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Senza Opporre Resistenza: Un giallo legale di Brent Marks, #4
Senza Opporre Resistenza: Un giallo legale di Brent Marks, #4
Senza Opporre Resistenza: Un giallo legale di Brent Marks, #4
E-book267 pagine3 ore

Senza Opporre Resistenza: Un giallo legale di Brent Marks, #4

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Info su questo ebook

William Thomas è cresciuto diffidando della polizia. Tuttavia, lavorando sodo si è costruito una reputazione come avvocato di successo. Dopo aver assistito a una partita di baseball con degli amici, William viene aggredito dalla polizia e uno degli agenti viene ucciso. Accusato di omicidio, William chiama a difenderlo l’avvocato Brent Marks, un suo collega. Riuscirà Brent a convincere la giuria che la polizia ha oltrepassato il limite tra il mantenere l’ordine e la brutalità? Riuscirà a formulare una difesa per un cliente che si crede colpevole? Questo romanzo, a metà tra il giallo e il thriller, ci mette a confronto con la realtà attuale della tolleranza, del razzismo, del pregiudizio e della violenza della società americana.

LinguaItaliano
Data di uscita17 set 2021
ISBN9781667413853
Senza Opporre Resistenza: Un giallo legale di Brent Marks, #4
Autore

Kenneth Eade

Described by critics as "one of our strongest thriller writers on the scene," author Kenneth Eade, best known for his legal and political thrillers, practiced International law, Intellectual Property law and E-Commerce law for 30 years before publishing his first novel, "An Involuntary Spy." Eade, an award-winning, best-selling Top 100 thriller author, has been described by his peers as "one of the up-and-coming legal thriller writers of this generation." He is the 2015 winner of Best Legal Thriller from Beverly Hills Book Awards and the 2016 winner of a bronze medal in the category of Fiction, Mystery and Murder from the Reader's Favorite International Book Awards. His latest novel, "Paladine," a quarter-finalist in Publisher's Weekly's 2016 BookLife Prize for Fiction and winner in the 2017 RONE Awards. Eade has authored three fiction series: The "Brent Marks Legal Thriller Series", the "Involuntary Spy Espionage Series" and the "Paladine Anti-Terrorism Series." He has written twenty novels which have been translated into French, Spanish, Italian and Portuguese.

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    Anteprima del libro

    Senza Opporre Resistenza - Kenneth Eade

    Indice

    Dedica

    Citazione

    Prologo

    PARTE PRIMA: ERA CONTRO LA LEGGE

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    PARTE SECONDA: PROCESSO IMPARZIALE

    Capitolo quattordici

    Capitolo quindici

    Capitolo sedici

    Capitolo diciassette

    Capitolo diciotto

    Capitolo diciannove

    Capitolo venti

    Capitolo ventuno

    Capitolo ventidue

    Capitolo ventitré

    Capitolo ventiquattro

    Capitolo venticinque

    Capitolo ventisei

    Capitolo ventisette

    Capitolo ventotto

    Capitolo ventinove

    Capitolo trenta

    Capitolo trentuno

    Capitolo trentadue

    PARTE TERZA: NIENT’ALTRO CHE LA VERITÀ

    Capitolo trentatré

    Capitolo trentaquattro

    Capitolo trentacinque

    Capitolo trentasei

    Capitolo trentasette

    Capitolo trentotto

    Capitolo trentanove

    Capitolo quaranta

    Capitolo quarantuno

    Capitolo quarantadue

    Capitolo quarantatrè

    Capitolo quarantaquattro

    Capitolo quarantacinque

    Capitolo quarantasei

    Capitolo quarantasette

    Capitolo quarantotto

    Epilogo

    Postfazione

    Prima di lasciarci...

    Offerta bonus

    Biografia

    A Gordon

    "Questa è la più grande debolezza della violenza.

    Moltiplica il male e la violenza nell’universo. Non risolve alcun problema"

    -Martin Luther King

    ––––––––

    "L’ingiustizia commessa in un solo luogo

    è una minaccia per la giustizia in ogni luogo".

