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101 luoghi misteriosi e segreti in Italia da vedere almeno una volta nella vita
101 luoghi misteriosi e segreti in Italia da vedere almeno una volta nella vita
101 luoghi misteriosi e segreti in Italia da vedere almeno una volta nella vita
E-book340 pagine4 ore

101 luoghi misteriosi e segreti in Italia da vedere almeno una volta nella vita

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Info su questo ebook

Tra i luoghi più misteriosi d'Italia:

Monterano, la città fantasma - Canale Monterano (RM)

Le mummie di Savoca (ME)

Metalla, la città scomparsa. Buggerru (CI)

I baci del fantasma del castello di Verrès (AO)

I draghi dell’isola di San Giulio - Lago d’Orta (NO)

La farina del diavolo a Villa Santina (UD)

Il pozzo che conduce al Purgatorio - Orvieto (TR)

Cercando la tomba della Monna Lisa - Lagonegro (PZ)

Affreschi di Renoir in Calabria. Capistrano (VV)

Il fantasma della villa dei mostri - Bagheria (PA)

Il misterioso cronovisore del monaco benedettino - Isola di San Giorgio Maggiore (VE)

Giuseppe Ortolano

è nato a Torino nel 1953. Dopo aver vagabondato per Italia, Europa, America Latina e Africa, si è stabilito a Milano, dove si dedica al giornalismo turistico e culturale. Autore di diverse guide, collabora con numerose testate giornalistiche, tra le quali «Il Venerdì di Repubblica», «TuttoMilano», «Consumatori», e con la sezione Viaggi del sito Repubblica.it. Per la Newton Compton ha scritto 101 luoghi insoliti in Italia dove andare almeno una volta nella vita e 1001 cose da vedere in Italia almeno una volta nella vita. Intanto continua a viaggiare, alla ricerca di luoghi da raccontare.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2014
ISBN9788854176133
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    101 luoghi misteriosi e segreti in Italia da vedere almeno una volta nella vita - Giuseppe Ortolano

       1.

    LA PIETRA DELLA FERTILITÀ DI MACHABY.

    ARNAD (AO)

