Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il mistero di San Giacomo: Una nuova indagine di Sperinelli e Mancini
Il mistero di San Giacomo: Una nuova indagine di Sperinelli e Mancini
Il mistero di San Giacomo: Una nuova indagine di Sperinelli e Mancini
E-book251 pagine3 ore

Il mistero di San Giacomo: Una nuova indagine di Sperinelli e Mancini

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La chiesa di San Giacomo è stata finalmente restaurata e restituita alla città di Savona, dopo secoli di abbandono. Ma nel corso dei lavori si scopre un raccapricciante segreto: i cadaveri di una donna e di un neonato. Solo una medaglietta al collo della poveretta e il suo orologio da polso potranno consentire agli inquirenti, grazie all’aiuto dei cittadini, di ricostruire la vicenda e dare un nome alle misteriose mummie. Toccherà a Ludovica Sperinelli, Pubblico Ministero savonese, svelare il mistero e scoprire il legame tra il ritrovamento e l’inspiegabile, crudele omicidio di un anziano invalido. Non sarà sola in questa impresa: avrà al suo fianco il Maggiore Duccio Pratesi, uomo galante, esperto d’arte, e l’immancabile maresciallo Francesco Mancini, che collaborerà alle indagini, questa volta, un po’ distratto da un’avventura che gli farà battere il cuore. Verrà alla luce una vicenda di amore, viltà, disperazione e vendetta, disegnata a tratti vividi sullo sfondo di una Savona rivisitata.

Fiorenza Giorgi è nata, vive e lavora a Savona. Da molti anni in magistratura, attualmente ricopre l’incarico di Giudice per le Indagini Preliminari. È appassionata di musica lirica e tradizioni liguri ed è autrice di alcune raccolte di modi di dire savonesi che hanno riscosso grande successo.
Irene Schiavetta, musicista, vive a Savona e insegna presso il Conservatorio di Cuneo. Ha scritto commedie brillanti, racconti e libretti e ha collaborato con una importante Casa editrice per opere di letteratura italiana. Per le edizioni Carisch ha scritto libri di didattica pianistica. Per la Coedit ha pubblicato il romanzo Le tre signore. Di Giorgi&Schiavetta Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Delitto alla Cappella Sistina, Morte al Chiabrera, La sala nera e Omicidio in Darsena.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2018
ISBN9788869432552
Il mistero di San Giacomo: Una nuova indagine di Sperinelli e Mancini

Leggi altro di Fiorenza Giorgi

Correlato a Il mistero di San Giacomo

Ebook correlati

Noir per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il mistero di San Giacomo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il mistero di San Giacomo - Fiorenza Giorgi

    CAPITOLO 1

    Il fischio del vigile urbano echeggiò in piazza Mameli e immediatamente tutto si fermò. Due donne con un passeggino rimasero immobili sul marciapiede, un ragazzo in bicicletta frenò e appoggiò il piede sul selciato, alcuni anziani che chiacchieravano seduti su una panchina si alzarono togliendosi il cappello e anche l’ambulante con un borsone pieno di ombrelli si arrestò proprio al centro del grande spazio che intervalla via Paleocapa nel suo slancio verso il mare. Erano le diciotto e, come accadeva da più di ottant’anni, la campana del Monumento ai Caduti commemorava con ventuno rintocchi tutti i Savonesi che avevano perso la vita in guerra. Per un minuto, ogni attività si ferma mentre il suono metallico del batacchio percorre idealmente l’intero alfabeto, perché nessun nome possa essere dimenticato.

    Anche il maresciallo Francesco Mancini, che transitava a piedi, si era fermato, mettendosi sull’attenti. Non aveva fretta, ma anche in caso contrario avrebbe diligentemente rispettato quest’usanza, un appuntamento quotidiano che lo commuoveva e che, a suo parere, dava alla città un’impronta unica.

    Appena la campana tacque, persone e veicoli si rimisero in movimento e anche il militare proseguì nel suo cammino che, dagli uffici di via Mentana, lo avrebbe portato in corso Viglienzoni. La sua meta era un negozio, Linea 2, di cui aveva scritto denominazione e indirizzo sull’agendina che portava sempre con sé. Là doveva organizzare un appostamento per tenere d’occhio un sospettato di traffico di stupefacenti.

