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L' Arte ermetica: Bosch, Brueghel, Dürer, Van Eyck
L' Arte ermetica: Bosch, Brueghel, Dürer, Van Eyck
L' Arte ermetica: Bosch, Brueghel, Dürer, Van Eyck
E-book321 pagine4 ore

L' Arte ermetica: Bosch, Brueghel, Dürer, Van Eyck

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Info su questo ebook

Quattro saggi che formano un unico quartetto su alcuni dei più grandi e misteriosi pittori dell'autunno del Medio Evo: Bosch, Van Eyck, Dürer e Brueghel. Attraverso le loro vite e l'analisi, secondo una lettura della Tradizione ermetica, alchemica e simbolica di quattro opere - Il giardino delle delizie, L'adorazione dell'agnello mistico, Melancolia I e Il trionfo della morte - si scoprono legami che vanno dall'esoterismo alla magia, dalla demonologia alle creature fatate, in un mondo corrusco e tenebroso fatto di incanti e di miti nascosti nelle tavole e nel colore.
Quattro opere pittoriche, a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento, in un universo composto di simboli e realtà arcane e ultraterrene, ma nel contempo reale, ci offrono un affresco approfondito - e in certe occasioni del tutto impensato - che mostra questi pittori come rappresentanti di un esoterismo cristiano spesso in antitesi alla Riforma luterana, ma anche portatori di significati più arcaici; esponenti di un modo di intendere l'arte come espressione di un impegno non soltanto culturare ed estetico, quanto soprattutto metareligioso e sacro.
LinguaItaliano
Data di uscita4 dic 2014
ISBN9788864830278
L' Arte ermetica: Bosch, Brueghel, Dürer, Van Eyck
Autore

Dalmazio Frau

Dalmazio Frau, nato a Roma nel 1963, storico dell'Arte, pittore, illustratore e conferenziere, studioso di miti, simboli ed Ermetismo nelle Tradizioni europee, ha scritto per le Edizioni Simmetria il saggio "Senza arte nè parte. Come evitare l'arte contemporanea e vivere felici".

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    Anteprima del libro

    L' Arte ermetica - Dalmazio Frau

    COPERTINA

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    L’arte ermetica

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    Bosch, van Eyck, Dürer, Brueghel

    Dalmazio Frau

    Prefazione di Claudio Lanzi

    COLLANA

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    Copyright

    L’arte ermetica - Bosch, van Eyck, Dürer, Brueghel

    di Dalmazio Frau

    Prefazione di Claudio Lanzi

    In copertina:

    Lucas Cranach il Vecchio

    Allegoria della malinconia

    1532

    Olio e tempera su legno, 77 × 56 cm

    Musée d’Unterlinden, Colmar

    © 2009 - 2014 by EDIZIONI ARKEIOS Srl

    Tutti i diritti riservati

    ISBN 978-88-6483-027-8

    Prima edizione digitale 2014

    © Copyright 2014 by EDIZIONI ARKEIOS Srl

    Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    www.edizionimediterranee.net

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma

    DEDICA

    A Ines

    che con Amore

    ha sopportato i Grilli, l’Adorazione,

    la Malinconia e il Trionfo

    RINGRAZIAMENTI

    Ringrazio di cuore tutti coloro che mi hanno aiutato

    a comporre questo libro:

    Ines che lo ha, con temperanza, letto, corretto e più volte riletto; Claudio che lo ha graziosamente abbellito di una sapiente

    introduzione e infine, ma non ultimo, a Gianfranco

    che, fiduciosamente, mi ha spinto a scriverlo.

    PREFAZIONE

    L’Arte nasce contemporaneamente alla interrelazione dell’uomo con le sue percezioni, con i suoi sentimenti ma, soprattutto, con il suo stupore, il suo rispetto e la sua meraviglia verso lo svolgersi misterioso e imprevedibile della vita e della morte. La convinzione che un fato, un potere immenso sovrasti, determini, a volte organizzi e altre sconvolga il cammino dell’uomo, fa esplodere il senso trascendente dell’ineffabile.

