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E-book292 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Albenga 1834. Mario è affascinante, misterioso e coraggioso. È un uomo di mare, proprietario e capitano di una nave, gli piacciono le donne, ma evita gli impegni e soprattutto l’amore, perché la sua vita è a rischio. Ogni giorno.
Alba è giovane, bella e determinata, ma ha un “passato” e questo le ha fatto perdere la fiducia negli uomini e ha azzerato ogni possibilità di sposarsi. Inoltre, dopo la fuga del fratello, si occupa della modesta proprietà ereditata dal padre e cerca di mantenerla con tutte le sue forze perché la sorella minore abbia una dote per poter contrarre un buon matrimonio.
Quando una forte pioggia distrugge le vigne poco prima della vendemmia, nessuno le fa credito e non riesce a farsi restituire i pagamenti che le sono dovuti, perché è una donna e non ha un uomo che la difenda. L’unica speranza è rintracciare un amico del padre e chiedergli un prestito. Ma per farlo dovrà partire e raggiungere Genova via mare.
Alba e Mario si incontrano per un caso del destino e i loro percorsi si intrecciano tra pericoli che incombono, segreti e un’indomabile passione reciproca.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mag 2023
ISBN9791280100528
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    Anteprima del libro

    Scritto nelle stelle - Maria Masella

    Il libro

    Albenga 1834. Mario è affascinante, misterioso e coraggioso. È un uomo di mare, proprietario e capitano di una nave, gli piacciono le donne, ma evita gli impegni e soprattutto l’amore, perché la sua vita è a rischio. Ogni giorno.

    Alba è giovane, bella e determinata, ma ha un passato e questo le ha fatto perdere la fiducia negli uomini e ha azzerato ogni possibilità di sposarsi. Inoltre, dopo la fuga del fratello, si occupa della modesta proprietà ereditata dal padre e cerca di mantenerla con tutte le sue forze perché la sorella minore abbia una dote per poter contrarre un buon matrimonio.

    Quando una forte pioggia distrugge le vigne poco prima della vendemmia, nessuno le fa credito e non riesce a farsi restituire i pagamenti che le sono dovuti, perché è una donna e non ha un uomo che la difenda. L’unica speranza è rintracciare un amico del padre e chiedergli un prestito. Ma per farlo dovrà partire e raggiungere Genova via mare.

    Alba e Mario si incontrano per un caso del destino e i loro percorsi si intrecciano tra pericoli che incombono, segreti e un’indomabile passione reciproca.

    L’autrice

    Maria Masella è nata nel 1948 a Genova, dove vive e ha lavorato come insegnante fino al 2005. Laureata in Matematica, ha esordito con un racconto pubblicato nel 1986 su Segretissimo Mondadori. Ha pubblicato la raccolta di racconti Non son chi fui (Solfanelli, 1992) e un’altra, Trappole, nel 1993 con la Clessidra. Con il medesimo editore è uscito nel 1999 il suo primo romanzo poliziesco, Per sapere la verità, poi ripubblicato da Fratelli Frilli Editori nel 2015. Nel marzo del 2002 viene pubblicato da Fratelli Frilli Editori il primo noir con protagonista il commissario Antonio Mariani, Morte a domicilio; con lo stesso protagonista seriale viene pubblicato nel 2021 Mariani e il secondo colpo, il ventitreesimo romanzo della serie, a cui sono da aggiungere Testimone, una raccolta di racconti, e Matematiche certezze, un noir scritto a quattro mani.

    Nel 2017 ha pubblicato Nessun ricordo muore, il primo noir con protagonista Teresa Maritano; nel 2022 Appuntamento mortale, il quinto con la medesima protagonista. Tutti con la stessa casa editrice.

    Alla scrittura di giallo-noir ha, da sempre, affiancato quella di romance storici e contemporanei. Nel 2009, con Corbaccio ha pubblicato Belle sceme!, un chick lit. Nel 2021 con Castelvecchi Editore ha pubblicato Tracce di Ada, romanzo non di genere. Fin dal 1997 ha scritto romanzi e racconti per riviste e periodici, fra cui quindici romance storici nella collana Classic di Mondadori, tre romance per Youfeel Rizzoli. Suoi racconti sono inclusi in varie antologie.