    Attraversata la piazza, l’uomo imboccò via Montenotte, poi svoltò a destra in via Luigi Corsi. Mentre camminava, nonostante un incipiente mal di gola che gli rendeva difficile deglutire, canticchiava a mezza voce una melodia. Qualche giorno prima l’aveva sentita intonare per caso da Ludovica Sperinelli, il Sostituto Procuratore con cui collaborava e che era un’appassionata di musica lirica. Era tardi, il Palazzo di Giustizia era ormai quasi vuoto, lui la stava raggiungendo per aggiornarla sugli sviluppi di un’indagine e aveva sentito una vocina nitida e sottile provenire dalla sua stanza. La porta era aperta, così si era avvicinato silenziosamente. Eccola, il magistrato: bella, vestita con semplice eleganza, una camicetta bianca e una gonna blu al ginocchio, impreziosita da una piccola cintura, i capelli scuri, folti, raccolti sulla nuca. La donna cantava mentre, in piedi davanti alla scrivania, cercava di riordinare alcuni fascicoli. Era così intenta nel suo lavoro che non aveva avvertito la sua presenza, intonando un motivetto che lui aveva trovato delizioso: "Vedrai, carino, se sei buonino, che bel rimedio ti voglio dare; è naturale, non dà disgusto, e lo speziale non lo sa far… no! Non lo sa far". Francesco era rimasto là immobile per un minuto intero ad ascoltarla fino a quando, rendendosi conto di essere indiscreto, aveva bussato delicatamente. Il rumore aveva richiamato la Sperinelli alla realtà e lei si era voltata, sorridente e un po’ vergognosa.

    Alle sue domande, aveva risposto che si trattava di un’aria del Don Giovanni di Mozart.

    – È bellissima – aveva commentato lui, sincero.

    – Davvero le piace? – si era stupita lei, spalancando gli occhi verdi e colpendolo dritto al cuore con un sorriso radioso.

    – Molto.

    – Allora dovrebbe sentirla interpretata da una cantante vera! – aveva scherzato il Sostituto.

    Il giorno dopo l’uomo aveva trovato nella posta elettronica un suo messaggio contenente un link, grazie al quale aveva potuto sentire quell’aria cantata dalla splendida Cecilia Bartoli, accompagnata dall’orchestra dell’Opera di Vienna. Lui aveva sempre creduto che l’opera lirica fosse una pappa per galline, un passatempo per masochisti, ma ora iniziava a pensare di essersi sbagliato. E poi, questa Zerlina, che peperino! Così, quella musica orecchiabile gli si era stampata nella memoria e continuava a sentirla girare nel cervello anche senza volerlo.

    Quando giunse a destinazione, il sottufficiale trovò il giovane maresciallo Aricò che lo aspettava a bordo dell’auto di servizio, sistemata di traverso, quasi in mezzo alla strada. Francesco sorrise tra sé pensando alla cura con cui Vincenzo trattava invece la macchina personale, una nuovissima Giulietta rossa, acquistata a rate il mese prima, dopo grande tormento e lunghe riflessioni, e i molti giri che il collega faceva ogni volta che la tirava fuori dal garage, in cerca di un parcheggio abbastanza sicuro.

    – Eccomi – salutò il più anziano.

    L’altro uscì agilmente dall’abitacolo.

    – Meno male, sei arrivato… Dobbiamo far presto!

    Mancini notò il suo nervosismo e capì che, probabilmente, quella fretta era dovuta a una donna. Che strano, un appuntamento galante di lunedì? Ma quella volta, forse, a giudicare dall’espressione del giovane, non era una storia felice. Saggiamente, tenne per sé le sue osservazioni.

    – Andiamo.

    Il negozio esibiva in vetrina gli ultimi videogiochi per le più disparate consolle. Aricò doveva essere un appassionato, perché la sua espressione mutò. I problemi sentimentali sembravano già dimenticati.

    – Vedi quello? È l’ultima versione di Dying Light. Bellissimo, sai? Un survival horror – spiegò, masticando un inglese un po’ zoppicante. – Ne ho già troppi, non posso comprarne un altro!

    L’altro guardò senza entusiasmo la copertina, su cui era raffigurato un gruppo di zombie su uno sfondo rossastro da fine del mondo. Anche questa volta preferì non commentare.

    – Entriamo – si limitò a dire, aprendo la porta.

    La donna che sistemava alcuni oggetti su uno scaffale attirò subito la loro attenzione. Forse per il taglio di capelli all’ultima moda, con la nuca quasi rasata e la parte superiore di un biondo acceso, o forse, più probabilmente, per il fondoschiena, rotondo e generoso, dall’impeccabile forma di mandolino, che accese l’interesse di entrambi.

    Lei si girò e capì subito chi erano i nuovi arrivati.

    – Siete dei Carabinieri? Sono Esther Gosio, una delle proprietarie – disse, tendendo la mano.