    Questo timore-amore-rispetto verso il Mistero attraversa le primordiali religiosità animistico-sciamaniche e si organizza e sviluppa in quelle teologicamente più complesse del mondo occidentale e

    orientale.

    Ogni manifestazione dell’Arte nasce perciò come Arte Sacra. Questo vale per il teatro, per la musica, per le arti figurative, per la poesia, secondo quello schema classico che, nel nostro Occidente, è pervenuto quasi indenne fino allo scorso secolo, risentendo di tutte le principali culture europee a partire da quelle greche e romane attraverso quelle egizie, fino a quelle nordiche e mediorientali. Tutte le forme dell’Arte che conosciamo introducono, in concomitanza alla rappresentazione della vicenda umana, un intervento religioso, una necessità e una presenza di ierofanie che modificano e orientano lo svolgersi degli eventi.

    Ciò avviene in poemi grandiosi come l’Iliade o l’Odissea o l’Eneide che, deprivati degli interventi degli dei, delle muse e delle ninfe, contrariamente a quanto improvvidamente affermato da Baricco, perderebbero ogni potere sapienziale, ogni suggerimento metafisico. Il mondo ineffabile, divino, misterioso, magico (che diventa visibile e attraversabile dagli uomini solo in determinate condizioni di coscienza) è una conditio sine qua non per la stessa esistenza dell’Arte Classica.

    Ma per conoscere, attraversare e rappresentare questo mondo è necessaria una scorta sapienziale decisamente imponente. Non se ne fa soltanto un problema di cultura. L’Artista antico (usiamo questo termine in quanto non ci sentiamo di estendere il nome di Artista a quasi nessuno dei moderni che sono stati chiamati artisti dallo stravolgimento semiologico e sociale operato in questi ultimi cento anni) proviene da scholae sapienziali iniziatiche: ha fatto un aspro cammino non solo nelle botteghe dei maestri delle varie arti, ma ha studiato incessantemente l’universo dei simboli religiosi, conosce il linguaggio sacerdotale e ancor più, sia che svolga la sua opera in chiave mistico-devozionale o che si sia avventurato nel mondo magico, conosce il senso dei simboli ermetici.

    Questi Artisti, protetti, coccolati, a volte viziati (e altre perseguitati) dalle corti precedenti il Mille e poi ricercati e pazientemente formati nel Medioevo e infine approdati nel Rinascimento, hanno lasciato libri di pietra nelle loro architetture e nelle loro statue; libri di colore nei loro affreschi, nelle loro tele, nelle loro vetrate; libri di parole e musicalità nei loro poemi. Insomma, l’Arte Classica, con espressioni e modi diversi, canta una grandiosa ode al Creato, ne svela gli arcani, ne mostra le meraviglie e porta l’uomo con l’attenzione degli antichi a riconoscere tale messaggio e a divenirne parte.

    Il libro di Dalmazio Frau sceglie non casualmente fra quattro artisti quasi coevi: Bosch, van Eyck, Dürer e Brueghel. E sceglie un periodo in cui nelle corti europee esisteva ancora la possibilità di accedere per più vie e più scuole a tali dottrine. L’Uomo cercava ancora se stesso coniugando abilità e completa padronanza dei mezzi artistici (techné) e dell’esperienza spirituale; gli dei entravano tranquillamente a gamba tesa nelle vicende terrene degli uomini, fondendo senza alcun problema dottrine pagane e dottrine cristiane.

    Anzi, come si noterà da alcune delle descrizioni di Frau, assai spesso tali commistioni esaltano la comprensione di un mistero, entrano nel dogma e, senza svelarlo, ne offrono una visione simbolica sottile e profondissima. La rappresentazione del sacro e del sovrannaturale diviene immanente nella rappresentazione artistica e ciò accade soprattutto nei quattro artisti scelti da Frau.

    Il pittore può rappresentare eventi che si svolgono in tempi differenti nella stessa tela.

    L’Artista si permette di dipingere l’invisibile a occhi profani, insieme al visibile purché lo faccia rispettando sempre le leggi sottili e rigidissime della rappresentazione ermetica.

