Lo sfasciafamiglie - Chi cerca la Santità trova un divorzio
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Anteprima del libro
Lo sfasciafamiglie - Chi cerca la Santità trova un divorzio - Stefano Regolo
Stefano Regolo
Lo sfasciafamiglie
Chi cerca la Santità trova un divorzio
EVE EDIZIONI
© Stefano Regolo
Lo sfasciafamiglie
Chi cerca la Santità trova un divorzio
Edizioni Eve
Via Pozzo 34
20069 Vaprio D’adda-Mi
www.edizionieve.it
Edizioni Eve è un marchio editoriale di proprietà di Editrice GDS
Ogni riferimento descritto in questo romanzo a cose, luoghi o persone sono da ritenersi del tutto casuali
Ai miei nonni che mi hanno indicato la strada e ai miei genitori che mi hanno aiutato a seguirla.
Vi voglio bene!
I santi non sono nati, ma si sono fatti santi
Giuseppe Allamano
1
La prima incombenza giornaliera nell’ufficio del titolare delle controversie sociali non era altro che un atto assai personale e propiziatorio, che si perdeva nei meandri di lontane ma mai sopite reminiscenze infantili.
Liberò il ripiano della scrivania di ogni inutile cianfrusaglia, poiché nulla doveva contaminare il sacro rituale. Poi, con gli occhi chiusi, prese a mescolare le carte con un sorriso beato stampato sulle labbra. Dopo un paio di minuti, sempre con gli occhi chiusi, tirò fuori una carta dal mazzo e la poggiò sulla scrivania. Solo allora riaprì gli occhi per scoprire che il santo del giorno era San Alberto degli Abati, protettore della città di Trapani.
Osservò la figura, dopodiché l’afferrò, la baciò e andò a deporla in una cornice in argento che fino a un attimo prima era stata occupata dall’immagine di Sant’Eustachio, patrono di Matera. Baciò entrambi i santini e li ringraziò del sacro operato celeste.
Sorrise infine soddisfatto, andando poi a riprendere posto sulla poltrona girevole. Dal primo cassetto della scrivania tirò fuori quel vecchio e consunto oggetto prezioso che accompagnava ormai la sua esistenza da quando aveva sei anni: il Sanctus – Breviario sulla vita di tutti i Santi.
Afferrò riverente il libro e se lo portò alle narici. Gli sembrò quasi di annusare il profumo della sua defunta nonna Genoveffa, un profumo che sapeva di buono. Di tante cose buone. Indugiò a inspirare sognante le pagine ingiallite del breviario, rimirando su quell’infanzia passata, ma mai del tutto perduta. Come spesso gli capitava passò in rassegna gli anni che lo avevano condotto a essere ciò che era.
Già, che cos’era?
Un Santo, gli rispose una voce nella testa. «Non un Santo, ma un Santino, il mio Santino!», ribatté un’altra voce che anni addietro era appartenuta a sua nonna. «Un cazzo di portasfiga!», tese subito a puntualizzare un’altra che risultava essere assai somigliante a quella del suo migliore amico.
Santino scosse il capo divertito, si alzò dalla poltrona e si avvicinò all’impianto stereo andando a selezionare la solita melodia che accompagnava, immancabilmente, tutte le sue «sante» giornate. Dalle casse venne fuori il «Te deum».
No, non sono un Santo! rispose a se stesso Santino. Non ancora almeno!
Le strade dei Santi erano lastricate di miracoli mentre le sue, fino a quel momento, erano state popolate soltanto di tanti buoni propositi. E i buoni propositi, seppur accompagnati da tante preghiere, non potevano giustificare una «santità».
L’uomo si segnò con la croce, cercando conforto nello sguardo beato della statua di San Teodoro d’Amasea.
Cosa devo fare San Teodoro? Dimmelo tu!
La risposta anziché dalla statua del Santo gli venne dal citofono.
«Comincia con l’aprire la porta, compare!» lo canzonò la voce immaginaria del suo migliore amico. Santino spense l’impianto stereo e si avviò sconsolato verso la porta d’ingresso.
Santo o no, per ora, la realtà gli imponeva di essere un risolutore delle controversie sociali.
«Un risolutore davvero in gamba!» fece una delle solite voci che gli popolavano la testa. «Il top tra i top!» sottolineò subito un’altra con una risata.