    AltreEmozioni

    Maria Masella

    Scritto nelle stelle

    Proprietà letteraria riservata

    ©2023 AltreVoci Edizioni srls

    ISBN: 9791280100528

    Prima edizione digitale: maggio 2023

    Copertina realizzata da Catnip Design di © Pamela Fattorelli www.catnipdesign.it

    Numero deposito Patamu 198518

    Immagini su licenza Shutterstock

    I fatti e i personaggi riportati in questo romanzo sono frutto della fantasia dell’autrice. Pertanto ogni somiglianza a persone reali e ogni riferimento a fatti accaduti sono da ritenersi puramente casuali.

    1

    Albenga, Riviera di Ponente, Regno di Sardegna, 1834

    Durante la notte era girato il vento, da scirocco a tramontana, e aveva spazzato il cielo, ora di un azzurro terso e nitido come una pietra preziosa.

    Alba distolse lo sguardo e guardò in basso verso la collina.

    La lunga settimana di pioggia torrenziale, poco prima della vendemmia, aveva distrutto il loro futuro: i grappoli erano grumi rossastri, le viti erano piegate a terra, canaloni simili alle unghiate di un drago solcavano le terrazze a secco.

    Trattenne a stento la voglia di urlare verso il cielo e strinse le mani a pugno, dando un profondo respiro. Piangere era inutile, come imprecare. Sentì un singhiozzo dietro di sé e si girò verso Betta. Era così pallida che Alba si sentì stringere il cuore e, avvicinatasi, abbracciò la sorella minore.

    Betta nascose il viso sulla spalla della sorella e mormorò: «È tutto distrutto, vero, Alba?».

    «Temo di sì.»

    «E come faremo? Non abbiamo altro.»

    Alba le passò una mano sui capelli, ravviandoli.

    «Troverò una soluzione.»

    «Ho tanta paura, Alba.»

    «Ricostruiremo», esclamò la sorella maggiore. Non sapeva come, ma non si era mai arresa. «Ora rientriamo». E dolcemente la ricondusse dentro casa.

    La casa. Era ipotecata come la terra. Con parte del ricavato della vendemmia lei doveva pagare la rata e il rimanente doveva servire per vivere fino all’anno seguente. Se quella maledetta pioggia fosse arrivata anche solo due settimane dopo, lei avrebbe potuto scalare parte del debito con la banca e invece tutti i suoi progetti erano finiti in fumo.

    Trattenne una risata amara, altro che in fumo! Erano finiti in melma. In fango.

    Come il fango che avevano usato per imbrattarle la porta di casa due anni prima. Qualcuno avrebbe gioito della sua rovina, qualcuno avrebbe detto che era un castigo divino. Vecchie beghine stupide e baciapile, che credevano in un dio vendicativo come loro. Allora era sopravvissuta, sarebbe sopravvissuta ancora una volta.

    Avrebbe trovato il modo di mantenere Betta.

    «Puoi scaldare un po’ della zuppa avanzata?»

    La sorella minore annuì.

    «Devo scendere in città.»

    «Ma la strada sarà ancora tutto fango», commentò Betta. «E se è interrotta?»

    «Vado a piedi, non con il carretto, ma non preoccuparti, prima di sera sono di ritorno.»

    Salì la scala che portava al piano superiore ed entrò nella camera che divideva con la sorella: le altre due erano vuote.

    Lanciò una rapida occhiata alla porta della camera di Michele e distolse gli occhi: no, non poteva contare su di lui, ma poteva agire con la sua stessa decisione. Fino al suo ritorno, se fosse tornato, era lei il capo di casa, anche se era solo una donna e così giovane.