    E con tale azione alza un velo sulla trascendenza, scopre in parte le nudità di Diana, e nell’icona sia colui che guarda come colui che dipinge diventano protagonisti di uno spettacolo che altrimenti resterebbe completamente occulto. È un gesto caritatevole, che si svolge per chi ha occhi per guardare e orecchie per intendere.

    Ovviamente se tutto ciò viene stravolto in una logica esclusivamente intellettuale, solipsista, autoreferente e brutalmente vanagloriosa, come oggi accade nell’arte, l’Opera ineffabile scompare, i simboli si mortificano dietro i colori e non riconoscono più l’ordine e la disciplina; la schola viene distrutta… e la sacralità affoga nel profano e nel laico, che tutto sommerge e inquina.

    Claudio Lanzi

    QUARTETTO D’AUTUNNO

    Di saggi più o meno orientati sui significati ermetico-alchemici e magici contenuti nelle opere d’arte ne esistono molteplici.

    L’idea che sta alla base di questa mia piccola opera è l’analisi di quattro artisti che possono essere giustamente considerati tra i più importanti nell’ambito di quel particolarissimo e irripetibile momento che furono i secoli XV e XVI in Europa.

    È il periodo che è stato felicemente definito da J. Huizinga l’autunno del Medioevo e in realtà esso è tale per bellezza di colori dorati e purpurei e per quella dolce malinconia che portano con loro le sere d’ottobre.

    Il cielo è terso, il freddo annuncia il prossimo inverno ma le stelle risultano essere più brillanti nella notte. Così è per l’arte in quegli anni, profondamente informata dalle dottrine neoplatoniche, dalla riscoperta dell’antica sapienza mediterranea e mediorientale che, non persasi nel Medioevo, adesso si fa più forte e abbagliante nello splendore del Rinascimento.

    È questo un quartetto, perché composto da quattro studi, dei quali il primo su Hieronymus Bosch e i suoi mondi abitati da fantastiche creature; il secondo su Jan van Eyck, mistico pittore sospeso tra due periodi ma in perenne ricerca di un Graal che è tutto e di più; poi l’Opera al Nero di Albrecht Dürer, cavaliere malinconico di spettri e ombre; per concludersi con il trionfo del macabro, dipinto da Pieter Brueghel.

    Sono tutti e quattro artisti avvezzi al mondo magico e misterioso della Cabala, della Teurgia, della Demonologia, dell’ermetismo più raffinato e della Ricerca Alchemica. Ognuno con la propria cifra, personalità, natura e percorso; tutti pellegrini di quel viaggio verso l’Assoluto che si compie nelle vie del mondo, ma soprattutto nell’interno del proprio cuore.

    Restano velati tutti i loro misteri mentre, da qualche squarcio, a volte traspare una nuova luce che forse illumina un aspetto prima poco considerato di certe opere anche molto note al vasto pubblico.

    Non ho voluto riferirmi a esperti né agli addetti ai lavori, ma a coloro che hanno ancora gli intelletti sani.

    È questo libro un tentativo di guardare i dipinti di quattro artisti senza pregiudizi o preconcetti di qualsiasi sorta, compresi quelli a volte cristallizzati di una certa ricerca del simbolo in campo tradizionale.

    Quattro pittori che suonano insieme ognuno la propria partitura e il proprio strumento, ognuno temperato a suo modo e accordato però in modo tale da fornire, insieme con gli altri, una piccola sinfonia, un concerto poliedrico che si nutre della stessa trama dei sogni ma anche della realtà superiore dell’essere.

    Dalmazio Frau

    1. IL REGNO MILLENARIO

    Ma questa è la notte dei Santi

    e tu mi puoi ancora salvare,

    ché passa il corteo delle fate:

    devi a un incrocio aspettare.

