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Sherlock Holmes contro la Nera Signora
Sherlock Holmes contro la Nera Signora
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E-book442 pagine6 ore

Sherlock Holmes contro la Nera Signora

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Info su questo ebook

Giallo - romanzo (380 pagine) - Sherlock Holmes sulle tracce del terribile omicida ed esperto di contagi Culverton Smith


La pandemia della cosiddetta influenza "spagnola" è quanto di più simile all'attuale pandemia da Covid. Colpiti nei loro affetti più cari Holmes e Mycroft ingaggiano con la malattia una generosa quanto inutile lotta. Nel frattempo Holmes si mette sulle tracce del terribile Culverton Smith, omicida esperto di contagi, da lui arrestato ma fuggito dal carcere e smanioso di vendetta totale. Lo ritrova in America dove spera di far suoi complici i pellerosse e gli anarchici. Dopo varie peripezie anche Holmes prende la "spagnola". Riusciranno il dottor Watson e il sempre attivo professor Bell a tentare di curarlo con un miracoloso sistema che viene da un quasi Nobel francese?

Supportato da Errico Malatesta, il detective di Baker Street in questa avventura scoprirà che gli anarchici, convinti dalla moglie e dalle figlie di Gaetano Bresci, conosciuto nel 1900 a Monza, rifiutano di aiutarlo nella ricerca del pericoloso criminale Culverton Smith. Holmes, indebolito dalla droga, accetta il supporto procuratogli dal fratello Mycroft che gli segnala il giovane investigatore Dashiell Hammett.

Culverton Smith, nel frattempo, si sta organizzando per diffondere un ennesimo virus.


Luigi Calcerano, nato a Roma nel 1949, è scrittore e saggista. Ultimo Capo dell'Ispettorato Educazione Fisica e Sportiva del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. Trai suoi tanti titoli pubblicati si segnalano i più recenti:Sherlock Holmes a Monza, due pistole per un regicidio (Delos Digital, 2018), Il commissariato farlocco (Delos Digital, 2018), Il grande coniglio bianco (Delos Digital, 2018), Colpo grosso alla Serpentara (Delos Digital, 2018).  Clandestini, Romanzo d’appendice (ilpepeverde, 2014), tutti con Giuseppe Fiori. Da segnalare Quattrocentocinquantatrè (Ucronia, Amazon Culture And Eau, 2017), Vangelo di Maria (Ucronia, Amazon Culture And Eau, 2015), L’ultima Eneide, Bonaccorso Editore, 2013), Per uccidere Cecilia (con prefazione di Carlo Lucarelli, Bonaccorso Editore, 2005);Sherlock Holmes e suo figlio( (Delos 2020); L'amore complicato prima della psicoanalisi,(con Elisabetta Bianchini,su Giovanni Morelli,storico Amazon Culture And Eau 2021.

LinguaItaliano
Data di uscita7 giu 2022
ISBN9788825420265
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    Anteprima del libro

    Sherlock Holmes contro la Nera Signora - Luigi Calcerano

    Personaggi della storia

    Sherlock Holmes Il genio dell’investigazione

    La Nera Signora La pandemia, alias l’influenza spagnola

    John H. Watson Collaboratore, cronista e amico di Holmes

    Damian Holmes Figlio di Sherlock Holmes e Irene Adler, medico militare

    Irene Adler La donna

    Mycroft Holmes Capo delle spie britanniche

    Ginsburg Capo delle spie austroungariche

    Culverton Smith Untore

    Joseph Bell Professore emerito di Medicina

    Luigi Galleani Anarchico

    Errico Malatesta Vecchio anarchico

    Virgilio Spia italiana che sorveglia Malatesta

    Dante Altra spia italiana

    Sophie Knieland Anarchica, moglie di Gaetano Bresci

    Maddalena e Muriel Figlie sue e di Bresci

    Orso Bruno Aspirante untore, pellerossa

    Albert Gitchell Paziente zero

    Paul Gulisano Generale americano della guerra batteriologica

    Gaston Ramon Veterinario e genio da Nobel

    Marthe Sua inebriante moglie

    Malaussène Assassino falsamente imprigionato

    Francis La Teana Capo basco della gendarmeria dipartimentale

    Maria Sofia Regina deposta delle due Sicilie

    Angelo Insogna Primula Rossa borbonica

    Lanty Rambell Critico letterario e editore

    Leverton Capo della Pinkerton a San Francisco

    Samuel Dashiell Hammett Giovane agente della Pinkerton

    Aleksandra Darachvelidze Bolscevica, pistolera, amore di Damian Holmes

    Alan Crosland Regista Hollywoodiano

    Dick Dickson Aiutoregista di Crosland

    John Barrymore Attore

    Mary Astor Attrice

    Mark Nisbet Attore e killer

    Fiorello La Guardia Capitano aviere, protagonista dell’esfiltrazione

    1. Damian Holmes

    Londra 1915

    Non ero suo parente, ma il fatto che il figlio di Sherlock Holmes si fosse laureato in medicina a ventuno anni mi aveva inorgoglito. Da medico e da amichevole zio acquisito. Per giunta a ventuno anni, come il mio più grande professore dell’Università, Joseph Bell! Devo dire che ero anche contento che avesse scelto, per la sua prima laurea, quella in Medicina.

