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Le Ombre: Segreti Del Passato
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Le Ombre: Segreti Del Passato
E-book261 pagine3 ore

Le Ombre: Segreti Del Passato

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Info su questo ebook

Anni 80, Madrid. Durante i festeggiamenti della notte di San Giovanni quattro amici (Luís, Sofía, Ricardo e Teresa), studenti universitari, scoprono un'ombra dipinta sulla parete di un edificio nel quartiere Chueca. Sembra un uomo attaccato al muro. Ricardo pensa bene di avvicinarsi e, mentre lo fa, esprime il desiderio di trovarsi a La Coruña. Nello stesso momento il ragazzo sparisce. Spie, mendicanti, scienziati, alchimisti, nobili del Rinascimento italiano, l'Inquisizione, i gesuiti e qualche abitante di Venezia si incrociano in un'avventura poliziesca con pennellate di fantasia, dove delle ombre magiche faranno da filo conduttore della trama.
LinguaItaliano
EditoreTektime
Data di uscita15 nov 2018
ISBN9788893980647

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    Anteprima del libro

    Le Ombre - María Acosta

    Prologo

    «Bene, ora che è tutto finito, mi dica esattamente come siete finiti in un guaio del genere», disse il commissario Soler. Prima di rispondere, pensai attentamente quello che gli avrei detto e in che modo: non era per nulla facile spiegare la storia delle ombre e le conseguenze di quell’avventura, cominciata con una rissa tra ubriachi. Era difficile mettere le idee in ordine, soprattutto considerato il fatto che erano quasi le cinque del mattino e che non dormivamo da più di due giorni. Il commissario Soler era un tipo simpatico, ci aveva portato a casa sua per farci riposare, ma era anche un poliziotto e voleva sapere la verità. Vedendo che nessuno voleva parlare, sparì per pochi secondi, si sentirono dei rumori in cucina. Mi accesi una sigaretta, nonostante la gola secca e la bocca pastosa. Quando il commissario finalmente tornò, ci portò un vassoio con caffè per tutti ed una serie di ritagli di giornale: «Questi ci aiuteranno a ricostruire tutta la storia», disse mostrandoci una notizia risalente a due mesi prima.

    È PASSATO UN MESE DALLA MISTERIOSA SCOMPARSA DI QUATTRO GIOVANI A MADRID. Madrid, 24 luglio. La polizia continua a cercare i quattro giovani scomparsi da quattro settimane dal quartiere madrileno di Chueca, o perlomeno è lì che furono avvistati per l’ultima volta. La polizia ha fornito una descrizione dei giovani basata su informazioni raccolte da vicini e amici. Chiunque possa contribuire a chiarire il caso è pregato di chiamare il seguente numero telefonico: 743-78-25 oppure il commissariato di Madrid più vicino.

    Teresa García Olavide, 20 anni, statura 1,57 mt, mora, al momento della scomparsa indossava jeans di taglio regolare, una maglietta azzurro mare e una giacca jeans dai bordi rossi lungo le maniche e il collo. Sofía Castro Souto, 22 anni, statura 1,75 mt, mora, indossava jeans attillati, una maglietta bianca con una stampa nera della band musicale AC-DC e giacca jeans. Luís Barros Sánchez, 23 anni, statura 1,80 mt, moro, indossava jeans neri, camicia a righe rosse e bianche e giacca jeans nera. Ricardo García Olavide, 22 anni, statura 1, 75 mt, indossava jeans bianchi stretti a righe blu, maglietta rossa e giacca jeans. Calzavano tutti scarpe da ginnastica e avevano capelli corti.