    La ballata di Tam Lin

    Hieronymus Bosch¹ è un artista difficile, sicuramente ermetico, che si fa beffa di tutte quelle interpretazioni che gli storici e gli studiosi hanno cercato di attribuirgli in tanti anni. Hieronymus porta in scena proverbi popolari, indovinelli e allegorie raffinatissime che si fatica a decrittare. Sono immagini di un mondo diverso dal nostro, quello che è stato chiamato dell’autunno del Medioevo. Nello stesso tempo, pur appartenendo già, ma non ancora, al primo Cinquecento, Bosch rivela un’anima medievale pienamente gotica e, grazie all’uso sapiente dei simboli, ha così accesso all’intero immaginario religioso e metafisico, riuscendo a esprimerlo con forme e colori tali che le intuizioni più profonde poterono subito propagarsi nella coscienza dell’ineffabile.

    Sicuramente dopo una fase di apprendistato, Bosch avvia la propria produzione pittorica all’interno della bottega famigliare e altrettanto certamente possiamo dire che la scomparsa del noto predicatore dominicano Alain de la Roche² lascia profonda traccia nelle sue opere. Nei suoi sermoni il frate abbondava di animali simbolo del peccato, di orridi attributi sessuali, di meretrici antropofaghe e di ogni altra specie di suggestione demoniaca tipica del tempo.

    In un visionario come Alain de la Roche prevale l’elemento estetico ma non disgiunto anche da una profonda conoscenza del simbolo e soprattutto del numero. Doveva infatti avere cognizione di un sistema profondamente legato alla numerologia perché il ciclo di preghiere della Confraternita del Rosario di cui faceva parte comprende centocinquanta Ave Maria alternate a quindici Pater Noster. Dove i Pater sono le quindici stazioni della Passione e le Ave Maria rappresentano i Salmi. Moltiplicando poi le undici sfere celesti più i quattro elementi per le dieci categorie, "substantia, qualitas, quantitas ecc., si ottengono così centocinquanta habitudines naturales e altrettante habitudines morales moltiplicando i dieci comandamenti con le quindici Virtù: le tre teologali, le quattro cardinali e le sette capitali fanno quattordici; restant duae: religio et puenitentia", ma temperantia, la virtù cardinale, equivale ad abstinentia e a volte anche a fortitudo. Ognuna delle quindici Virtù è come una regina che abbia il proprio letto nuziale in una delle parti del Pater Noster. Ogni parola dell’Ave Maria significa anche una delle quindici perfezioni della Vergine, e nel contempo una pietra preziosa della "rupis angelica" che Ella è; ogni parola allontana un peccato o l’animale che simbolicamente lo raffigura. Esse sono inoltre i rami di un albero colmo di frutti sul quale siedono tutti gli Angeli e i Beati e i gradini di una scala. Così, per esempio, la parola Ave significa l’innocenza di Maria e il diamante che scaccia l’orgoglio che ha come animale simbolico il leone. La parola Maria è la sua sapienza e il carbonchio e scaccia l’invidia raffigurata con le sembianze di un cane nero. Alain mostra nelle sue visioni le orride sembianze degli animali icona del peccato e gli smaglianti colori delle pietre preziose, il cui ben noto potere miracoloso risveglia nuove associazioni simboliche. La sardonice è nera, rossa e bianca così come la Vergine Maria era nera nell’umiltà, rossa nella sua sofferenza e bianca nella gloria e nella grazia. Tale pietra usata come sigillo non aderisce alla cera e in tal modo significa la virtù dell’onestà, allontana la lascivia e rende casti. La perla è la parola gratia e anche la grazia di Maria; essa nasce dalla conchiglia di mare fecondata dalla rugiada del Cielo "sine ad mixtione cuiusqunque seminis propagationis"³. Maria stessa è la conchiglia. Qui si rivela in pieno il carattere caleidoscopico del simbolismo che reca con sé al suo interno manifeste, e nel contempo occulte, le dottrine pitagoriche trasfuse poi nel Cristianesimo, nella glittica e nei lapidari medievali nonché nei salteri.

    Saranno proprio tali immagini altamente evocative con i loro colori corruschi tratte da questi sermoni a impressionare il pittore, così come anche la pubblicazione in medio neerlandese della Leggenda aurea⁴ di Jacopo da Varagine influenzerà i suoi dipinti.