    Francesco sbirciò sull’agendina. Era proprio la persona che stavano cercando.

    – Serve anche mia sorella? – s’informò lei, accennando a qualcuno quasi nascosto dagli scaffali. – Sta facendo l’inventario.

    Sentendosi nominare, la signora Monica comparve, esitante.

    – Ma no – rispose sbrigativo Vincenzo – lasci stare. Lei basta e avanza – concluse.

    La commerciante non diede segno di avere raccolto l’allusione. Con un cenno della mano fece intendere alla contitolare che poteva continuare il suo lavoro e condusse i due nel retro, un locale di servizio che sembrava una minuscola abitazione di fortuna. Era arredato con un divano, un tavolino spinto contro il muro su cui si trovavano un fornello elettrico e una macchina per il caffè, uno scaffale carico di documenti e alcuni misteriosi apparecchi elettronici, forse in riparazione. Le pareti erano state tinteggiate di un rosa acceso che conferiva alla stanza un’aria civettuola.

    I sottufficiali si avvicinarono alla portafinestra che dava sul cortile interno, chiesero che venisse aperta e diedero un’occhiata discreta allo spazio circostante.

    – Affacciandosi, si vede benissimo l’entrata di servizio del Culicchia – commentò il più giovane – però non possiamo piazzare gli uomini qui, con la porta anche soltanto dischiusa, li vedono subito.

    La Gosio aveva capito al volo.

    – Ci sarebbe la finestrella del bagno – disse.

    Li condusse nel locale attiguo e i militari convennero che, sia pure stretto e un po’ scomodo, era il punto migliore per osservare il viavai che interessava a loro, senza essere notati.

    Presero accordi per le successive giornate di appostamenti e, prima che si salutassero, Esther volle offrire loro un caffè.

    – Ho la macchina nuova. È arrivata proprio la settimana scorsa, lo fa buonissimo – disse.

    – Abbiamo fretta – rispose tra i denti Aricò.

    Lei sospirò, guardando Mancini con occhi dolci.

    – Sono sicura che un minutino lo potete trovare – continuò, esibendo un sorriso invitante all’indirizzo di Francesco.

    Dei due, quello che riceveva le attenzioni delle signore era sempre Vincenzo, assai più belloccio e prestante. Per l’altro essere il destinatario di quella gentilezza era una simpatica novità, ma fu comunque costretto a rifiutare, perché si era fatto tardi davvero.

    Mentre si accomiatavano, il cellulare di Aricò si mise a squillare. Con un gesto di stizza lo tirò fuori dalla tasca e, quando sbirciò sul display per vedere di chi si trattava, il suo viso ancora una volta cambiò espressione.

    – Scusatemi un momento – bofonchiò, uscendo in strada.

    Il più anziano rimase con la bionda, che gli posò la manina piena di anelli sul braccio, dandogli un’inaspettata, piacevole sensazione d’intimità.

    – Lei passerà ancora di qui, durante gli appostamenti?

    L’uomo si sentì imbarazzato, tanto più che, dallo spiraglio della porta, s’intravedeva la signora Monica la quale, cercando di avere un’aria indifferente, teneva d’occhio quanto accadeva nello sgabuzzino.

    – Veramente no, se ne occuperanno i colleghi, io devo solo avviare il lavoro e…

    – Peccato! – esclamò Esther, togliendo la mano e sospirando con intenzione.

    Non aggiunse nulla ma, se lo sguardo avesse potuto parlare, Mancini avrebbe scommesso che c’era dell’altro. Era lusingato, ma anche perplesso, così per togliersi dall’impaccio salutò e uscì a raggiungere il collega.

    – Tutto bene?

    – Non proprio – rispose l’altro.

    – Mi spiace…

    – Niente di che, problemi di donne.

    Francesco non commentò. Sapeva che Vincenzo, anche se poteva vantare molte avventure galanti, ogni tanto incappava in qualche passo falso e quello che doveva essere un divertimento si rivelava, invece, una fonte di dispiaceri. Era successo qualcosa del genere con Elisa Piombo, la segretaria della Sperinelli. Aricò l’aveva un po’ corteggiata, inorgoglito dall’ammirazione della ragazza, ma quando lei aveva capito che per lui era solo un gioco, si era imposta di toglierselo dalla testa. C’era riuscita e in seguito si era anche sposata, felicemente peraltro, continuando a trattare il sottufficiale con quieta cortesia, come se nulla fosse stato. Questa volta invece, a quanto si sapeva in ufficio, l’avventura, iniziata tra i fuochi d’artificio, aveva preso una piega amara. Forse la fanciulla voleva l’anello al dito.