    Prese dall’armadio il suo vestito buono. Era un po’ logoro e un po’ troppo pesante per la stagione, ma l’aria era fresca e nessuno si aspettava che lei vestisse bene come una signora.

    Solo suo padre l’aveva voluto. Suo padre stravedeva per lei, era proprietario di un pezzo di terra, non un vero possidente, poco più di un contadino, ma aveva voluto che la sua Alba ricevesse una buona educazione e vestisse bene. Con che risultato? I contadini la guardavano con sospetto e i possidenti la trattavano dall’alto in basso, tenendola a distanza.

    Sfilò il vestito nero di mezza lana e indossò quello buono; prese la cuffia. Scese e, restando in piedi, mangiò un po’ di zuppa calda.

    Poi calzò la cuffia, badando che coprisse bene i capelli, mise sulle spalle lo scialle: era pronta.

    «Devo andare, Betta. Quando passo davanti alla casa di Nina, le dico che sei sola.»

    «Non ho paura», le rispose Betta, cercando di sorridere.

    Alba le fece una carezza appena accennata e disse: «Lo so, lo so, ma lo faccio per me, così sono più tranquilla».

    La pioggia aveva fatto più danni del previsto anche nella piana, il Centa era uscito dagli argini, allagando orti e coltivazioni; anche la strada in molti punti era franata. Alba arrivò in piazza San Michele che era quasi mezzogiorno. Si sentiva stanca, accaldata. Probabilmente era anche sporca di fango. Eppure non poteva rimandare. Si fermò davanti al portone dei Viani e alzò il batacchio.

    Poco dopo si aprì la porticina ricavata nell’ampio portone. Il domestico la squadrò e disse: «Cosa vuoi?».

    «Devo parlare con il padrone.»

    «Non so se può riceverti.»

    Alba sollevò il mento e replicò: «Vai a chiederglielo».

    Il domestico chiuse la porta e lei rimase lì, sotto il sole che diventava sempre più caldo. Era consapevole delle occhiate che le rivolgevano i rari passanti, ma non era una novità. Da due anni, ovunque andasse, c’era qualcuno che la segnava a dito.

    Alba, la svergognata. Alba, la rovina della sua famiglia.

    Avevano ragione.

    Rimase ad aspettare, imponendosi una pazienza che non provava. Doveva essere paziente, per Betta e anche per la sua terra, perché Michele, al ritorno, trovasse qualcosa dell’eredità paterna.

    Finalmente la porticina si aprì.

    «Ti riceve, ma passa da dietro.»

    Alba ingoiò l’orgoglio e si diresse verso l’ingresso secondario, quello della servitù. Eppure, un tempo, suo padre diceva che sarebbero entrati in quel palazzo in carrozza. Sciocchezze, una delle fantasie paterne, altre erano le cose importanti.

    Seguì il domestico e quando quello le ordinò, brusco, di pulirsi le scarpe per non inzaccherare i tappeti dei padroni, obbedì senza esitare. Il domestico la scrutò con attenzione, forse per accertarsi che fosse vestita in modo adeguato o per raccontare tutto nei dettagli; poi le fece segno di entrare nello studio.

    Salutò il padrone di casa con un mezzo inchino.

    «Cosa vuoi? Perché non sei andata dall’intendente?»

    «L’intendente mi avrebbe mandata da voi, signore», rispose Alba.

    «E allora dimmi, ma non farmi perdere tempo», replicò il padrone abbassando il giornale che stava sfogliando. Con quella maledetta pioggia e il mare in burrasca, per una settimana, non erano arrivati giornali da Genova e ora veniva quella stupida a disturbarlo!

    «Vorrei il pagamento dell’uva vendemmiata l’anno passato», disse Alba tutto d’un fiato.

    Lui posò il giornale e la scrutò: «Come da parola, quando mi consegni la nuova vendemmia, ti pago la vecchia». E riprese il giornale.

    «Quest’anno non vendemmio, signore, per la pioggia. Vorrei il pagamento della vendemmia passata.»

    L’uomo posò il giornale e le rivolse un’occhiata sprezzante.