    Il mio amico Sherlock Holmes aveva riconosciuto, con atto formale, solenne e irrevocabile, il figlio che aveva avuto da Irene Adler. La madre era la donna che lo aveva profondamente affascinato al tempo dell’affaire boemo e che aveva frequentato intimamente anni dopo, quando s’era eclissato dopo lo scontro col professor Moriarty alle cascate di Reichenbach.

    Ricordavo bene quando avevo portato al mio amico la lettera con cui Irene Adler, mentre gli chiedeva aiuto per il rapimento del figlio Damian, gli comunicava pure che lui era il padre, anche se non glielo aveva mai detto.

    Caro Sherlock,

    ho bisogno di te. Hanno rapito mio figlio Damian che è pure nostro figlio anche se non te ne ho mai parlato. I rapitori sono russi. Non so se si tratta dei bolscevichi o dell’Ochrana, con cui ho avuto dei contatti, c’è di mezzo una ingente somma. Vieni subito a Parigi, mi troverai all’Hotel de Vendome. Fa presto.

    Irene

    Partimmo subito e le straordinarie avventure che ci capitarono, che raccontai nella cronaca denominata appunto Sherlock Holmes e suo figlio, ci convinsero che quel ragazzo aveva ereditato la bellezza della madre e l’intelligenza del padre. Era il 1907 e aveva quindici anni.

    Tra bolscevichi e Ochrana Damian si barcamenò in maniera ingegnosa e brillante, facendoci pervenire un messaggio apparentemente banale in cui ci rivelava però di essere a Londra e non in Russia, nonché il luogo dove era tenuto prigioniero.

    Nonostante la mia esperienza in fatto di donne, coltivata in numerosi paesi di tre diversi continenti, non avevo mai visto, a parte il caso della mia povera moglie Mary, un volto che rivelasse un temperamento tanto raffinato, forte e sensibile quale quello di Irene Adler. Dato il carattere avventuriero e spregiudicato di quest’ultima, non mi stupì oltre misura, comunque, il suo tentativo di assicurarsi una parte della ricchezza sottratta dai bolscevichi alla banca dello Zar, a Tblisi, in Georgia, con una rapina spettacolare.

    Il rapimento di Damian era proprio motivato da come la Adler aveva intercettato una grande somma all’interno del Crédit Lyonnais, la banca francese dove lavorava (e lavora tuttora), istituto creditizio che si era prestato, illegalmente, al riciclaggio del bottino. I tentennamenti della madre, che voleva privarsi solo di una parte della somma, misero seriamente in pericolo la vita del figliolo.

    Holmes e Damian dopo anni di estraneità, dovevano conoscersi, affiatarsi e fare amicizia, andarono molto d’accordo e una delle prime cose che da padre e da figlio complottarono insieme, fu ottenere che il piccolo tesoro non rimanesse a Irene ma venisse investito in opere filantropiche come le fattorie autosufficienti del milionario americano Fels, solo un esempio, una provocazione, un inizio ma certo il miglior modo di far fruttare a fin di bene quel denaro.

    Appena una goccia, pensando ai milioni di profughi, ultimi e poveri che stanno morendo di fame. Ma i miei due amici diedero la priorità proprio ai più vulnerabili, anche in Europa o in Russia ma più che altro in Africa, America del Sud e Asia.

    Beneficiarono della rapina alla banca dello Zar disabili, malati, donne e bambini con situazioni particolari ma anche adulti in buona salute che potevano lavorare.

    Conobbi così la bella e complessa personalità di Damian, che insegnò anche al padre, oltre che alla madre, come poteva organizzarsi un progetto pilota umanitario che avesse anche un effetto politico in senso lato.

    Nella soffitta della memoria di Holmes non avevo mai visto entrare, tutti ammassati, tanti concetti inutili come quelli del figlio.

    Quel ragazzo mi aveva conquistato, a differenza del padre si interessava di tutto, leggeva e studiava le cose più disparate, dico solo che, dopo quella in medicina aveva intenzione di laurearsi pure in filosofia.

    Lo posso descrivere come un professore, scienziato, divulgatore, psicologo e curioso instancabile. Mostrava una conoscenza da esperto su una varietà incredibile di argomenti. E amava tutte le donne! Perfino della sua rapitrice bolscevica Aleksandra si era innamorato.

    Dr. Damian Holmes, era in questo modo che mi rivolgevo a lui per lettera, il cognome era Holmes, perché, già prima della pratica di riconoscimento formale della paternità, era così che voleva essere chiamato, non più Norton, come prima.

    Gli indirizzai una lettera di congratulazioni e con l’occasione gli inviai un racconto, L’ultimo saluto, il più recente che avevo pubblicato, e poi gli chiesi cosa intendeva fare della sua vita.