    La notte di San Giovanni

    Ci saremmo divertiti moltissimo. Avevamo passato i tre giorni precedenti ad organizzare la Notte di San Giovanni; era una festa che si celebrava ogni anno. Dal momento che le nostre finanze erano abbastanza scarse, decidemmo di organizzare una raccolta di beneficenza: Sofía si offrì di comprare tutto il necessario. La sera saremmo andati a casa di Teresa, dove avremmo incontrato Ricardo, Paul e Irene. Era mezzogiorno, avevamo messo tutto in un borsone sportivo ed uscimmo poi a prendere qualche birra lì intorno prima del pranzo. Telefonammo ad alcuni amici poiché ci avevano detto che, probabilmente, ci avrebbero portato delle sardine da arrostire. Non li trovammo in quel momento e quindi ci dirigemmo verso la Plaza del Dos de Mayo, passammo lì un’oretta tra un bar e un altro, richiamammo i nostri amici e questa volta ci rispose Carlos: «Verrete stasera? Ah, mi dispiace. Beh, se vi riprendete saremo in Plaza de Lara. Abbiamo comprato quattro litri. Se non vi vediamo, vi chiamerò la settimana prossima. A presto».

    «Che hanno detto, Luís? Non vengono?» domandò Sofía.

    «No, Arturo sta malissimo. Sai com’è fatto, no? Ieri sera sono usciti e oggi risente di una sbornia formato king size. Mi hanno detto che se si sentirà meglio può darsi che vengano, ma non è sicuro».

    «Va bene, andiamo a mangiare, così dopo possiamo andare a prendere qualcosa da bere per abituare il corpo all’uscita di stasera».

    Tornammo a casa. Stavamo mettendo la tovaglia quando suonò il campanello: era Eduardo che veniva a vedere Sofía a proposito di una qualche riunione che avevano la settimana seguente. Questa non si fermava: sempre qui e là ad assistere a tavole rotonde e a conferenze organizzate da associazioni che non conosceva nessuno. Lei però si divertiva come una matta. Le aprì la porta:

    «C’è Sofía?»

    «Vieni, stavamo per mangiare».

    «Aggiungo un altro piatto. Stasera andiamo ai falò di San Giovanni a bere queimada. Ti unisci a noi?».

    «Non lo so, forse», rispose Eduardo, «ho un po’ di appuntamenti stasera e non ho idea di quando finirò».

    «Sì, certo! Vai a far riunioni fino alle quattro del mattino! Ma per favore! Dai, ci divertiremo alla grande. Saremo in piazza a mezzanotte e sicuramente ce la spasseremo fino alle cinque del mattino. Se ti va, sai già cosa devi fare. Mangiamo».

    Sofía ed Eduardo passarono almeno due ore a parlare di solidarietà e rivoluzione. Io intervenivo ogni tanto, ma anche così non ci capivo un bel niente. Come da programma, uscimmo a prendere qualcosa da bere, dopo di che Eduardo se ne andò, tutto su di giri, a partecipare ad una serie di riunioni che lo facevano spostare da un estremo all’altro di Madrid. Saranno state le dieci di sera quando prendemmo le nostre cose e ce ne andammo a casa di Teresa. Non era ancora arrivata e quindi ci recammo al Botas ad ascoltare un po' di musica rock. Ci prendemmo un paio di birre e mettemmo cento pesetas nella macchina delle palline. Sofía si mise a giocare di brutto. È troppo forte questa tipa, sembra che faccia ginnastica quando gioca a flipper. Tornammo a casa di Teresa, poteva darsi che i nostri amici fossero rientrati. Le finestre erano illuminate, per cui suonammo il campanello per farci aprire:

    «Chi è?».

    «Luís e Sofía».

    «Salite, Paul e Irene non sono ancora arrivati».

    La casa in cui entrammo stava in un vecchio palazzo di Lavapiés, che però era stato ristrutturato all’interno. Loro vivevano al primo piano, una vera fortuna soprattutto perché non c’era l’ascensore. La porta era semiaperta, quindi entrammo e ce la richiudemmo dietro; Teresa stava aprendo una bottiglia di vino in cucina e Ricardo era in sala che cercava un disco di musica un po' ritmata:

    «Lasciate pure il borsone in cucina. Facciamo la queimada qua dentro?».

