicola; non si scioglieva di un grado a Natale.

    Il caldo e il freddo esterni avevano scarsa influenza su Scrooge. Nessun calore poteva scaldarlo, né clima rigido assiderarlo. Non c’era vento più sferzante di lui, né nevicata più ostinata, né pioggia scrosciante meno incline a schiarite. Il brutto tempo su di lui non aveva appiglio. La pioggia, la neve, la grandine e il nevischio più fitti potevano vantare su di lui un solo merito. Talvolta scendevano generosi, Scrooge generoso non lo era mai.

    Nessuno lo fermava mai per strada per dirgli, con sguardo allegro: «Mio caro Scrooge, come state? Quando mi venite a trovare?». Nessun bambino gli domandava l’ora, né mendicante un po’ di spiccioli, nessun uomo o donna gli aveva mai chiesto un’indicazione per questo o quel tal posto. Perfino i cani dei ciechi sembravano conoscerlo e, quando lo vedevano arrivare, trascinavano i loro padroni al riparo di una porta o di un cortile, agitando la coda come a dire: Meglio essere senza occhi che gettare il malocchio, padrone mio!.

    Ma a Scrooge cosa importava! Era quello che gli dava gusto. Muoversi di soppiatto lungo le vie affollate della vita, intimando all’umana empatia di starsene alla larga: questo era per lui ciò che i bene informati chiamano buona sorte.

    Un giorno – di tutti i bei giorni dell’anno, proprio la Vigilia di Natale – Scrooge era indaffarato nel suo ufficio. C’era un clima gelido, tetro, pungente, nebbioso per giunta; e Scrooge sentiva la gente in cortile andare avanti e indietro ansimando, battendosi le mani sul petto e pestando i piedi sul selciato per scaldarsi. Gli orologi della città avevano appena battuto le tre, ma faceva già piuttosto buio. Era stato un giorno grigio, e dietro i vetri degli uffici vicini guizzavano le fiammelle delle candele, come lingue rossastre nell’aria scura, quasi palpabile. La nebbia si infiltrava da ogni toppa e fessura, e fuori era così spessa che, anche se il cortile era dei più stretti, le case di fronte non erano che spettri. Vedendo la fosca cappa calare, oscurando ogni cosa, si poteva pensare che la Natura stesse lì a due passi, e fosse in grande fermento.

    Scrooge aveva lasciato la porta del suo ufficio aperta per tenere d’occhio il suo impiegato che, in un lugubre bugigattolo, una sorta di cella, copiava delle lettere. Il fuoco di Scrooge languiva, ma quello dell’impiegato era tanto più debole che pareva un unico pezzo di carbone. Ravvivarlo, però, non poteva, perché Scrooge teneva la cassa del carbone nella sua stanza; e ogni volta che l’impiegato entrava con la paletta, puntualmente il padrone preannunciava la loro inevitabile separazione. Al che l’impiegato si avvolgeva nella sua sciarpa bianca e cercava di scaldarsi al fuoco della candela, cosa che, non essendo lui dotato di grande immaginazione, non gli riusciva mai.

    «Felice Natale, zio! Dio ti protegga» gridò una voce allegra. La voce era del nipote di Scrooge; gli si era parato davanti così all’improvviso che Scrooge udì il saluto prima ancora di vederlo.

    «Bah!» rispose Scrooge. «Baggianate!»

    Il nipote si era tanto scaldato camminando veloce nella nebbia e nel gelo che era tutto accalorato; il suo viso era bello e colorito, gli occhi luccicavano e il suo fiato era ancora vapore.

    «Il Natale una baggianata, zio!» ribatté il nipote di Scrooge. «Sono sicuro che non lo pensi.»

    «Lo penso eccome» disse Scrooge. «Felice Natale! Che diritto hai di essere felice? Che ragione hai di essere felice? Sei piuttosto povero.»

    «Su, andiamo» replicò allegramente il nipote. «Che diritto hai tu di essere triste? Che ragione hai di essere imbronciato? Sei piuttosto ricco.»

    Non trovando, lì per lì, una risposta migliore, Scrooge ripeté: «Bah!», seguito da un: «Baggianate!».

    «Non essere arrabbiato, zio» disse il nipote.

    «Come faccio a non esserlo?» ribatté lo zio, «quando vivo in un mondo di sciocchi come questo? Felice Natale! Che vada in malora, il Natale! Che cos’è mai il Natale per te, se non un tempo in cui paghi i conti senza avere i soldi; un tempo in cui ti ritrovi di un anno più vecchio senza essere di un’ora più ricco; un tempo in cui tiri le somme e, dopo dodici mesi, alla resa dei conti, la bilancia pende a tuo sfavore? Se potessi fare a modo mio» continuò Scrooge, indignato, «tutti gli idioti che se ne vanno in giro con un Buon Natale sulle labbra dovrebbero essere bolliti insieme al pudding, e sepolti con un ramo di agrifoglio piantato nel cuore. Ecco!»

    «Zio!» lo implorò il nipote.

    «Nipote!» ribatté lo zio, brusco. «Festeggia il Natale a modo tuo, e lascia che io lo festeggi nel mio.»

    «Festeggiarlo!» ripeté il nipote. «Ma tu non lo festeggi.»

    «Allora lascia che non lo festeggi» disse Scrooge. «Che buon pro faccia a te! Come se te ne avesse mai fatto!»

    «Ci sono molte cose da cui ho tratto del bene senza ricavarne profitto, direi» replicò il nipote. «Il Natale tra queste. Ma sono sicuro di aver sempre pensato al Natale, ogni volta che arriva – oltre alla venerazione dovuta al suo nome

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