    M’ero trasferito di nuovo nella vecchia casa a Baker Street, dove la signora Hudson ormai s’era allettata e faceva tutto Sivajnana, l’impareggiabile infermiera e factotum indiana.

    Holmes era ancora con le sue api e Sherringford, il fedele vecchissimo apicoltore che lo aiutava, era sempre in gamba, nonostante dovesse certo avere ormai più di novant’anni. Un novantenne e un settantenne… per fortuna avevano incontrato una aiutante ideale, Mary Judith, una forza della natura di quindici anni che li aiutava con le api e si interessava perfino di indagini poliziesche.

    Anche io ero invecchiato e avevo dovuto rispolverare il bastone con cui ero giunto a Londra dall’Afghanistan. Mi aiutava a camminare dato che avevo qualche disturbo di deambulazione, una fastidiosa zoppia alla gamba già ferita in Afghanistan; avevo una caviglia dolorante dopo che ci avevo preso una forte botta. Riuscivo comunque, con qualche dolore e appoggiandomi, a camminare; ero a casa quando ricevetti la risposta di Damian alla mia lettera.

    Damian, non so come, aveva mangiato la foglia e capito che quel racconto mi era stato commissionato dall’Ufficio Propaganda Bellica. Stava per arrivare la guerra e ci avevano gentilmente detto che eravamo troppo vecchi per fare i soldati, volontari o meno.

    Avevano pure detto che avrebbero invece apprezzato un mio racconto in cui suonavo l’allarme sulle intenzioni tedesche e mettevo in campo il notissimo Sherlock Holmes. Andava bene specie per l’opinione pubblica americana che, proprio in quegli anni avevo raggiunto coi miei libri.

    Confessai d’averlo scritto in terza persona per accentuare la sorpresa del lettore a veder comparire all’improvviso il mio nome e anche per marcare la differenza tra questo, propagandistico e un po’ di fantasia, e gli altri che riportavano fedelmente casi risolti dal padre.

    Avevo comprato una automobile americana. La Ford che mi avevano mandato a Londra; era facile da guidare e, qualche volta, la usavo al posto del treno per andare in campagna da Holmes.

    Per abituarmi alla guida, peraltro, dovevo fare esercizio e qualche volta accompagnavo Sherringford e il mio amico in giro per commissioni,

    Mentre durante una di queste passeggiate in auto il mio amico parlava solo di api e arnie, annoiato, saltai di palo in frasca e gli chiesi se sapeva qual era il significato del nome Mycroft; il nome del fratello mi aveva sempre un po’ incuriosito. Una cosa non capivo, non m’era chiaro perché i genitori, Violet Ventham e Siger Holmes, avessero voluto battezzare i figli con dei cognomi piuttosto che con dei nomi. Era in fondo questo che volevo sapere: in sostanza, il perché di quella scelta inusuale, che il mio amico dava per scontata.

    Holmes mi guardò di sottecchi, si tolse dalla testa il cappello di paglia e, molto di malavoglia, mi spiegò. – Vedete Watson, il cognome Mycroft è ancora abbastanza comune nell’area rurale di Notts, del Derbyshire e del Sud Yorkshire; una parola che viene dall’antico inglese, dal congiungersi di mype, l’azione dell’acqua, e croft, che significa ancora qualcosa come piccolo terreno circoscritto, fattoria, podere, campetto. Sostanzialmente il significato del nome ha a che fare con i canali scavati per le irrigazioni o per portare l’acqua ai mulini.

    Mi bastava. Smisi di interrogarlo, lo avevo preso in un momento favorevole, era più che benevolo dato che si sentiva imprigionato nella mia auto, al posto accanto al guidatore; in genere era poco propenso a parlare della famiglia e di informazioni inutili come l’etimologia dei nomi.

    Decisi che un’altra volta, in un momento simile, gli avrei chiesto il significato di Sherlock. Anche questo consisteva in un parlare frivolo ed eccessivamente intimo della sua famiglia.

    Il mio cognome per fortuna non dava problemi sul significato: tutti quelli che avevo sentito erano d’accordo sul fatto che Watson derivasse da figlio di Walter.

    Del resto neppure il cognome Holmes dava problemi etimologici, dato che si conveniva provenisse dal Medio inglese holm, che significava isola.

    Il cognome designava quindi un isolano, una persona che aveva vissuto su un’isola, o su altro terreno circondato da acqua.

    Qualche anno prima avevo naturalmente già fatto una piccola ricerca per conto mio sul nome di battesimo del mio amico, coinvolgendo anche Damian, che, come ho detto, era curioso per natura.

    Per Sherlock Damian trovò un cognome inglese, di origine anglo-normanna. La mia curiosità era solo cresciuta. Una etimologia del cognome Sherlock faceva risalire la parola all’inglese antico scir, equivalente di bright (chiaro, luminoso), e a locc, equivalente a lock che significa tutt’oggi bloccare, serrare, chiudere a chiave.