    «No, che dici! Dobbiamo fare un fuoco!», esclamò Sofía.

    «Va messa su un fuoco?», controbatté Ricardo.

    «Non hai capito: il fuoco serve a mescolarla e a purificarti da fattucchiere e guai. La queimada si fa in una ciotola di terracotta con zucchero, fettine di limone, acquavite di orujo. Si da fuoco al composto. L’alcol quindi si consuma, facendo assumere alla queimada un aspetto bruciato grazie al fatto che lo zucchero si trasforma in caramello e si mischia con l’acquavite: da qui il suo nome».

    «Ah, ora capisco. Però tu avevi detto che l’avremmo fatto in casa. Per questo abbiamo dato appuntamento a Pablo e Irene qui», disse Ricardo rivolgendosi a Sofía.

    «Quello che ti ho detto è che l’avremmo fatto in piazza e che se la polizia ci avesse fatto sloggiare da lì, allora saremmo venuti a casa con la queimada. Per di più, il suo elemento naturale è proprio l’aria fresca», rispose lei.

    Mentre avveniva questa conversazione, io trovai un disco di Ramoncín, di qualche anno prima, quel pezzo che fa soy el rey del pollo frito e, contemporaneamente, Teresa tornò dalla cucina con il vino ed alcuni bicchieri:

    «Facciamoci un paio di spinelli, dai!».

    «Dato che siamo in quattro, è più pratico un sifone, no? È da un sacco che non ne faccio uno. Allora, un paio di cartine, hashish, una sigaretta e mezza ed il filtro», contava Sofía mentre distribuiva il tutto sul tavolo, «ora, siccome faccio gli spinelli con la sinistra, devo attaccare una cartina in su ed incrociare l’altra…Ecco! Versami un bicchiere di vino per farmi venire l’ispirazione, grazie», e fa un gran sorso di Sangre de Toro, «è buonissimo, altroché! Ho proprio l’impressione che ci divertiremo stasera».

    «Come sempre la notte di San Giovanni».

    «Io ancora di più», dice Sofía, «perché, anche se non voglio, inalerò tutti i vapori che emanerà l’acquavite mentre brucia; se poi aggiungiamo che non mi esimerò dal bere…».

    «Tu non esagerare, che poi finisci  carponi».

    «Senti chi parla! Perlomeno io ricordo quello che ho fatto anche se sono ubriaca, non come altri, Luís caro. Tranquillo che reggo. Prendi, accendi il sifone e non ci mettere una vita che siamo in quattro a fumare. Bene, un altro bicchiere. Possiamo mangiare qualcosa, no? Altrimenti tutta quest’alcol ci farà male. Che ne dici, Teresa?».

    «Ok, andiamo in cucina. Torniamo subito per lo spinello».

    «Vuoi ascoltare qualcosa in particolare, Sofía?».

    «Metti la cassetta di Siniestro Total, la trovi nella mia giacca di jeans», rispondono dalla stanza accanto.

    Passo il sifone a Ricardo e vado a vedere cosa preparano da mangiare. Le trovo l’una di fronte all’altra al tavolo a tagliare asparagi selvatici:

    «Ci metteremo meno di un’oretta, vedrai: piatto di asparagi selvatici con costolette di maiale. E lo spinello?», dice Teresa.

    «Ora ve lo do, ce l’ha Ricardo».

    «Wow, guardate cosa ho trovato! Due trip dentro la copertina di The Wall avvolti in una carta con una dedica all’interno!».

    «Porca miseria! Non me li ricordavo! Me li regalò Super, il tipo che ogni tanto mi fa favori, per il mio compleanno. Ora mi viene in mente che non ce li prendemmo perché eravamo così distrutti che farci anche quelli sarebbe stato una cretinata. Figata! Li tagliamo in quattro e quando finiamo con la queimada ce li prendiamo per star su tutta la notte o quanto dureremo, insomma. Certo che sì! Passami la canna», dice Teresa.

