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Il caso Mellei-Petza
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E-book233 pagine3 ore

Il caso Mellei-Petza

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Info su questo ebook

L’assassinio a Reggio Emilia del consulente finanziario Carlo Mellei e la successiva scomparsa del suo socio Giacomo Petza si intrecciano con la scoperta a Cagliari di un cadavere senza nome e, soprattutto, con la brutale uccisione a Genova del capitano dei carabinieri Gianfranco Mendolara, incaricato delle indagini nel capoluogo emiliano.Marianna, tra lo scetticismo dei suoi superiori, decide di andare a fondo: lascia il suo fedele maresciallo Passanante a indagare in Sardegna e ottiene di poter tornare nella sua città per dare il proprio contributo alle indagini.Qui però, mentre dà la caccia a una misteriosa, affascinante e disinibita femme fatale che sembra aver portato alla perdizione il capitano Mendolara, deve fare i conti col passato che ritorna: la ferita mai rimarginata del grande e sfortunato amore della sua vita; la difficile scelta di entrare in Accademia e di andarsene dalla sua terra; la scoperta ammirazione e la sotterranea rivalità che prova per il commissario Chiara de Salle che ha già conosciuto nel corso del caso Lampis e con cui si trova a dover collaborare.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2013
ISBN9788875638863
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    Anteprima del libro

    Il caso Mellei-Petza - Massimo Carloni

    Prefazione

    Questo romanzo è stato ideato, come i due precedenti, assieme ad Antonio Perria. La sua morte, nel 2004, ci ha colto mentre la stesura era arrivata al sesto capitolo. Dopo diversi mesi trascorsi senza scrivere una riga, ho ritenuto di portare comunque a termine l’opera: glielo dovevo, per l’affetto e la stima che ho sempre nutrito per lui.

    Gli scrittori sono soliti ringraziare chi li ha aiutati nella loro fatica e assumersi la responsabilità di tutto quello che di negativo o di letterariamente non risolto il romanzo presenta: spesso – molto spesso – è un puro esercizio di retorica.

    In questo caso no.

    Onestamente, senza Antonio questo libro non sarebbe nato; e con Antonio sarebbe stato certamente diverso.

    Chi dunque troverà avvincente questa terza avventura del tenente Marianna Montanari ringrazi Antonio – che ci segue sempre con bonaria ironia dal suo paradiso degli scrittori – e il sottoscritto.

    Chi invece rimarrà deluso dalla nuova storia se la prenda esclusivamente con me.

    In ogni caso, buona lettura a tutti.

    M.C.

    Capitolo 1

    Marianna

    Chissà perché dovevano capitargliene tutte quel giorno quando, per la prima volta da dodici anni, aveva dovuto risolvere un imprevisto problema di salute.

    Era riuscita a evitare che si sapesse in giro – al punto che neanche si era preoccupata di marcare visita – allo scopo di impedire che al reparto facessero commenti da caserma: abitudine alla quale non riusciva ancora a fare il callo.

    Tutto sommato niente di preoccupante, solo qualche fastidio intestinale, ma il medico della Legione, fresco di laurea e animato dal sacro fuoco, dopo averla visitata, a titolo precauzionale, le aveva prenotato una colonscopia per le otto di quella mattina, mercoledì 15 gennaio, nella clinica Sant’Elena di Quartu, reparto medicina.

    Tre giorni di umiliante preparazione le avevano assottigliato, è vero, il suo punto vita, ma l’avevano anche lasciata leggera come l’imbottitura di un piumino. E adesso a mezzogiorno e mezzo, dopo essere stata riportata nella sede del reparto operativo dall’autista Marcon – diagnosi: sana come un pesce, come volevasi dimostrare – e mentre si preparava ad andare a mangiare in maniera cristiana, ecco che si presentava il suo principale collaboratore, il maresciallo Aureliano Passanante.

    Tutto bene, vero sior tenente?.

