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In Donbass non si passa: La resistenza antifascista alle porte dell’Europa
In Donbass non si passa: La resistenza antifascista alle porte dell’Europa
In Donbass non si passa: La resistenza antifascista alle porte dell’Europa
E-book308 pagine4 ore

In Donbass non si passa: La resistenza antifascista alle porte dell’Europa

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Sono anni che una storia completamente rimossa dai mezzi d’informazione continua a scrivere pagine di sangue alle porte dell’Europa. È la storia delle Repubbliche Popolari del Donbass dove, di fronte a un colpo di stato apertamente fascista e in una situazione di volta in volta indebitamente dipinta come “conflitto etnico” o come indebita interferenza della Russia negli affari ucraini, molti distaccamenti delle milizie si formano nel nome del comunismo e sotto le bandiere rosse della ex Unione Sovietica.
Sin dall’inizio del conflitto, alla lotta prendono parte un numero significativo di volontari stranieri, che danno vita alle proprie formazioni all’interno della Milizia Popolare. Tra queste (e probabilmente la più nota), il gruppo “InterUnit” della Brigata “Prizrak”, in cui hanno prestato servizio soldati provenienti da ogni parte del mondo:  protagonisti di una storia di antifascismo e solidarietà internazionalista che, prima della redazione di questo libro, non era ancora mai stata raccontata.
Prefazione di Alexey “Dobrij” Markov
LinguaItaliano
Data di uscita9 mag 2022
ISBN9788867183487
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    Anteprima del libro

    In Donbass non si passa - Alberto Fazolo

    Prefazione

    di Alexey Dobrij Markov Comandante del XIV Battaglione Prizrak – LNR

    Questa guerra si è sviluppata in modo inaspettato e naturale. In modo inaspettato in quanto, cinque anni fa, nessuno, né in Russia né in Ucraina, a eccezione dei nazionalisti senza scrupoli, avrebbe immaginato che due popoli fraterni, che condividono secoli di storia comune, si sarebbero fronteggiati in una guerra fratricida. Per di più, la spaccatura non è avvenuta su base etnica o linguistica (su entrambi i fronti combattono sia russi che ucraini), ma su base puramente territoriale: qui, da un lato, vivono ancora i buoni ucraini e là, dall’altro, i disonesti moscoviti, usurpatori e invasori. Allo stesso tempo, tale guerra si è sviluppata in modo naturale per diversi motivi, quali: l’esodo verso l’Occidente, la collusione del Governo ucraino con un nazionalismo fuori controllo e la presenza di una forma di sciovinismo diffuso tra i giovani (frutto anche della politica inutile e francamente fallimentare della Russia nei territori delle ex Repubbliche Sovietiche).

    I politici ucraini hanno ampiamente utilizzato slogan populisti, sulla base dei quali il riposizionamento filo-occidentale con la rottura di tutti i legami con la Russia avrebbe garantito all’Ucraina un’elevata qualità della vita e, secondo i quali, l’Europa e gli Stati Uniti sarebbero in attesa di investire enormi quantità di denaro nell’economia ucraina.

    Conseguentemente, gran parte del malcontento della popolazione – causato dagli abusi delle autorità sotto il Governo Yanukovich – è stato rapidamente intercettato e sfruttato dai nazionalisti più radicali: in questo modo, la protesta civile si è trasformata in un colpo di Stato filo-fascista.

    Gli oligarchi ucraini, per rimanere al potere, sono stati costretti a utilizzare la stessa retorica dei nazionalisti, che furono la principale forza di tale colpo di Stato, che ha condotto a un’escalation del conflitto tra gli stessi nazionalisti filo-occidentali e la popolazione russa dell’Ucraina, escalation che è sfociata, infine, in una guerra civile.

    In Occidente, si cerca di non menzionare questo conflitto o di presentarlo soltanto come «l’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina indipendente».

    Così, nessuno ha ufficialmente condannato le esecuzioni di massa a Odessa e a Mariupol, i bombardamenti e i colpi di artiglieria lanciati contro città pacifiche, la morte di migliaia di civili, la maggior parte dei quali anziani, donne e bambini. Nessuno ha notato come in Ucraina i giovani marcino con le bandiere di estrema destra e con i ritratti di parassiti nazisti come Bandera o Konovalets.