    Damian mi aveva convinto che la mia ipotesi di luminosa serratura era curiosa e insostenibile e aveva trovato che esisteva anche lock of hair che significava e significa anche al giorno d’oggi ciocca, o ciuffo di capelli.

    In questa direzione l’indagine aveva dato qualche successo, perché avevamo trovato altri cognomi simili che definivano il colore dei capelli delle persone; c’era Blacklock, per i capelli neri, Silverlock per i capelli d’argento e Harlock per i capelli grigi.

    In questo senso Sherlock poteva significare semplicemente capelli chiari. Damian aveva formulato anche l’ipotesi che non derivasse da scir ma da shear, che significa taglio. Messo insieme a ciocca o ciuffo di capelli (lock) avrebbe potuto significare capelli tagliati corti. Preferivo l’etimologia che si riferiva all’inglese antico, scir, mi pareva più solenne e remoto. Alla fine, Damian aveva concordato con me per un principio, a mio parere astruso, di critica testuale.

    Si diceva e tramandava lectio difficilior potior che, alla lettera, significa che la lettura più difficile è la più forte, quella da preferire. Il principio, mi insegnò, occupandomi un cassetto della soffitta della memoria, fu formulato da Johann Albrecht Bengel e poi divulgato da Johann Jakob Wettstein, cui spesso impropriamente lo si attribuisce. Questa era un’altra caratteristica del figlio di Holmes era una persona che con nozioni e approfondimenti mi importunava con insistenza e pesantezza. Quando una volta con difficili giri di parole glielo dissi, lui rise e mi confidò che i compagni di scuola italiani lo descrivevano come un cacacazzi, cioè, si degnò di tradurre, un rompiscatole o meglio un rompipalle.

    Sapevo che aveva scritto una poesia in versi sciolti italiani sulla pisciata, in inglese piss, quindi aggiunsi al mio personale tratteggio della sua personalità anche indocile e sfrenato; erano caratteristiche che aveva certo ereditato dalla madre e, linguisticamente aveva esaltato dato che parlava qualche volta senza ritegno e creanza. Non si peritava infatti di usare espressioni piuttosto sconvenienti, volgari, persino oscene.

    Il figlio di Holmes mi ha convinto, come spesso succedeva, sulla lectio difficilior. Mi ha spiegato che, quando manoscritti differenti di uno stesso testo sono in conflitto su una determinata parola, gli studiosi considerano il termine più insolito come, probabilmente, quello più fedele all’originale. Era facile, infatti, che i copisti sostituissero le parole e le espressioni più difficili e inusuali, con quelle più correnti e comuni.

    Prima o poi, comunque, avrei chiesto al mio vecchio amico anche il significato che i suoi davano a Sherlock, ammesso che nella soffitta della sua memoria avesse conservato una informazione così inutile e ingombrante.

    Era un periodo comunque che lo vedevo poco il mio amico.

    Un’amicizia forte non ha bisogno di contatti quotidiani e di una compresenza assidua.

    La breve distanza chilometrica che esisteva tra noi, forse, aveva addirittura aggiunto valore alla nostra consuetudine, certo aveva addolcito il modo di trattarmi che aveva Holmes.

    Amici si diventa, non ci si nasce. Mi sono sempre considerato, durante il periodo della nostra più stretta collaborazione, un valido interlocutore di Holmes, a volte anche un passabile consigliere e infine un amico fedele.

    Accanto a lui e con qualche discreto avviso, più spesso con un avvertimento, più raramente con una ammonizione, tentavo di aiutarlo ad affrontare anche i propri problemi e le proprie, rare, debolezze, come per esempio le iniezioni che in certi periodi si faceva con la soluzione al 7% di cocaina.

    Ricordo che una volta, dato che era squillato il campanello del 221b di Baker Street, mi ero rivolto a Sherlock Holmes chiedendogli se potesse essere un suo amico. Mi rispose al volo che, al di fuori di me, non aveva nessun amico.

    Ora, lontano a far l’apicultore era un po’ più solo e malinconico, specie per l’assenza del figlio, che aveva preferito, a parte i continui viaggi a Londra, vivere a Lione con la madre. Per questo forse mi aveva parlato senza far storie del cognome del fratello Mycroft.

    Né io né lui avevamo la minima idea della tempesta che si stava addensando sulle nostre teste e che ci avrebbe raggiunto mediante una lettera di Damian.

    2. Damian Holmes indaga a casa sua

    Lione, 1916

    Caro zio John,

    ho colto immediatamente il senso del tuo ultimo, spero solo nel senso di più recente, scritto.

    So bene che la guerra incombe e che molti, in Europa, non ne sono al corrente. Immagino che l’avrai inviato anche ai ricchi editori americani, per informare anche il loro pubblico delle mire della Germania.

    Come sai sono cosmopolita e tendenzialmente pacifista; ora, se la guerra non me lo impedisce, vorrei seguire all’università anche i corsi di filosofia. Vorrei approfondire un filosofo americano, ti giuro che ce ne sono!