    Il padre, alla sua morte nel 1478, lascia la direzione della bottega al fratello di Hieronymus. Nello stesso anno l’artista sposa Aleyt Goyaerts van der Meervenne, di famiglia ricca e rispettata, e l’attenta attività di amministratore dei beni giuntigli con il matrimonio gli permetterà, nella sua carriera di pittore, di accontentarsi spesso di semplici rimborsi spese per le sue opere. Nel 1486 entra nella Confraternita della Nostra Diletta Signora⁵, una congregazione dedita a opere di carità e all’allestimento di spettacoli religiosi con musici e danze, di cui diviene poi notabile, riconoscimento che sancisce definitivamente la sua ascesa sociale.

    Fatto questo eccezionale per una persona tanto giovane in quanto era l’unico pittore giurato della Confraternita, cosa che potrebbe anche indicare come egli avesse ricevuto una diversa e più profonda educazione intellettuale. I principali patroni di Bosch si trovano principalmente tra i membri della Confraternita. Amici influenti che lo aiutarono anche a crearsi una lauta clientela fra i ricchi borghesi sia spagnoli, sia fiamminghi. Il suo successo in vita fu così in parte dovuto al fatto che molti umanisti della sua epoca fossero interessati da ciò che era metafisico e occulto. Questo ambiente, quasi esclusivamente aristocratico, era però tutt’altro che convenzionale. I suoi membri erano influenzati soprattutto dal neoplatonismo nato in Italia e fiorito nei decenni precedenti piuttosto che da una qualsivoglia ossessione religiosa di tipo apocalittico.

    Fra il 1489 e il 1492 lavora alla pala d’altare per la cappella della Confraternita della Nostra Diletta Signora nella cattedrale, ed esegue probabilmente anche L’andata al Calvario, La morte dell’avaro e La nave dei folli. Negli anni successivi continua a dipingere per la cappella della Confraternita, creando i disegni per le vetrate. Dal 1499 e per i successivi tre anni non si hanno notizie del pittore nella sua città natale s’Hertogenbosch. Questa assenza e la conseguente presenza di alcune sue opere a Venezia hanno portato alcuni a ipotizzare un suo soggiorno nella Serenissima nei primi anni del Cinquecento. Nel 1504 Filippo il Bello, che ha conosciuto Bosch nel 1496, gli commissiona una tavola con un Giudizio Universale, identificabile forse con il Trittico del Giudizio Finale di Vienna o con il frammentario Giudizio Finale di Monaco. L’attività del pittore diviene sempre più intensa: fra il 1505 e il 1510 fornisce disegni per decorazioni e modelli sempre per l’arricchimento della cappella della Confraternita e porta a compimento alcune fra le sue opere più note: il Trittico degli eremiti di Venezia, il Trittico delle tentazioni di Lisbona, e ancora Le tentazioni di Sant’Antonio, custodite attualmente al Prado. Nel 1515 probabilmente lavora alla Salita al Calvario di Gand, una delle ultime opere certe. Non si conosce la data esatta della sua morte, ma sempre dai registri della Confraternita sappiamo che il 9 agosto 1516, nella cappella della cattedrale, si svolgono i suoi funerali. 

    Le credenze religiose di Bosch sono misteriose quasi quanto il significato delle sue opere. L’unica cosa certa è che la città in cui visse era il luogo in cui s’incrociavano correnti spirituali molto diverse fra loro: dalla Confraternita della Nostra Diletta Signora cattolica, alla setta ereticale dei Fratelli e Sorelle del Libero Spirito, anche detti Adamiti⁶. Se egli fu un devoto, un bigotto oppure un visionario fanatico dunque non lo possiamo dire con assoluta certezza, ma possiamo dedurre alcuni elementi che, dalle sue opere, ci inducono a pensare come fosse certamente a conoscenza di elementi ermetici e simbolici di altissima Sapienza.

