Scacco matto al Re bianco
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Anteprima del libro
Scacco matto al Re bianco - Simone Giusti
Ringraziamenti
Il gioco
«Papà. Papà!».
«Will, lo sai che non devi entrare nel laboratorio quando stiamo lavorando», lo ammonì Ant.
«Ma papà, c’è zio in televisione!», insistette il ragazzino, con le gambette sporche di terra rossa africana.
Elizabeth si staccò dal tavolo e accese la tv.
«Da graduato dei Royal marines a star degli effetti speciali», diceva un’ammiccante giornalista.
«Ma guardalo… Sempre affascinante tuo fratello», commentò Elizabeth.
«Come ti spieghi quest’evoluzione, Slade?», domandò l’intervistatrice.
«Chi lo sa», rispose Slade accattivante, «gli effetti speciali erano la mia fissa fin da ragazzino. Mio fratello era quello bravo, io l’idiota che si costruiva ET in garage».
«Davvero lo zio ha costruito ET? Che fico!».
«Sì sì, un fico! Anche tuo padre lo è perché lui salva le persone», intervenne Elizabeth.
«Va’ da mamma e dille che c’è zio in tv», disse Ant e Will sparì veloce nelle porte a stantuffo.
Elizabeth spense la tv e chiuse le fiale nella borsa frigo. Ant tentennò.
«Se ti dovessero fermare…».
«So cosa dire».
«…sta’ attenta a Philippe, quello è…».
«…uno stronzo, lo so».
Un clacson attirò entrambi alla finestra. Attraverso le veneziane intravidero una jeep. Elizabeth nascose la borsa frigo nel suo zainetto.
«È un tipo fidato quel Mark?», le chiese Ant.
«Per te mi fiderei di uno che si vende per denaro?».
Elizabeth si sfilò il camice, diede un bacio sulla guancia ad Ant e se ne andò.
Ant la seguì dalla finestra; la vide dare un bacio a stampo a Mark, mostrare il suo tesserino a un miliziano olandese e sparire con la jeep dentro polvere rossa.
«Buona fortuna, Beth».
Dal laboratorio accanto, Philippe De Ville avvisò qualcuno.
«Signore, è partita».
Il crepuscolo portò il silenzio. La notte avvolse la giungla equatoriale.
«Mamma, posso andare a guardare i cartoni?».
«Chiedilo a tuo padre. È lui che comanda qui».
Ant sollevò distratto la testa dal piatto.
«Certo che puoi andare», disse e Will corse in soggiorno.
Sua moglie cincischiava con una carota. Ant si accorse che qualcosa non andava.
«Allora, hai trovato le ricariche che cercavi?», le domandò.
«No. Niente Polaroid qui».
«Magari domani sento Ossama se te le può trovare».
Vivien bevve un sorso d’acqua scocciata.
«I miei vorrebbero che andassimo da loro per Natale».
«Viv, lo sai che ho i test da seguire. Vai tu, o magari andiamo più in là».
«È sempre così con te».
«Non ho voglia di litigare».
Vivien mollò le posate.
«Will vorrebbe una vita normale. Io vorrei una vita normale!».
«Viv, ne abbiamo già parlato. Sapevi che questo era il mio futuro».
«Il nostro, Ant. Il nostro… Non sei in debito col mondo, tu».
La gola di Ant si chiuse. Strinse le posate e guardò altrove.
«Ma che vi prende a voi Warwick!», continuò Vivien furiosa. «Sei come tuo padre, anche lui si era imposto questa missione di salvare il mondo tutto da solo».
«Slade!», Ant andò fuori di sé e indicò la tv dove andava in onda un altro speciale sugli Oscar. «Lui non è come mio padre. Lui se ne sbatte del mondo. Dovevi scegliere lui, ché tanto siamo gemelli! Certo, ha un occhio d’un altro colore, ma vedo che con le donne funziona».
«Ant, ti prego!».
«Avresti vissuto a Los Angeles, avresti avuto una bella villa con piscina e tutte le tue cazzo di foto Polaroid! Hai sposato il Warwick sbagliato, però. Quello che vuol salvare il mondo tutto da solo».
Ant sbuffò accaldato. Vivien piangeva.
«Scusa, Viv. È stata una giornataccia».
Girò attorno al tavolo e le poggiò le mani sulle spalle. Ma lei scivolò via. La osservò impotente che spariva su per le scale.
La notte fuori era più buia.
«Questa cosa non può andare più veloce?».
«Questa cosa è a tavoletta. E poi nessuno ha più fretta d’arrivare di me», Mark lanciò un’occhiata alle gambe di Elizabeth.
«Scemo. Vieni qua», lo tirò per il bavero e gli appiccicò un bacio sulle labbra.
La jeep scarrocciava sulla strada tutta buche, i fari strappavano terra rossa dall’oscurità. Comparvero luci in mezzo alla strada.
«Un posto di blocco», Mark riprese il volante con due mani e la jeep decelerò.
«Lascia fare a me», lo rassicurò Elizabeth ricomponendosi. «Il governo locale è in mano a noi».
La jeep si fermò a pochi metri dai pick-up. Tra i fari intravidero tre miliziani che avanzavano verso di loro.
«Dottoressa Forsyth. GoodPharma», Elizabeth mostrò il tesserino.
I miliziani caricarono i Kalashnikov.
Volo di uccelli e urla di scimmie e spari nel buio.
«Dottoressa Forsyth. Uccisa in un agguato!», blaterò Ossama allucinato.
Ant si staccò dal saccone. La luce del primo mattino entrava prepotente dalla vetrata della palestra e lo accecava. Prese un asciugamano e corse in soggiorno con la testa in confusione.
«Vivien…».
Si fermò. Sua moglie era sul divano. Conversava amabilmente con Jasper Soaros seduto accanto a lei.
«Ant. Tutto bene?», domandò lei sorpresa. Ant non fiatò.
«Stavo dicendo a Jasper quanto sia difficile trovare ricariche Polaroid. Mi ha promesso che penserà lui a…».
«Che ci fai qui?», tagliò Ant rivolto a Soaros.
«Sono io che dirigo tutta la baracca. Ho il dovere di controllare come procedono i lavori, non credi?», Soaros si alzò in piedi.
«Ant! Che ti prende?», domandò Vivien stranita.
«Nessun problema, Vivien», fece Soaros affabile. «È un duro lavoro quello che fa tuo marito. È stressato».
Stirò la giacca bianca d’alta moda e si fece un giro nel soggiorno.