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Attrazione fatale
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E-book300 pagine4 ore

Attrazione fatale

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Il cadavere di una punk, una sequenza di lettere dell’alfabeto, la locandina di un film e una domanda. Il corpo crocifisso di un hacker e una frase di Wittgenstein. Alla vigilia delle elezioni del 2009 uno spietato assassino sconvolge la Baviera. Quali segreti legano alcune vittime alla società GSE e al suo fondatore? Una nuova indagine adrenalinica di Tobia Allievi, tra anagrammi, opere liriche, testi di filosofia e il presente e il triste passato della Germania.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2018
ISBN9788863938333

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    Anteprima del libro

    Attrazione fatale - Alberto Ripa

    1

    Lunedì, 7 settembre 2009

    Le canne robuste che spuntavano dalle acque grigie e immobili del lago si contendevano lo strano trofeo. 

    Fu un pescatore su una barca a remi a notarlo. Il suo sguardo riuscì a perforare il velo di densa umidità mattutina che aleggiava sulla massa d’acqua. Di lì a poco, i primi raggi di sole di fine estate si sarebbero specchiati nel lago di Starnberg, creando il suggestivo effetto ottico di uno sciame di lucciole danzanti.

    Sembra un elmo antico, pensò l’uomo, convinto di avere fatto una scoperta archeologica. L’eccitazione durò pochi attimi. Dopo qualche vigoroso colpo di remi, l’elmo assunse infatti le sembianze ingannevoli di una spazzola dalle setole di colore azzurro scuro, incollate le une alle altre dall’acqua gelida.

    Il pescatore stava per allontanarsi, quando un luccichio lo incuriosì. Decise di avvicinarsi ancora di più.

    Quando fu in prossimità del canneto, mollò di colpo i remi.

    «Scheisse!» gridò terrorizzato.

    Luci blu lampeggianti, nastri gialli e uomini in tuta bianca. 

    Il cadavere della giovane punk era disteso a riva, vicino al fitto canneto. Un uomo dalla mascella quadrata e sporgente, con i capelli biondocastani molto corti, sollevò il lenzuolo che copriva il corpo. Notò i lineamenti dolci della donna, che stridevano con il pesante trucco sotto gli occhi, con le labbra carnose nere e, soprattutto, con la bizzarra pettinatura. Sul cranio rasato spiccava infatti una striscia di capelli indaco.

    L’abito non fa il monaco, pensò Franz Finke. L’ispettore dell’Europol di Monaco studiò ogni centimetro quadrato di quel corpo senza vita: gli scarponcini di cuoio nero; i pantaloni elasticizzati viola; il giubbotto di pelle; la maglietta arancione; gli anelli ai medi di entrambe le mani; il tatuaggio a forma di croce sulla parte destra del collo; i due piercing che spuntavano da un sopracciglio. 

    «Dove è stato trovato il cadavere?» chiese all’agente Konrad.

    «Poco lontano dalla riva. Era tenuto a filo d’acqua dai vestiti impigliati nelle canne. Al collo era legato un mattone. Guardi sotto la maglietta.» 

    Finke lesse il laconico messaggio, scritto con uno smalto rosa sul ventre della ragazza: S.? Nein!

    «Abbiamo trovato anche questo» aggiunse Konrad.

    L’ispettore estrasse da una busta di plastica un foglio di carta, in formato A3, arrotolato come un piccolo tappeto.

    Era la locandina del film Ghost. Sul retro erano state scritte tredici lettere maiuscole: YARAINGTMINSP.

    Tobia Allievi si precipitò nell’ufficio di Domitilla Di Mauro, nella sede dell’Europol di Londra.

    «Vorrei che ascoltassi questa farneticante conversazione» gli disse sua moglie con aria preoccupata, prima di avviare il registratore. 

    L’ispettore aggrottò la fronte, perplesso. Udì una voce femminile parlare in arabo. Riconobbe solo la parola «mese», che assieme a giorno e anno aveva memorizzato grazie a una breve lezione di Domitilla. Si domandò se quella voce stesse alludendo a un attentato in fase di organizzazione. Attese preoccupato la traduzione.