    «Bisogna festeggiare accendendoci un altro sifone», dice Sofia fregandosi le mani mentre va in sala, «in più, adesso mi verso un cicchetto di pacharán. Qualcuno lo vuole?»

    «Tutti lo vogliamo».

    E quindi ci mettemmo a bere pacharán e parlare di quanto ci saremmo divertiti quella sera, finché non si finì di preparare da mangiare. Cenammo rapidamente ed in silenzio; io e Ricardo poi andammo in cucina a preparare dei bicchierini di caffè e rum. Suonano al citofono: sono Paul e Irene che portano altre due bottiglie di orujo. Lascio la porta socchiusa e sentiamo risate salire su per le scale:

    «Ma che tonfo idiota, bello! Ah ah ah ah!»

    «C’ho il culo a purè», dice Paul, «Ahi, che cavolo, non mi potrò sedere  stasera! Ciao a tutti!»

    «Sei caduto come al solito?», chiede Ricardo.

    «Da film comico questo qui!», dice Irene. «Stavamo… ah ah ah… scendendo dalle scale della metro quando … c’è da morire… va a cadere per terra di culo e…ha sceso così tutte le scale del Noviciado! Piangevo dalle risate, davvero!».

    «Dai, beviti un bicchiere», dice Teresa.

    «Dovrei bermi una cisterna di rum per potermi dimenticare di tutto quello che mi fa male. Succede solo a me, attraggo le cadute idiote come una calamita».

    «Ma siediti, dai!», dice Sofía.

    «Molto carina, la ragazza! Va beh, ok: guarda se mi dovete prendere in giro tutta la serata! Basta così, cazzo, ragazzi!», risponde Paul, cominciando ad arrabbiarsi.

    «Non ti infastidire, bello; è che sei il colmo delle disavventure. Prenditi un altro pacharán e dimenticati alla grande di questa storia», dice Sofía conciliante, «stavamo per andare in Plaza de Lara per preparare la queimada, ci avete trovato a casa per un pelo».

    «Non la facciamo qui? Così ci avevano detto Teresa e Ricardo», dice Irene.

    «Ma no!»

    «E poi, ci siamo dati appuntamento con qualche amico in piazza da mezzanotte in poi. I gitani lì si spruzzeranno acqua addosso per festeggiare l’arrivo dell’estate e poi andranno al falò. Un paio d’anni fa ne preparammo uno fighissimo: bevvero finanche polizia e metronotte che passavano di là, cantammo e battemmo le mani a suon di musica fino alle sei del mattino».

    «Una figata davvero!», risponde Luís.

    «Andiamo», dice Sofía impaziente, «io mi occupo di portare l’acquavite, Ricardo la ciotola di terracotta e Teresa lo zucchero, i limoni e le mele».

    «Portiamo anche il registratore e qualche cassetta?».

    «Non credo, finiscono per essere un ingombro», dice Irene.

    «Aspettate, dobbiamo dividerci i trip. Ricardo, portati il coltellino e lo specchietto che trovi sul radiatore in cucina. Ognuno se lo cala quando gli va. Siccome ce ne sono solo due, devo tagliare ciascuno in tre parti; speriamo che siano buoni e che ci diano un sacco di allucinazioni. Tieni, Irene, passatevi lo specchietto e che ognuno prenda il suo pezzetto. Io me lo calo adesso, così quando preparo la queimada strippo di brutto», dice Sofía.

    «Andiamo, Teresa chiudi a chiave», dice Ricardo.

    LA POLIZIA SENZA PISTE NEL CASO DEI GIOVANI SCOMPARSI A CHUECA.

    Madrid, 2 luglio. – Sono passate due settimane da quando i vicini di Lavapiés e Malasaña hanno visto per l’ultima volta Ricardo e Teresa García Olavide, residenti in via Lavapiés, sita nel quartiere omonimo, e Luís Barros Sánchez e Sofía Castro Souto, originari di La Coruña e residenti in via Jesús del Valle, sita nel quartiere Malasaña.