    John Dewey per esempio è pure ancora vivente, a differenza dei filosofi greci. Il filosofo di cui ti parlo è Charles Sanders Peirce, che è morto da poco, è conosciuto per i suoi contributi, oltre che alla logica anche all’epistemologia. Non sarà grande come Socrate, Platone e Aristotele ma è stato un importante studioso, fondatore del pragmatismo e uno dei padri della moderna semiotica, la teoria del segno, inteso come atto di comunicazione.

    Vorrei farci la tesi.

    Ha scritto che il valore conoscitivo delle ipotesi che si formulano dipende dal grado di predizione che esse dimostrano. Ha una concezione epistemologica che si oppone sia al determinismo positivista, sia al neoidealismo antiscientifico che, in Italia è nato con Benedetto Croce. Parla di indagini, a ben vedere. Così potrò meglio stuzzicare papà e punzecchiarlo, quando lo vado a trovare. Dev’essere colpa dell’età, ma un tale comportamento mi diverte. Credo si tratti di una cosa irrefrenabile per i giovani che stanno per raggiungere la maturità.

    Comunque le indagini sono un vizio di famiglia. E le mie si rivolgono anche in famiglia. Approfitto dell’occasione di questa mia, per informarti di una indagine che ho condotto sulle carte di quella adorata spia che è mia madre, che pure non mi stanco di sfottere e infastidire. Mi ha fatto a lungo da madre e da padre, come sai.

    Riguarda proprio il primo momento in cui Sherlock la conobbe, ai tempi dell’affaire boemo.

    So che lo ricordi perfettamente, come lui, del resto. Lo ha ben collocato nella sua soffitta della memoria.

    Sappiamo ora che era nata nel New Jersey da Elisa Donaldi, il famoso soprano italiano e Alfredus Adler, nel 1858. Aveva cominciato una carriera nel mondo dell’opera cantando come contralto e mezzosoprano. Notasti che aveva attitudine e voce e che si era esibita non solo alla Scala di Milano ma, come primadonna, al Teatro dell’opera di Varsavia. In effetti aveva circa 30 anni quando si era ritirata dalle scene e trasferita a Londra, dove aveva incontrato, senza riconoscerlo mio padre. Poi aveva sposato Godfrey Norton.

    Ti sottolineo che lei ama proprio definirsi contralto-mezzosoprano.

    Con comprensibile riservatezza scrivi della visita che un cliente blasonato e nobile fece a Baker Street la sera del 20 marzo 1888. Quando parli di Wilhelm Gottsreich Sigismond von Ormstein, granduca di Cassel-Felstein, lo definisci sovrano ereditario di Boemia, quando in effetti questo non poteva essere possibile dato che la Boemia faceva parte dell’Impero Austroungarico. Questo passi, ma non facesti cenno, immagino perché né te né Holmes lo sapevate, del fatto che mamma già allora era una spia. Trapela, in qualche modo, quando parli dei suoi rapporti con Mycroft, che ancora, per quanto ne so, pur fra i normali contrasti, continuano.

    Immagino sia stato lui a mandare il granduca a Baker Street. Era da tempo che mia madre si destreggiava in quel mondo sicché il vostro cliente la poteva anche definire la ben nota avventuriera Irene Adler. Racconti che finita la storia d’amore con lui, la Adler aveva conservato una fotografia compromettente di lei col granduca, insieme. E vengo al sodo.

    Il cliente vi rifilò quella storia della sua intenzione di sposare la seconda figlia del re di Scandinavia, altro piccolo errore, stavolta suo, poiché, come la Boemia, la Scandinavia non è mai stata un reame. La Scandinavia, mettilo nella tua soffitta, è sempre stata una regione geografica che comprende i Regni di Svezia, Norvegia e Danimarca. Adesso non dire che son troppo preciso. Il problema del vostro opportunamente impreciso cliente era che il supposto matrimonio avrebbe potuto essere a rischio se la sua storia sentimentale con mamma fosse venuta alla luce. E mio padre avrebbe dovuto procurarsi, a ogni costo, la foto compromettente.

    Il resto lo conosci bene perché mia madre riuscì a mettere nel sacco mio padre; prese poi con sé tutti i suoi tesori e partì assieme al nuovo marito, che per qualche tempo, poi, mi fece da padre. Un patrigno sanza ‘nfamia e sanza lodo, come dice Dante degli ignavi.

    Non mi dilungo, ti faccio solo notare che nessuno di noi aveva mai visto quella compromettente fotografia.

