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Un posto per morire: Un'indagine di Teresa Maritano
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Un posto per morire: Un'indagine di Teresa Maritano
E-book254 pagine4 ore

Un posto per morire: Un'indagine di Teresa Maritano

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Info su questo ebook

Il capitano Alberto Terracini è morto in montagna a causa di un incidente e ha lasciato in eredità un rustico a Ormea a Teresa Maritano, l’ex moglie. I loro rapporti non erano buoni, tutt’altro: Tea rifiuta di approfondire i motivi della decisione del suo ex e di andare al rustico. Ma quando, alcuni giorni dopo, a Genova viene ucciso, con un colpo d’arma da fuoco alla nuca, il capitano Massimo Urso, Max, amico e commilitone di Alberto, si reca a Ormea, al rustico. Prima di essere una barista, Tea era un ottimo ispettore di polizia e ora cerca risposte a domande che neppure sa come porsi; trova tracce che non la convincono. In realtà vorrebbe capire il vero motivo di un’eredità così inaspettata; quel rustico doveva essere lasciato non a lei, ma a Max, perché i due militari erano molto più che amici. Scoprire la verità sul loro rapporto era stata la causa della fine tumultuosa del suo matrimonio e di un difficile divorzio. Quando Tea si rende conto che le indagini a Genova non hanno fatto neppure un passo avanti, decide di andare a raccontare quello che sa sul legame fra i due capitani e a mostrare le strane tracce trovate a Ormea. E darà inizio a una strana indagine anche sul proprio passato perché dovrà incontrare di nuovo altri uomini che hanno segnato la sua vita.

Maria Masella è nata a Genova. Ha partecipato varie volte al Mystfest di Cattolica ed è stata premiata in due edizioni (1987 e 1988). Ha pubblicato una raccolta di racconti – Non son chi fui – con Solfanelli e un’altra – Trappole – con la Clessidra. Sempre con la Clessidra è uscito nel 1999 il romanzo poliziesco Per sapere la verità. La Giuria del XXVIII Premio “Gran Giallo Città di Cattolica” (edizione 2001) ha segnalato un suo racconto La parabola dei ciechi, inserito successivamente nell’antologia Liguria in giallo e nero (Fratelli Frilli Editori, 2006). Ha scritto articoli e racconti sulla rivista “Marea”. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Morte a domicilio (2002), Il dubbio (2004), La segreta causa (2005), Il cartomante di via Venti (2005), Giorni contati (2006), Mariani. Il caso cuorenero (2006), Io so L’enigma di Mariani (2007), Primo (2008), Ultima chiamata per Mariani (2009), Mariani e il caso irrisolto (2010), Recita per Mariani (2011), Per sapere la verità (2012), Celtique (2012, terzo classificato al Premio Azzeccagarbugli 2013), Mariani allo specchio (2013), Mariani e le mezze verità (2014), Mariani e le porte chiuse (2015), Testimone. Sette indagini per Antonio Mariani (2016), Mariani e il peso della colpa (2016), Mariani e la cagna (2017) Mariani e le parole taciute (2018), Matematiche certezze (2019 scritto a quattro mani con lo scrittore Rocco Ballacchino), Mariani e le giuste scelte (2019), Mariani e le ferite del passato (2020), Nessun ricordo muore (2017), Vittime e delitti (2018) e Le porte della notte (2019) questi ultimi tre con protagonista la coppia Teresa Maritano e Marco Ardini. Per Corbaccio ha pubblicato Belle sceme! (2009). Per Rizzoli, nella collana youfeel, sono usciti Il cliente (2014), La preda (2014) e Il tesoro del melograno (2016). Morte a domicilio e Il dubbio sono stati pubblicati in Germania dalla Goldmann. Nel 2015 le è stato conferito il premio “La Vie en Rose”. 2018, terza classificata alla prima edizione del Premio EWWA. Premio Tigulliana, 2019. Premio alla carriera La Quercia del Myr, 2020.
LinguaItaliano
Data di uscita25 mar 2021
ISBN9788869435201
Un posto per morire: Un'indagine di Teresa Maritano

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    Un posto per morire - Maria Masella

    CAPITOLO 1

    Lunedì 19 ottobre

    La vita quotidiana ha ripreso il suo ritmo, devo tenere aperto il bar che mi dà da vivere e smettere di pensare a Paola che avevo in affido e non voleva più essere chiamata Paoletta. La figlia che mi è stata tolta, ad agosto.

    Ringrazio la necessità di lavorare perché mi aiuta a reggere la tensione di ricordi che speravo accantonati e invece è bastato un niente per ravvivarli. Un tempo li avrebbero detti braci sotto la cenere.