    Tutto bene, rispose glaciale Marianna Montanari. Giudicava l’argomento privatissimo e il solo pensiero di lei, nuda dalla vita in giù e stesa sul fianco mentre il medico, inforcati gli occhiali, si piazzava davanti al display a colori a osservare con interesse le meravigliose curve del suo intestino, la faceva sentir male. Novità da parte sua, piuttosto?.

    Ordinaria amministrazione.

    Sarebbe a dire?.

    Il suo aiutante aprì la cartellina di plastica che teneva in mano e tirò fuori un primo foglio con l’intestazione del reparto investigativo e glielo consegnò: Addì oggi 11 dicembre, alle ore 23.42 nei locali del reparto traumatologia dell’ospedale San Giovanni di Dio....

    Il tale, identificato per Panazza Giandomenico di 52 anni, nativo di Castellammare del Golfo, provincia di Trapani, la sera prima era stato trovato piuttosto malconcio sul marciapiede di via Favonio. I medici del pronto soccorso, alle cui mani era stato affidato, gli avevano riscontrato una ferita lacero-contusa all’arcata sopraccigliare sinistra e tumefazioni a entrambi gli zigomi e alla regione temporale destra, tutte prodotte da violente percosse. In più la frattura di due costole e varie altre lesioni di minore entità a carico di braccia e spalle presumibilmente procurate da un corpo contundente. La prognosi era stata di venticinque giorni salvo complicazioni.

    A domanda risponde: sconosco l’individuo anzi gli individui che in numero di tre hanno operato l’aggressione ai miei danni allorché, parcheggiata la vettura, mi dirigevo verso il mio domicilio sito al numero 89 della medesima via Favonio... Sconosco altresì i motivi che possono aver determinato tale comportamento delittuoso....

    Un tentativo di rapina?.

    No, sior tenente, hanno soltanto voluto dargli una ripassata, rispose Passanante.

    E il motivo?.

    Vi faccio riferimento in questo secondo foglio.

    Giandomenico Panazza, trasferitosi a Cagliari dalla natia Sicilia ormai da quattro anni, aveva aperto uno studio nel quale esercitava la professione che, secondo quanto si leggeva sui biglietti da visita che aveva subito preso a distribuire nel mercato di San Benedetto e nei bar, sarebbe stata di operatore dell’occulto. Da qualche mese si faceva anche pubblicità su Cronaca vera e dagli schermi di una TV privata, vantando un miracoloso sistema per risolvere qualsiasi problema sentimentale, rottura di fidanzamento, protezione dai tradimenti e riconquista di amanti fuggiaschi.

    Si fa chiamare mago Kapudan e lascia credere di essere turco o libanese, disse ancora Passanante. In Sicilia, prima di finire al gabbio, era conosciuto come mago Anacleto.

    Arrestato, perché?.

    Nella nostra banca dati si parla dei reati di circonvenzione d’incapace, truffa continuata ed estorsione.

    In altre parole, spiegò il maresciallo, sei anni prima aveva portato via 15 milioni di lire a una carampana in calore, ma, purtroppo per lui, anche l’unica zia amatissima di un sostituto procuratore: il tutto con la promessa di far cadere ai suoi piedi l’uomo per il quale aveva perduto il sonno. Allo scopo di rendere operante la magia, che diceva di aver studiato a tale scopo, l’aveva convinta a bere un intruglio di peli pubici finemente tritati e vino, mezzo bicchiere la mattina appena alzata e mezzo la sera prima di andare a letto. Dietro insistenza del suo avvocato d’ufficio, che non vedeva l’ora di tornare a ben più remunerativi clienti, aveva patteggiato un anno di reclusione e 400 euro di multa e all’udienza preliminare era stato scarcerato.

    In sostanza mi sta dicendo che c’è ricascato ma che stavolta, anziché denunciarlo, la vittima o le vittime hanno preferito una condanna fai-da-te?.

    Esattamente.

    Visto come l’hanno conciato, ho l’impressione però che stavolta il bidone non l’abbia fatto ai danni di una donna debole e indifesa. Ha un’idea di chi può essersene incaricato?.

