Un canto di Natale: Nuova traduzione integrale con immagini originali e note
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Info su questo ebook
Un canto di Natale (tit. orig. A Christmas Carol), pubblicato nel 1843, è indubbiamente uno dei racconti più famosi di Charles Dickens e in assoluto forse il titolo più famoso e commuovente sul Natale al mondo. Come in altre opere di Dickens, è la descrizione della contemporaneità, nelle sue sfaccettature più tristi e angoscianti, a dominare le pagine: i terribili anni quaranta del XIX secolo, la povertà, la fame, lo sfruttamento minorile. La vicenda si svolge in una Londra cupa, degradata e fatiscente, che pare estranea ai progressi tecnici e scientifici dell’Inghilterra ottocentesca. Il vecchio Ebenezer Scrooge, arido e avaro, per il quale il Natale è soltanto una perdita di tempo, in un’atmosfera onirica e surreale viene visitato da tre spiriti che incarnano i Natali presenti, passati e futuri. Questi lo conducono in un viaggio attraverso tutti i periodi della sua vita e gli mostrano in visione diverse realtà, in un percorso catartico di redenzione.
Charles Dickens
Charles Dickens (1812-1870) was an English writer and social critic. Regarded as the greatest novelist of the Victorian era, Dickens had a prolific collection of works including fifteen novels, five novellas, and hundreds of short stories and articles. The term “cliffhanger endings” was created because of his practice of ending his serial short stories with drama and suspense. Dickens’ political and social beliefs heavily shaped his literary work. He argued against capitalist beliefs, and advocated for children’s rights, education, and other social reforms. Dickens advocacy for such causes is apparent in his empathetic portrayal of lower classes in his famous works, such as The Christmas Carol and Hard Times.
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Anteprima del libro
Un canto di Natale - Charles Dickens
Note
Prefazione
Mi sono proposto, in questo Spettrale piccolo libro, di evocare il Fantasma di un’Idea, che non metterà i miei lettori in disappunto con se stessi, l’uno con l’altro, con il periodo dell’anno e neppure con me. Possa esso infestare le loro case piacevolmente, e che nessuno abbia desiderio di scacciarlo.
Il loro fedele Amico e Servitore,
C.D.
Dicembre 1843
Prima strofa
Il Fantasma di Marley
Tanto per cominciare, Marley era morto. Nessun dubbio a proposito. Il registro mortuario recava la firma del prete, dell’impiegato comunale, del becchino e del responsabile della carovana funebre. Scrooge l’aveva firmato; e il nome di Scrooge, alla Borsa dei Cambi, era una garanzia per qualsiasi cosa su cui decidesse di mettere le mani.
Il vecchio Marley era morto come un chiodo sulla porta [¹] .
Attenzione! Non voglio dare ad intendere che sappia per esperienza diretta che cosa ci sia di morto in un chiodo sulla porta. Da parte mia potrei essere portato a considerare un chiodo da bara come l’articolo di ferraglia più morto che si trovi in commercio. Ma la saggezza dei nostri antenati è nella similitudine; e la mia mano sacrilega non oserà intaccarla, altrimenti potremmo dire addio al nostro Paese. Dovrete perciò consentirmi di ripetere, enfaticamente, che Marley era morto, morto come un chiodo sulla porta.
Scrooge sapeva che era morto? Ma certo che sì. Come poteva essere diversamente? Lui e Marley erano soci da non so quanti anni. Scrooge era il suo unico esecutore testamentario, il suo unico amministratore, il suo unico procuratore, il suo unico erede, il suo unico amico, e l’unico partecipe al lutto. E neppure Scrooge fu terribilmente sconvolto dal triste evento, ma sicché era un eccellente uomo d’affari persino nel giorno stesso del funerale, lo solennizzò con una cerimonia di prim’ordine.
La menzione del funerale di Marley mi riporta al punto da cui sono partito. Non c’è il benché minimo dubbio che Marley fosse morto. Questo deve essere dato per assodato, altrimenti nulla di meraviglioso potrà scaturire dalla storia che sto per riferire. Se non fossimo assolutamente convinti che il padre di Amleto sia morto prima dell’inizio dello spettacolo, la sua passeggiata notturna sotto il vento di levante lungo i bastioni del castello non ci impressionerebbe più dell’incauta camminata di qualsiasi altro gentiluomo di mezza età che se ne esca, calata la sera, in un posto ventoso – diciamo il cimitero della cattedrale di San Paolo, per esempio – giusto per impressionare la debole mente del figlio.
Scrooge non cancellò dall’insegna il nome del vecchio Marley. Stava ancora lì, dopo anni, sopra la porta dell’emporio: Scrooge & Marley. L’azienda era difatti nota come Scrooge & Marley. A volte qualcuno nuovo negli affari chiamava Scrooge con il proprio nome e a volte Marley, ma egli rispondeva per entrambi. Per lui non faceva differenza.
Oh! Ma era uno stacanovista sul lavoro, Scrooge! Come spremeva, torceva, afferrava, raschiava, stringeva quel vecchio avido peccatore! Duro e affilato come pietra focaia, dalla quale nessun pezzo d’acciaio aveva mai fatto scaturire una generosa scintilla; riservato, asociale e solitario come un’ostrica. Il freddo che aveva dentro gli gelava i lineamenti da vecchio, affilava il suo naso aquilino, raggrinziva le guance, gli irrigidiva il passo, gli arrossava gli occhi, rendeva bluastre le labbra sottili e si esteriorizzava, conformemente, in una voce stridula. Una brina ghiacciata gli copriva la testa, le sopracciglia, e il collo sottile. Egli si portava sempre quel gelo appresso; gelava il suo ufficio nei giorni di canicola non cambiando di un grado fino al Natale.