    «La parola è un’altra.»

    «Lo so, signore», rispose Alba, imponendosi di restare calma e sottomessa, anche se aveva una gran voglia di dirgli che era un ladro e un profittatore. «Ma ho l’ipoteca da pagare, signore.»

    «Quello che devi fare, ragazza, non mi riguarda. Niente uva nuova, niente pagamento della vecchia.»

    Allungò una mano verso il cordone per chiamare il domestico, per lui il colloquio era finito.

    «Ma non è un anticipo! La mia uva l’avete avuta l’autunno passato e l’avete venduta e i soldi li avete incassati. Datemeli, perché sono miei!»

    «Di tuo non hai che l’aria che respiri, ragazza.»

    Fece segno al domestico che stava entrando di portarla via.

    Poteva gridare ancora, magari farsi cacciare a calci, magari anche multare per aver importunato un cittadino influente, uno stimato commerciante…

    A chi poteva rivolgersi per un aiuto? La Chiesa di San Francesco era poco lontana, forse il prete avrebbe convinto Viani a darle quanto le veniva.

    Ma il breve colloquio con il prete anziano della Chiesa di San Francesco distrusse anche quella speranza: si era sentita dire che le donne non dovevano fare affari, dovevano pensare alla casa, gli uomini avevano ragione… Inutilmente aveva fatto presente che lei doveva mantenere la sorella.

    «Le Sorelle della misericordia la accoglierebbero anche senza dote, posso garantirlo.»

    «Ma Betta non vuole farsi suora», replicò Alba.

    «Sarebbe sposa di Nostro Signore, avrebbe un tetto e un piatto di minestra. Questo è il solo aiuto che possiamo darti, figliola benedetta», concluse l’anziano prete.

    «Ma i miei diritti!»

    «Diritti… diritti… Ormai sapete parlare solo di diritti. Abbiamo doveri verso Dio». La guardò tenendo le labbra strette. «Doveri che tu, figliola, hai dimenticato.»

    «Ma mia sorella…», si interruppe, perché era inutile: il prete le avrebbe parlato ancora delle Sorelle della misericordia.

    Uscì all’aperto. Il cielo era così azzurro che sembrava una derisione. L’ultimo tentativo, la banca.

    Quando uscì si disse che, in fondo, l’uomo della banca era stato il più onesto: il pagamento doveva essere onorato, ma, poiché era sempre stata puntuale, le concedeva una proroga di tre mesi, all’interesse corrente, prima di toglierle la terra e la casa.

    Era settembre, aveva ancora ottobre, novembre, dicembre per trovare i soldi della rata. Per l’Immacolata.

    Ma non aveva neppure la più pallida idea di dove trovarli. Così all’inizio del nuovo anno sarebbe stata senza nulla.

    Viani aveva avuto la sua uva senza sborsare un soldo, la banca avrebbe avuto la sua terra sottocosto. Lei e Betta restavano senza un tetto per ripararsi.

    Nonostante il fango che rendeva scivoloso il terreno, la carrozza procedeva a velocità troppo sostenuta, schizzando i passanti e costringendo i carri a fermarsi per cedere il passo.

    Alba stava camminando meccanicamente, presa nel pensiero del futuro e cercando di trovare una soluzione: tre mesi, come poteva in soli tre mesi mettere insieme i soldi necessari? Si trovò a terra all’improvviso, senza neppure rendersi conto di quanto era accaduto, la spalla dolente per il colpo, mentre la carrozza continuava la sua strada.

    Si tastò, no, niente di rotto! Puntandosi sulle mani, si mise in ginocchio e cercò di sollevarsi, ma tutto le girava attorno.

    Vide una mano tendersi verso di lei, vi posò la sua e così riuscì a rimettersi in piedi.

    «Come state? Vi sentite bene?»

    Alba alzò gli occhi. L’uomo aveva il sole alle spalle e non poteva vederlo in viso, ma era alto e la sua mano era forte, con qualche callo, non mano da signore… Ma la voce era da persona istruita.