    Invece da giovedì 8 ottobre tenerli a bada è sempre più difficile. Non è bastato chiudere in un cassetto la copia del maledetto testamento, non è bastato perché continuo a sentire la voce del notaio nel suo ufficio di via Roma.

    – Sì, signora Maritano, il testamento che mi è stato inoltrato dal notaio di Fossano è valido e non c’è alcun dubbio sulla volontà del defunto di lasciarle in eredità una casa sita in una frazione del comune di Ormea.

    Forse aveva frainteso la mia espressione perplessa perché aveva aggiunto che Ormea era in provincia di Cuneo.

    – So dove è. Ma non capisco perché abbia lasciato a me una sua proprietà.

    Si era stretto nelle spalle. – Il collega di Fossano è un notaio, il suo compito è registrare e autenticare le volontà di un cliente, non indagare sulle motivazioni delle sue scelte.

    – Non la voglio.

    – Mi faccia sapere, signora Maritano. A quanto risulta non è gravata da ipoteche.

    L’avevo interrotto. – Non è quello il problema.

    – Il defunto aveva previsto la sua resistenza ad accettarla. Aveva chiesto di riferirle quanto ci tenesse. Desiderava che proprio lei avesse quella casa di montagna.

    Il notaio aveva posato un mazzo sulla scrivania.

    – Non ho ancora deciso se accettare.

    – Dovrebbe prenderle e valutare con calma.

    Le avevo prese e le avevo lasciate, con la copia del testamento, nel cassetto in cui tenevo bollette e ricevute dei pagamenti.

    Andando a Ormea per il funerale, avevo portato le chiavi con me, ma ero ripartita senza salire a vederla.

    Forse l’avrei fatto, se non fosse arrivato chi non desideravo incontrare. C’era freddo, il cielo era diventato scuro di colpo, eppure so che era stata l’ombra a raggelarmi. Avevo alzato gli occhi e l’avevo visto, subito avevo chinato il viso. Sperando che se ne andasse.

    – Sei venuta, Teresa… – Un’esitazione. – Posso chiamarti così, vero?

    – No, per lei sono la signora Maritano, niente di più e niente di meno.

    – Avrei bisogno di parlarle, signora Maritano.

    – E io no.

    Mi ero alzata di slancio, stringendomi nel giubbotto troppo leggero, e l’avevo abbandonato davanti a quella grotta con altare incuneato fra stalattiti e stalagmiti fasulle, ma la sua voce mi era corsa dietro: – Le voleva bene, signora Maritano.

    Merda. Merda e dannazione.

    Anche quella voce avevo chiuso nel cassetto, insieme a chiavi e copia del testamento. Avevo cercato di farla stare zitta e c’ero quasi riuscita. Nella mia vita avevo fatto pratica nell’arte del dimenticare.

    Nonostante lui, insistente, fosse arrivato venerdì mattina, 16 ottobre, al mio bar di piazza Manzoni. Non ero sola, c’era anche Sara. Lui aveva ordinato un tè verde, l’aveva dolcificato con il miele. Nel suo viso, chiazzato di rosso e insieme pallido, c’erano i segni di una sofferenza che non trovava pace.

    Pagando aveva ripetuto di avere bisogno di parlarmi.

    E io avevo detto di no.

    L’avevo tenuto d’occhio controllando che se ne fosse andato. Era andato via, con mio sollievo. Un bel via definitivo confermato dai telegiornali di sabato pomeriggio, sabato 17 ottobre.

    I clienti gradivano avere a disposizione i quotidiani e la televisione accesa; io continuavo a rimettere in ordine pagine stampate e cincischiate e lavoravo con il brusio di pubblicità menzognere in sottofondo.

    E notiziari.

    Ucciso intorno alle due in salita ai Terrapieni che è poco lontano da qui. Si scavalca il Bisagno su Ponte Castelfidardo, poi si va verso nord. Salita ai Terrapieni è sulla sinistra, sopra via Canevari. Colpo di pistola.

    Da sabato pomeriggio, alla voce del notaio che mi leggeva e illustrava il testamento, si è aggiunta quella di un uomo a cui hanno sparato.

    Avrei bisogno di parlarle, signora Maritano.

    In una vita precedente sono stata un ispettore di polizia, anche piuttosto brava. Troppo, perché avevo scoperto quello che non dovevo e mi avevano spinta alle dimissioni perché certi coperchi non si dovevano sollevare, perché la pretesa di rivelare l’intera verità, sempre e comunque, era, appunto, un’infantile pretesa, inconcepibile fra adulti ragionevoli.