    -Martin Luther King

    Prologo

    I due ragazzi camminavano in un vicolo alle spalle di Vanowen Street, ripensando alle scene di Mortal Kombat che avevano appena visto al cinema Topanga. Preso dall’eccitazione, William dette un calcio a una lattina che rimbalzò sulla recinzione, mancando di poco un gatto, per poi ripiombare nel mezzo del vicolo. La calura della giornata estiva aleggiava nell’atmosfera come una coperta spessa e la luna rischiarava la stradina scarsamente illuminata e l’assortimento di cassonetti di plastica e zinco.

    Vanowen era la strada in cui abitava TJ e per lui sarebbe stato più facile sgattaiolare in casa dalla porta di servizio, anziché suonare il campanello della porta principale. Sapeva che la madre sarebbe stata furibonda. Si era fatto tardi ed era così eccitato per il film, che aveva dimenticato di chiamarla prima di uscire dal cinema.

    «Il film è stato incredibile!», esclamò William voltandosi e sferrando un calcio a TJ, proprio come aveva fatto un kickboxer in una delle scene del film. Poi, con un salto al grido di Kiaki, assunse una posa da pugile e assestò un sinistro, destro, destro, sinistro.

    «Ehi, sta’ attento!».

    «Che ti prende? Troppo fifone per combattere?».

    «No, sul serio. Il film è stato grandioso, ma non sono mosse da ripetere in un vicolo buio».

    «Che vuoi dire?», domandò William.

    «Merda, guarda che hai fatto!», esclamò TJ.

    «Cos’ho fatto?».

    «Lo vedi l’elicottero lassù?». TJ indicò il velivolo che aleggiava distante.

    «Sì, e allora?».

    «Santo cielo, ma non sai proprio niente? Ci sta osservando».

    «Che cavolata».

    «Ah sì?»

    «Sì».

    «Okay, saputello. Vuoi sfidarmi in una corsa fino a casa mia?».

    «Perché mai?»

    «Voglio dimostrarti una cosa».

    «Sì, come no».

    «Certo, ti dimostro che correre è contro la legge».

    «Racconti balle. Correre non è contro la legge».

    «Sì che lo è. Soprattutto per noi. Sei pronto?»

    «Sì».

    William piegò il ginocchio destro e si mise in posizione poggiando le nocche a terra, proprio come un corridore olimpionico pronto allo sprint. TJ fece lo stesso.

    «Pronti».

    «Via!».

    I due ragazzi iniziarono a correre più veloce che poterono. La casa di TJ, alla fine del vicolo, era il traguardo. TJ inspirava ed espirava a tempo con la sua andatura. Le suole delle scarpe gli bruciarono la pianta del piede quando cominciò a guadagnare terreno su William, ma le gambe lunghe di quest’ultimo lo portarono in vantaggio e superò per primo il cancello del cortile sul retro, saltando in aria a braccia tese come un giocatore di football che aveva appena segnato un touchdown.

    «Ho vinto! Ho vinto!», gridò.

    «Abbassa la voce!», gli intimò TJ con le mani sulle ginocchia mentre ansimava.

    D’un tratto, nell’oscurità, si udì lo stridore di pneumatici e una macchina della polizia nera e bianca inchiodò nel vicolo. Si fece improvvisamente giorno quando la stradina, incluso il cortile di TJ, fu illuminata dal faro dell’elicottero che aleggiava sopra di loro. Aveva tutta l’aria di essere un’esercitazione militare.

    Due agenti saltarono giù dall’auto di pattuglia, si appollaiarono sul tetto, e con le pistole puntate contro i ragazzi urlarono: «Mani sopra la testa!». La paura dei due giovani non era nulla in confronto all’aggressività dei poliziotti.

    «Te l’ho detto!», disse TJ mettendo le mani sopra la testa.

    «Ma che diavolo!», esclamò William facendo altrettanto, con le gambe che gli tremavano.

    «In ginocchio, ora!», gridò uno degli agenti.

    I ragazzi si misero in ginocchio, ignorando il dolore dell’asfalto che sfregava contro la pelle.

    Videro la sagoma di un agente avvicinarsi, eclissata dalla luce accecante della torcia del manganello che era puntata direttamente contro i loro gli occhi.

    «Che male!», disse William.

    «Sta’ zitto!», rispose l’agente.

    Non videro nemmeno l’altro poliziotto avvicinarsi. Si era fatto avanti furtivamente alle loro spalle, come un gatto che insegue un topo, e gli aveva messo le manette ai polsi.