    Il relativismo morale dei governi occidentali mostra spensieratamente gli assassini fascisti dei battaglioni punitivi come «vittime dell’aggressione russa» e i residenti del sud-est ucraino, uccisi e torturati, come «terroristi e mercenari».

    Per la maggior parte degli europei, non è evidente il fatto che il nazismo, che essi stessi sono abituati a considerare come un passato lontano, abbia dato i suoi germogli velenosi proprio al loro fianco.

    Infatti, la posta in gioco in questa guerra è molto alta, se paragonata alla dimensione delle aree coinvolte nel conflitto che sono situate nelle regioni sudorientali dell’Ucraina. Per la prima volta, dal crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha cercato di resistere alla politica americana del caos controllato, già in precedenza utilizzata con successo, sia in Jugoslavia sia nei paesi del Medio Oriente.

    Per gli Stati Uniti, la repentina annessione della Crimea alla Russia è stata una sorpresa, in quanto l’Occidente era abituato al fatto che la Russia osservasse, con indifferenza, come i paesi dell’ex Blocco so cialista e le ex Repubbliche Sovietiche venissero trascinate sotto la zona d’influenza occidentale, trasformandosi in una sorta di nuovo cordone di sicurezza intorno alla Federazione Russa.

    Pertanto, la sconfitta della giunta filo-americana di Kiev potrebbe mettere in discussione l’egemonia statunitense in Europa e il suo status di unica superpotenza al mondo.

    Mentre i nazisti e i nazionalisti di estrema destra sono diventati il principale supporto per la Junta filo-occidentale di Kiev, fin dall’inizio del conflitto i comunisti e gli attivisti di sinistra hanno svolto un ruolo significativo e, per molti aspetti, di guida, nelle aree del sud-est, tradizionalmente di lingua russa.

    Il Partito comunista d’Ucraina ufficiale cercava di tenere il piede in due staffe, per evitare in tutti i modi uno scontro diretto con i nazisti al potere (con l’inevitabile risultato della sua messa al bando e della perdita di ogni possibile agibilità). Parallelamente, semplici comunisti del sud-est si opponevano in modo risoluto al colpo di Stato e alla rivincita di Bandera. Molti distaccamenti delle milizie si formavano sotto le bandiere rosse dell’Unione Sovietica, la maggior parte dei miliziani indossava stelle rosse o stemmi con simboli sovietici, come segni identificativi. La stragrande maggioranza dei Consigli Popolari di entrambe le Repubbliche erano anche essi comunisti.

    Oltre a un gran numero di volontari provenienti dalla Russia e dalle ex Repubbliche Sovietiche, sin dall’inizio del conflitto un numero significativo di volontari stranieri, provenienti dall’Europa e dall’America Latina, si è unito alla lotta contro la Junta nazista. Molti di essi erano mossi da motivazioni antimperialiste e antifasciste, dal desiderio di aiutare la popolazione civile del sud-est, mostrando, infatti, la stessa solidarietà internazionalista dei lavoratori che lottano contro i protetti dell’oligarchia. Intere unità di volontari stranieri hanno creato delle formazioni all’interno delle unità della Milizia Popolare. Una di esse (e probabilmente la più nota) è diventata il gruppo InterUnit della Brigata Prizrak, in cui prestarono servizio soldati provenienti da ogni parte del mondo, compreso il Cile, la Nuova Zelanda, Israele e la Siria.

    Oltre al coinvolgimento diretto nei combattimenti, i volontari stranieri hanno svolto un importante ruolo informativo e ideologico, dando entusiasmo alle persone del posto e dissolvendo il mito dei nazisti ucraini secondo cui: «Tutto il mondo è con noi».

    Grazie soprattutto alla forte componente ideologica e a un gran numero di volontari russi, la Brigata Prizrak non solo ha avuto successo durante le operazioni di Debaltsevo, ma è anche riuscita a mantenere la sua identità e il suo nome, dopo essersi unita alla Milizia Popolare della Repubblica di Lugansk.

    Attualmente, il XIV Battaglione Motorizzato Prizrak è giustamente considerato una delle unità più coese e combattive della giovane Repubblica. Durante i combattimenti avvenuti tra l’estate e l’autunno del 2017, la Prizrak, non solo è riuscita a frenare gli attacchi di ingenti forze nemiche, ma è anche avanzata in molti settori, conquistando nello scontro posizioni abbandonate dalle forze armate ucraine. Questo è il motivo per cui è ancora un grande onore per molte reclute entrare nella leggendaria Prizrak. Ma nonostante le conquiste, la guerra non è ancora terminata.