    Pro Loco di Arnad

    Telefono: 339 1399751

    Online: www.prolocoarnad.it

    Agriturismo Lo Dzerby

    Telefono: 0125 966067

    Online: www.lodzerby.it

    Oggi è un piacevole gioco per bambini, ma per secoli a quella pietra liscia che si incontra all’inizio del villaggio di Machaby sono stati attribuiti poteri magici. Infatti, secondo una tradizione ampiamente diffusa nelle zone abitate da Celti e Salassi, le donne della zona desiderose di avere figli si recavano fin qui per lasciarsi scivolare sulla roccia, chiamata guiata, che, col passare dei secoli, per il tanto uso, è diventata liscia. Si tratta di un antico e misterioso rito della fertilità dove il sasso era considerato il priapos primordiale, l’elemento fallico maschile che nasceva dalla stessa terra. Per raggiungere l’incantevole villaggio di Machaby, con la sua pietra della fertilità, alcune incisioni rupestri e un simpatico agriturismo che propone gustosissimi piatti tipici a base di prodotti quasi totalmente provenienti dalle coltivazioni della famiglia che lo gestisce, si deve lasciare l’auto in un grande parcheggio alla base del colle e percorrere un’ampia mulattiera che passa dal suggestivo Santuario di Machaby. Situato a circa 700 metri d’altezza, l’antico edificio religioso dedicato alla Madonna delle Nevi è fonte di alcune leggende. La prima narra che nella radura dove oggi sorge la chiesa apparve improvvisamente, nascosta fra i cespugli, una statua della Madonna. Trasportata dagli abitanti del luogo in un piccolo oratorio a monte, di cui ancora oggi si vedono i resti, la statua fece ritorno nottetempo nel cespuglio dove era stata trovata. I valligiani decisero così di costruire il santuario nella radura dove la Vergine aveva miracolosamente scelto di rimanere. Un’altra leggenda vuole invece che in una caverna della zona una strega vipera e un diavolo con sette teste tenessero prigioniere le vittime destinate ai loro sabba infernali. Una fanciulla, catturata proprio mentre tagliava l’erba nei pressi della chiesa, invocò la protezione di Nostra Signora di Machaby, che apparve sorridente ai prigionieri indicando loro un angolo della grotta dal quale arrivava un filo di luce. Nel punto indicato dalla Madonna la pietra si sgretolò, permettendo così la fuga della fanciulla e dei suoi compagni di sventura. La forza spirituale e magica del luogo è confermata dal fatto che, almeno fino alla fine dell’Ottocento, Machaby era un santuario à répit, un luogo dove venivano portati i bambini nati morti (e quindi destinati al limbo) nella speranza che qui potessero rinvenire per l’attimo sufficiente ad amministrare loro il sacramento del Battesimo. Oggi la chiesa, purtroppo aperta solo alcune domeniche, conserva al suo interno curiosi ex-voto e una statua seicentesca raffigurante la Madonna, ritenuta uno dei maggiori capolavori della scultura barocca in Valle d’Aosta. Il grande portico che la circonda, costruito nel 1833 da una ricca signora del luogo, proprio per proteggere i bambini malati in attesa della benedizione, ospita una partecipata festa patronale, che ancora oggi si celebra il 5 agosto. L’edificio, di origini trecentesche, è stato interamente ricostruito nel 1687 e sul portale d’ingresso sono ancora visibili i segni lasciati dalle pallottole di un paio di soldati napoleonici che, impegnati nelle operazioni militari per superare il vicino forte di Bard, scaricarono i loro fucili contro il santuario. I più sportivi possono quindi proseguire su di una strada militare di età napoleonica che serviva numerose fortificazioni, tra le quali il forte Tenente Lucini (recentemente ristrutturato per ospitare un ostello) e la batteria di Machaby, utilizzata anche come rifugio dai partigiani durante la seconda guerra mondiale. Il viaggio tra i segreti della zona non può che concludersi con un assaggio del dolcissimo Lardo d’Arnad DOP, ottenuto dalla lavorazione della schiena del maiale, maturata per almeno tre mesi nei doils, antichi recipienti in legno di castagno, larice o di rovere. Grazie a una sapiente e ovviamente segreta miscela di sale, spezie, aromi naturali ed erbe aromatiche di montagna, il lardo acquista una rara morbidezza che lo porta a sciogliersi in bocca in un tripudio di dolci e gradevoli sapori.

       2.

    LE SEGRETE ENERGIE DI VETAN.

    SAINT-PIERRE (AO)

    Informazioni turistiche

    Telefono: 0165 236627

    Online: www.comune.saint-pierre.ao.it

    È un luogo magico, dove si respirano quelle segrete energie che, negli ultimi anni, hanno attratto sciamani, maestri yoga e altre guide spirituali. Si annida a 1800 metri di altezza, in un angolo poco frequentato della Valle d’Aosta, a una quindicina di chilometri dal comune-capoluogo di Saint-Pierre, e prende il nome di Vetan. Graziosamente adagiato in posizione panoramica su una conca di pascoli, era un piccolo villaggio abitato da una ventina di famiglie dedite alla coltivazione di segale, orzo, avena e patate. Poi sono arrivati gli sciamani che hanno sentito che il luogo possedeva rare energie. Tra di loro la grande sciamana siberiana Ai-Tchourek (Cuore di Luna) che, agli inizi del terzo millennio, ha «sentito subito che lì risiedevano dei potenti spiriti», decidendo di costruire un’ovaa (piccolo altare votivo fatto con legni di betulla) per proteggere il Monte Bianco e chi vive ai suoi piedi da nuove tragedie. Prima di venire intercettata dagli sciamani, la segreta energia del luogo aveva già affascinato la scrittrice Lalla Romano, che durante i suoi soggiorni a Vetan guardava ipnotizzata il vicino ghiacciaio del Rutor, che considerava un simbolo misterioso del passaggio all’aldilà. La fama acquisita in tutto il mondo, la bellezza e la tranquillità del luogo hanno fatto di Vetan una meta per il turista alla ricerca di pace e serenità o interessato a frequentare uno dei numerosi corsi di spiritualità e sciamanesimo che si tengono nell’hotel del villaggio.