«Sì, Il top della iettatura sentimentale!» concluse infine la solita voce del suo migliore amico Lorenzo Lorenzi.
A Santino non rimase altro da fare che aprire la porta.
2
Si era sempre definito un pezzo d’uomo in senso letterale. Non brutto, per carità, ma un pezzo d’uomo: un uomo in miniatura. E tale auto-definizione fu rafforzata dalla bionda che gli si presentò alla porta. Elegante nel suo tailleur color crema, la signora prese a squadrarlo sorridente dall’alto dei suoi notevoli trampoli da passeggio.
«Sono stata puntuale?», esordì la donna sorridendo.
«Puntualissima!», le rispose Santino invitandola a entrare.
La signora s’infilò dentro, superando Santino e andando a fermarsi incuriosita al centro dell’insolita stanza, quasi una sala di «cimeli agiografici». C’erano un paio di acquasantiere, diverse stampe a tema religioso, un enorme crocifisso appeso dietro la scrivania e, dulcis in fundo, una statua quasi a grandezza naturale assisa su un piedistallo nell’angolo più lontano della stanza.
«Posso offrirle qualcosa, signora?», chiese Santino dopo essersi schiarito la voce.
«Nulla, grazie», rispose la donna, andando a prendere posto sulla sedia davanti alla scrivania.
Santino alzò le spalle interdetto, andandosi a sedere anche lui.
«Allora, in cosa posso esserle utile?», le chiese congiungendo le mani.
«Ester», fece la donna. «Chiamami Ester… visto che vuoi «sfasciarmi» il matrimonio è meglio che tu mia dia del «tu», non trovi?»
Santino stava quasi per ribattere che lui non era intenzionato a voler «sfasciare» alcun matrimonio; era la gente stessa che lo contattava per facilitare una quantomai inevitabile «rottura». Lui, il risolutore, si limitava, per l’appunto, a semplificare le cose, non a «sfasciarle». Quando i «casi sociali» venivano sottoposti alla sua attenzione erano già belli e finiti. Punto.
«Spiegami la tua situazione», fece lui.
La donna si sistemò meglio sulla sedia accavallando le gambe e tirando fuori dalla borsa un pacchetto sgualcito di slim.
Santino si schiarì la voce, spiegando che lì era vietato fumare.
«Cazzo!» si lasciò scappare la donna. «Non si può fumare…»
«E non si dicono parolacce, non qui. Non nel mio ufficio», l’ammonì lui agitando l’indice.
«Dannazione, ma che siamo in chiesa?»
«Più o meno.»
Ester lo osservò divertita, prendendo a giocherellare con la cinghia della propria borsa.
«Torniamo a noi, se non ti dispiace», tagliò corto Santino allungandole un bicchiere d’acqua.
«Ti ho già detto che non voglio niente!», si ribellò lei.
«Lo so», sorrise lui riallungandoglielo.
«E allora?»
«Un bicchiere di acqua santa e la parolaccia è infranta!»
«Non capisco», ribatté Ester scostando per la seconda volta il calice.
«Serve a sciacquare via le parolacce. Quindi bevi e basta, per cortesia!»
La donna sollevò il calice, scosse il capo e ne vuotò il contenuto tutto d’un fiato.
«Contento?»
Santino Capareola annuì soddisfatto. La storia del bicchiere di acqua gli era stata tramandata dalla nonna. Serviva da deterrente contro vocaboli sconci e offensivi. «Torniamo a noi. In cosa posso esserti utile, Ester?»
«Secondo te somiglio a Eleonora Giorgi?»
«Scusa?»
«Somiglio o non somiglio a Eleonora Giorgi?», incalzò lei passandosi una mano tra i capelli.
«Non lo so…»
«Ma tu sai di chi sto parlando, vero?»
Santino ci pensò su. «Intendi, per caso, la religiosa Maria Eleonora Giorgi?»
«Eh?» fece sussultando la donna.
«La religiosa di Firenze!», ribadì lui.
«Non la religiosa, ma l’attrice, la conosci sì o no?»
«Più o meno», fece Santino, cercando di togliersi inutilmente dall’imbarazzo.
«Ci somiglio?» «Sì, ci somigli, Ester, almeno un po’!» si arrese Santino, recitando una preghiera indirizzata a San Francesco di Sales, Santo protettore dalla follia, perché la donna sembrava non avere in ordine i cassetti del cervello, quantomeno non tutti.
