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Storie
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E-book175 pagine1 ora

Storie

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Info su questo ebook

Una dottoressa affida al suo paziente più critico il compito di riportare su carta le proprie memorie: dall’infanzia alla vita adulta, dai giochi al rapporto con i genitori, gli amici, la prima perdita, l’amore, la paternità… ma scrivendo, sembra che la carta se ne appropri per sempre, fino a che la mente si svuota e resta solo un involucro di carne. 

Stefano Bambi, nato nel 1944, in mancanza di televisione ha rivolto la sua attenzione ai libri, leggendo tutto quello che gli poteva capitare sotto mano.
Poi, alle scuole superiori, ha cominciato anche a dilettarsi con la scrittura, racconti brevi, impressioni di viaggio o di eventi ai quali assisteva.
La Poesia è stata una necessità, un adattare la sua maniera espressiva a una forma sempre più immediata, sintetica, cercando di concentrare le idee, i sentimenti, le impressioni in immagini nette.
Scriveva principalmente per se stesso e, solo negli anni ’90, ha cercato un confronto, e ha cominciato a partecipare a vari concorsi di poesia, ricevendo spesso premi, segnalazioni e riconoscimenti.
Ultimamente, avendo più tempo a disposizione, ha ripreso vecchi progetti, storie, racconti per libri, senza però abbandonare la Poesia.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2021
ISBN9788862069151
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    Anteprima del libro

    Storie - Stefano Bambi

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    Stefano Bambi

    STORIE

    © 2022 Vertigo Edizioni s.r.l., Roma

    www.vertigoedizioni.it

    info@vertigoedizioni.it

    ISBN 978-88-6206-877-2

    I edizione gennaio 2022

    Finito di stampare nel mese di gennaio 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    STORIE

    – Ciao, che giorno è?

    – Oggi è proprio oggi!

    – Bene, è il mio giorno preferito!

    Winnie the Pooh

    INCIPIT

    13 febbraio 2021

    Carissimo Professore,

    dopo che ci siamo visti sei mesi fa, in occasione della tua visita alla nostra residenza protetta, ho cercato di seguire i tuoi consigli relativamente a quei casi di persone che hanno una determinata predisposizione a subire gli effetti di una marcata obsolescenza e deterioramento dei processi cognitivi, particolarmente nei confronti del ricordo.

    Dopo un esame mirato dei casi che abbiamo presenti attualmente all’interno della nostra struttura, mi sono concentrata su un nostro ospite che, negli ultimi tempi, mi aveva dato particolare motivo di apprensione e che ritengo, anche alla luce dei risultati ottenuti, rappresenti un caso emblematico.

    Si tratta di un individuo di sesso maschile, età 84 anni, vedovo, con un figlio e un nipote. Persona che ha condotto una vita attiva e che ancora lo è, che ama leggere il giornale, che dispone di una buona cultura e ama la conversazione; gode di un’ottima salute, non avendo patologie o deficienze di particolare rilievo, se non quelle classiche relative all’età, sebbene non particolarmente marcate.

    Come accennato, ho riflettuto molto su quanto ci siamo detti durante la tua visita e ho cercato di mettere in pratica i tuoi consigli, facendo un vero e proprio esperimento.

    Ho parlato con la persona e gli ho spiegato che, per poter meglio seguire un percorso terapeutico che riesca a produrre dei benefici, è necessario adottare un metodo che possa mettere in evidenza i punti deboli e le carenze.

    L’ho quindi invitato a prendere carta e penna e, possibilmente in maniera costante, magari giornaliera, scrivere finché ne ha voglia, quello che si ricorda, cercando di andare il più possibile indietro nel tempo, per risalire ad oggi.

    Devo dire che la reazione è stata oltremodo positiva e partecipativa.

    Il soggetto si è messo immediatamente all’opera e inizialmente ha scritto subito tutti i giorni. Questo è andato avanti per un po’, ma la cosa non è continuata. Ha cominciato a rallentare, passando dal fare giornaliero a bisettimanale, con fasi alterne, quasi dei raptus.

