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La variabile Costante: Costante indaga tra Milano e Acireale
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E-book264 pagine3 ore

La variabile Costante: Costante indaga tra Milano e Acireale

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Info su questo ebook

L’efferato delitto di una giovane donna scuote la tranquilla routine settembrina della cittadina barocca di Acireale, adagiata ai piedi dell’Etna. La pista privilegiata è quella del delitto passionale, della lite domestica, una come tante, degenerata in assassinio.Ma forse le cose non stanno proprio in questi termini. Le vicende personali e professionali di Tancredi Serravalle, docente di Storia e Filosofia, incalzato dalla nuova preside, ossessionato dai programmi ministeriali, pungolato senza sosta dall’ironia irriverente del suo demone socratico, e del commissario Giacomo Costante, pendolare per amore della sua passionale dirigente di banca, si intersecano, intrecciandosi in una trama intensa che funge da pretesto per fotografare uno spaccato di realtà e suggerire alcuni spunti di riflessione sulla frenesia della società contemporanea. Una serie di circostanze contingenti, di più o meno fortuite variabili, come pure la morte nel capoluogo lombardo di un pregiudicato, vecchia conoscenza del commissario, spingerà Giacomo Costante ad allargare il fronte geografico e investigativo delle indagini e ad occuparsi di palestre, locali di lap dance, aguzzini ucraini e traffici illeciti tra Acireale e Milano. Un intreccio che coinvolgerà, apparentemente suo malgrado, anche il professor Serravalle.
LinguaItaliano
Data di uscita3 nov 2014
ISBN9788869430039
La variabile Costante: Costante indaga tra Milano e Acireale

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    Anteprima del libro

    La variabile Costante - Vincenzo Maimone

    Capitolo primo

    La voce dello speaker richiamava l’attenzione dei ritardatari invitandoli con una certa sollecitudine a recarsi all’imbarco. Cognomi originari delle più svariate nazionalità, e spesso dalle improbabili pronunce, si susseguivano negli annunci. Nelle ampie sale dell’aeroporto risuonava una filastrocca surreale di Brambilla e Zappalà, Smith e McFarlane, Mobutu e Wu Lao: un melting pot di dispersi nei meandri di Linate, ingolfati nelle lunghe file nei bar, o invischiati nella burocrazia del sospetto generalizzato dei controlli di sicurezza. Segno, forse, che la predisposizione al ritardo travalica i confini delle nazioni e non sembra generare pregiudizi.

    Un viavai spasmodico di trolley e valigie, di gente smarrita nel caos dei check-in circondava Giacomo Costante e contrastava con la lentezza e l’indolenza del suo passo. Il commissario osservava con stoico distacco quei frenetici passeggeri così ansiosi di partire. Non riusciva, in realtà, a definire con precisione quale fosse il suo stato d’animo in quel contesto. Se l’era chiesto più volte, quantomeno negli ultimi due mesi, ma non era stato in grado di definire con esattezza le sensazioni che provava. Da quando Carla era stata temporaneamente trasferita a Milano per seguire un importante corso di aggiornamento, il loro tranquillo ménage domestico si era trasformato in una sorta di odissea. Le scoscese frontiere della new economy ai tempi della crisi richiedevano, evidentemente, il sacrificio di tutti e producevano instabilità ad ogni livello. Lo status di pendolare dell’amore non si addiceva particolarmente alla sua indole, ma il sentimento che nutriva per Carla, l’amore e la passione che riscaldavano e scuotevano la mente e il corpo, lo avevano spinto a modificare decisamente le sue abitudini. Tuttavia, Costante era perfettamente consapevole che quello stile di vita non si addiceva all’identikit che, nel corso degli anni, aveva fatto di se stesso. Non era un nomade. In verità non lo era mai stato. Non gradiva particolarmente gli spostamenti o i cambiamenti di abitudini e di orari. Tra sé e sé cercava di chiarire meglio la sua posizione, trovare una giustificazione plausibile, come se ritenesse indispensabile mitigare quel suo radicalismo stanziale e smussare qualche angolo del carattere. Non era tanto il conoscere posti, odori, sapori o persone nuove che lo turbava. A frenarlo, molto spesso era l’atto stesso della partenza. Aveva definito questa sorta di sindrome come l’incertezza di Armstrong. Era il piccolo passo fuori dalla soglia di casa che generava in lui timori e titubanze. E ripensando alla storia con Carla si rendeva perfettamente conto che più di una volta si era trovato a forzare questo lato della sua personalità. Non era una sindrome incurabile, ma la terapia finiva con lo spossare e fiaccargli l’animo. Sorrideva ripensando alle turbolenze che negli ultimi anni avevano scosso la sua vita. Sensazioni che credeva fossero state sepolte sotto la coltre del tempo erano riemerse con nuova forza e con vigore: passione, gelosia, voglia di mettersi in gioco, nuovamente. Mancava all’appello una recrudescenza di acne giovanile per suggellare il suo ingresso in una seconda adolescenza. Istintivamente si passò una mano sul viso per verificare se qualche brufolo non stesse facendo capolino sulla punta del naso o sulle guance.