    «Sto bene, grazie.»

    «Siete pallida, siete sicura di star bene?», chiese l’uomo ancora una volta.

    Alba si rese conto di avere ancora la mano su quella di lui; di certo qualcuno l’aveva vista ferma con uno sconosciuto e le chiacchiere sarebbero ricominciate. La ritrasse senza esitare, anche se si sentiva ancora malferma sulle gambe.

    «Volete che vi accompagni a casa?»

    La ragazza scosse il capo: la gentilezza di quello sconosciuto poteva farle più male che bene. Se l’avessero vista camminare accanto a lui, le chiacchiere si sarebbero sprecate e avrebbero danneggiato anche Betta. Povera Betta! Come avrebbe potuto sperare di maritarsi, mentre sua sorella veniva additata come donna leggera e pubblica peccatrice?

    «Se volete posso accompagnarvi.»

    L’uomo insisteva e così Alba si scostò, brusca.

    «No, grazie, non ho bisogno di nulla.»

    Gli girò le spalle e riprese la sua strada cercando di raccogliere tutta la sua dignità, anche se aveva l’abito inzaccherato, come se si fosse rotolata nel fango.

    Non era poi tanto diverso dal vero, pensò, reprimendo un sorriso. Ecco cosa aveva guadagnato dalla sua spedizione in città: l’abito buono ridotto a un cencio e forse altre chiacchiere! Aveva anche perso la cuffia: per un attimo pensò di tornare indietro a prenderla, perché doveva essere caduta a terra, quando la carrozza l’aveva urtata, ma poi non ne fece nulla… Se avesse di nuovo incrociato quell’uomo? Pensandolo si sentì avvampare.

    E, contrariamente alle sue abitudini, era stata sgarbata con un uomo gentile. Ma forse era stato gentile non per bontà d’animo o carità cristiana. Forse aveva sentito qualche chiacchiera su di lei e aveva tentato un approccio.

    In tal caso, gli era andata male.

    Lei non avrebbe mai più dato confidenza a un uomo! Lei aveva imparato che, a scherzare con il fuoco, si resta scottati.

    Mario aveva visto la donna da lontano, mentre gli veniva incontro. Abito scuro e cuffia modesta, scialle. Ma aveva il portamento di una regina e la figura agile di una scugnizza, come quelle che aveva conosciuto a Napoli.

    La carrozza era arrivata a velocità sostenuta e lui aveva trattenuto i muli. Non voleva rischiare un incidente e dover pagare per nuovo il carro che aveva noleggiato.

    I suoi uomini stavano riparando i danni provocati dalla burrasca e lui era andato di persona a procurarsi le provviste e a contrattare per le merci giuste da portare a Genova. Aveva lanciato un avvertimento alla donna, ma o lei non l’aveva sentito o non aveva fatto in tempo a scansarsi.

    Mario aveva dato le redini ad Angelo, il mozzo che era con lui, ed era saltato giù dal carro, temendo di trovarla ferita. Appena aveva visto che era tutta intera, senza niente di rotto, aveva provato un sollievo talmente immediato da restarne stupito.

    Quella donna era un’estranea e di incidenti ne aveva visti così tanti che credeva di averci fatto il callo. Vedendo che lei cercava a stento di rimettersi in piedi, le aveva porto una mano e finalmente l’aveva guardata in viso.

    Aveva perso la cuffia e aveva i capelli sporchi di fango e qualche schizzo anche sul viso, ma era la donna più bella che Mario avesse mai visto. Gli zigomi alti e le labbra ben modellate, gli occhi fra il grigio e l’azzurro e i capelli di un castano acceso verso il rosso. Anzi, d’oro rosso.

    A Mario non erano mai piaciute le rosse, ma quella! Dannazione, una femmina così! Anche in capo al mondo l’avrebbe portata. Aveva anche una bella voce e la mano salda. Non una mano da signora, ma bella.