    «Ma che succede? Non abbiamo fatto nulla!», protestò William quando l’agente lo tirò su per il colletto, sbattendolo contro l’auto della polizia.

    «Ti ho detto di chiudere il becco. Avete rubato qualcosa?», gli domandò mentre lo perquisiva.

    «No».

    «Ti rendi conto che ti avremmo potuto sparare?».

    «Sparare?». William rabbrividì per la paura. Fece per voltarsi verso l’agente, che però lo sbatté di nuovo contro l’auto. Voleva piangere, ma era un uomo e sapeva di dover essere coraggioso, così fece l’espressione da duro.

    «Il tuo amico sa che avete fatto qualcosa di sbagliato. Guarda, se l’è fatta nei pantaloni».

    William guardò verso TJ. Anche lui era schiacciato contro la volante mentre lo perquisivano e teneva la testa bassa per la vergogna.

    «Hai droga?», domandò l’agente.

    «No, non uso droghe».

    «Non rispondermi a quel modo. Ti ho fatto una domanda», ribatté l’agente mentre svuotava le tasche di William.

    «No, non ho droga addosso».

    «Ho trovato un’arma!», disse al collega.

    «Quella non è un’arma. È il mio coltellino da tasca».

    L’agente si fece scivolare il coltellino svizzero nel taschino.

    «Me lo ha regalato mio padre».

    «Avrebbe dovuto dimostrare più giudizio», rispose il poliziotto. Lo sguardo sorridente tradiva l’espressione seria mentre si metteva in tasca il coltello.

    PARTE PRIMA: ERA CONTRO LA LEGGE

    "Le leggi sono ragnatele che le mosche grosse sfondano,

    mentre le piccole ci restano impigliate"

    – Honoré de Balzac

    Capitolo uno

    William Thomas era l’autista designato per la serata. La partita dei playoff era stata grandiosa e la parte migliore era che i Dodgers avevano annientato i Cardinals alla fine dell’ottavo inning. L’odore di hot dog e birra aleggiava nel corridoio affollato dagli spettatori che lentamente cercavano di raggiungere le loro auto. Uscendo dallo stadio, gli amici di William dettero il cinque a tifosi e inservienti, e una volta all’aperto, agitarono l’asciugamano dei Dodger che era stato distribuito a tutti all’inizio dell’incontro, neanche fossero cheerleader a una partita di football di liceo.

    «Che partita!», esclamò TJ allungando le braccia verso l’alto e tirando indietro lo stomaco, mentre gonfiava il petto e si produceva in una danza della vittoria.

    «Devo pisciare», annunciò Fenton.

    «Perché non sei andato prima di uscire dallo stadio?», domandò William.

    «Mi scusi tanto, signor Autista Designato, ma prima non mi scappava». Fenton rise e gli dette una pacca sulla schiena. TJ lo raggiunse dall’altro lato e insieme cominciarono a cantare Take Me Out to the Ball Game mentre, barcollando, trascinavano William in un percorso a zig-zag nell’enorme parcheggio, le cui uscite erano intasate da lunghe file di fanali di posizione.

    «Voi due non sapete cantare», disse William. «Per fortuna vi scarico entrambi nella Valley così non devo sopportare i vostri lamenti sguaiati fino a Santa Barbara».

    «Ma senti un po’ questo stronzetto, TJ. Vive a Santa Barbara lui», scherzò Fenton districandosi dal gruppo. Tirò dentro la considerevole pancia e raddrizzò il passo con un’espressione snob e il naso puntato all’insù.

    «Qualcuno che voglia giocare a polo?».

    TJ per poco non cadde a terra dalle risate.

    «Molto divertente», disse William. «Mi fai quasi venire voglia di lasciare entrambi voi cazzoni a piedi. Potete tornare a casa in autobus».

    «Andiamo, non ti arrabbiare», lo consolò Fenton. «Io stessi solo scherzando».

    «Io stavo», lo corresse William, provocando un’altra risata fragorosa.

    TJ rise. «Credevo tu eri un avvocato, non un insegnante di lettere».

    «D’accordo, d’accordo, ve la lascio passare. Ma non vedo il motivo di parlare da ignoranti, visto che non lo siete».

    «Non vedo il motivo di parlare da ignoranti», gli fece il verso Fenton col naso per aria, agitando le braccia come Jack Sparrow.