    «L’innesco è accaduto nella grande città sull’acqua. La conferma è avvenuta questo mese. Il grande evento sarà a maggio. Sono sicura che Allievi non riuscirà a fermarci.» 

    Domitilla era certa che il marito si stesse già domandando se Amsterdam oppure Venezia fosse la grande città sull’acqua, e se la donna alludesse a una bomba. 

    «I controlli sono stati ripetuti due volte. Non c’è ombra di dubbio. Il conto alla rovescia è iniziato. Chissà che faccia farà Allievi.»

    Una breve pausa. Domitilla fissò il viso preoccupato di Tobia. Poi il messaggio riprese.

    «La nostra missione è iniziata. L’evento cambierà la nostra vita. Sono sicura che Allievi non capirà nulla, quando saprà… quando saprà che tra meno di otto mesi… a maggio… diventerà… papà.»

    Tobia al momento pensò a uno scherzo. Quando vide Domitilla muovere leggermente il capo, come per dire «è vero, non ti sto prendendo in giro» e sorridergli, provò una grande gioia.

    Il suo primo pensiero fu per suo padre Paolo, una guardia giurata uccisa da un balordo durante una rapina, quasi quarant’anni prima. Tobia si era ribellato a quella triste realtà. Era un sognatore, e fin da piccolo era ricorso all’illusione che suo padre fosse ancora al suo fianco e potesse parlargli. Il bambino che dall’età di cinque anni raccontava ogni sera la propria giornata a un fantasma era rimasto tale, con gli stessi occhi capaci di guardare la realtà in modo diverso e di cogliere ciò che il più delle volte sfugge alla visione degli adulti. 

    Papà, diventerai nonno!

    Si avvicinò a Domitilla e l’abbracciò. 

    «È una notizia meravigliosa, amore. Non pensavo… così presto…»

    Tobia e Domitilla si erano sposati due mesi prima a Milano e avevano trascorso la loro luna di miele ad agosto a Venezia. 

    «Scusami, non sapevo proprio come dirtelo, qui in ufficio. Stasera mi farò perdonare…»

    «Mi piacerebbe prenotare un tavolo al nostro ristorante. Purtroppo ho una riunione importante, prevedo di fare molto tardi. Rimanderemo i festeggiamenti a domani, nell’albergo di Monaco di Baviera. Ci godremo la trasferta come se fosse una vacanza…»

    «Finke è già coinvolto in un nuovo caso?» domandò Domitilla, sospettosa.

    «Che io sappia, no. Sono stato invitato a Monaco per un ciclo di lezioni.»

    Proprio in quel momento il cellulare di Tobia squillò.

    «Tobia, sono Franz Finke… Devo darti una brutta notizia…»

    Il ragno si rianimò nell’animo di Tobia. Era una sensazione di disagio che gli attanagliava il cuore, come un presagio di morte e una percezione del male. 

    Silenzio.

    «Pronto… Tobia… mi stai ascoltando?» domandò Finke.

    «Qual è la brutta notizia?»

    Allievi ascoltò le parole del collega e chiuse gli occhi. Aveva un suo metodo per condurre le indagini. Su un’immaginaria tela disegnava ellissi e cerchi, dove collocava gli elementi più importanti. Le figure geometriche erano collegate da frecce di vario colore. A ogni novità nelle indagini seguiva un rapido aggiornamento mentale della composizione. Tobia era in grado di osservare l’opera d’arte con gli occhi di un bambino, di scegliere il giusto punto di vista e di scorgere la verità in quell’intreccio di figure. Era quello il momento dell’illuminazione, che faceva chiarezza e toglieva il velo di mistero.

    «La mia non sarà una spensierata vacanza» commentò con un sospiro. «Dopotutto, ti devo un favore.»

    Finke non riuscì a trattenere un sorriso. Contava molto sulla collaborazione di Allievi. «Non so come esprimerti la mia gratitudine. Questo omicidio cade nel momento peggiore. Negli ultimi mesi ci sono state anche denunce di violazioni telematiche negli archivi di ospedali e municipi. Un maledetto hacker… E le elezioni politiche sono alle porte…!»