    È storicamente certa la forte presenza, nella regione in cui Hieromymus visse, del Movimento della Devozione Moderna⁷, che ebbe come interprete maggiore Tommaso da Kempis⁸, un modello di ispirazione essenica, del quale Bosch entrò ben presto a far parte, come comprovato da numerose sue opere. L’appartenenza di Bosch alle due confraternite farebbe presumere la sua vicinanza alle modalità tipiche del Cristianesimo delle origini. Sin dal tempo di Gioacchino da Fiore fino a Ruggero Bacone e a Giorgione forse in Europa era già esistente e radicata un’altra sorta di Confraternita che, solo successivamente, con Johan Valentin Andreae⁹, prese il nome di Rosa+Croce. Non possediamo alcuna prova sicura dell’eventuale appartenenza di Hieronymus a tale fraternità esoterica, tuttavia alcuni elementi simbolici tra i suoi dipinti ci porterebbero a non farla escludere del tutto.

    Si è ipotizzato¹⁰ che il pittore appartenesse anche alla setta dei Fratelli e sorelle del Libero Spirito, ma è altamente improbabile che Bosch potesse essere un loro adepto in quanto le sue opere venivano commissionate da enti religiosi controllati dalla curia locale e dalle massime autorità religiose sotto il diretto controllo di Roma e dunque del Sommo Pontefice. Le simbologie alchemiche ed ermetiche che sono presenti nei suoi dipinti fanno parte anche dell’immaginario tardomedioevale, almeno nel loro aspetto più esteriore e comune, quindi tali da non prestare il fianco a un’eventuale accusa di eresia o apostasia.

    Hieronymus Bosch vive ancora in un mondo feudale e nordico che aspetta la fine del mondo, dove l’uomo è circondato realmente da demoni e altre creature degli inferi ai quali deve resistere affinché la sua carne non sia torturata poi nell’Inferno. Egli tuttavia, pur essendo credente, evita le estremizzazioni fanatiche della religione e gli aspetti ingenui del fideismo popolare arrivando sovente a scherzare con essi.

    Pienamente consapevole che le miserie umane sono causate dall’ignoranza e dalla cupidigia, dalla diserzione dell’uomo dalle virtù e dalla sua volontaria adesione al male, l’artista non cessa di descriverle pittoricamente con ironia e silente compassione per la fragilità umana.

    Gli scenari infernali da lui dipinti avevano probabilmente anche – ma non soltanto – una funzione catartica. Dinanzi agli orrori della guerra, della povertà e della malattia, egli riporta un ordine morale e soprattutto spirituale, che all’esterno non trovava forse più. Bosch fa questo utilizzando il materiale simbolico e dunque anche fantastico proprio della sua epoca e del suo contesto geografico, dimostrando così a noi che lo guardiamo a distanza di mezzo millennio che quando il senso di una società decade, l’arte può conservare il segno della dignità dell’uomo, la sua ricerca di luce e di verità, di un significato che venga dall’interno, dall’Anima e dall’Alto.

    La capacità visionaria, l’immaginazione plastica di Hieronymus, ha indotto qualche critico poco edotto a sospettare che usasse sostanze stupefacenti per favorirne la psichedelia ante litteram. È da ritenersi tuttavia difficilmente credibile tale ipotesi dato non soltanto l’ambiente religioso in cui l’artista viveva, ma anche quello storico sociale¹¹.

    Per un uomo del XV secolo, nei paesi nordici o nell’assolato mediterraneo, il Paradiso Terrestre, il mondo delle Fate e delle Ninfe nei quali l’uomo e le creature ultraterrene vivevano serenamente e in accordo con la natura come nel Regno del Prete Gianni, e l’Inferno sono tutte realtà parimenti esistenti e incontrovertibili.

    Il fantastico, i reami del sogno, di Faerie, le cosiddette Terre degli Elfi esistono tacitamente ancora e fanno parte, seppur separate da un velo sottile, del mondo dell’uomo del Quattrocento e del Cinquecento. La Terra è contemporaneamente sfiorata dal Cielo e dall’Abisso, ma anche da un Regno Intermedio che non è né l’uno, né l’altro.

