Il Principe delle Nevi
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Anteprima del libro
Il Principe delle Nevi - Michele Lourado Menendez
1
IL VILLAGGIO ABBANDONATO
Anno 1349
Io e mio padre viaggiavamo lungo un sentiero sterrato nel bosco più profondo. Il caldo delle ultime giornate era stato così inteso che sperai di trovare una fonte d'acqua fresca, ma tra quegli alberi sembrava che non ci fosse nulla, solo piante e arbusti secchi. Le provviste che avevamo portato con noi scarseggiavano e presto sarebbero finite. Continuavo a guardarmi intorno nella speranza di trovare un villaggio o una fattoria; non avevo nessuna voglia di dormire un'altra notte su di un pagliericcio improvvisato in mezzo alle sterpaglie. Potevo sembrare superficiale lamentandomi di continuo, ma non ero da biasimare se preferivo un ambiente più confortevole e al riparo dai pericoli che si insinuano quando cala la notte.
Mio padre Stefano se ne stava seduto accanto a me, in silenzio. Lo osservai per qualche istante e con rammarico constatai che era invecchiato molto negli ultimi tempi; e la colpa era dovuta alla scomparsa improvvisa di mia madre, venuta a mancare neanche un mese fa a causa della peste. Da allora mio padre ha sempre preferito starsene per conto suo, nella bottega di libri antichi che gestiva.
Quando la peste crebbe nella nostra provincia, fummo costretti ad abbandonarlo per salvarci la vita. Lasciare il luogo dove sono nata e cresciuta non fu facile, specialmente sapendo che avrei dovuto abbandonare quei luoghi in cui sono stata felice con mia madre. E ripensandoci bene; non avevo nulla di suo, nemmeno un oggetto di uso comune. E questo bastò a rammaricarmi più di quanto non lo fossi già.
«Come vi sentite padre?» Chiesi, tanto per conversare e rompere quel silenzio imbarazzante.
Lui mi guardò con i suoi occhi chiari e aggrottando la fronte rugosa. «Sto bene Elena. Non ti preoccupare.» Ritornò a guardare davanti a se, perso nei meandri dei suoi pensieri.
«Va bene!» Non avevo nessuna intenzione di asfissiarlo. Era la prima volta che lo vedevo calmo e non in preda a qualche delirio, com'era successo quando dovevamo partire. Ci mancò poco che mettesse tutto a soqquadro, casa compresa. Persuaderlo ad abbandonare la bottega è stata un'impresa a dir poco ardua. Si era rifiutato di lasciare i suoi amati libri, considerandoli un tesoro prezioso, ma alla fine riuscii a convincerlo, assicurandogli che saremmo tornati a prenderli non appena la peste sarebbe passata.
Vederlo in quello stato d'animo, fu come essere di fronte ad un bambino capriccioso, ma cercai di non badarci troppo; sapevo che era il dolore a parlare al posto suo.
Dopo qualche tempo chiesi a Stefano di fermare il carro, come per miracolo ero riuscita ad avvistare un ruscello, avevo bisogno di riempire d'acqua la bisaccia e rinfrescarmi il viso.
Mi avvicinai alla sorgente e ammirai la mia immagine riflessa; con rammarico constatai che ero dimagrita, ma almeno la pelle era rimasta rosea; somigliavo molto a mia madre, come lei avevo lunghi capelli biondi e mossi come le onde del mare e gli occhi blu e brillanti.
Sul mio volto apparve un velo di tristezza, come ogni volta che ripensavo a lei. Mi volsi verso mio padre e dissi a me stessa che dovevo essere forte, anche per lui. Non potevo vacillare e cedere in un momento come questo.
Riprendemmo la marcia verso l'ignoto, la strada che si apriva davanti a noi mostrava soltanto la vegetazione che si faceva più fitta e cupa, ma poi successe una cosa che non ci aspettavamo.
Aveva iniziato a fare freddo. Un freddo che diventava più intenso e pungente man mano che ci inoltravamo nel folto del bosco. Com'era possibile se ci trovavamo in piena estate?
«Padre lo sentite anche voi?» Presi una coperta e mi avvolsi con essa per scaldarmi.
«Sì, figlia e non mi sembra naturale.» Stefano tremava e batteva i denti.
Senza che ce ne accorgemmo aveva iniziato a nevicare e il vento si era messo a soffiare così forte che temetti potesse spazzarci via. Il cavallo si imbizzarrì a tal punto da nitrire, agitato da qualcosa che solo lui poteva avvertire. Provammo a tornare indietro, ma una forza misteriosa ci costrinse a proseguire nella direzione dettata dal vento.