    Ma per cogliere la forza vitale del luogo non è necessario credere negli sciamani o cercare il passaggio nell’aldilà tra i ghiacci del Rutor: basta abbandonare l’auto presso le ultime case del villaggio e incamminarsi lungo uno dei tanti sentieri che raggiungono il Mont Fallère (m 3601) e i numerosi laghi ai suoi piedi. Tra questi il simpatico lago delle Rane, a circa 2300 metri d’altezza, così chiamato perché popolato da centinaia e centinaia di rane, raganelle e girini che, in quasi tutte le stagioni, animano le sponde del bacino lacustre con i loro salti e l’inconfondibile gracidio. Lungo il sentiero e in cima al monte si ammirano grandiosi panorami che spaziano su tutta la Valle d’Aosta, dal Gran Paradiso al Rutor, dal Monte Bianco al Grand Combin, dal Cervino al Monte Rosa. Camminando tra i pascoli si raggiunge, invece, la malga Quendoz dove, in estate, si vendono fontina ed erbe di montagna. Altre emozioni attendono chi raggiunge Vetan in inverno. Infatti questa piccola località di montagna propone agli amanti di sport invernali avventurosi itinerari di scialpinismo, oltre a originali esperienze di kitesnow (si scia e si surfa trainati da un aquilone) e backcountry, una disciplina dove le passeggiate con le racchette da neve si uniscono alle emozionanti discese con lo snowboard. Un centro di turismo equestre propone poi escursioni a cavallo, anche invernali sulla neve, tra pascoli e alpeggi della zona.

    La vicina frazione di Verrogne, raggiunta da una strada solo nel 1968 e ora quasi disabitata, conserva ancora interessanti testimonianze del suo passato, tra le quali la segheria ad acqua, il mulino idraulico dove veniva macinato il grano, la latteria e il forno comunale. Quest’ultimo, costruito nel 1843, aveva un’imboccatura nella quale si potevano cuocere, dopo la lievitazione, circa duecento forme di pane. Scendendo verso il fondovalle e l’autostrada Torino-Aosta vale la pena fermarsi a visitare il singolare castello di Saint-Pierre, arroccato su una rupe dove i Romani avevano costruito una torre di guardia. Oggi la fortificazione ospita il Museo regionale di scienze naturali.

       3.

    I BACI DEL FANTASMA DEL CASTELLO DI VERRÈS (AO)