Caldo e freddo esterni non avevano alcun effetto su Scrooge. Non c’era calore estivo capace di riscaldarlo, né gelo invernale che lo raffreddasse. Nessun vento poteva essere più tagliente di lui, nessuna nevicata più ostinata, nessuna pioggia battente meno recettiva alle suppliche. Il maltempo non sapeva da che parte prenderlo. La pioggia più fitta, la neve, la grandine, il nevischio, potevano vantare un solo vantaggio nei suoi confronti: spesso erano in grado di accomodarsi gentilmente, Scrooge mai.
Nessuno lo fermava mai per strada per dirgli, con aria felice: « Caro Scrooge, come state? Quando verrete a trovarmi? » . Nessun mendicante gli implorava mai una monetina, nessun bambino gli chiedeva che ore fossero, né uomo o donna, una volta sola in tutta la loro vita, si erano rivolti a lui per chiedere informazioni su questa o quell’altra strada. Persino i cani dei ciechi sembrava lo conoscessero e, quando lo vedevano arrivare, trascinavano il padrone in un portone o in un vicolo; e poi scodinzolavano come per dire: « Meglio non aver occhio che il malocchio, mio oscuro padrone! » .
Ma a Scrooge forse importava? Anzi, la cosa gli dava gran soddisfazione. Avanzare lungo le strade affollate della vita, ammonendo la buona gente a farsi da parte, mandava Scrooge, come dice chi se ne intende, in estasi
.
Un giorno – fra tutti i bei giorni dell’anno, la vigilia di Natale – il vecchio Scrooge se ne stava seduto, affaccendato nel suo ufficio contabile. Era una giornata gelida, tetra, di freddo pungente, per di più nebbiosa e si poteva sentire la gente fuori, nel vicolo, che andava su e giù ansimando, battendosi il petto con le mani e pestando i piedi per terra per scaldarseli. Gli orologi della città avevano appena battuto le tre, ma era già piuttosto buio – per tutta la giornata non c’era stata luce – e le candele balenavano alle finestre degli uffici vicini come strisce rossastre sulla fosca densità dell’aria. La nebbia si infiltrava in ogni fessura, buco di serratura, e fuori era così densa che, anche se il vicolo era dei più stretti, le case di fronte non erano che fantasmi. A vedere la sudicia nube che scendeva oscurando ogni cosa, si poteva pensare che la Natura vi avesse preso residenza e stesse producendo - fermentando birra in grande scala.
La porta dell’ufficio contabile di Scrooge era aperta perché potesse tener d’occhio il suo impiegato che, in un’angusta celletta lì accanto, una specie di cisterna, stava copiando della corrispondenza. Il fuoco di Scrooge era molto piccolo, ma quello dell’impiegato era tanto minuscolo che sembrava si originasse da un unico pezzo di carbone. Non c’era verso che potesse alimentarlo, perché la cesta del carbone se la teneva Scrooge nel suo ufficio; e sicuramente se l’impiegato si fosse presentato con la paletta in mano il padrone gli avrebbe prospettato un prossimo licenziamento. Sebbene l’impiegato si imbacuccasse con la sua sciarpa di lana bianca e cercasse di riscaldarsi alla fiamma della candela, il tentativo di trarne calore era vano, dato che, non era un uomo di grande immaginazione.
« Felice Natale, zio! Dio vi protegga! » gridò una voce allegra. Era quella del nipote di Scrooge, la quale gli arrivò così fulminea che fu il primo segnale che ebbe della sua presenza.
« Bah! » disse Scrooge. « Frottole! »
Si era talmente scaldato, camminando rapidamente tra la nebbia e nel gelo, questo nipote di Scrooge, che era tutto arrossato; il viso colorito e attraente, gli occhi luccicanti e il fiato fumante.
« Natale una frottola, zio! » disse il nipote di Scrooge. « Non dite sul serio, vero? »
« Certo che sì, » rispose Scrooge. « Felice Natale! Che diritto hai di essere felice? Che ragione hai di essere felice? Povero come sei. »
« Suvvia, » ribatté allegramente il nipote. « Che diritto avete voi di essere triste? Che diritto avete di essere contrariato? Ricco come siete. »
Scrooge, che non aveva per il momento una risposta migliore, ripeté il suo « Bah! » , facendolo seguire da « Frottole » .
« Non siate così amaro, zio! » disse il nipote.
« Come potrei non esserlo, » ribatté lo zio, « quando vivo in un mondo popolato da stupidi. Felice Natale! Al diavolo questo felice Natale! Che cos’è il periodo natalizio per te se non il momento di pagare i conti senza averne le disponibilità economiche; un momento in cui ti ritrovi di un anno più vecchio ma neanche di un’ora più ricco; un momento per fare il bilancio sui tuoi libri contabili e realizzare che ogni singolo articolo risulta in perdita nel corso della dozzina di mesi passati? Fosse per me, » disse Scrooge sdegnato, « ogni idiota che se ne va in giro con Felice Natale
sulle labbra andrebbe messo a bollire con il suo pudding e seppellito con un ramo di agrifoglio piantato nel cuore. Così, dovrebbe essere! »
« Zio! » lo supplicò il nipote.
« Nipote! » ribatté severo lo zio, « tieniti il Natale a modo tuo, e lasciamelo festeggiare a modo mio. »
« Festeggiare! » ripeté il nipote di Scrooge. « Ma voi non festeggiate. »
« Lasciami in pace, allora, » disse Scrooge. « Ti auguro che ti faccia del bene! Tutto il bene che ti ha fatto finora! »
« Sono tante le cose che avrebbero potuto farmi del bene, e da cui non ho tratto profitto, oserei dire, » rispose il nipote, « e tra queste il Natale.