    Pochi minuti dopo aggiunse fra sé: Anche un pessimo carattere.

    Non gli era mai capitato che una donna lo lasciasse così, su due piedi a fare la figura dell’allocco. Neppure le avesse fatto qualche proposta audace o qualche avance! No, si era limitato a essere corretto e gentile.

    Quella doveva essere una beghina che prendeva ogni uomo per un demonio.

    Eppure con quella bocca e quegli occhi! Ma vai a capire le donne!

    Come se lui non avesse avuto abbastanza pensieri di suo!

    Prese le redini dal mozzo e seguendo la sua occhiata perplessa si rese conto di avere ancora fra le dita la cuffia che doveva aver raccolto dal fango senza accorgersene. La posò sul sedile.

    Quella sera, all’osteria, c’era poco movimento, forse per la burrasca che aveva bloccato il mare, forse perché la pioggia aveva tenuto lontani i contadini. L’oste, ö Giancö, si era accomodato sulla panca davanti a Mario e si era finiti a parlare di donne davanti all’ultimo bianco prima di coricarsi. Donne belle e meno belle, donne da conquistare e donne che seguivano la luna…

    Mario tese le lunghe gambe sotto la panca, cominciava a non sentirsi più assonnato, perché tutto quel gran parlare di femmine gli stava accendendo il sangue.

    «Ne ho vista una, oggi, ragazza o donna maritata, non so… da sentirsi rimescolare dentro.»

    «Ah, capitano Accorsi! Che non sia il caso che vi pigliate una delle nostre ragazze! Mi diventate un poeta o uno scribacchino?»

    Mario scosse il capo, conosceva l’oste da qualche tempo e sapeva che gli piaceva scherzare con i clienti di vecchia data.

    «E come era questa meraviglia? Perché di bellezze ne abbiamo.»

    «Alta non tanto, ma stava diritta come l’albero di maestra, capelli verso il rosso e occhi fra l’azzurro e il grigio, come il cielo d’inverno, da freddo». Parlava e vedeva l’oste cambiare faccia. «Che c’è? La conoscete? È maritata e così fedele al marito da non farci nemmeno un pensiero?»

    «Oh, farci un pensiero si può… Si potrebbe. Non è maritata, ma evitatela, capitano Accorsi. Quella donna i guai li chiama.»

    Mario si passò una mano fra i capelli. Di guai non aveva proprio bisogno e i guai di femmine erano i peggiori; ora stava pentendosi di aver chiesto, perché la risposta dell’oste gli aveva messo curiosità e la curiosità è sempre il primo passo verso i guai.

    «È Alba, Ferrando Alba», lo disse come se Mario da quello dovesse capire tutto.

    «Mai sentita nominare.»

    «Quando c’è stato il fatto, voi, capitano Accorsi, siete stato quasi un anno senza passare da Albenga.»

    Mario alzò le spalle. Ma perché aveva chiesto?

    «E sarebbe?»

    «Il fratello ha sfidato a duello il suo seduttore, l’ha ferito gravemente ed è fuggito per evitare la galera.»

    «E lei?»

    «Lei cosa?», borbottò l’oste, non riuscendo a capire il senso della domanda.

    «Lei cosa ha fatto?»

    «È rimasta qui. Con la sorella minore, mi pare. Sì, aveva una sorella più piccola.»

    Mario accese la pipa e tirò una boccata, per disperdere gli ultimi lembi di sonno. Rimase in silenzio. E così aveva un passato! Non doveva essere facile in una piccola città.

    Alba arrivò a casa che cominciava ad annottare. Lungo la strada aveva cercato di trovare una soluzione, ma aveva scartato una possibilità dopo l’altra. Nessuno le avrebbe prestato i soldi necessari per pagare la rata dell’ipoteca. Forse, se fosse stata un uomo, sarebbe stato diverso, ma così! Chi si fida delle capacità di una donna?

    Nessuno.

    L’unica persona che poteva aiutarla non era ad Albenga, ma a Genova: Martinez, il vecchio amico di

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