    «Fermo, aspetta! Devo farvi una foto!», esclamò TJ sorridendo a tutti denti. Sembrava Mr Ed, il cavallo parlante. «Sorridete!».

    «Chi non riuscirebbe a sorridere vendendo i tuoi buffi occhiali?».

    «Dite cheese!», li interruppe TJ con una goffa strizzata d’occhio, scattando una foto a William con gli occhiali di Google.

    «È troppo buio», ridacchiò William. «Okay, siamo arrivati», annunciò indicando l’automobile. «Salite», li esortò e aprì le portiere della Cadillac Escalade blu col telecomando.

    «Devo sempre pisciare», si lamentò Fenton buttandosi sul sedile posteriore.

    «Non farlo in macchina. Ci fermiamo per strada».

    * * *

    Fenton si appisolò sul sedile posteriore mentre William si dirigeva verso nord, sulla superstrada 101. Arrivato all’uscita per Burbank, non appena svoltato a destra dopo la rampa, Fenton alzò la testa.

    «Non riesco più a trattenermi, William. Devo farla adesso!».

    «Fammi solo arrivare al distributore di benzina, è proprio lì».

    Quando accostarono, il distributore era chiuso. Non esattamente chiuso, c’era una fessura aperta per pagare, ma non si poteva entrare all’interno del negozio, a prescindere da ciò che volevi comprare o da quanto urgentemente dovevi andare in bagno. William fece marcia indietro e si diresse verso l’area relativamente deserta della diga di Sepulveda.

    «Qua fuori non ci sono bagni», spiegò William. «Andiamo verso...».

    La voce della ragione fu eclissata dalla più rumorosa voce della necessità.

    «Amico, tutto il mondo è una latrina. Fermati e fammi scendere o te ne pentirai».

    «Okay, okay», rispose William.

    Non era ancora arrivato nel punto del boulevard in cui avrebbe voluto fermarsi, ma l’idea che Fenton urinasse nel sedile posteriore era ancora meno appetibile e così accostò immediatamente. Non si era ancora fermato del tutto, che Fenton era già fuori dall’auto che barcollava verso i cespugli più vicini.

    «Devo farla anch’io», annunciò TJ aprendo la portiera.

    «Grandioso!», esclamò William mettendosi le mani in testa. «Be’, sbrigati!».

    «Amico, che sollievo!», esclamò Fenton dando sfogo a ciò che sembrava un flusso interminabile.

    «Devi chiudere il rubinetto o finisce che allaghi tutta la Valley», gli disse TJ.

    «Sai come si dice?», fece Fenton.

    «Come?».

    «Limpida come la birra!».

    «La mia è decisamente birra allora».

    «Sbrigatevi e tornate in macchina!», li chiamò William.

    Erano appena risaliti in macchina, barcollanti, dopo aver armeggiato con le cerniere dei pantaloni, che un’auto della polizia accostò dietro di loro con la sirena accesa.

    «Guarda che avete fatto», si lamentò William.

    «Per fortuna abbiamo un avvocato tra noi», disse Fenton.

    «Sta’ zitto e lascia parlare me».

    William abbassò il finestrino mentre l’agente che si era avvicinato al lato del guidatore lo investì con un fascio di luce tale da fargli male agli occhi. William sbatté le palpebre e distolse lo sguardo.

    «Signore, mi guardi», ordinò l’agente. Sembrava essere sulla trentina, sebbene William non potesse esserne certo, visto che sembravano tutti uguali con l’uniforme e il berretto.

    L’altro poliziotto era sul retro dell’Escalade, sul lato del passeggero, che faceva luce all’interno del veicolo per controllarlo.

    «C’è un contenitore aperto!», gridò.

    «Patente e libretto», chiese il primo poliziotto continuando a inondare il viso di William con un fascio di luce.

    «Sono nel vano portaoggetti. Adesso lo apro, okay?».

    «Basta che tieni le mani dove posso vederle», disse l’agente.

    Con cautela, William ritirò i documenti dal vano portaoggetti e li porse al poliziotto, che diresse la torcia sulla patente e poi di nuovo contro il viso di William.

    «Deve proprio puntarmi quella cosa sulla faccia? Sono sensibile alla luce intensa».

    L’agente non rispose. «Scendi dall’auto per favore».

    «Per quale motivo?».