    Un conoscente dei fratelli García Olavide, J. R. M., dice di averli visti uscire verso mezzanotte portando con sé diversi borsoni. La polizia prosegue le investigazioni in zona, sebbene il risultato dei suoi sforzi sia stato nullo finora. I più vicini ai quattro giovani hanno dichiarato di non aver più saputo nulla di loro dal giorno della festa di San Giovanni.

    Il commissario Soler, a capo delle investigazioni, chiede la collaborazione dei vicini e di tutti coloro che li abbiano visti o possano apportare informazioni che aiutino a risolvere il mistero. Questi i numeri per mettersi in contatto con la polizia: 642-59-35  oppure 091

    È una notte incredibile, senza nuvole, corre solo una brezza leggera. I bar sono colmi di gente, i bambini giocano sui marciapiedi e per i banchi della Plaza di Lavapiés si bevono bottiglie di birra da litro e si fumano spinelli, si sente una canzone de Los Nikis, al centro qualcuno ha acceso un falò. Giriamo a destra in direzione Sombrerete, alla fine della strada si vede un nugolo di gente: è il Y Punto, rock and roll e heavy metal, aperto tutti i giorni fino alle sei del mattino, pienissimo di gente i fine settimana. Nella Corrala, ragazzi e ragazze gitani corrono da una parte all’altra con bottiglie di plastica, cubetti e persino le mani grondanti di acqua, bagnandosi l’un l’altra; la maggior parte son zuppi. Grida, risate, attenzione che vi bagnate, ci avverte un ragazzo che non avrà più di dodici anni. In Plaza de Lara troviamo la stessa scena: da un lato le mamme e le sorelle troppo grandi per questi giochi osservano come si divertono i ragazzi. Entriamo in quello che sarà stato il cortile di un vecchio orfanotrofio, bisogna scendere giù per qualche gradino. È un punto in cui quattro o cinque macchine hanno parcheggiato di fronte alla piccola scalinata, visto che in questo modo, se arriva qualche macchina della polizia municipale o qualche volante della polizia da Mesón de Paredes, non saranno in grado di vederci.

    Mentre Sofía comincia a preparare tutto il necessario per fare la queimada, andiamo a cercare legna per il falò con tutti gli altri:

    «La prima ronda sarà quasi pronta per quando tornerete. Vediamo se viene qualcuno di quelli che ho avvisato», dice.

    «Spero che avremo la fortuna dell’anno scorso, quando trovammo per caso due contenitori pieni di legna», indica Ricardo.

    Notte di zuffe, notte magica

    Ora che son sola, metto a terra la giacca di jeans e mi siedo. Non ho un recipiente di creta, per questo mi son portata una tortiera da casa. Verso lo zucchero, l’acquavite, il limone a fette e dei pezzi di mela; prendo il mestolo, gli ci aggiungo un po' di zucchero, lo bagno con l’acquavite e gli do fuoco. Lo avvicino con attenzione alla tortiera, molto lentamente perché prenda fuoco bene, e ci riesco: una bellissima fiamma blu appare in superficie. Ora è questione di pazienza affinché acquisisca il tono dorato. Ogni tanto sollevo il mestolo pieno di fiamme blu e lascio cadere una cascata di fuoco dall’alto. Mi accendo una sigaretta. Ha un buon odore. Alzo gli occhi e vedo qualcuno avvicinarsi, uno che vive nel quartiere:

    «Dicevo che era strano non vederti da queste parti», dice sedendosi accanto a me.

    «Ho cambiato quartiere, ora vivo a Malasaña, a Jesús del Valle».

    «Benissimo, no?»

    «Preferivo Lavapiés, Malasaña è noiosissimo. Questo quartiere era più figo», gli rispondo mentre alzo il mestolo e lascio cadere un po' di acquavite. «Ecco qua! Come tutti gli anni di questi tempi… una piccola queimada per festeggiare San Giovanni».