    Castello di Verrès

    Telefono: 0125 929067

    Una strana presenza si aggira in estate nei pressi della fontana ottagonale del castello di Verrès. Sarebbe lo spirito della bellissima contessa Bianca Maria di Challant, che vi abitò tra il 1522 ed il 1525 e che a soli vent’anni venne decapitata. Non è che la nobildonna, secondo la leggenda, fosse proprio uno stinco di santo. Pare, infatti, che avesse diversi amanti, che regolarmente ripudiava o addirittura faceva assassinare dopo alcune notti d’amore. Uno di questi, per vendicarsi, la denunciò per un delitto che la donna non aveva commesso. E proprio a causa di questa accusa e della gelosia del marito che aveva scoperto l’infedeltà della moglie, Bianca Maria fu portata a Milano, processata e condannata a morte per decapitazione. Molti assicurano che il suo spettro si aggiri ancora per le sale del castello e, specie in estate, appaia nei pressi della fontana per affiancare i visitatori e, con un bacio, tentare di sedurre gli uomini più affascinanti. Il tozzo castello che domina l’abitato di Verrès e la strada per la Val d’Ayas, probabilmente il più bel monumento dell’età feudale in regione, è un cubo poderoso di circa trenta metri di lato costruito nel 1390 da Ibleto di Challant, antenato della contessa peccaminosa, come testimonia un’iscrizione scolpita in caratteri gotici. Rinnovato da Renato di Challant una decina di anni dopo la decapitazione di Bianca Maria, che lo adattò all’uso delle moderne armi da fuoco, nel 1565 il castello diventò proprietà dei Savoia che, nel 1661, trasferirono gli armamenti al vicino forte di Bard, punto strategico dove si concentrava la difesa della vallata. Oggi, dopo anni di abbandono, il castello è aperto al pubblico che, dopo avere passato il corpo di guardia e superato il portale d’ingresso, raggiunge l’ampio cortile sul quale si affaccia l’edificio principale: una costruzione ad anello su tre piani, collegati tra di loro da uno scalone monumentale in pietra. Al piano terra si aprono due grandi saloni che originariamente erano destinati a ospitare il magazzino per l’artiglieria, coperto da una volta a botte, e la sala d’armi, che ancora oggi conserva due camini monumentali. Poco più a sud si incontra la cucina. Al primo piano si visitano i locali riservati ai signori del castello, illuminati da eleganti bifore di gusto trecentesco, più ampie di quelle degli altri piani. La vasta sala da pranzo è collegata da un passavivande alla cucina padronale, dotata di tre grandi camini. Su questo piano dovrebbe trovarsi anche la camera da letto della contessa Bianca Maria, anche se nessuno è in grado di indicarne l’esatta ubicazione. Salendo le scale si incontrano, infine, gli appartamenti di servizio, attualmente non aperti al pubblico.

    Il castello di Verrès (AO)

       4.

    LA MISTERIOSA GALLERIA SOTTO IL PONTE DI PONDEL.

    AYMAVILLES (AO)

    AIAT di Cogne

    Telefono: 0165 74040

    A soli otto chilometri da Aosta, lungo la strada che conduce a Cogne, si incontra la frazione di Pondel, con il suo spettacolare ponte che attraversa l’orrido formato dal torrente Grand’Eyvia. Un’opera affascinante, costruita in blocchi di pietra a circa 56 metri di altezza dal livello del corso d’acqua, per una lunghezza che supera i cinquanta metri, con un’iscrizione datata 3 a.C che ne ricorda il proprietario, un certo Caius Avillius Caimus Patavinus. Si tratta dell’unico ponte romano o preromano dotato, oltre che del tradizionale passaggio pedonale ancora oggi percorribile, di una galleria completamente coperta, alta 3 metri e larga uno, illuminata da strette finestre su entrambe le pareti, a cui si accedeva da aperture provviste di porte in legno alle due estremità. A cosa servisse con precisione quella galleria è ancora un mistero. Per molti veniva impiegata come passaggio pedonale perché la parte alta del ponte era utilizzata come acquedotto e lo stesso nome del luogo, Pondel, o Pond’Ael, come riportano alcune antiche carte, richiama l’idea che fosse proprio questo il suo impiego. Altri la collegano invece a una presunta attività mineraria nel territorio di Cogne. Anche la data di costruzione del ponte è un piccolo mistero. Se è certo che l’attuale struttura risale all’epoca romana, pur con alcune modifiche successive, l’inconsueta forma di alcuni muri fa pensare alla sua esistenza già in un’epoca precedente ai Romani. Potrebbe quindi essere stato originariamente costruito dagli antichi abitanti di questa zona, i Salassi, popolazione dedita alla ricerca ed estrazione dell’oro. E proprio alla loro attività mineraria sarebbe legato quel ponte, forse impiegato per portare a valle l’acqua necessaria all’estrazione del materiale aurifero. Una miniera fino ad oggi avvolta dal mistero, probabilmente abbandonata nel I secolo a.C. con l’arrivo delle legioni romane che deportarono e uccisero migliaia di Salassi. Molti hanno, anche in tempi più recenti, cercato quell’antico giacimento, alcuni assicurano di aver trovato pagliuzze d’oro lungo il torrente, ma per ora il ponte e la misteriosa galleria continuano a celare il loro segreto. Dopo essere stato usato per secoli per il trasporto dell’acqua, che veniva utilizzata anche per muovere le pale di un mulino e alla cui presenza si accenna in un documento dell’anno 1265, il ponte è oggi un’interessante meta turistica che si può percorrere sia nella parte alta sia passando nella galleria fiocamente illuminata dalle feritoie. Da vedere anche il vicino canale scavato nella roccia che domina la gola del torrente Grand’Eyvia e lo splendido panorama mozzafiato sull’orrido di Pondel attraversato da questa ingegnosa e misteriosa opera dell’uomo.