    «Ti ho detto di scendere».

    Scendendo dall’auto, William vide che TJ e Fenton stavano anch’essi uscendo con le mani sopra la testa. Furono fatti spostare sul lato del guidatore, dove il secondo poliziotto li spinse contro l’auto e cominciò a perquisirli.

    «Voltati e metti le mani sul veicolo».

    «Aspetti un minuto, io...».

    «Voltati e metti le mani sul veicolo. Non ho intenzione di ripeterlo».

    William si voltò e poggiò le mani sull’auto. Poi sentì la mano dell’agente palpargli la gamba. Girò la testa e notò che la mano destra del poliziotto era poggiata sulla pistola d’ordinanza. Grandioso – ha il grilletto facile.

    «Voltati!».

    William si girò e sentì il poliziotto mettergli una mano in tasca, estraendone il portafogli. Guardò di lato e vide che Fenton e TJ, ora seduti a terra, erano ammanettati.

    «Urinare in un luogo pubblico è un’infrazione», disse il poliziotto rivolto a William mentre esaminava il contenuto del suo portafogli. «E lo è anche tenere un contenitore di alcol aperto».

    «Quale contenitore aperto?».

    «Hai bevuto?»

    «No, no. Sono l’autista designato. Senta, agente, non sono sotto l’influenza di alcolici».

    «Ho chiesto la tua opinione, negro?».

    «Come, scusi? Ha forse detto "negro" ?»

    «Non ho detto nulla. L’hai detto tu. E non è forse così che vi chiamate tra di voi?»

    «Se anche fosse, questo non le darebbe certo il diritto di usare quella parola».

    «Tu qui non hai nessun diritto, tranne il diritto di rimanere in silenzio e ti suggerisco di approfittarne».

    «Perché? Sono forse in arresto?».

    «Mettiti a gambe unite, butta indietro la testa e allarga le braccia. Chiudi gli occhi».

    William ubbidì.

    «Toccati la punta del naso con l’indice sinistro». William si toccò a punta del naso.

    «Gliel’ho detto, non sono ubriaco».

    «Fa’ silenzio. Adesso fai la stessa cosa con l’indice destro».

    William ripeté il gesto. Il poliziotto prese il manganello e gli divaricò le gambe con la forza.

    «Prima mi ha detto di stare a gambe unite. Faccio quello che mi dice, ma non mi colpisca con quello».

    «Sta’ zitto. Adesso voglio che cammini in una linea retta, prima il tallone e poi la punta, finché non ti dico di fermarti e voltarti».

    L’agente prese il manganello e spinse William con forza sulla schiena, il quale reagì allontanando via il bastone con la mano.

    «Non è necessario che mi colpisca col bastone. Sto facendo tutto ciò che...».

    Nel giro di un istante, il poliziotto, in un accesso di rabbia, colpì William al ginocchio col manganello. William sentì il ginocchio andare a fuoco e spezzarsi, poi perse l’equilibrio e cadde. L’agente a quel punto lo colpì prima nei genitali e poi allo stomaco, provocandogli conati di vomito.

    «Mi hai vomitato sulla scarpa, negro!».

    Dopodiché ci fu il nulla, solo immagini frammentate qua e là. L’unica cosa che William ricordava fu lo scoppio assordante di un colpo di pistola e il collega dell’agente cadere a terra come un birillo da bowling.

    Capitolo due

    Era tutto sfocato, come un quadro impressionista, e mentre metteva a fuoco, William riconobbe le pareti blande e l’arredamento sterile di una stanza d’ospedale, e l’odore d’antisettico nell’aria. Aveva la gola secca. Cercò di chiamare qualcuno, ma non aveva voce. Udì un bip e quando guardò alla sua destra, vide un monitor. D’istinto fece per mettersi a sedere e provò un dolore lancinante alle costole. Le braccia erano paralizzate e non riusciva a muoverle. Si guardò il braccio destro e vide i tubi della flebo. Più in basso vide le cinghie e si rese conto che era stato legato per i polsi. Cercò di muovere le gambe, ma anche quelle erano state immobilizzate.

    Un’infermiera dal fisico smilzo entrò nella stanza. «Vedo che sei sveglio».

    «Po... potrei avere dell’acqua, per favore?».

    L’infermiera spostò il vassoio, mettendoglielo

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