«Solo un po’ dici?» incalzò lei.
«Un po’ tanto» aggiustò il tiro Santino, cercando di assecondare i folli quesiti della sua aspirante cliente.
«Voglio lasciare mio marito!» sentenziò Ester sbattendo i pugni sul tavolo.
«Va bene, ma perché?» chiese Santino. «E cosa c’entra con la somiglianza a Eleonora Giorgi?»
La donna partì con un racconto strampalato che Santino faticò a comprendere in più punti. Punti che Ester riteneva opportuno rimarcare con diverse parolacce, che finivano puntualmente con l’essere sciacquate da altrettanti bicchieri di acqua allungati dal Capareola.
3
Stando alle sue parole, Ester era stata sempre una donna forte e indipendente.
«Una donna con la D
maiuscola», puntualizzò lei trangugiando l’ennesimo calice di acqua penitenziale. «Sempre disposta a farsi un culo con la C
maiuscola!»
Poi, avvenne l’incontro. Uno di quegli incontri con la «I» maiuscola, uno di quelli che fa cambiare il corso di un’intera esistenza. L’incontro con un uomo, e che uomo! Non bello, quello proprio no! Ma ricco, molto ricco e simpatico.
«Chissà perché, nella fase iniziale di un rapporto gli uomini sembrano tutti simpatici», fece Ester sorridendo. «Poi puffete, scoppiano tutti come bolle di sapone!»
Santino si limitò ad annuire, continuando a trascrivere sul suo taccuino gli elementi essenziali della storia. Fino a quel momento non c’era stato nulla di nuovo. Incontro, Infatuazione, Innamoramento, Instabilità, ovvero le quattro grandi «I» che precedevano a volte l’inevitabile epilogo. Il più delle volte in mezzo a tutte queste lettere ci si infilava la «M» di matrimonio ed erano lì che tendevano a sorgere i grattacapi, visto che a volte si arrivava alla D
di divorzio.
«E di Eleonora Giorgi…» sbottò d’un tratto la donna.
«Scusa?» fece Santino sollevando lo sguardo dal block notes su cui prendeva appunti.
Venne fuori che il suo aspirante ex marito era un fan sfegatato dell’attrice. Inizialmente quella simpatia cinematografica aveva suscitato i sorrisi di Ester; ma poi, la simpatia si era tramutata in ossessione. E l’ossessione, a sua volta, era stata scalzata da un fastidiosissimo fanatismo.
Immagini di Eleonora Giorgi sulla pareti di casa, sul desktop del computer, sui guanti da forno e perfino sui portasapone in ceramica presenti nei bagni della sua abitazione.
Santino continuò a scarabocchiare sul taccuino, riflettendo sul significato stesso di fanatismo, ammesso che ce ne fosse soltanto uno di significato.
«Poi», confessò Ester. «Arrivarono perfino le amanti, tutte somiglianti alla Giorgi, ovviamente.»
L’uomo strabuzzò gli occhi, ritenendo poi opportuno interrompere il flusso di parole della donna con un poco credibile colpo di tosse.
«Tutti questi problemi sono sorti dopo il vostro matrimonio, giusto?»
«Assolutamente no!», ribatté Ester. «Sono iniziati prima!»
«Prima?!» fece Santino puntando gli occhi sul soffitto.
«Sì, prima!» starnazzò lei agitando le mani.
Santino Capareola buttò il taccuino sul ripiano della scrivania, si mise a braccia conserte e si abbandonò sulla sedia, in attesa di quello che sarebbe stato il resto della storia. Santuzzo, questo il nome del marito di Ester, amava corteggiare tutte quelle donne che, in un modo o nell’altro, gli ricordavano Eleonora Giorgi. Era una sua pecca, ma lui era fatto così, e non ci si poteva fare nulla. Tant’è che aveva ritenuto opportuno invitare a cena quella che di lì a poco sarebbe stata sua moglie, ragguagliandola su quelle che erano le sue indubbie deviazioni.