    Allievi comprese lo stato d’animo del collega. Dovere risolvere un caso di omicidio proprio in periodo elettorale era l’ultima cosa che un poliziotto si sarebbe augurato. 

    «Vedrai che risolveremo il caso. Pensi che la cancelliera Hilde Beer della Cdu sarà rieletta?»

    «Non saprei proprio cosa rispondere. I sondaggi prevedono un testa a testa tra Cdu e Spd…»

    «Chiunque sarà il vincitore, non credo proprio che si occuperà dell’organigramma della polizia di Monaco, con tutti i problemi del Paese da risolvere. Ci vediamo domani.»

    Dopo avere riattaccato, Tobia guardò in volto Domitilla. 

    Fece una smorfia e annuì.

    «Una giovane donna…» si limitò a dire, con lo sguardo pieno di angoscia e preoccupazione.

    La Mantide.

    Aveva trovato il nome giusto per firmare le sue gesta. Prima ama e poi uccide. Fredda. Spietata. Crudele. Insensibile al dolore altrui. 

    La Mantide si preparò per il successivo omicidio. 

    Gisela Freier, così si chiamava la giovane punk. Era figlia unica di una coppia di Monaco. Fino a diciotto anni era stata una ragazza timida e ubbidiente. Nessuno si sarebbe immaginato che l’incontro con Milo, un giovane serbo fuggito da Belgrado, l’avrebbe cambiata così tanto.

    «Perse la testa per quel ragazzo» confessò tra le lacrime la madre. Sophie Freier non aveva partorito Gisela. Aveva sposato in seconde nozze il padre della ragazza. La madre naturale era infatti morta durante il parto. Tuttavia Sophie aveva amato Gisela come una vera figlia. 

    Finke ascoltò il breve racconto della donna, interrotto dai singhiozzi. 

    Sebbene fosse di costituzione molto minuta, Sophie era il vero capofamiglia. Suo marito Jansen, un uomo alto e lievemente curvo, appariva come un docile e fedele compagno, pronto a obbedire a bacchetta agli ordini della moglie. La coppia viveva in un modesto appartamento nella periferia orientale di Monaco.

    Forse la ragazza non ha sopportato la personalità della madre, pensò Finke prima di chiedere dove Gisela abitasse.

    Sophie gli diede un foglietto con un indirizzo. Spiegò che la figlia viveva da qualche mese da sola, dopo avere lasciato Milo. Prima aveva convissuto con il fidanzato in un bilocale in affitto, nella zona di Schwabing.

    «Milo suona la batteria in un gruppo, in un locale frequentato per lo più da metallari. Non credo che la paga gli sia sufficiente per vivere… per me sbarca il lunario spacciando.» 

    «Sua figlia si drogava?» chiese subito Finke.

    «Eroina o cocaina le escludo nel modo più assoluto. Forse qualche spinello.»

    «Vi chiedeva spesso dei soldi o vi minacciava?»

    La donna scosse la testa in segno negativo.

    «Gisela poteva accedere ai vostri risparmi in banca?»

    «Ci cautelammo. Dopo la sua metamorfosi, chiudemmo il conto su cui Gisela aveva la firma, per aprirne un altro, intestato solo a me e a mio marito, senza alcuna delega.»

    «Vi veniva a trovare qualche volta?»

    «Molto di rado finché è stata assieme a Milo, forse perché per lei significava mettere di nuovo piede in un mondo che aveva rigettato.»

    «Per quale motivo lasciò Milo?»

    «Credo che avesse compreso che non avrebbe costruito un futuro assieme a quel tipo…» 

    «Però rimase nell’ambiente punk. Si era forse già messa con qualcun altro?»

    «Non lo so. Gisela era un po’ preoccupata.»

    Sophie ricominciò a singhiozzare. Jansen, con gli occhi lucidi, le porse un fazzoletto e le mise una braccio sulle spalle, per consolarla.

    «Potrei avere l’indirizzo di questo Milo?»

    «Purtroppo non posso aiutarla. Però se chiede in giro nel suo ambiente, non avrà difficoltà a rintracciarlo. Lo conoscono in molti.»

    «Il film Ghost vi suggerisce qualcosa?»