    «E il tuo amico? Non mi ricordo come si chiama…»

    «Luís. È andato a cercare legna da ardere con alcuni amici; fuoco dentro e fuoco fuori per purificarsi bene, bello!»

    Vedemmo arrivare un paio di ragazzi gitani, si stavano spruzzando acqua addosso poco prima nella Corrala, avranno avuto una quindicina d’anni:

    «Che cos’è?».

    «Una queimada».

    «Ce ne dai un poco?».

    «È molto forte, contiene acquavite, non penso vi piacerà e poi non ho finito di prepararla, ci manca ancora un po'».

    «Guarda cosa abbiamo trovato!», gridano i miei amici, tornando con una porta sotto il braccio.

    «Ciao, bello», dice  Luís dando la mano al tipo alto e magro che è con me. «È un po' che non ti vedo, abbiamo traslocato. Te l'ha detto Sofía, no?».

    «Sì, credevo che ve ne foste andati da Madrid».

    Mentre il resto della compagnia sta ammassando la legna per accendere il falò, io spengo la queimada e comincio a distribuire i bicchieri a tutti. Ne do uno ai due ragazzini gitani, chiedendo che me lo rendano se la queimada non piacerà loro. Ci facciamo un sifone intanto che si raffredda. Spero che durante la notte si faccia vivo qualche amico che avevo avvertito per telefono:

    «Wow, questo sì che è forte!»

    «È buonissimo! La mela è squisita», dico io soddisfatta che mi sia venuta molto dolce, come piace a me.

    Vediamo passare una macchina della polizia, però o non hanno visto cosa abbiamo qui o se ne fregano alla grande. L'ultima opzione non mi sorprenderebbe, visto che la notte di San Giovanni tantissima gente sta comunque preparando falò. Distribuisco il secondo giro di queimada e comincio immediatamente a prepararne un'altra. I gitani mi dicono tutti eccitati:

    «Me lo fai fare?», dice uno di loro quando mi vede sollevare il mestolo, lasciando cadere una piccola cascata di colore blu nel recipiente.

    «Va bene, ma attenzione a non farla rovesciare. Prendi».

    «Io per primo», dice quello più corpulento fra i due.

     «No, io», protesta l'altro.

    «Tranquilli, uno alla volta, eh», dico io dando il mestolo al primo che me l'aveva chiesto. «Prendi Ricardo, fuma».

    «Possiamo asciugarci?» ci chiedono dei tizi completamente bagnati. Avranno tra i quindici e i diciannove anni.

    «Dai, fallo! Vuoi bere?», gli dico porgendogli un bicchiere. «Ti riscalderà».

    «Va bene. È molto forte?».

    «Vi do un bicchiere per uno appena finisco di fare questa».

    La serata comincia a prendere vita: all'inizio eravamo in cinque e dopo un'ora siamo arrivati ad essere in più di venti intorno alla queimada. I suoi effluvi ti entrano nel naso, Mi prenderà proprio bene!, guardo il resto della ciurma e anche loro sono a buon punto di cottura. Teresa mi chiede il mestolo, mi avvicino al falò. Che divertente! Proprio in quel momento mi sale il trip, strippo bene! Vedo Luís morire dalle risate: Ricardo sta facendo l'orango. Certo che anche a loro sta facendo effetto...

    «Sii più concisa, Sofía», dice il commissario Soler.

    «È vero, bella. Attenta, che ti incasini!», argomenta Teresa.

    «È che mi sono divertita da morire quel giorno», rispondo loro accendendomi una sigaretta.

    «Ma non è importante ai fini dell'investigazione. Continua dal momento in cui siete andati via da Lavapiés. Che qualcuno ci porti altri caffè, per favore», risponde il commissario.

    Verso le cinque del mattino finì la serata; sbaraccammo e lasciammo tutto a casa di Ricardo e Teresa. Avevamo, però, ancora voglia di far festa e quindi ci mettemmo a cercare un bar salendo su per le vie di Lavapiés. Niente. Luís propone di andare a prendere cioccolata e churros a Sol, in

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