       5.

    I SEGRETI DELLA SACRA DI SAN MICHELE.

    SANT’AMBROGIO DI TORINO (TO)

    Sacra di San Michele

    Telefono: 011 939130

    Online: www.sacradisanmichele.com

    Ne ha di segreti da raccontare la spettacolare Sacra di San Michele. A partire dalla sua fon­dazione avvenuta tra il 983 e il 987 sullo sperone roccioso del Monte Pirchiriano, in Val di Susa, ubicato proprio al centro di quella via di pellegrinaggio di oltre 2000 chilometri che univa Mont-Saint-Michel, in Francia, a Monte Sant’Angelo, in Puglia, i due principali centri religiosi legati al culto di San Michele. La sua edificazione fu iniziata da Giovanni Vincenzo (poi proclamato santo), vescovo di Ravenna, che dopo avere abbandonato la sua sede vescovile decise di dedicarsi alla vita eremitica. Aiutato proprio dell’arcangelo Michele, apparsogli più volte per indicargli il luogo dove voleva venisse eretta la cappella in suo onore, il sant’uomo chiamò per la consacrazione monsignor Amizone, il vescovo di Torino, che però, giunto in zona, vide un grande fuoco avvolgere nella notte la punta della montagna. Il suo intervento non era più necessario dato che la consacrazione della chiesa era avvenuta direttamente per mano degli angeli. La Sacra è oggi un grandioso e affascinante complesso aperto al pubblico, cui si accede per mezzo di un lungo scalone scavato nella roccia, lo scalone dei Morti, così chiamato per via delle tombe di monaci, abati e benemeriti del monastero, ritrovate in una nicchia situata dopo i primi scalini. Per un certo periodo alla scalinata fu scherzosamente dato il nome dei Sorci a causa di una divertente storia che aveva come protagonista il vecchio sacrestano del monastero, Bernardino, che percorreva tutte le sere lo scalone per andare a chiudere la porta d’ingresso situata alla sua base: un incarico che lo rendeva particolarmente nervoso a causa della presenza degli scheletri e di una folta colonia di pipistrelli. Una sera, mentre risaliva, una folata di vento spense la torcia e chiuse la porta posta in cima allo scalone, mentre il silenzio veniva rotto da un rumore di ossa trascinate sulla pietra. Terrorizzato, Bernardino iniziò a urlare e fu salvato dall’abate che, con la fiamma della torcia, illuminò un teschio che si muoveva su uno scalino. Mentre tentava di esorcizzarlo, il religioso scoprì che si trattava in realtà di un topo che stava spingendo il teschio sulle scale, con gran sollievo per entrambi.

    Giunti in cima allo scalone si attraversa il Portale dello Zodiaco, opera romanica scolpita tra il 1128 e il 1130 dal Maestro Nicolao, famoso architetto-scultore piacentino. Il nome è dovuto al fatto che sugli stipiti sono incisi i dodici segni zodiacali e le costellazioni australi e boreali, oltre a una scena di caccia alla lepre. Insolita la rappresentazione di alcuni segni: quello del Cancro, visto rovesciato, sembra la testa di un vescovo; il Capricorno è rappresentato con le ali e la Bilancia è accompagnata dallo Scorpione. Decisamente inquietanti nel loro segreto simbolismo i capitelli, dove si riconoscono Caino, con dietro il volto del diavolo, e Abele; tre persone furibonde che si strappano i

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