    Uno scossone violento alla spalla lo fece roteare su se stesso riportandolo con prepotente veemenza alla realtà. Costante alzò lo sguardo verso l’energumeno che aveva provocato quel brusco risveglio. Il tizio, un uomo alto e robusto e dalla fisionomia tipicamente slava, trascinava con impeto una pesante valigia rigida di color verde smeraldo. L’uomo si voltò e fulminò Costante con un’occhiata. Poi pronunciò alcune frasi in una lingua sconosciuta, con un tono che rendeva ancor più indecifrabili le intenzioni di quell’eloquio, lasciandolo sospeso tra un’accorata richiesta di scuse da parte sua e un rancoroso vaffanculo per la perdita di tempo che quello scontro stava provocando. Il commissario, attanagliato nella morsa del dubbio interpretativo, si mantenne vago e neutrale nella risposta. Alzò la mano sinistra cercando di riprodurre in quel suo gesto di commiato qualcosa a metà tra il non fa niente e lo stai un po’ più attento quando ti trascini, razza di troglodita. Quindi ognuno riprese la propria strada tra l’indifferenza generale.

    Costante decise di defilarsi e di evitare ulteriori collisioni. Si spostò sulla destra e si avvicinò ad uno dei numerosi display che illuminavano le pareti dell’aeroporto aggiornando in tempo reale sugli arrivi e sulle partenze. Dopo aver estratto il biglietto dalla tasca interna della giacca verificò quale fosse lo sportello per effettuare il check-in del volo. Era in notevole anticipo, ma non avendo la benché minima intenzione di farsi impelagare nella frenesia dell’ultimo momento si avviò verso l’area degli imbarchi nazionali.

    Carla, questa volta, non aveva potuto accompagnarlo in aeroporto. Di solito le piaceva farlo. La sua natura di inguaribile romantica, la riportava a rivivere tutte le volte la scena finale di Casablanca. La cosa non piaceva molto a Costante, anche perché, nel suo caso, le parti risultavano invertite e a lui toccava sempre interpretare il ruolo di Ilsa e, d’altra parte, l’idea di lasciare la sua Rick in compagnia di un potenziale capitano Renault risvegliava in lui un’acuta, quanto irrazionale, gelosia.

    Aveva trovato posto solo in un volo a metà mattinata e per tale ragione Carla era stata costretta a rinunciare all’ennesima proiezione di quel classico addio. Si sarebbero rivisti da lì a due settimane e, nel frattempo, le note di As time goes by avrebbero risuonato soltanto come un’eco lontana.

    Avendo ormai acquisito una certa familiarità con quel luogo, Costante individuò rapidamente l’area check-in della compagnia di bandiera e si unì alla lenta processione dei passeggeri. Una decina di persone lo precedevano. Costante ingannava l’attesa tra un avanzamento di posizione e l’altro, guardandosi intorno e spostando con il piede il suo bagaglio. Tutt’intorno era un vociare indistinto e un sovrapporsi di suoni e melodie di cellulari che contribuivano a rendere quel luogo ancor più alienante.

    La coda andava facendosi, alle sue spalle, sempre più pressante. Senza un apparente motivo, o forse mosso dalla naturale curiosità da sbirro che lo caratterizzava, l’attenzione del commissario fu attirata da una conversazione telefonica alquanto concitata che stava avendo luogo giusto alle sue spalle.

    «Come sarebbe a dire, che cosa ho fatto ieri sera. Te l’ho appena detto. Avevo mal di testa. Son tornato in albergo, ho preso le goccine e sono andato a letto. Quante volte lo devo ripetere?».

    Nell’accento perentorio di quella domanda, Costante aveva potuto percepire diverse sfumature e una certa ambiguità. Non era la prima volta che si imbatteva in quel tono. Spesso durante gli interrogatori, infatti, i sospettati erano soliti accentuare l’intensità delle loro affermazioni, fingendosi offesi o indignati, per rimarcare l’estraneità delle accuse che venivano loro rivolte. Ed era stato, probabilmente, quell’escamotage retorico ad attirarne l’attenzione. L’esperienza professionale aveva agito come una sorta di setaccio a maglie strette che aveva filtrato ogni altro rumore di fondo, restituendo chiara e distinta alle sue orecchie, l’unica conversazione che meritasse di essere ascoltata.

    «Fammi il piacere di finirla con questi inutili sospetti. Quando fai così mi fai proprio girare le balle!».