    Sappiamo che se l’era tenuta lei per sua salvaguardia. Voleva avere in mano un’arma che la proteggesse sempre da eventuali azioni che il granduca poteva intraprendere in futuro. Adesso come sai il granduca è morto. Fu un collega medico militare, Aigor lo chiamo, e lo prendo in giro perché deriva il suo nome dal vichingo Ingvar. Lo introdussero in Russia i mercanti vichinghi nel IX secolo e Igor Longo in Russia conosce qualcuno. Roba politica. Comunque fu lui a mettermi la pulce nell’orecchio una sera che parlavamo dopo la fine del turno. Che ne aveva fatto mamma della fotografia? Non credevo se ne fosse liberata, doveva ancora tenerla con sé. Pensare questo e decidere di cercarla fu tutt’uno. Non si può bloccare la strada della ricerca, ha detto il mio filosofo Peirce.

    Ho passato al setaccio tutta la casa, e il suo ufficio da direttrice al Crédit Lyonnais, ma non ho trovato niente.

    Era diventato, nella mia testa, un gioco a chi era più furbo ma lo stava vincendo lei. Aveva battuto d’altra parte anche Sherlock, se ti ricordi.

    Pensavo già a considerare che, esaminati la casa e l’ufficio, dovevo farmi venire in mente una bella fantasia per trovare il nascondiglio nel resto del mondo.

    Poi, mentre prendevamo insieme una colazione americana e versavo lo sciroppo d’acero sulle frittelle lievitate fatte da Margaret, ho avuto un colpo di genio, un insight. Ho capito che solo un Irenologo di grande livello mi avrebbe potuto aiutare… ma conoscevo il più grande Irenologo del mondo, e sono io. Mia madre l’odio e l’amo e poi la studio con attenzione da entomologo, come fosse una colorata e rara farfalla.

    Magari la foto che cercavo mi era passata per le mani e non me ne ero accorto, magari non era una foto di lei col granduca, come immaginavo. Non ce n’erano, in vista, di foto a due. Mi venne in mente però potesse essere, invece, una foto fatta, da lei, al granduca.

    In proposito avevo trovato tra le vecchie cose che collezionava mia madre un’automatique De Bertsch, cioè una pionieristica microcamera-spia, larga un pollice e profonda un pollice e mezzo che era in vendita dal 1861.

    Avevo trovato, con essa, anche l’arma del delitto.

    Non era importante che si fosse servita proprio di quella, mi rivelava che avevo imboccato la strada giusta. Che mi poteva dire la mia profonda conoscenza della mia inconoscibile e ineffabile madre? Che la foto doveva sempre essere per lei a portata di mano e poi che doveva averne fatto delle copie, nel caso distruggessero quella che aveva mostrato e mostrava.

    Se ricordava, come credevo, uno dei tanti capolavori di Edgar Allan Poe, che scrisse il primo racconto poliziesco, non poteva non cogliere le analogie che vi si trovavano con una sua vicenda. Nella Lettera rubata si narrava della sottrazione di una assai compromettente lettera da parte del ministro francese D. (Dupin? Dumas?) al vero destinatario, proprio davanti agli occhi di quest’ultimo che era impossibilitato a opporvisi per la presenza, in loco, di una terza persona, molto altolocata, alla quale tale documento doveva rimanere celato. Poteva essere non una lettera ma una foto. Nel racconto la lettera è mimetizzata, in un luogo visibile a tutti proprio nello studio dove il ministro riceveva i visitatori. La mamma poteva, dopo l’episodio con papà, aver deciso di profittare del genio di Poe e confondere la foto in un mucchio di altre foto comuni, in attesa di sistemazione. C’erano belle foto di lei bambina e ragazza. M’era capitato di trovare nel mucchio disordinato delle sue foto una confezione di una decina di foto, tutte uguali tra loro, tenute insieme da un logoro elastico. Questo mi colpì in maniera sorprendente.

    Davvero, come dice Peirce, tutto ciò che l’esperienza si degna di insegnarci, ce lo insegna per sorpresa. Scusa se cito spesso questo Peirce ma sto studiando le sue opere per la tesi di laurea. Torno alle foto di mamma. Non c’era Irene tra i personaggi rappresentati a tavola e questo ora mi pareva normale, perché doveva essere la mamma che aveva segretamente scattato. Riconobbi invece il granduca Nicola Nikolaevich, un nipote dell’imperatore Nicola I di Russia, che già era comandante in capo dell’Esercito Imperiale Russo, il granduca di Cassel-Felstein, uno sconosciuto sicuramente francese e una persona molto bassa, che poi scoprii essere il giovanissimo erede al trono del Regno d’Italia. Tieniti forte, assieme ad alcune dignitose signore, che erano attrici e ballerine. Riconobbi in posizione intermedia tra la faccia vista di fronte e il profilo, cioè di tre quarti, lo zio, Mycroft. Un po’ più giovane e nient’affatto grasso.

    Nemmeno papà mi ha mai chiarito con precisione quale esatta posizione abbia svolto e svolga all’interno del governo britannico, anche se qualcosa sapeva, visto che si lasciò sfuggire con te, come occasionalmente fosse proprio il governo britannico e l’uomo più indispensabile nel paese, la cui specializzazione era l’onniscienza.

    Ne derivava, a parer mio, che l’oggetto del ricatto di mamma non era né sentimentale né moralistico ma di politica internazionale.