Ester aveva reagito con rabbia e sdegno alle confessioni, esternando diverse volte la volontà di lasciare il ristorante. Ma alla fine era rimasta lì e portata dopo portata, drink dopo drink, aveva cominciato a prospettarsi davanti ai suoi occhi un altro tipo di eventualità, tutta nuova e vincente; tali prospettive finirono con il concretizzarsi in un costosissimo anello firmato Tiffany. Ester era rimasta a bocca aperta davanti all’ostrica offerta da Santuzzo, con all’interno il prezioso ornamento.
«Tu accettasti, vero?», si azzardò a chiedere Santino.
«Eh certo. Cosa avrei dovuto fare? Lasciarlo intrappolato in quel mollusco?»
Santino alzò le spalle, invitando la donna a proseguire.
Con l’accettazione dell’anello, Ester si era impegnata a contrarre matrimonio. La cerimonia era avvenuta un mese dopo, con tanto di penna, contratto e testimoni. Con la firma dell’atto, Ester si impegnava a tollerare le «scantonate passionali» del marito con tutte quelle donne che somigliavano alla Giorgi, accettando, allo stesso tempo, tutti i benefici derivanti dall’assai importante conto in banca di Santuzzo. Un’eventuale richiesta di divorzio sarebbe stata possibile solo rifiutando integralmente i beni a lei spettanti.
«Ma questa cosa non è possibile!» sbottò Santino. «Non esiste né in cielo né in terra… Non ho mai ascoltato una sciocchezza simile!»
«E invece esiste», rispose lei tranquilla. «Con Santuzzo, tutto è possibile!»
Santino si sollevò dalla sedia, cominciando poi a camminare avanti e indietro per la stanza sotto lo sguardo divertito della sua cliente. Nella sua non tanto lunga carriera di «risolutore delle controversie sociali», mai gli era stata sottoposta una vicenda simile. Ma d’altronde era cosa risaputa: «le vie del Signore sono infinite, così come infiniti sono gli umani dilemmi che ne celano la grandezza».
«C’è una soluzione», fece Ester maliziosa. «Ne ho parlato con il mio legale, e credo sia una cosa fattibile.»
«Sarebbe?» chiese Santino andando a riprendere posto sulla sedia.
La soluzione proposta da Ester era quella di risolvere il rapporto, scoprendo un tradimento coniugale.
«Un altro tipo di tradimento coniugale», si affrettò subito a precisare la donna tirando fuori una copia sgualcita del suo insolito contratto matrimoniale, con frasi sottolineate qua e là, e appunti illeggibili collocati a fondo pagina.
«Nel contratto», spiegò, «sono contemplati solo tradimenti di tipo eterosessuale, quindi…»
«Quindi?» chiese Santino strabuzzando gli occhi, stentando a immaginare quella che sarebbe stata la risposta.
«Quindi se io dovessi scoprire, invece, un tradimento omosessuale, tutta questa cartaccia sarebbe inutile, e io avrei diritto a tutta la mia cospicua parte di patrimonio.»
Il discorso della donna non faceva una piega, peccato solo che lui, Santino, avesse un’etica professionale tutta sua, che gli imponeva di intervenire solo in casi di reale necessità sociale e non in banali e ripugnanti tentativi di arricchimento personale. Scosse il capo rifiutando nella maniera più assoluta una casuale simile.
«Ma io non lo amo!» supplicò Ester congiungendo le mani.
«Non lo amavi neanche prima!» replicò Santino, puntandogli l’indice contro. «Ma ti sei sposata ugualmente, anteponendo il tuo desiderio di ricchezza alla reale esigenza amorosa!»
La donna scoppiò in singhiozzi, accasciandosi sulla sedia e accennando a una inevitabile, o quasi, perdita dei sensi.
Uno sbigottito Santino provvide subito ad accendere i ceri ai Santi Medici Cosma e Damiano, pregando entrambi per un loro immediato e risolutivo intervento. Ester si riprese quasi subito, ritrovandosi stesa su un divano, con un bicchiere premuto contro le labbra.
«Cos’è?» riuscì a biascicare la donna.
«Acqua e zucchero» rispose Santino aiutandola a sorseggiare.
La donna si mise a sedere sputacchiando l’acqua e maledicendo le stranezze di quello che doveva essere il suo risolutore.
«Ebbene, cos’hai deciso?» lo incalzò Ester. «Mi darai una mano, sì o no?»
«Non lo so. Intervengo solo in casi di reale umana sofferenza…»
«E chi te lo dice che