    Passanante fece il Cristo in croce, ancora non era possibile saperlo. Aveva incaricato il brigadiere Melis di farsi firmare un mandato di perquisizione dal sostituto procuratore di turno e a quell’ora doveva essere già in via Favonio con due svelti della sua squadretta. Un’occhiata alle sue carte e forse avrebbero saputo.

    Il mago Kapudan tiene lì casa e bottega, chiarì in risposta all’occhiata interrogativa del suo superiore.

    Mi sembra di capire che, nella migliore delle ipotesi, prima di domani non sarà possibile sapere chi lo ha riempito di botte.

    È così, infatti.

    In questo caso..., l’ufficiale si levò in piedi e raccolse i guanti.

    Calma e gesso, significò il gesto del maresciallo. C’era dell’altro.

    Ha presente quel tale ucraino che lunedì scorso ha denunciato al mio collega di Assemini il rapimento di sua moglie e che più tardi abbiamo interrogato?.

    Marianna annuì. Loro del reparto operativo erano stati chiamati perché la faccenda sembrava rivestire carattere di gravità. Andreji Charkovsky di anni 28, nato a Poltavka, bracciante agricolo in atto addetto a una serra per la produzione di pomodori Camone e in Italia da tre anni con regolare permesso di soggiorno, pareva davvero disperato. Prima al maresciallo Puxeddu della locale stazione dell’Arma, e poi a lei e a Passanante, aveva raccontato che intorno alle otto di sera, poco prima che lui e sua moglie Mirjia si mettessero a tavola, qualcuno aveva bussato alla sua porta, al pianterreno del numero 125 di via Fratelli Rosselli, periferia Est della cittadina.

    Mirjia è andata ad aprire la porta e ha parlato con chi aveva bussato....

    Un uomo?.

    Dalle voci mi sono sembrati due.

    Non li ha visti?.

    No, stavo badando alle bistecche che avevo sul fuoco. Ho solo sentito le voci poi un grido di Mirjia.

    L’uomo aveva abbandonato la carne al suo destino ed era accorso, in tempo per vedere una macchina che si allontanava. Di sua moglie, una biondona di 24 anni, pure lei ucraina, non c’era più traccia. Presa con la forza, in conclusione, e destinata quasi certamente a finire chissà dove in qualche casa di piaceri a tassametro.

    Beh, alle nove di questa mattina abbiamo risolto il mistero, disse ancora Passanante. Il sostituto procuratore Spanedda ha denunciato a piede libero il marito e spedito a Buoncammino i due tizi del presunto rapimento.

    Presunto? E perché sarebbe nei pasticci pure il marito?.

    Per il semplice motivo che si è trattato di un raggiro. Piuttosto ingenuo, se vogliamo.

    Dovendo finire di ammobiliare il trilocale con servizi che aveva preso in affitto e non avendo i soldi necessari, questo Andreji Charkovsky aveva convinto la moglie a prestarsi a giocare un tiro a due albanesi dei quali Passanante non ricordava più il nome, ma dei quali l’ucraino conosceva la sporca attività, titolari cioè di una piccola ma avviata scuderia multirazziale, un paio di ragazze loro connazionali, una romena e una nigeriana, da offrire al vasto pubblico. Per farla corta, aveva finto di cedere loro in esclusiva la sua Mirjia in cambio di mille e ottocento euro, neanche tanto vista la qualità della merce.

    Finto, in che senso?.

    Intanto non c’è stato nessun rapimento, disse Passanante. La ragazza è stata accompagnata in macchina dal marito a casa dei due albanesi con i quali aveva preso in precedenza gli accordi. E poi c’è la questione della truffa.

    In altre parole moglie e marito avevamo pensato di fare il pacco agli albanesi. Avevano cioè architettato che, alla prima uscita ai bordi della statale 131, Mirjia sarebbe corsa a denunciare i suoi presunti rapitori nonché sfruttatori. E in tal modo, una volta che li avesse fatti chiudere in galera, sarebbe volata fra le braccia del suo Andreji senza aver pagato il benché minimo dazio.