    Grazie all’assistenza concreta e tecnologica degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale, la Junta di Kiev sta costantemente aumentando la pressione militare contro le giovani repubbliche. Parallelamente, tutti i media di proprietà degli oligarchi ucraini sono spinti a fomentare l’isteria sciovinista e la russofobia, creando del fraterno popolo russo, l’immagine dell’eterno nemico. Il Governo di Poroshenko si sta impegnando a fondo per dare inizio in Ucraina a una guerra civile causata dall’aggressione della Russia e per massacrare i civili di Odessa, Mariupol, Donetsk e Lugansk, con l’obiettivo di cancellare degli inesistenti invasori russi.

    In modo non molto diverso nella sostanza da quelli che sono stati i regimi fascisti di Stroessner e Pinochet, la Junta di Kiev sta cercando di risolvere i crescenti problemi economici e sociali del Paese attraverso la repressione di ogni dissenso, l’omicidio di politici e giornalisti d’opposizione, la creazione di squadroni della morte e di forze irregolari paramilitari composte da militanti dell’estrema destra filo-nazista. Anche se all’interno del processo storico questa strada sta conducendo in un vicolo cieco, ogni anno le autorità della Junta di Kiev costano al popolo ucraino migliaia di vite, uccise da bombe e proiettili, morte per mancanza di cure mediche, congelate, senza riscaldamento né luce.

    Si può avere una fede cieca sul fatto che le forze democratiche e progressiste prima o poi sconfiggeranno il regime fascista che ha preso il potere in Ucraina, ma io sono realista e mi rendo perfettamente conto del fatto che non basta essere una brava persona per ottenere la vittoria sul fascismo, occorre anche diventare un bravo soldato. Oggi, chiunque si definisca antifascista o comunista dovrebbe essere pronto non a parole, ma nei fatti, a difendere le proprie convinzioni nella lotta contro il ritorno della peste nera del Ventesimo secolo e, se necessario, dovrebbe essere pronto a difenderle impugnando le armi.

    Questo è il motivo per cui è importante sostenere le giovani Repubbliche Popolari del Donbass, che sanguinano in una lotta impari contro il regime fascista degli oligarchi ucraini, una lotta che ha unito una moltitudine di persone diverse provenienti da ogni parte del mondo, una lotta che è diventata un dovere sacro per ogni persona che, passo dopo passo, s’incammina su questa terra verso una società nuova, più giusta e più umana.

    Voglio terminare questa breve prefazione con una nota di ottimismo, con le parole di un uomo che già una volta, in condizioni terribilmente difficili, spezzò le gambe alla belva fascista: «La nostra causa è giusta, il nemico sarà sconfitto, la vittoria sarà nostra!».

    (Traduzione di Sara Reginella)

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    Introduzione

    Tramite le proprie articolazioni, i servizi di sicurezza ucraini vanno sostenendo che i due autori siano la stessa persona. Gli autori respingono questa ipotesi dicendo che il libro è scritto a quattro mani, ognuno ha redatto delle parti distinte, senza una netta ripartizione. Nel testo spesso viene usata da entrambi la prima persona singolare, perciò potrebbe risultare complicato stabilire chi dei due narri i vari avvenimenti.

    Sicuramente ciascun lettore saprà fare le proprie valutazioni al riguardo.

    Della crisi nell’ex-Ucraina si è sempre parlato troppo poco, eppure si tratta di un evento dalla portata storica che potrebbe alterare (più di quanto non abbia già fatto) gli equilibri geopolitici mondiali. A dispetto di quanto pensino in molti, la guerra non è finita, ma procede a bassa intensità. Ciò tuttavia non significa che siano scongiurati gli scenari peggiori, come quello di un coinvolgimento diretto nel conflitto di paesi che dispongono di arsenali nucleari.