    La soffitta delle conoscenze di papà era, ed è, troppo sguarnita su queste materie. Come sai le sue economie sul sapere non mi hanno mai convinto, sto prendendo un’altra laurea e oltre al tedesco e all’italiano che già padroneggio, sto studiando il russo, il latino e il greco antico. Oltre alla filosofia e alla recente psicoanalisi.

    Studio, per il mio piacere, la storia e la politica e posso dire che in quella foto è nascosta la politica dei giri di valzer della bella Italia e del relativo Regno. Quella espressione (che, se non lo sai, fu coniata dal cancelliere tedesco Von Bülow), faceva riferimento al ruolo di ago della bilancia dell’Italia tra la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa. Il cancelliere affermò che un marito non deve prendersela se una volta tanto la moglie balla con un altro un innocente giro di valzer; l’importante è che non si lasci rapire.

    Come tu almeno saprai le alleanze si profilavano già allora e c’era chi brigava diplomaticamente per aggiungere con un possibile colpo di mano, cui non mi pare estranea la creatività di zio Mycroft, alle potenze della Triplice Intesa, il Regno d’Italia e poi addirittura gli Stati Uniti d’America.

    Da quanto mi hai raccontato sugli appunti di Sherlock Holmes a Monza l’esito delle vostre indagini sulla morte di re Umberto, ha fornito ulteriori decisive munizioni alle pressioni del Governo Inglese. Un segreto da far tremare le vene e i polsi quella foto, specie allora aveva un significato sbalorditivo. Anche perché, come dice papà, tutto ciò che non è noto appare straordinario.

    Ti scriverò ora di un’altra piccola cosa che ho scoperto su mia madre. Leggendo un libro latino, Meminisse iuvabit ci ho trovato la rappresentazione del primo scienziato investigatore che sarebbe stato l’architetto romano Vitruvio, cioè Marco Vitruvio Pollione. Incuriosito sono andato nella fornitissima biblioteca del patrigno Norton e ho trovato un libro su Vitruvio che riportava, al contrario, come Vitruvio stesso invece ritenesse che il primo scienziato investigatore fosse stato Archimede di Siracusa.

    Ed ecco la sorpresa! Accanto a questo brano che parlava di un’indagine di Archimede, Irene, a margine, aveva scarabocchiato a matita Holmes! con la sua riconoscibile calligrafia. Ora ti racconto il pezzo che lei ha annotato facendomi capire come anche mamma fosse stata colpita dalla personalità di papà e dal suo metodo logico scientifico di indagine. Le cerco queste cose. Doveva aver approfondito la componente scientifica del metodo di papà!

    Sai che Sherlock non ama riconoscere precedenti da cui ha imparato o precursori. Dimmi tu, però, se l’indagine di Archimede non è degna di quelle di Holmes! Secondo me la pratica di Archimede anticipa, nel terzo secolo prima di Cristo le indagini che ha fatto Holmes, prima di consegnarsi alle api.. Ti racconto e sintetizzo un brano lunghissimo.

    Il tiranno Ierone aveva seri dubbi che lo avessero imbrogliato. Seccante per un terribile e feroce tiranno! Aveva incaricato un orafo di realizzare una corona tutta d’oro come una specie di ex voto agli dei che lo proteggevano. Aveva consegnato l’oro necessario, ma poi erano arrivate le solite denunce, credo anonime. Insomma lo fecero sospettare che l’artigiano si fosse fregato parte del prezioso metallo sostituendolo con i più economici argento e rame. La corona però era un’opera d’arte bellissima, già consacrata agli dei e Ierone chiese ad Archimede di indagare lasciandola intatta.

    Lo scienziato allora, non ti dico dove, trovò la soluzione e lo fece applicando la scienza e riuscendo a smascherare il truffatore. Fosse stato un omicidio avrebbe scoperto l’assassino. Fece due masse, una d’oro e l’altra d’argento, tutte due dello stesso peso della corona. Poi riempì d’acqua fino all’orlo un vaso e vi pose dentro la massa d’argento. Lo stesso fece con la massa d’oro. Misurò l’acqua che traboccava.

    In altre parole: Archimede misurò il volume di una massa d’oro e di una massa d’argento dal peso uguale a quello della corona; usò la tecnica dell’immersione in acqua delle masse d’oro, d’argento e della corona. Notò poi che, a parità di peso, il volume dell’argento è maggiore di quello dell’oro perché l’argento ha una densità minore dell’oro.

    Quando immerse la corona in acqua, vide che essa spostava un volume d’acqua maggiore di quello spostato dalla massa d’oro dello stesso peso. Aveva trovato. Dunque, la corona aveva un volume maggiore di quanto ne avrebbe avuto se fosse stata tutta d’oro! Come dovevasi dimostrare.