    La tesi di Costante trovava adesso ulteriori conferme. Il commissario era compiaciuto e divertito dalla piega che stava prendendo quella conversazione. In fondo, quello era un modo come un altro, per ingannare l’attesa.

    «Sì, è vero, non ho risposto alle tue telefonate. Ma te lo ripeto ho preso le goccine e sono andato a dormire. Anzi ti dirò che per evitare di essere svegliato avevo pure tolto la suoneria. Senti, ora smettila! Ecco brava! Fai così! Se non mi credi chiama lui. Ma smettila di rompermi i coglioni con questa storia. Mi ha accompagnato in albergo. E che cazzo!».

    Il timbro della voce era molto basso. Costante dedusse che l’uomo dovesse essere di corporatura robusta. Fino a quel momento si era astenuto dal voltarsi per evitare che il suo sguardo potesse togliere autenticità alla discussione in corso. Ma adesso che la telefonata si era conclusa, pensò bene di dare una fugace occhiata alle sue spalle. Si girò come se fosse stato attirato da un rumore lontano e cercò di imprimere nella sua memoria visiva quanti più particolari possibili. Il tizio era piuttosto alto, capelli corti, rasati secondo lo stile dei marines. Indossava una maglietta nera, resa aderente dal tessuto e dalla muscolatura pronunciata. Al centro campeggiava la scritta I Love Fitness & Body Building. La sua notevole stazza strideva con l’uso del vocabolo goccine che aveva incuriosito Costante. Il commissario sorrideva riflettendo su tale particolare ed accostava, per chissà quale recondita ragione, a tale incongruenza le immagini in bianco e nero de I Vitelloni di Fellini.

    L’uomo non fece caso agli sguardi di Costante, dal momento che sembrava essere seriamente impegnato a ricercare qualcosa sul suo telefonino. I suoi movimenti erano nervosi ed era animato da una frenesia che rendeva ancora più intrigante quella situazione. Dopo aver armeggiato, andando su e giù con l’indice sul display del suo touch screen, tirò un sospiro di sollievo pigiò con il dito un’ultima volta e portò il telefonino all’orecchio. Nell’attesa che qualcuno rispondesse, picchiettava nervosamente con il piede a terra. Costante valutò, prudentemente, che fosse il caso di allontanare il suo sguardo e si riposizionò aspettando di conoscere il seguito della storia.

    «Pronto... ciao! Sono io, sì, tutto bene, sto partendo. Minchia che serata, non è vero? Ascolta, devi farmi un favore... Come sempre Chicca mi rompe i coglioni. Vuole sapere perché non ho risposto al telefono ieri sera...» una risata fragorosa spezzò a metà la frase. «Vabbè, sì, poi ti racconto... Senti io le ho detto che avevo mal di testa e che mi sono fatto accompagnare da te in hotel subito dopo cena. Vedrai che, stronza com’è, ti chiama per avere conferma. Per piacere parami il culo». Si fermò un istante per ascoltare la risposta del suo interlocutore. Poi sorrise.

    «Sei un amico, l’ho sempre saputo. Ti chiamo più tardi e ti racconto il resto. Minchia che serata! Ciao, ciao».

    Armeggiò ancora qualche secondo con il telefonino, quindi lo ripose nella tasca dei pantaloni. Costante gongolava. Ancora una volta il suo istinto da sbirro aveva fatto centro. Anche se la banalità della situazione ricalcava, senza troppa fantasia, il più classico plot narrativo della serie tradimenti in trasferta. Costante decise di sbirciare un’ultima volta l’impenitente fedifrago. Si voltò con estrema cautela, mantenendo una visuale prospettica ampia, per non destare sospetti. Adesso il tizio era impegnato ad osservare l’area circostante il check-in. Sembrava una vedetta che scruta l’orizzonte in attesa di scorgere il nemico per dare prontamente l’allarme. I suoi occhi erano pervasi da una radiosa luce ormonale, brillavano, probabilmente a causa di una sorta di reflusso di testosterone avanzato dalla notte passata. La testa girava con movimenti rapidi a destra e sinistra e il collo si tendeva oltre i passeggeri in coda nel tentativo di guadagnare una visuale migliore. Dopo un po’ di questo esercizio, finalmente i suoi occhi focalizzarono l’obiettivo e un sorriso da prima pagina si aprì sul suo volto. Costante ormai totalmente coinvolto nella tresca, seguì la linea tracciata dallo sguardo del palestrato fino a quando i suoi occhi non incrociarono una ragazza che, con passo deciso e stile da top model, avanzava verso di loro.

    Ed ecco arrivate le goccine!, pensò tra sé e sé Costante.