    Sophie guardò in volto il marito, cogliendo la stessa perplessità che l’aveva assalita. «Perché questa domanda?»

    Finke raccontò alcuni dettagli dell’omicidio. Poi chiese ai Freier se Gisela avesse un’agenda, o una rubrica, per provare a scoprire qualcosa in più su quella S. Sophie si alzò e si avvicinò a un mobiletto. Aprì il primo cassetto ed estrasse un quadernetto dalla copertina rosa, rigida, chiuso con un nastro bianco.

    Finke ringraziò e lasciò i Freier al loro dolore. Subito dopo essere uscito dall’appartamento, fissò pensieroso il diario e si domandò quali segreti potessero essere contenuti in un quaderno sulla cui copertina sorrideva un simpatico orsetto. 

    Con il consueto sorriso, Gustav Kalkbrenner, conduttore della trasmissione televisiva Faccia a Faccia per il primo canale tedesco, diede il benvenuto ai telespettatori e agli ospiti in studio. Sapeva di avere in serbo alcune sorprese che avrebbero fatto impennare gli indici d’ascolto. Aveva fatto in modo che nulla trapelasse, per mettere alla prova i tre sondaggisti invitati per l’ultima puntata prima delle elezioni politiche.

    «Questa sera abbiamo l’onore di ospitare Judith Flug, della società di sondaggi Deutsche Umfrageforschung, più nota come Du…» Judith, una donna sulla cinquantina, bionda e minuta, vestita con un tailleur grigio, rivolse un sorriso in direzione della telecamera che la stava inquadrando in primo piano.

    «Ringraziamo anche Helmut Raumer di Statistik per avere accolto il nostro invito.» Helmut, impeccabile nel suo gessato di marca con cravatta rossa, era un quarantenne alto quasi due metri. Rispose con un cenno del capo.

    «Infine diamo il benvenuto a Beate Zoll, fondatrice della neonata Wir, Wahrheit Information Rundfrage…» Beate, quarantaseienne, dimostrava meno della sua età. Ricordava nel fisico e nel volto Franziska van Almsick, la campionessa di nuoto. Aveva scelto un semplice vestito a fiori, abbinato a un foulard rosa. Rimase impassibile mentre il suo volto incorniciato da capelli lunghi e ondulati riempiva i teleschermi.

    «Ho subito una domanda per Beate. La scelta della sigla Wir è provocatoria?» chiese Kalkbrenner, desideroso di dare subito un po’ di pepe alla trasmissione.

    Beate se l’aspettava. Non cadde nella trappola e rispose con serenità e pacatezza: «Direi proprio di no. Tutti noi della Wir crediamo di interpretare in modo più realistico l’opinione della gente. Wir significa che siamo un tutt’uno con il popolo tedesco. Riteniamo che i nostri sondaggi siano i più veri, perché davvero entriamo nelle case di tutti…».

    «Quindi la scelta del nome Wir, ossia noi, non è stata fatta in contrapposizione al Du, tu, della Deutsche Umfrageforschung, società con cui ha lavorato alcuni anni fa?»

    «E in modo alquanto discutibile…» commentò acida Judith, con uno sguardo carico d’odio.

    Un mormorio si levò tra il pubblico presente in studio. 

    Kalkbrenner colse l’occasione per gettare altra benzina sul fuoco: «In effetti, se ricordo bene, Beate pronosticò una grande vittoria della Cdu nel 2005. Invece…».

    «… Invece la Cdu vinse per un soffio le elezioni. Forse perché la maggior parte delle persone da me intervistate preferì astenersi. Ma rimango più che certa della correttezza dei miei sondaggi di allora» disse Beate a testa alta.

    Kalkbrenner ringraziò la sondaggista e si rivolse ai telespettatori: «Tra qualche minuto conosceremo gli ultimi sondaggi. Abbiamo due sorprese per voi. La prima, visto il tema che tratteremo questa sera, è Viktoria Alt. Accogliamola con un caloroso applauso!».