    Seppur nel dibattito politico non sia stato trattato sufficientemente, il tema della crisi ucraina è comunque stato affrontato da diversi autori, ma il più delle volte male, cioè o senza avere piena coscienza di quanto sia accaduto o cercando intenzionalmente di alterare i fatti. Circolano dei buoni libri con rappresentazioni parziali degli eventi, questi di norma si concentrano limitatamente su aspetti geopolitici, militari o sociologici. Ci sono poi dei testi che offrono una narrazione volutamente distorta, come quelli con una matrice revisionista, orientati ad alterare la realtà riscrivendo i fatti, o negazionista, propria di chi, nonostante le migliaia di morti, tende a minimizzare, fino anche a negare, l’esistenza della guerra.

    Tra i libri sull’argomento, questo è il primo che sintetizza il percorso del militante, del giornalista e del combattente: un punto di vista privilegiato per raccontare la crisi, che racchiude la narrazione e l’analisi di chi ha vissuto in prima persona molti degli eventi descritti. Grazie a queste diverse esperienze si possono valutare i fatti nella loro complessità, condizione necessaria, ma comunque non sufficiente, per una sintesi efficace. Il libro offre un’esposizione esaustiva sulla crisi nell’ex-Ucraina e la guerra del Donbass, la regione nell’est del Paese che dal 2014 resiste in armi contro il Governo di Kiev.

    A differenza di altri testi pubblicati sullo stesso argomento, questo è sinceramente antifascista, come d’altronde lo è anche la lotta di liberazione del popolo del Donbass. Chi scrive rifiuta fermamente ogni forma di nazionalismo o qualsiasi deriva rossobruna (quell’ideologia che fonde istanze progressiste con quelle reazionarie). Al contempo questo è un libro che prende anche nettamente le distanze da certa Sinistra, sia da quella borghese, salottiera, eurocentrista e spesso filo-atlantista, sia da quella disfattista che si arrende senza lottare, che rifiuta ogni prospettiva di cambiamento o che forse semplicemente non vuole più rischiare, dato che per anni ha collezionato solo sconfitte.

    Tuttavia non si tratta di un libro di memorie, della semplice narrazione di una storia personale. Il testo descrive nel dettaglio le varie fasi e gli elementi della crisi, per poi mettere il tutto a sistema e arrivare a un’analisi che tenga conto degli eventi nella loro complessità.

    In questo libro ciascuno può trovare qualcosa di diverso: per lo studioso una fonte inedita, per il militante un prezioso vademecum e per tutti gli altri un utile strumento per capire una storia altrimenti troppo intricata e mistificata. Questo libro si può leggere per conoscere meglio l’ex-Ucraina, la sua storia e i suoi problemi; ma si può anche usare per capire quei fenomeni che da locali diventano globali, o solo per informarsi sui fatti e sui possibili sviluppi. Inoltre, lo si può leggere per co noscere la storia di alcuni degli internazionalisti che hanno combattuto in Donbass.

    Questo libro è stato scritto per fare il punto su un’esperienza e per spiegare che a differenza di quanto molti siano portati a credere, si può ancora lottare e si può ancora vincere.

    In queste pagine vi è anche un tentativo di spiegare, in primis alla famiglia e agli amici, il senso di una scelta che mi ha tenuto lontano da casa per due anni, esponendomi a enormi rischi e sofferenze. Tuttavia non è un libro incentrato su chi scrive, il protagonista è il popolo del Donbass.

    Il metodo adottato nel testo è lo stesso che da tempo applico nei miei articoli: non vincolarmi a citare le fonti. Il motivo sta nel fatto che ormai siamo martellati da giornali, televisioni, libri e siti che spudoratamente raccontano menzogne, facendosi scudo con fonti false. Tra le pratiche della disinformazione c’è quella di raccontare bugie scaricando la responsabilità dell’affermazione su fonti false, di modo da non dover poi rispondere delle proprie asserzioni. La pratica si concretizza nel costruire un ginepraio in cui riversare un’infinità di fonti e, dato che le smentite si basano sulla contestazione delle fonti con la produzione di nuove, il risultato è di incrementarne ulteriormente il numero, in definitiva si genera solo confusione.

    In tale situazione, diventa quasi impossibile verificare la mole smisurata di fonti prodotte, si crea un gran marasma in cui riescono a veicolare i propri messaggi solo i media più potenti. Il mondo dell’informazione è impazzito, ha perso ogni valore e vincolo deontologico. In un contesto come questo è meglio non farsi trascinare nella spirale perversa della verifica e smentita delle fonti, un processo che risucchierebbe energie e sarebbe vano in un ambito tanto caotico e disorientante quanto è quello del conflitto nell’ex-Ucraina. Qui si propone al lettore un’altra strada: quella dell’ascolto delle parole dell’autore, a partire dalle quali ciascuno autonomamente potrà valutare la capacità d’analisi e la buona fede di chi scrive.