«Padre non ha senso tutto questo!»
«Il tempo sembra impazzito.» Stefano strinse con forza le redini, trattenendo il cavallo che cercava in tutti i modi di scappare.
Così com'era arrivata, la tempesta di neve se ne andò, lasciandoci nel silenzio più assoluto. Ci guardammo intorno, incuriositi da quello che era appena successo. Mi spaventai quando vidi che la strada dietro di noi era stata avvolta dalla fitta vegetazione; mentre la neve cadeva con leggerezza dal cielo. Sembravano tanti batuffoli di cotone.
«Padre siamo in trappola!» Gridai, in preda al panico.
«Cosa?»
«Guardate. Il sentiero è sparito.» Scesi dal carro. «Adesso che facciamo?» Ero in preda al panico, ma dovevo comunque cercare di mantenere i nervi saldi.
«Non lo so figliola, ma non possiamo nemmeno restare qui in mezzo alla neve.»
Proseguimmo sempre dritti seguendo quello che rimaneva del sentiero, andando verso nord. Il sole stava calando e la temperatura scendeva sempre più, fino a diventare insopportabile.
La speranza ci stava lasciando, ma non volevo arrendermi, sapevo che ci sarebbe stato un posto caldo dove poter riposare, anche a costo di setacciare tutta la regione.
Le mie aspettative divennero più forti quando vidi un bivio segnato da due cartelli: uno indicava verso nord e l'altro verso est.
Andai a leggerli: «Sylva e.... abbazia di San Michele del Bosco.»
«Padre. I cartelli indicano due destinazioni diverse.»
Il viso di mio padre si illuminò di luce nuova e anche in me sentii che finalmente stava andando per il verso giusto dopo aver girovagato per giorni senza una meta precisa. Già immaginavo di essere in una taverna, seduta accanto al camino acceso e con il fuoco che mi riscaldava, magari davanti ad un piatto di carne.
«Raggiungiamo Sylva. Pregando che si tratti di un villaggio.» Stefano spronò il cavallo a proseguire, mentre io marciavo a piedi, facendo attenzione a non scivolare sul ghiaccio.
Passarono alcuni minuti prima di scorgere i primi segni di civiltà.
Il villaggio di Sylva era circondato dal bosco di pini come se fosse un tutt'uno con la natura, ma quando fummo più vicini, il nostro ottimismo crollò come un castello di carte; la neve e il ghiaccio avevano completamente avvolto il villaggio, le case erano abbandonate e non vi era nessun segno di vita, neanche una torcia accesa che facesse intendere che fosse ancora abitato. Nulla. Regnava soltanto un silenzio tombale.
«Che è successo qui?» Chiesi, aggirandomi con cautela tra quelle case fatiscenti.
«Non lo so, ma tutto questo non fa pensare a nulla di buono.» Intervenne Stefano appena si avvicinò. Poi il suo sguardo cadde su alcune sculture di ghiaccio che erano presenti nella piazza, sparpagliate qua e là.
«A quanto pare. Qualcuno si è dilettato nell'arte.» Scostai la neve dalla prima statua che trovai. Appena la vidi più accuratamente mi resi conto di quanto fosse reale, ma la cosa che mi mise inquietudine fu la sua espressione spaventata. E la posizione che aveva assunto dava l'idea che stesse scappando da qualcosa.
«Guarda Elena... qui vicino ce ne sono delle altre.»
Controllai ogni singola statua di ghiaccio e tutte erano nella stessa posizione; con lo stesso volto contrito e terrorizzato. Donne, uomini e anche bambini. Nessuno era stato risparmiato da quello che poteva essere un vero e proprio maleficio.
«Padre, chi può aver fatto una cosa del genere?» Domandai spaventata.
«Non lo so... ma faremmo meglio andare via al più presto.» Saltò sul carretto. «Sali Elena. Prenderemo l'altra strada.»
Feci quello che mi disse, ma prima di salire osservai ancora una volta quel villaggio lugubre e abbandonato. Metteva paura e in confronto a questo, la peste era una passeggiata.
2
SAN MICHELE DEL BOSCO
La strada che scegliemmo si inoltrava ancora di più nella foresta di pini e abeti. In quel momento la neve aveva iniziato a cadere con abbondanza e il vento si era messo a soffiare con forza, creando una vera e propria bufera. Mentre la luce del giorno veniva oscurata dalle tenebre della notte.
Il freddo mi stava spossando e non ne potevo più di viaggiare con un tempo simile, pregai con tutta me stessa che anche l'abbazia non fosse abbandonata. Avrei anche optato per una delle tante case del villaggio, ma qualcosa mi diceva che