    Scriveva, rileggeva, correggeva. A volte strappava tutto e ricominciava.

    Tutto quello che scriveva e che in cuor suo approvava, lo conservava amorevolmente, ordinatamente.

    Se ci si incontrava per i corridoi o nella sala comune, mi si avvicinava con fare complice e mi diceva, a bassa voce, confidenzialmente: Sono bravo!.

    Non mi ha mai fatto leggere niente e solo ora ne sono venuta in possesso.

    Non aggiungo altro, non voglio influenzare il tuo giudizio, né da un punto di vista umano, né clinico.

    Ti allego qua di seguito le copie del suo lavoro.

    Solo una raccomandazione: fai attenzione ai particolari.

    Buona lettura.

    I

    Quando avevo sette anni, abitavo in una grande casa vicino al fiume.

    Era una casa di città, con piano terra, primo piano e una mansarda, una specie di villino con un bel giardino tutto intorno, su di una strada che non aveva molto traffico e che costeggiava il fiume.

    Il fiume aveva un bell’argine che entrava dolcemente nell’acqua che scorreva veloce. Spesso, al sabato, il nonno mi portava a pescare.

    La sera prima lui andava a comprare i lombrichi, anche se prima li cercava nelle aiuole del giardino, ma non li trovava quasi mai.

    Al mattino, abbastanza presto, ci si alzava, si faceva colazione e il nonno preparava dei panini che ci dovevano servire per fare uno spuntino se ci veniva fame. Si prendevano le canne e la scatola con gli attrezzi da pesca e, traversata la strada, si scendeva giù fino all’acqua dove si armavano le canne e si cominciava a pescare.

    Non sempre si prendeva qualche pesce, ma era una ottima scusa per stare un po’ insieme in santa pace facendo due chiacchiere.

    Io gli raccontavo cosa mi passava per la testa, cosa avevo fatto a scuola, qualche storia sui miei compagni di classe; lui mi narrava storie di quando era giovane, di come aveva conosciuto la nonna, della guerra che era passata da lì, storie della mia mamma quando era giovane.

    Si passava così piacevolmente il tempo e poco importava se abboccava o meno qualche povero pesce. Poi, verso mezzogiorno, si rimetteva a posto dentro la scatola degli attrezzi tutto quanto avevamo tirato fuori, si chiudevano le canne e si rientrava a casa per il pranzo.

    Il sabato era una giornata di pranzo veloce.

    I miei avevano un negozio di merceria e abbigliamento uomo/donna non molto lontano da casa e il sabato era un giorno di gran lavoro.

    All’una chiudevano, correvano a casa per mangiare un boccone di fretta, per ritornare subito in negozio, anche se non avrebbero riaperto prima delle 15,00. Ma dovevano preparare e organizzare il negozio al meglio, in attesa dei possibili clienti.

    A quei tempi, ancora non era invalsa l’usanza di comprare l’abito confezionato, né per uomo, né per donna. All’epoca sembrava quasi che fosse una cosa di lusso, da signori. Allora si andava dal sarto, o nel negozio di articoli di abbigliamento, si sceglievano le stoffe e si faceva cucire su misura.

    Per gli uomini si guardavano le riviste di moda maschili e si sceglieva il doppio petto con le mostrine belle ampie o il petto singolo con i risvolti stretti. Poi c’era il problema dello spacco posteriore, doppio, che si adagiava sul sedere, o singolo, che quasi sempre si abbinava alle pattine sulle tasche.

    Per le signore, invece, una volta scelto il modello, ci si affidava ai carta modelli, che riproducevano fedelmente tutte le misure in scala dell’abito scelto.

    Il babbo prendeva le misure per gli uomini e la mamma serviva le signore.

    Poi, il tutto veniva affidato alle sarte. Il nostro negozio, che era il meglio fornito e il più conosciuto della zona, aveva tre o quattro sarte o lavoranti esterne alle quali venivano dati i capi da confezionare.