    Il libro contiene numerose analisi e riflessioni su vari argomenti, la maggior parte sono opera di chi scrive, altre sono sintesi del lavoro politico di InterUnit (l’unità degli internazionalisti in seno alla Prizrak, che operava nella Repubblica Popolare di Lugansk); ci sono anche alcune analisi che prendono spunto da quelle prodotte in seno alla Prizrak (il battaglione più famoso di tutte le Milizie Popolari del Donbass), che furono elaborate prevalentemente dall’organizzazione politica al suo interno, la Dko.

    Molti dei fatti riportati in questo libro sono vissuti in prima persona, altri sono presi da testimonianze orali di chi ha partecipato o assistito agli eventi, siano essi combattenti, attivisti politici o giornalisti; l’attendibilità dei loro resoconti non è condizionata dalla bontà della fonte (sulla quale sono ragionevolmente sicuro), bensì dalla mia capacità di capire la lingua russa.

    In certi rari casi racconto alcuni fatti nella loro versione ufficiale sebbene non sempre io sia pienamente persuaso della loro veridicità, si tratta di episodi per i quali non ho validi elementi di contestazione, al più dei dubbi; in quei casi riporto la versione ufficiale, pur manifestando le mie perplessità, ma senza dare adito a tesi prive di riscontri.

    La suddivisione degli argomenti è finalizzata ad agevolare la consultazione, con beneficio per chi intenda utilizzare il libro come strumento di lavoro. Il vantaggio è anche nel fatto che alcuni paragrafi sono degli approfondimenti tematici (per lo più di tipo politico o tecnico) che non necessariamente interessano tutti i lettori.

    Il libro affonda le sue radici nell’esperienza iniziata in Italia durante l’attività politica all’interno del Comitato Donbass Antinazista di Roma, che ha poi preso parte al Coordinamento Ucraina Antifascista, la struttura nazionale che racchiude molti comitati locali e organizzazioni nazionali di supporto alla Resistenza nell’ex-Ucraina.

    Leggendo il primo capitolo potrebbe quasi sembrare d’aver tra le mani una guida turistica che traccia un quadro d’insieme dell’ex-Ucraina, vi si fa una panoramica sulla geografia, la storia, la società e l’eco nomia del Paese; da subito s’inizia a capire perché si debba parlare di ex-Ucraina, uno Stato che ha perso ogni sua componente vitale. Chi conosca realmente a fondo l’Ucraina potrebbe anche tralasciare questo capitolo, ma per tutti gli altri è molto importante cogliere bene il contesto per poter intendere l’origine e le cause della crisi. Nel secondo capitolo si narrano prevalentemente le vicende belliche del periodo tra il 2014 e il 2017, senza tuttavia soffermarsi troppo sulle varie vicissitudini del fronte e gli aspetti puramente militari, cose che possono avere un interesse relativo per il lettore. Il terzo capitolo è un approfondimento sulla Prizrak e su InterUnit, il gruppo di antifascisti internazionalisti al suo interno. Nel quarto capitolo si affrontano le maggiori ombre del conflitto, come: la presenza di fascisti su entrambi gli schieramenti, le derive del progetto delle Repubbliche Popolari, i limiti delle Milizie Popolari e altre contraddizioni. Il quinto capitolo è prevalentemente tecnico e d’analisi, cerca d’individuare quali potranno essere gli scenari futuri, tanto in quel quadrante, quanto nel resto del mondo. Il libro si chiude con delle valutazioni personali, delle pagine più intime che portano a vedere dentro l’animo di un combattente.

    In Donbass non si passa vuole quindi essere uno strumento per aiutare a conoscere e a capire, fornisce degli elementi utili per poter affrontare le sfide del futuro, tuttavia serve anche a tenere viva la memoria della lotta di liberazione del Donbass. Uno degli episodi più eroici della recente storia europea: un popolo in armi che ha lottato contro il fascismo, per la costruzione di un futuro migliore e che, a dispetto dei disfattisti, ha vinto.