    Non avevano però fatto i conti con l’esperienza e il pelo sullo stomaco dei due pappa i quali avevano impacchettato subito la ragazza spedendola a certi loro compari di Sassari, vale a dire a duecentoventi chilometri di distanza. I quali compari l’avevano subito messa in riga a suon di sberle e costretta a fare il mestiere per il quale erano stati scuciti tanti bei soldini. Al marito non era rimasto che presentarsi ai carabinieri di Assemini e raccontare la bufala dell’inesistente rapimento.

    Alle nove di stamani, come le dicevo, il caso era già bello e risolto....

    Messo alle strette Andreji Charkovsky aveva infatti confessato l’imbroglio e, nella speranza di avere di ritorno la sua Mirjia il meno sinistrata possibile, aveva fatto i nomi dei due albanesi. Che in tal modo erano finiti dietro le sbarre perché oltre tutto recidivi e già altre due volte raggiunti da decreto di espulsione.

    Speriamo che a Buoncammino una buona volta finiscano per tenerceli, fu il commento di Marianna Montanari. Il cinquanta per cento degli individui che il personale del reparto operativo consegnava settimanalmente alla giustizia era formato da barabba che magari soltanto quattro mesi prima erano stati arrestati per aver trasgredito mezzo codice penale e che le leggi troppo magnanime avevano rimesso in circolo. Microcriminalità, la chiamavano politici e giornalisti.

    ***

    Marianna ritenne di avere diritto a un risarcimento per le privazioni che avevano preceduto l’esame di quel mattino e pertanto, in un ribollire di generosi sentimenti invitò Aureliano Passanante e sua moglie a tenerle compagnia a pranzo e gustare a sue spese le rustiche pietanze di Lillicu, in via Sardegna. Le andò di lusso perché nella lista dei piatti vi erano gli anemoni di mare fritti, che aveva da poco scoperto e le erano strapiaciuti, e trenette al sugo di aragosta da far cantare il coro degli angeli. Peccato che il servizio fosse come al solito affidato a due soli anziani camerieri e che perciò quando le portarono il conto mancava ormai un quarto d’ora alle tre.

    L’accompagno a casa? La vedo un pochino stanca....

    Grazie, maresciallo. In effetti vorrei riposare almeno un’oretta.

    Una volta approdata nel bilocale di via Barone Rossi, eletto a sua tana da quando aveva messo piede in Sardegna, avvertì la necessità di una vera pennichella, raffinatezza della quale vivendo al di sotto del quarantesimo parallelo aveva imparato ad apprezzare i vantaggi. Si mise perciò comoda in pigiama, abbassò la tapparella, digitò il numero del reparto operativo e pregò il centralinista di avvertire il capitano Serafino Dell’Acqua che, sentendosi stanca e ancora debole, per il resto della giornata l’Arma avrebbe dovuto fare a meno della sua presenza in via Nuoro. Salvo emergenze, com’era naturale.

    Chiuse gli occhi speranzosa, ma il sonno non venne. In linea col suo carattere razionale, portato a trovare la radice di ogni umano accadimento, ne diede la colpa al Tuvaoes di Cherchi che, contravvenendo alla sua disciplinata dieta, stavolta aveva voluto gustare. O forse anche a quegli anemoni di mare, tanto buoni ma pesantucci assai e responsabili di far nascere il desiderio di accompagnarli con qualche buon bicchiere di bianco. Che fare, ad ogni modo? Leggere un giallo? Accendere la TV? Le venne in mente che da tre settimane trascurava di chiamarli e fece il numero dei suoi a Cadelbosco, provincia di Reggio Emilia. Rispose la mamma, sentinella dei rapporti della famiglia col mondo esterno, che subito, prima ancora di dirle quanto piacere le facesse sentire la sua voce, si lanciò in una filippica sui figli che, una volta volati via, si dimenticano dei genitori e via lamentando. Musica già sentita, insomma.