    Preparo caffè e cappuccini, sistemo strisce di focaccia e brioche negli espositori… E valuto le opzioni.

    La prima, in assoluto la migliore, è metterci una pietra sopra, dimenticare, informare il notaio che recuso il lascito. Rendergli le chiavi perché sono persona educata e conosco le buone maniere che mi sono state inculcate quando ero bambina e adolescente. Eventualmente spedirgliele.

    Forse riuscirei a farlo se non avessi sentito dell’uccisione in salita ai Terrapieni.

    Ma ero un ispettore di polizia e fatico a scrostarmi di dosso la necessità di indagare. Di sapere la verità.

    CAPITOLO 2

    Sabato 24 ottobre

    Ieri ho seguito i notiziari e letto gli articoli dei quotidiani: le indagini non hanno fatto passi avanti. Ho preso una decisione. Ho chiesto a Sara se per oggi sarebbe stata libera.

    – Sì.

    – Mi prendo un giorno di riposo.

    – Uno stacco ti farà bene, Tea – e nel suo sguardo leggo una pietà che mi fa altro male.

    Paola sarebbe stata entusiasta per la vacanza perché fino a pochi anni fa viaggiare era qualcosa di molto raro. Come ridere, scherzare, giocare con gli amichetti. Le sarebbe piaciuto il percorso fino a Savona, costeggiando il mare illuminato dal sole, ma ancora di più il tratto fino a Ceva.

    Da Ceva a Ormea avrebbe continuato a indicarmi alberi, case e mucche. Vorrei sapere dove è, come sta. Secondo loro, si abituerà più facilmente se non avrà rapporti con me, anche se per due anni abbondanti sono stata sua madre. Aveva cominciato a chiamarmi mamma quando me l’hanno portata via.

    Non devo pensare a Paola. Il percorso della mia vita è segnato da porte sbarrate che chiudono ricordi da tenere lontani, nascosti anche a me stessa.

    I chilometri dal centro di Ormea alla frazione in cui è il rustico sono pochi ma brutti e non so cosa troverò.

    Tornanti. La strada è asfaltata, ma molto rovinata nelle posizioni più esposte. Si sale e il panorama si apre. Pur non volendolo colgo la bellezza della valle: le vette sono scabre contro l’azzurro del cielo e i colori ancora dorati dell’autunno riscaldano le ombre.

    All’esterno è poco più di un rustico: pietre vive, imposte di legno massiccio. Lo slargo pianeggiante è comodo per fare manovra. Una panca di legno appena sbozzato è addossata alla parete: posizione perfetta per ammirare il panorama stando ben riparati dal vento. Fermo l’auto, controllo di aver tirato il freno a mano.

    Prendo dalla tasca il mazzo di chiavi, apro. L’interruttore è ben visibile e in comoda posizione alla sinistra della porta. Accendo. Rustico, non finto rustico da riviste di arredamento. Lavello di marmo, cucina a gas, con la bombola. Frigorifero. Tavolo e due panche sui lati lunghi. Camino in pietra e due poltrone vecchiotte. Una porta, un piccolo disimpegno che serve due camere e un bagno con lavabo, doccia e wc. Una lavatrice.

    Niente foto, niente disegni, nessuna traccia della loro verità.

    Mi prudono le mani per la voglia di perquisire, ma esco. Dallo spiazzo guardo la valle. Addossata al muro esterno e riparata dal tetto c’è la panca di legno.

    Mi siedo, accendo una sigaretta. Avevo smesso, per non farle subire il fumo passivo: ho ripreso. Creperò e non me ne frega un cazzo. Vorrei essere morta l’attimo prima che mi dicessero che l’avrebbero sistemata in una comunità, in attesa di una possibile adozione. Perché avevano rinunciato a individuare dei consanguinei che potessero occuparsi di lei. Sapevo che era un affido temporaneo, ma non avevo mai voluto pensarci.

    Sono venuta e non so perché. Quando avevo lasciato Genova, avevo un certo slancio che si è esaurito. Dal thermos mi sono versata un caffè, poi ho acceso un’altra sigaretta. C’è una gran pace quassù, ma so che certe paci sono illusorie perché la guerra ce la portiamo dentro. Anche lui deve essere venuto qui in cerca di pace. Mi chiedo se l’abbia trovata. È morto e dei morti non si parla male, ma non so se l’ho perdonato abbastanza da augurarmi che sia così.