    Così ti ho narrato due mie nuove familiari avventure. Un’altra cosa che mi piacerebbe fare è narrare storie, non solo poliziesche. La narrazione è da sempre stata usata dall’essere umano. È uno strumento importante, serve all’interpretazione della realtà, non solo a rappresentarla, serve a interagire con il mondo sociale nel quale noi esseri umani viviamo. Per fortuna oggi anche la ricerca scientifica mostra di avere riscoperto il senso della pratica umana del narrare. Alcune discipline cui mi interesso, anche per capire qualcosa di me, quali per esempio, l’epistemologia, l’antropologia, la storia appunto, la sociologia, la neuropsichiatria infantile, la psicologia e la psicoanalisi, hanno provato a mettere in luce l’importanza del concetto di narrazione, non solo per assegnare e trasmettere significati, ma per dare forma al disordine delle esperienze. La narrativa è per l’adulto ciò che il gioco è per il bambino ha detto Robert Louis Stevenson.

    Spero di non averti annoiato con le mie forse inutili indagini familiari. Magari è vero che queste ricerche mostrano la mia paura d’essere risucchiato dal ventre di Irene. Un complesso fenomeno della psicoanalisi.

    Ho intenzione di fare qualcosa per la guerra e il meglio che ho trovato è stato arruolarmi come medico militare.

    Complessi o meno ci sono tante cose che vorrei che mio padre mi dicesse; da gentiluomo inglese fa solo intuire le cose, ma come è cominciata la loro relazione, conosco più o meno il tempo, ma dov’erano? Cosa hanno fatto? chi prese l’iniziativa? che emozioni hanno provato? Potrei essere accusato di voyeurismo mentale ma credo di avere qualche diritto di saperne di più sul mio concepimento.

    Comunque ha ragione il dottor Freud, i genitori hanno la parte principale nella vita psichica infantile… le emozioni cui danno origine fanno parte di quella riserva inalienabile di impulsi psichici che si forma quando si è bambini.

    Nel 1914 Freud, in una nota ha detto che nessuna scoperta della ricerca psicoanalitica ha sollevato più aspri contrasti, più fiera opposizione e amene distorsioni da parte dei critici, dell’accenno alle tendenze incestuose infantili, conservate nell’inconscio.

    Con una madre così bella e seducente, probabilmente devo farci i conti anche io. Se mi osservo noto alcuni sintomi. Tutto può nascere forse proprio da un rapporto tutt’altro che risolto con la stupenda avventuriera. Anche l’abitudine a punzecchiare Sherlock dovrebbe dirmi qualcosa. Ti pare o no che mia madre Irene somigli a una attrice del cinema?

    Un caro saluto

    Damian

    3. La Nera Signora

    Londra 1918

    Arrancavo alla stazione Victoria tra la folla di viaggiatori che si muovevano spediti. Ricordavo di aver percorso più volte quella stessa strada per salire sul treno per Eastbourne. Mi toccai la tasca interna della giacca e anche questo mi ricordò quando ero corso da Holmes per portargli una inaspettata lettera di Irene Adler. Le avevano rapito il figlio. Il figlio che avevano avuto insieme.

    Le lettere ora avevano invece come mittente suo figlio Damian che era medico in un ospedale militare della Francia. Mi parevano, nella tasca, più pesanti e in effetti portavano con loro diverse tragedie.

    Non capivo perché Damian spediva le sue lettere dirette al padre a Baker Street, forse alla posta di Eastbourne gliene avevano persa qualcuna. Ogni volta era la stessa Sivajnana, l’infermiera, badante e quant’altro, della signora Hudson, che le riconosceva a colpo d’occhio e me le segnalava.

    Da poco ne erano arrivate tre tutte insieme, con la guerra i servizi postali francesi e inglesi erano davvero molto in crisi.

    Immaginavo che tra un po’ di tempo Holmes le avrebbe lette con tutta l’attenzione di un padre che teme per la vita del figlio. La nostra età vigliacca, l’ho già detto, non ci aveva permesso di partire volontari.

    Ero tornato a vivere nel vecchio appartamento, che fu la base di tante avventure passate, proprio perché Marthe Louise, l’immortale signora Hudson, che ormai non si muoveva dal letto nel suo appartamento al primo piano, aveva sempre più bisogno di assistenza medica e assistenza economica.

    Per quest’ultima, la nostra antica affittacamere non accettava da me che la pigione e io la imbrogliavo tranquillamente, le pagavo tanto che avrei persino potuto comprarci, a rate, l’edificio.

    Del resto dall’America continuavano a giungermi ricchissimi diritti d’autore. C’era un grande interesse per il metodo e le imprese di Holmes. Si erano diffusi addirittura apocrifi delle avventure di Holmes, ora che avevo smesso di fornire i miei testi originali. Spuntavano perfino case editrici specializzate in queste pubblicazioni di nicchia. Ce ne era perfino una italiana, Delos. Li leggevo tutti, molti li delibavo con sufficienza, come quelli che catapultavano Holmes in Russia, in Germania, in Giappone e addirittura in Turchia, alcuni altri li misuravo con piacere.

    Mi piacevano quelli pieni di competenza sul nostro mondo e il metodo di indagine

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