    Il sorriso della soubrette, passata alle cronache anche per aver sposato un calciatore, contrastò subito con l’espressione torva di Judith e con quella enigmatica di Beate. Helmut sembrava invece imbarazzato e sempre più a disagio, avendo compreso che per lui era stato ritagliato il ruolo di semplice comparsa. Riconobbe che Kalkbrenner stava giocando molto bene le sue carte. Era infatti riuscito a mettere in primo piano la rivalità tra le due donne. Helmut si domandò cosa avesse davvero in mente.

    «Viktoria, questa sera non sei nostra ospite per caso. Il tema della puntata è infatti la violenza sulle donne. Tu sei stata vittima di stalking. Vorresti raccontarci la tua triste esperienza?»

    La soubrette ricostruì l’incubo che l’aveva tormentata per alcuni mesi. Esortò le vittime di stalking a non avere paura di denunciare gli aggressori: «Anche se mi vedete sempre sorridente, rimane comunque una grande ferita nell’animo di chi, come me, è stata oggetto di questa odiosa forma di persecuzione. È una violenza alla quale ci si deve opporre: essere deboli significa soltanto darla vinta a quei… vigliacchi».

    «Occorre però il giusto sostegno» fece notare Kalkbrenner.

    «L’aiuto delle varie associazioni contro lo stalking non è sufficiente. Servono leggi severe, punizioni esemplari. È necessario che i nostri politici facciano molto di più. Vogliamo fatti, non parole!» denunciò la soubrette.

    «Ti ringrazio, Viktoria. Senza volerlo, hai annunciato la prossima sorpresa. Ma prima, come di consueto, c’è una breve pausa con le ultime notizie del telegiornale. Non cambiate canale!» 

    Tutti gli ospiti si alzarono dal divano e si precipitarono nei loro camerini per il trucco. Judith si avvicinò a Beate. «Ciao, Cassandra! Com’è possibile che nessuno creda ai tuoi sondaggi? Sei ancora convinta del crollo della Cdu?» malignò la sondaggista della Du.

    «Il tuo parere non mi interessa proprio. Conta invece l’opinione della gente, non quella dei tuoi seguaci, o dei tuoi amici potenti e altolocati» replicò Beate, fissando Judith negli occhi in segno di sfida.

    «Seguaci? Credi che la Du sia una sorta di setta?» sibilò Judith.

    «Penso che tu intervisti le stesse persone. Ben indottrinate. Pronte a credere a tutto quello che è loro raccontato. Insomma, persone condizionate, quasi sottoposte a un lavaggio del cervello. Non trovi che sia così, mia cara?»

    «Il tuo è solo rancore per avere perso il posto di lavoro. È già tanto che tu sia ancora sulla scena. Ritieniti fortunata che i miei… come li hai definiti?… amici potenti e altolocati non ti abbiano impedito di creare la tua Wir. Voglio solo darti un consiglio da amica: sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico. Un errore può essere perdonato. Un secondo passo falso no. Te lo dico con il cuore, Beate. Per il tuo bene…»

    «Per il mio… bene? È forse una minaccia? Confessa: hai una paura folle che questa volta i miei sondaggi ti sbugiardino. Temi di essere detronizzata, questa è la verità…»

    In quel momento una giovane assistente di studio ricordò alle due donne che la trasmissione sarebbe ripresa tra un minuto. Judith si girò di scatto, stizzita, e si precipitò nel suo camerino. Beate ritornò in studio, accese il cellulare e fece una rapida telefonata. Subito dopo un cameraman le comunicò la notizia della giovane donna uccisa al lago di Starnberg. 

    Furono gli occhi di un chitarrista di strada a illuminarsi quando Finke pronunciò il nome di Milo. Era un giovane senza una sede fissa di lavoro. Ogni giorno sceglieva un marciapiede diverso di Schwabing dove deporre un cappello stropicciato.

    «Milo il batterista?» domandò con sospetto, rivelando un marcato accento americano.

    «Conosci qualcun altro con questo nome?» replicò Finke.

    «Forse sì, forse no. Dipende.»

    L’ispettore estrasse dalla tasca alcune banconote piegate a metà. 

    «Affare fatto! Però con l’aggiunta di una birra scura» rispose il chitarrista, indicando con il capo un chiostro preso d’assalto da turisti e studenti.