    I militari, senza più parlare, rientrarono in caserma. A Mancini un po’ dispiaceva essersene andato così di corsa e pensò che forse, nei giorni seguenti, avrebbe trovato una scusa per fare ancora un salto da quelle parti.

    Nel frattempo, in ufficio, Ludovica ricevette una telefonata dal Procuratore, Patrizio Schiavi.

    – Ciao cara, puoi passare un momento da me, per cortesia, prima di uscire?

    – Va bene, arrivo subito – rispose lei.

    Era pomeriggio inoltrato e quasi tutti coloro che lavoravano a Palazzo di Giustizia se n’erano andati. La donna si alzò, rassegnata a essere, per l’ennesima volta, l’ultima a lasciare gli uffici. Si guardò velocemente nello specchietto, sistemò i capelli e raggiunse Schiavi nella sua stanza.

    – Vieni, mettiti comoda – sorrise lui, alzandosi e spostandole una sedia.

    – Quando sei così gentile, di solito sta arrivando un mare di guai – replicò lei, guardinga.

    L’uomo rise di gusto.

    – Mi conosci bene! Ma questa volta ti voglio passare solo una grana piccola piccola, anzi forse un divertimento.

    – Sentiamo! – fece lei poco convinta

    Lui sedette di traverso sul piano della scrivania, guardandola con affetto.

    – Detta in poche parole: domani dovresti sostituirmi alla cerimonia d’inaugurazione di San Giacomo.

    Lei aggrottò la fronte. Come tutti, era informata dell’importante opera di restauro che il Comune aveva avviato, ormai da qualche anno, per sistemare l’antico tempio cristiano e gli edifici annessi, dopo un lungo periodo di abbandono.

    – Hanno finito i lavori?

    – Non proprio. Stanno cercando però di rendere presentabile la chiesa in occasione della cerimonia, che è stata fissata per martedì mattina.

    – Domani!

    – Già. Forse qualche pezzetto è ancora fuori posto, ma lo sistemeranno in modo da non dare nell’occhio.

    – E tu?

    – Io domani sono stato convocato a Genova dal Procuratore Generale e, capisci, non posso mancare – replicò lui, serio. – Dimmi di sì! Devi solo essere presente, sorridere, parlare del tempo, un’oretta al massimo e sarai libera. Ho anche allertato il nostro autista che si terrà a disposizione e ti accompagnerà con la vettura di servizio, così non devi cercare parcheggio.

    La Sperinelli lo guardò con aria di sfida.

    – Quindi eri certo che avrei accettato.

    – Sì – rispose sfacciatamente lui. Poi, divertito dalla sua espressione corrucciata, continuò. – Conosco il tuo senso del dovere.

    – E ne approfitti! – sbottò lei.

    – È vero. Ma ammetterai che questa volta non ti sto affibbiando nessuna brutta gatta da pelare!

    Non era il caso di fare commenti, anche se ne aveva di salaci pronti sulla punta della lingua. Tornando verso la sua stanza, il Sostituto rifletteva sulla novità. Schiavi aveva intuito che lei avrebbe accettato, ma non sapeva che proprio per l’indomani era previsto l’arrivo a Savona del suo amante, Alberto, che si sarebbe fermato da lei per qualche meraviglioso giorno. È invitato anche lui alla cerimonia si consolò il magistrato. Lo incontrerò a San Giacomo, e poiché mi piace vederlo in divisa, cercherò di trarre il meglio anche da questo piccolo contrattempo concluse.

    Finalmente scese in garage, si mise al volante della sua auto e guidò fino a casa, nel quartiere della Villetta. Là l’aspettava la sua amica a quattro zampe, Penelope, che fu felice di accompagnarla a fare una breve passeggiata.

    Per fortuna non mi tocca cucinare, si disse Ludovica più tardi, rientrando. Devo solo dare da mangiare al cane e mettermi qualcosa di elegante. Era invitata a cena da Anna e Cesare, una coppia di amici che avevano, tra le molte virtù, quella di essere ospiti squisiti. Avrebbe passato qualche ora rilassante, poi l’indomani si sarebbe recata alla cerimonia d’inaugurazione, sperando che fosse breve!

    CAPITOLO 2

    Il martedì mattina il sole splendeva e la temperatura iniziava a salire in modo preoccupante. Solo la frizzante aria settembrina dava sollievo a tecnici e operai che, nella chiesa di San Giacomo, si affrettavano per rendere accessibile il luogo al selezionato pubblico dell’inaugurazione.