    Spengo con cura la cicca, la ripongo nel pacchetto ormai vuoto. Non posso più rinviare. Entro, spalanco le imposte e lascio aperta anche la porta. Non so quante perquisizioni ho fatto in vita mia, ma questa ha qualcosa di imbarazzante, perché qui non abitava un estraneo.

    Non ci ho impiegato molto. Tutto è perfettamente pulito e lustrato, ma non mi stupisco perché è sempre stato fanatico per la pulizia.

    Nessun giornale recente. I libri, pochi, sono tutti guide della zona. Sì, non era tipo da romanzi e gli piaceva camminare.

    – C’è nessuno? – una voce di donna. L’accento piemontese è pronunciato, ma c’è un pizzico di rivierasco, perché questa è valle di frontiera fra il Cuneese e la Riviera di Ponente.

    Ero tanto presa dalla perquisizione che non l’ho sentita arrivare.

    Esco e ho di fronte una donna non alta, ma robusta. Vestita con panni rustici e pesanti. Resto in silenzio ed è lei a fare il primo passo, porgendo la mano: – Rosa Giraudo. – Indica il fondovalle. – Abito qui sotto, ho notato che era aperto e sono passata a vedere. Qui siamo isolati e ci si dà una mano. Abbiamo saputo dell’incidente… Siamo anche andati al funerale. – Ha un cestino e me lo porge. – Le ho portato qualcosa. Qui si usa.

    Se non fossi stata concentrata sul pensiero di Paola, forse avrei notato la casa a cui la donna si è riferita. – Grazie, signora Giraudo. – Potrei entrare, vuotare il cestino e renderlo, ma lei sembra persona attenta. – Venga. – E la precedo all’interno.

    Da come si è mossa nei pochi passi dopo la soglia per posare il cestino sulla tavola direi che è pratica di questo rustico. – Mi scusi, non mi sono presentata. Teresa Maritano.

    – Era un suo parente? – mentre toglie dal cestino una forma di pane, del formaggio e un sacchetto. – Meliga, biscotti di meliga. Gli piacevano tanto, pover’uomo. Anche le pere. Pere della valle.

    – Grazie. – Esito e scelgo la versione meno vera e più semplice. – Sì, parenti. Acquisiti.

    – Noi si veniva qui a tenere in ordine, anche se era così preciso e pulito che era solo per controllare se neve e pioggia avevano fatto danni.

    – Sì, era davvero ordinato. Ma si accomodi. – Non per cortesia ma perché è la persona giusta, spero, per fornirmi alcune risposte. – Lo conosceva bene?

    – Da quando aveva acquistato il rustico. Per idraulico ed elettricista erano venuti da Ormea e ci aveva chiesto di tenere le chiavi e dare un’occhiata. I lavori di muratura li aveva fatti lui, a volte c’era anche un suo amico ad aiutarlo. Lo stesso che veniva ogni tanto – mentre lo dice la sua voce ha una sfumatura di incertezza come l’occhiata che mi lancia. – Un amico.

    Annuisco.

    – Gran camminatori. Tutta l’Alta Via e i sentieri. Più di quelli del posto. – Vorrei dirle che ho notato le mappe, ma capisco che, esitando, sta per aggiungere altro. – Le conosceva le mulattiere… Cadere lì. Almeno in un posto che gli piaceva. Hanno detto che aveva avuto un mancamento. – Si alza. – Ma io l’ho disturbata, mio marito me lo dice sempre che parlo troppo.

    – No, no. Anzi è stata davvero gentile.

    Si ferma. – I cavalli. Sono anche venuta per i cavalli. Non so, non sappiamo… – Mi guarda, incerta. – La casa, questa casa ora è sua?

    Faccio segno di sì.

    – Allora, i cavalli?

    – Il notaio non ha parlato di cavalli, soltanto della casa.

    – Aveva due cavalli. Sì, uno per sé e uno per l’amico che veniva ogni tanto. Li teniamo da noi, perché le bestie bisogna accudirle e lui non stava qui.

    – Capisco – perché si è interrotta e sembra più incerta. Forse è venuta per affrontare questo argomento.

    – Due belle bestie, solide, giuste per i nostri monti. Non sapevamo se erano suoi o dell’altro capitano. – Prende fiato e continua di slancio: – Prima dell’incidente li aveva riportati e in questo c’è scritto che erano suoi. – Mi porge un foglio.

    Atto, autenticato dallo stesso notaio di Fossano che si era occupato del testamento e datato 5 ottobre, da cui risulta che i due cavalli, di proprietà di Terracini Alberto, sono donati ai coniugi Giraudo in ringraziamento per la loro cortesia.