    Marianna incassò senza ribattere e si guardò bene quindi dall’accennare ai disturbi che quella mattina l’avevano condotta nella clinica di Quartu, altro sicuro carburante alle materne geremiadi. Chiese se aveva portato sulla tomba del padre quelle margheritine bianche che tanto gli piacevano e che raccoglieva per portarle alla sua bimba quando non aveva ancora dieci anni. Caro e sfortunato papà che, da quando era andato in pensione, aveva visto assottigliarsi sempre più i suoi margini di libertà fino a quando un infarto, lui che era sempre stato attentissimo a tutto, se l’era portato via quando studiava all’Accademia.

    E la zia Annapaola?, continuò asciugandosi furtivamente gli occhi con la manica del pigiama. Sta bene spero....

    Mica tanto, sai.

    Venne fuori che le erano tornati i disturbi che l’anno prima l’avevano costretta a prendere la strada dell’ospedale. Un giorno stava bene e il giorno dopo si lamentava che faceva fatica a respirare, tanto che avevano dovuto chiamare il dottor Cremonesi, loro medico di famiglia.

    ... il quale ha detto?.

    Che forse sarebbe meglio farla ricoverare di nuovo.

    Mi sa che appena ho finito con te faccio il suo numero....

    Inutile perché proprio dieci minuti fa mi ha chiamato per dirmi che andava a trovare la sua amica Tarsilla... Sì, la vedova dell’insegnante di ginnastica che abita a cinquanta metri da casa sua. Magari puoi provare più tardi.

    Vedrò di farlo.

    Un altro po’ di babbiate, la solita promessa di farsi viva più spesso e Marianna mise giù la cornetta. Telefonare a casa non le dava più il conforto e il senso di sicurezza dei primi tempi. Stava scoprendo che la lontananza scava inevitabilmente un fossato fra le persone, parenti e non: niente di tragico, ma solo un’altra delle conseguenze dell’aver voluto a tutti i costi intraprendere la carriera militare, oltre tutto fra i carabinieri che in genere, per comprensibili ragioni, badano a tener lontane truppa e maggiorità dai rispettivi luoghi di origine.

    Eh sì, Marianna stava proprio tagliando pian piano tutti i ponti, a cominciare da quelli che fino a sei o sette anni prima erano sembrati condurla a un mondo di perfetta, irreale felicità. La serenità del vivere nella pingue provincia emiliana, il tran tran familiare, la storia con Tommaso... L’aveva amato con l’appassionata impudicizia che solo una donna timida sa esibire, ma la ferita si era ormai rimarginata. Le era però rimasto un vuoto, uno spazio buio nel quale, specie quando tardava a prendere sonno, aveva l’impressione di sprofondare lentamente e senza eccessive speranze. Avere un volto caro da accarezzare, il nodo di una cravatta da mettere a posto, una bocca sulla quale sentire la voglia di incollare le proprie labbra...

    Basta, basta... Provò per qualche minuto a costruirsi una gratificante fantasia: lei che, pur restando nell’Arma e avanzando tumultuosamente di grado (capitano nel giro di due o tre anni, poi maggiore, e infine tenente colonnello e colonnello, il primo colonnello femmina chiamato a comandare una Legione in Italia...), incontrava l’uomo del suo destino, forte, tenero e anche bello, ma di quell’avvenenza maschile fatta di un viso espressivo più che di purezza di lineamenti... Dopo neanche cinque minuti fatti e immagini si confusero in una morbida sensazione di piacere e cadde addormentata.

    Fu riportata a contatto con gli spigoli della realtà dal trillo del cellulare che aveva lasciato acceso sul comodino.

    Passanante, sior tenente....

    Che è successo?.

    Omicidio, purtroppo.

    Dove?.

    In venti parole il maresciallo la mise al corrente dell’accaduto. Un individuo di sesso maschile era stato rinvenuto cadavere nei giardini pubblici in fondo al Terrapieno di viale Regina Elena. Un colpo di pistola. E garantito che non si ragionava di suicidio.

    Mi mandi subito una macchina, fu altrettanto laconica Marianna.

    Buttò l’occhio sulla sveglia che teneva sul comodino e vide che erano soltanto le quattro e trentacinque. Aveva dormito meno di mezz’ora, ma si sentiva ugualmente riposata.

    Sotto la cupola degli alberi cominciava a scarseggiare la luce.

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