    L’edificio, che aveva annesso un convento, risaliva al 1476 e si trovava in una splendida posizione da cui dominava il porto, la città e tutta la riviera in direzione di Genova. Unito al centro di Savona mediante un alto ponte a quattro archi, ancora esistente e agibile, era stato costruito su disposizione di Papa Sisto IV Della Rovere, e per secoli si era arricchito di opere d’arte, monumenti funebri e lasciti di ricche famiglie savonesi, diventando una specie di sacrario della classe mercantile locale. Purtroppo, a un certo punto era cominciata una lenta ma inarrestabile decadenza, fino a che, nel 1810, la chiesa era stata chiusa in seguito alle leggi napoleoniche e spogliata delle sue opere d’arte. Divenuto proprietà del Comune di Savona, dopo decenni di abbandono che lo avevano portato sull’orlo del crollo, il complesso aveva finalmente ricevuto un radicale restauro, grazie ad un finanziamento dell’Unione Europea.

    Ora la chiesa sarebbe stata utilizzata come auditorium, mentre negli ex alloggi demaniali sarebbero stati ospitati il Liceo Musicale e il Conservatorio di Musica, che da tempo si arrangiavano in una sede provvisoria costituita da alcuni locali del Seminario. Terminata la fase strutturale dei lavori, l’allestimento delle aule sarebbe stato eseguito nei mesi seguenti. Il progetto per riportare alla vita l’antico edificio era stato affidato a un personaggio famoso, l’archeologo e storico dell’arte napoletano Marcello De Luca. Aveva diretto personalmente i lavori e si era prodigato per finire in tempo ma, come spesso accade, gli imprevisti si erano succeduti facendo sì che ci fosse ancora un bel po’ di materiale qua e là.

    Ora l’uomo si aggirava come un’anima in pena, sporco, accaldato, dando ordini e sbraitando.

    – Spostate quegli attrezzi, non vedete che qui non si riesce a passare? Santo Cielo, ma chi vi ha insegnato a lavorare?

    Secondo lui gli uomini, invece di eseguire i suoi ordini e sistemare le attrezzature in modo da renderle invisibili, facevano "a-mmuina", limitandosi a portare gli oggetti di qua e di là senza concludere niente.

    – Sbrigatevi, abbiamo poco tempo!

    Nonostante gli sforzi, alle nove del mattino c’erano ancora operai al lavoro e attrezzi sparsi. A quell’ora, fuori iniziò l’allegro viavai dei ragazzi della Scuola Alberghiera, che dovevano predisporre i rinfreschi sotto gli archi del chiostro. I poveretti, appena giunti, avevano sentito lo strepito di quello che sembrava un pazzo da legare, ma avevano deciso di ignorarlo e si muovevano con garbo e professionalità in un bailamme di tovaglie di Fiandra, pentole, piatti, posate e bicchieri, consci che la riuscita del servizio equivaleva per loro al superamento di un esame.

    Poco dopo, alla confusione generale si aggiunsero i musicisti dell’orchestra del Conservatorio, i quali iniziarono ad arrivare alla spicciolata, tirando fuori gli strumenti dalle custodie e suonando qualche nota. Il loro concerto, programmato nell’arioso spazio aperto del chiostro, avrebbe concluso la cerimonia d’inaugurazione. Il caotico insieme di flauti, violini e clarinetti che provavano i passaggi più complicati si andò a unire al rumore generale degli operai e dei ragazzi del catering.

    De Luca, guardò l’orologio e avvertì distintamente il battito cardiaco che accelerava. Il tempo scorreva velocissimo. Dopo aver redarguito due operai che ancora stavano finendo di intonacare una parete, si fermò e gettò un’occhiata d’insieme a quella che era stata la Santa Croce di Savona, passando un fazzoletto sulla testa calva luccicante di sudore. Mamma mia! pensò devo anche tornare in albergo, farmi una doccia e cambiarmi. Prima però …

    Non fidandosi di nessuno, volle fare un ultimo giro nella chiesa, osservando scrupolosamente ogni angolo e borbottando fra sé, a volte con aria soddisfatta, altre volte scuotendo il capo, a mano a mano che osservava i risultati dei lavori. Sembrava un grosso cane da caccia in cerca della preda eppure, nonostante i modi discutibili, era uno dei maggiori esperti dell’arte italiana, chiamato per questo a dirigere l’opera di restauro.

    Lo studioso era arrivato all’altezza della quinta cappella di sinistra, quella dove nel 1638 era stato inumato Gabriello Chiabrera, il più noto poeta savonese, quando si bloccò improvvisamente. Rimase immobile qualche attimo, mentre sul volto si disegnava una netta espressione

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1