    Era un rito: per prima cosa procedevano al taglio, cercando di ritagliare la stoffa, precedentemente disegnata con il gesso da sarti o saponetta, in maniera da risparmiare più stoffa possibile, poi i vari pezzi venivano uniti insieme con una cucitura leggera, cioè venivano imbastiti. A questo punto, dopo circa una settimana, si passava alla prima prova.

    Le sarte venivano al negozio, dove si incontravano con i o le clienti e facevano la prova del vestito così come era stato montato. Poi, dopo un’altra settimana, veniva fatta una seconda prova, sempre con i vari pezzi imbastiti un po’ più robustamente, ma questa volta anche con le fodere.

    Se tutto andava bene e l’abito cadeva a piombo, cioè non faceva pieghe o grinze strane, si procedeva con la confezionatura finale e dopo una settimana, fatta la terza prova, si consegnava al/alla cliente.

    Io, il sabato pomeriggio, essendo libero da impegni scolastici, facevo un po’ da fattorino o comunque cercavo, per quanto potevo, di rendermi utile.

    Spesso, dopo che un cliente aveva fatto le sue scelte per un vestito, mi facevano un pacco con la stoffa, i fili e le fodere e mi mandavano a consegnare il tutto a questa o quella sarta e la cosa mi piaceva molto perché mi sentivo investito di una certa responsabilità che mi faceva sentire importante.

    Le sarte abitavano tutte abbastanza vicine e per me che ero un ragazzetto, non c’era nessun problema o pericolo, anche perché allora non c’era tutto il traffico che c’è oggigiorno.

    Mi piaceva andare da una in particolare, la signora Iolanda che abitava nelle case popolari, in fondo alla strada.

    Si entrava in un grande cancello che dava accesso ad una specie di piazza, un giardino condominiale con tanti alberi e delle aiuole, dove c’erano sempre tanti ragazzetti della mia età, e anche più piccoli che giocavano.

    Le case si affacciavano tutte su questo giardino ed erano una costruzione unica che correva tutto intorno per tre lati.

    Erano case di tre piani, più il piano terra, con una porta di accesso sempre aperta sulle scale e con due appartamenti per piano.

    Gli appartamenti non erano molto grandi. Erano giusti per una famiglia di quattro, cinque persone, ma molto dignitosi.

    La signora Iolanda abitava al secondo piano. Quando andavo da lei…

    II

    Quando avevo sette anni, con la mia famiglia, abitavo in una grande casa vicino al fiume.

    Era una casa di città, ma con un bel giardino tutto intorno, una specie di villino su di una strada che non aveva molto traffico e che costeggiava il fiume.

    Il fiume aveva un bell’argine che entrava dolcemente nell’acqua che scorreva veloce.

    Spesso, al sabato, il nonno mi portava a pescare.

    La sera prima lui andava a comprare i lombrichi, anche se prima li cercava nelle aiuole del giardino, ma non li trovava quasi mai. Lui diceva che sarebbero stati migliori, perché non erano di allevamento.

    Al mattino, abbastanza presto, ci si alzava, si faceva colazione e il nonno preparava dei panini che ci dovevano servire per fare uno spuntino a mezza mattinata, casomai ci fosse venuta fame. Si prendevano le canne e la scatola con gli attrezzi, il barattolo dei lombrichi e, traversata la strada, si scendeva giù fino all’acqua dove si armavano le canne e si cominciava a pescare.

    Non sempre si prendeva qualche pesce, ma era una ottima scusa per stare un po’ insieme in santa pace facendo due chiacchere.

    Io gli raccontavo cosa mi passava per la testa, cosa avevo fatto a scuola, qualche storia buffa sui miei compagni di classe; lui mi narrava storie di quando era giovane, di come aveva conosciuto la nonna, della Grande Guerra quando era partito, perché lo avevano richiamato al fronte, guerra che non era passata da lì, ma che tutti avevano subito. Mi piaceva quando mi raccontava le storie della mia mamma quando era giovane.

    Si passava così piacevolmente il tempo e poco

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