    Quadro d’insieme dell’ex-Ucraina

    Geografia

    Parlare dell’Ucraina come se ne poteva fare qualche anno fa è ormai impossibile, gli eventi degli ultimi tempi l’hanno radicalmente trasformata, in primis nella dimensione. Dal 2014 l’Ucraina ha subito due importantissime perdite territoriali (Donbass e Crimea) e, oltre a tutte le regioni costiere che si vorrebbero staccare da Kiev per formare la Novorossija, anche altre due aree del Paese spingono per la secessione e l’annessione ad altri stati (rispettivamente all’Ungheria e alla Polonia).

    Al ridimensionamento territoriale si aggiunga una profondissima crisi economica e uno spaventoso calo demografico, qualora le attuali condizioni dovessero permanere, la catastrofe sarebbe inevitabile. Questi elementi sono sufficienti per poter parlare di Ucraina al passato, oppure per poter parlare di ex-Ucraina.

    L’Ucraina si trovava a una latitudine compresa tra 44° e 53° nord e una longitudine compresa tra 22° e 41° est. Con i suoi 603.000 km ² l’Ucraina era il secondo Paese più vasto d’Europa, le sue frontiere terrestri misuravano 4.500 km. A sud era bagnata dal Mar Nero (la linea costiera complessiva era di quasi 3.000 km), a sudovest era divisa dalla Romania dal Delta del Danubio (che l’Unesco ha inserito nella lista dei siti Patrimonio dell’umanità e in quella di Riserva della biodiversità). La Moldavia è completamente stretta tra la Romania e l’ex-Ucraina e se si eccettua la Transnistria, che non è riconosciuta a livello internazionale, non confina con altri stati. La Transnistria è una piccola Re pubblica di mezzo milione d’abitanti che non ha accettato la dissoluzione dell’Unione Sovietica e si è staccata dalla Moldavia, recentemente ha chiesto di entrare a far parte della Federazione Russa.

    L’Ucraina confinava a ovest con l’Ungheria tramite la regione della Transcarpazia, questa è una terra significativamente popolata da genti d’etnia ungherese; la Transcarpazia si trova separata da resto dell’ex-Ucraina dai Monti Carpazi, al contempo quelle terre non hanno soluzione di continuità con l’Ungheria. Dal 2014 le spinte indipendentiste della Transcarpazia aumentarono e ci fu una rivolta armata subito duramente repressa. Sempre a ovest, l’Ucraina confinava con la Slovacchia e a nord-ovest con la Polonia. Quest’ultima area nel corso della storia fu sempre contesa dai due stati e, nella Seconda guerra mondiale, fu teatro di feroci pulizie etniche. Ancora oggi la tensione sul confine è costante e spesso gruppi nazionalisti di ciascuna parte lo valicano per compiere azioni dimostrative dall’altro lato. In Polonia vengono regolarmente organizzate, per lo più da parte di forze di estrema destra, manifestazioni per chiedere l’annessione di alcuni territori dell’ex-Ucraina. La polizia di Kiev e le squadracce naziste hanno invece sempre represso tutte le manifestazioni delle minoranze polacche in Ucraina.

    A nord l’Ucraina confinava con la Bielorussia. Da nord fino a est confinava con la Russia. Dal 2014 a sud-est confina con le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, staccatesi dall’Ucraina in risposta al colpo di Stato della nuova Junta di Kiev. Sempre nel 2014 la Russia si annetté dall’Ucraina la penisola di Crimea che divide il Mar Nero dal Mar d’Azov. Questo specchio d’acqua è estremamente particolare, in quanto ha poco scambio con il Mar Nero ed è fortemente caratterizzato dal fatto che vi sfocia il fiume Don, pertanto la profondità massima è di 13 metri e in alcune vaste parti di appena un metro. L’immissione delle acque del fiume fa sì che in alcuni punti la salinità sia modesta e che ci sia una grande presenza di limo.

    L’ex-Ucraina presenta una superficie prevalentemente pianeggiante, caratterizzata da uno dei suoli più fertili del mondo (era nota come granaio d’Europa). Generalmente il terreno è di un colore molto scuro, quasi nero e per lo più privo di pietre, particolarmente adatto all’agricoltura: il cernozem. Questo tipo di terreno, se bagnato, si trasforma in un fango incredibilmente appiccicoso (lo sanno bene tutti quelli che hanno provato

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