    Si chiamava Paul. Da quattro anni girovagava in Europa. Era stato prima a Londra, poi ad Amburgo. Due anni prima aveva conosciuto una ragazza di Monaco, che l’aveva convinto a trasferirsi in Baviera. 

    «Siamo stati una bella coppia, come due strumenti accordati alla perfezione. Il mio sogno di una vita all’insegna della libertà e dell’amore si era realizzato. Purtroppo lei mi ha lasciato. Il vuoto è stato colmato dalle amicizie che ho stretto con tanti professionisti.»

    Paul chiamava in questo modo le persone che, come lui, suonavano per strada, vivendo alla giornata, senza preoccuparsi del domani. Oggi per loro poteva essere peggiore di ieri, con poche mani generose disposte a offrire qualche centesimo che avesse il potere di far dimenticare tutte le preoccupazioni.

    Finke ascoltò con finto interesse le confessioni del giovane. Si specchiò nel suo sguardo. Vi lesse solo una malinconica felicità. Comprese che Paul avrebbe gradito un secondo boccale di birra, prima di iniziare a sciogliersi sul conto di Milo.

    «È un mito» esordì con le labbra ancora sporche di schiuma «tutti noi lo conosciamo. È un grande talento, un mago delle bacchette.»

    «Mi hanno detto che suona in un gruppo.»

    «Se lo vuoi ascoltare, ti consiglio di fare un salto all’Orchidea Nera.» Paul diede a Finke indicazioni su come raggiungere il locale. «Non lasciarti impressionare dall’ambiente, la musica è davvero di buona qualità» aggiunse.

    «Conosci una certa Gisela? Dicono sia stata la sua ragazza, fino a pochi mesi fa.»

    «Una tipa con una cresta blu?»

    Finke annuì.

    «Come si fa a scordarla? Sì, l’ho vista spesso a fianco di Milo. Sembra sia sparita. Che fine ha fatto?»

    «È stata pescata nel lago di Starnberg. Non stava certo nuotando, né prendendo il sole su un materassino…»

    Paul si chiese se non avesse avuto la lingua troppo lunga.

    Kalkbrenner cercò subito di suscitare reazioni alla notizia appena appresa: «L’ennesimo caso di violenza sulle donne. Questa volta, però, si tratta di omicidio. Cosa pensano di fare i nostri politici? Lo chiederemo a Hilde Beer e Karl-Heinz Stock, che sono in collegamento con noi: ecco la seconda sorpresa di questa sera!».

    Questa non me l’aspettavo proprio, pensò Beate, scrutando la calma sospetta di Judith, che sembrava invece attendersi questo colpo di scena. I suoi amici potenti e altolocati

    I due sfidanti alle imminenti elezioni sfoggiarono il più ipocrita dei sorrisi, ringraziando Kalkbrenner per l’invito. 

    «Signora Beer, signor Stock, grazie della vostra presenza questa sera. Tra breve apprenderete gli ultimi dati sui sondaggi di Du, Statistik e Wir. Penso conosciate Judith Flug, Helmut Raumer e Beate Zoll…» disse Kalkbrenner, prima di affrontare il tema della puntata: «Stalking, stupri, omicidi. I casi recenti hanno suscitato proteste e sdegno. Ma questo non basta. Lo dimostra quanto appena accaduto al lago di Starnberg. Voi che vi candidate a guidare il Paese, cosa intendete fare? Signora Beer, a lei la parola.»

    Hilde Beer dimostrava molto meno dei suoi cinquant’anni. Alta e snella, bionda e occhi azzurri, aveva un fisico atletico. Abituata a lottare, era considerata dai suoi avversari un vero mastino: ferma sulle sue posizioni, determinata nel non recedere di un solo passo di fronte alle richieste dell’opposizione. 

    Non ebbe alcun dubbio su come rispondere: «Inasprire le pene per tutti i reati. Riportare la moralità innanzitutto nel nostro Paese. Diventare un modello per tutta l’Europa, un esempio che ogni nazione si sentirà in obbligo di imitare. Ma, soprattutto, ripartire dalla famiglia

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