    – Ora noi non sappiamo se è valido.

    – L’atto è valido, signora Giraudo. Era suo desiderio che aveste i due cavalli, nessun problema.

    Sembra sollevata e dopo qualche convenevole si avvia alla porta. – Se ha bisogno per la casa…

    L’ho ringraziata e l’ho guardata andare via.

    Due camere, in una c’è un letto alla francese, nell’altra un singolo. Due cavalli. Mi chiedo se la ferita faccia ancora male o se i nuovi dolori abbiano cancellato gli antichi. Non so rispondere.

    È questa la mia vita, non un lontano passato, ma con quel passato devo chiudere, non è stato sufficiente vedere una bara.

    Addossata a un muro del rustico c’è una tettoia. Dai segni a terra è chiaro che è lì sotto che riparava l’auto, anzi le auto, perché c’è posto per due. La tettoia non è visibile dalla strada.

    Ho sistemato la mia 4x4 e rientro in casa. Non per una perquisizione ma per controllare se sia abitabile. Acqua? Sì. Elettricità e gas, fornito da una bombola, anche. Accanto al camino c’è una provvista di legna ben tagliata.

    I letti: sollevo i semplici mezzeri usati come copriletto. Quello nella camera più grande è sfatto, niente coperte, neppure lenzuola. Nel bagno un asciugamano grande e uno più piccolo, abbastanza puliti. Per esperienza di casalinga, sono stati usati due o tre volte al massimo. Come la biancheria da letto nella camera singola.

    Quindi dormiva qui, quando veniva solo.

    In bagno c’è un rasoio, uno spazzolino da denti, un pettine.

    Ma due cavalli. Due poltrone.

    Se l’amico veniva spesso, perché non c’è un suo rasoio, un suo spazzolino da denti, un suo pettine?

    Ritorno nel vano che è ingresso, cucina e soggiorno. E quelle due poltrone accanto al camino sono segno di ore trascorse a leggere, a parlare, ore vere e non riempite con inutilità.

    Decido di restare fino a domani, ho bisogno di uno stacco.

    Ho ripreso l’auto e sono scesa a valle per qualche provvista. Approfittando del percorso già noto occhieggio la zona e riesco a individuare l’abitazione dei Giraudo, alcune curve più in basso. È in buona posizione, ben esposta al sole; ora che so dove si trova, dal basso la vedo, mentre il rustico che avrei ereditato è completamente nascosto dalla vegetazione e da una cresta rocciosa: per sapere se è abitato è necessario arrivare su. O tenere d’occhio la strada.

    Non è vero del tutto. Non mi sono concentrata sulle mappe, ma mi sembra che si possa arrivare alla casa anche seguendo un altro percorso, decisamente più lungo, ma che eviti di passare davanti ai Giraudo.

    La mia idea era comprare qualcosa in fretta al primo supermercato, ma ho cominciato a girare per le vie rustiche e ben tenute. Passo dopo passo sono arrivata fino alla Collegiata di San Martino.

    Nonostante il sole, sento un brivido vedendo la grotta con l’altarino. Qui era venuto a cercarmi durante il funerale. Distolgo lo sguardo, devo andare via!

    Torno su. Davanti a me una donna stringe nella propria la mano di una bambina coetanea di Paola. Ricordo quando prendeva la mia con la sua un po’ zuccherosa perché aveva voluto e ottenuto un dolcetto. Era stata lei a cercarmi per prima, a vincere la mia prudente solitudine.

    Accendo una sigaretta per cacciare indietro l’amaro. Cammino per non lasciarmi scivolare a terra. Paola mi manca come se mi avessero strappato una parte del corpo.

    Cammino. Percorro la lunga via che è la costola del centro storico e arrivo dove ho lasciato l’auto. La vetrina di una cartoleria, vendono anche colori: Paola si fermerebbe e per smuoverla dovrei entrare a comprare qualcosa. Prima si impuntava spesso, pur essendo una bimba buonissima, ormai le capitava soltanto quando qualcosa attirava la sua attenzione.

    Devo voltarmi in fretta. E vedo una mappa disegnata su un pannello di legno affisso al muro esterno di un edificio. Nel soggiorno ce n’era una uguale.

    Sopra il camino. Con un segno.

    Prima che venisse buio, sono tornata al rustico con provviste sufficienti per questa sera, domani mattina e, volendo, anche per pranzo. Se avessi Paola, lo terrei, per lei. Infischiandomene del passato. Lei era il mio futuro. E me l’hanno portata via.

    Ho tempo per pensare, per valutare.

    La medesima mappa che avevo notato a Ormea.

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