    Questo è ciò che Bosch, forse per primo, ha il coraggio di rendere manifesto in alcune sue opere.

    Johan Huizinga, trattando di questo particolare momento storico, scrive:

    Una sensazione generale di catastrofe imminente incombe su tutti. Un pericolo perpetuo pervade tutto il mondo [...] Il senso d’insicurezza generale che era causato da guerre che tendevano ad assumere forme croniche, dalla minaccia costante delle classi pericolose, dalla sfiducia nella giustizia, era ulteriormente aggravato dall’ossessione dell’arrivo della fine del mondo, e dalla paura dell’inferno, di stregoni e di diavoli [...] Ovunque insorgono le fiamme dell’odio e l’ingiustizia regna. Satana si estende su una terra oscura con le sue cupe ali¹².

    La promessa di salvezza e di vita eterna esiste ancora nelle Fiandre del tardo Quattrocento, ma in realtà la prospettiva apocalittica del periodo era decisamente virata nei toni del nero.

    Da un punto di vista stilistico, l’arte di Hieronymus Bosch non sembra appartenere né a quell’arte medievale, né a quella rinascimentale così come le pensiamo. Nonostante il suo carattere apparentemente irrazionale e folle, tuttavia la sua è, sempre e soltanto, una rappresentazione fedele del mondo in cui viveva con la sua gente. È l’arte di un periodo di transizione: l’età del declino del feudalesimo e della nascita del capitalismo e della borghesia in procinto di mettere in discussione il vecchio ordine e di rivendicare i loro propri presunti diritti.

    Il vecchio mondo del Medioevo, con le sue solide fondamenta nella fede, si va frantumando e il sistema di credenze religiose che aveva regnato per mille anni è in crisi.

    È ormai un mondo impazzito quello in cui Bosch dipinge, un mondo che è mortalmente malato e che non è in grado di trovare una cura per i suoi mali.

    Il XV secolo ha visto gli ultimi massacri della guerra dei Cent’anni e la caduta di Costantinopoli sotto la mezzaluna turca. La vita degli uomini e delle donne è costantemente minacciata dalla violenza e dalla morte. E a milioni sono morti a causa della Peste Nera anni addietro, e la dissoluzione dell’ordine sociale ha portato a un’epidemia di furti, rapine e illegalità generale e diffusa soprattutto nelle regioni di confine.

    Città come s’Hertogenbosch erano piene di forche e patiboli. In quell’epoca di violenza brutale e talvolta casuale, la morte era un compagno costante e riconoscibile. La sua immagine di scheletro ghignante che danza era visibile in molte chiese e camposanti. La progressiva disintegrazione del feudalesimo, accompagnata da ogni sorta di sconvolgimenti sociali, ha creato nuove povertà: contadini senza terra, puttane e mendicanti, ambulanti e prestigiatori, soldati sbandati e rapinatori che avrebbero tagliato una gola per pochi centesimi. In Germania, molti dei nobili feudali diventano baroni briganti che depredano i contadini e i mercanti di passaggio. Tutti questi tipi di relitti sociali vengono rappresentati nei dipinti del maestro di Bois le Duc.

    La pestilenza, che decimò l’Europa nel XIV secolo, aveva spazzato via almeno un terzo della popolazione, seguita da una carestia che ne uccise molti altri. Ciò che Hieronymus poteva vedere intorno a sé era un mondo di tenebre. Una credenza popolare allora in voga diceva che l’Apocalisse – regolarmente come ogni apocalisse – sarebbe iniziata nell’Anno del Signore 1500. L’Inferno era proprio dietro l’angolo, ancor più che sulla terra e, per la maggior parte dell’umanità, non vi era alcuna possibilità di redenzione.

    Era evidente a chiunque, tra i coevi dell’artista, che il vecchio mondo fosse in uno stato di degrado rapido e irrimediabile. Uomini e donne erano lacerati da tendenze contraddittorie. Le loro credenze erano state distrutte e d’un tratto si erano trovati gettati in un luogo gelido e ostile quanto incomprensibile e che fino a poco prima era il ventre

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