    La ragazza aveva un fisico mozzafiato, indossava un top nero che le metteva in risalto le spalle e le curve. Un paio di jeans attillati le fasciavano le lunghe gambe e sandali con la zeppa, portati senza alcuno sforzo, la facevano svettare, distinguendola dal contesto. Costante notò che più si riduceva la distanza tra la ragazza e l’uomo, più i loro volti si accendevano di un rossore che non lasciava adito a dubbi. Indugiò, rischiando, nella sua osservazione. I due si salutarono scambiandosi un bacio appassionato, incuranti di ogni pudore convenzionale e del pubblico presente.

    «Ce l’hai fatta ad arrivare?» disse il tizio con un tono da gatto in amore, che strideva con la rigidità e la freddezza della sua voce al telefono.

    La ragazza annuì, sorrise e lo baciò nuovamente.

    I due cominciarono a bisbigliarsi frasi all’orecchio. Di tanto in tanto ridevano e si scambiavano effusioni, intrecciando le loro mani.

    «Quando ci vediamo, adesso?» domandò la ragazza.

    «Presto, non ti preoccupare», rispose evasivamente il tizio. «Mi sono proprio divertito, ieri sera. Sono stato davvero bene insieme a te. Ma perché all’inizio non volevi salire su da me in camera?» chiese, spostando l’attenzione della ragazza su un altro argomento evidentemente meno impegnativo.

    «Perché sapevo come sarebbe andata a finire», rispose lei con un tono a metà tra l’intimidito e l’appassionato.

    «Sì, ma in fondo era quello che volevi, no?» rispose l’uomo, gonfiando il petto per mettere in risalto i muscoli e il suo orgoglio maschile.

    «Forse, chissà...» riprese lei, accarezzandogli i bicipiti.

    «Buongiorno. Il suo biglietto, per favore».

    La voce dell’hostess di terra richiamò l’attenzione di Costante. Il commissario si voltò di scatto, salutò cordialmente con un sorriso e porse il suo biglietto.

    «Corridoio o finestrino?» domandò l’hostess.

    «Finestrino, grazie», disse Costante.

    «Ha solo bagaglio a mano?» replicò l’incaricata al check-in.

    «Sì», rispose Costante sollevando la sua ventiquattrore.

    L’hostess restituì il biglietto e segnalò il numero del cancello e l’orario d’imbarco. Costante salutò e si allontanò rivolgendo un’ultima occhiata ai due innamorati di Peynet.

    Superati i rituali controlli di sicurezza, Costante decise di impegnare il tempo che mancava alla partenza leggendo un quotidiano. Entrò nell’edicola del Duty Free e cominciò ad aggirarsi, con indolenza, curiosando tra gli scaffali. Scelse il giornale che meno lo faceva incazzare, pagò e si avvicino al cancello d’imbarco prendendo posto in uno degli ultimi sedili liberi. Dalla prima pagina del quotidiano un celebre pregiudicato cercava di mettere in atto un’azione eversiva al solo scopo di evitare di scontare una condanna legittimata da una sentenza confermata in tutti e tre i gradi di giudizio previsti dall’ordinamento giuridico in vigore. Seguivano editoriali, scritti da una pletora di giornalisti e politici interessati più alle marchette che alla verità o al bene pubblico, nei quali si cercava di dimostrare la necessità di un atto di clemenza in nome di un non ben definito bisogno di pacificazione. Costante saltò a piè pari la pagina politica, per evitare di incrinare ulteriormente il suo già ammaccato senso delle istituzioni e cominciò a sfogliare la pagina culturale.

    Mancavano circa dieci minuti alla partenza. La fila all’imbarco iniziava a formarsi. Le due hostess di terra stavano mettendo a punto le ultime operazioni prima di togliere il cordone alla transenna e cominciare a smistare i passeggeri. Costante aveva rinunciato alla lettura e osservava senza troppa concentrazione quella sorta di rituale. Ad un certo punto, dal fondo del lungo corridoio vide avanzare con passo deciso il body builder. Evidentemente le loro strade erano destinate ad incrociarsi nuovamente. L’uomo diede un’occhiata al biglietto che teneva in mano insieme all’ultimo numero di Men’s Health, quindi si avvicinò al cancello di imbarco prendendo posto proprio accanto al commissario. Costante sorrise divertito.

    L’uomo iniziò a sfogliare la rivista soffermandosi sugli inserti pubblicitari e sulle fotografie. Un trillo acuto e persistente interruppe la sua lettura. Estrasse il telefono dalla tasca, alzò per un momento gli occhi al cielo, quindi rispose.

    «Ciao, dimmi. Cosa c’è? Sì, sono all’imbarco. Dovrei partire tra dieci minuti» il suo tono era stizzito. «Ci hai parlato? E cosa ti ha detto? Sei contenta, adesso? Ti senti più tranquilla?» il tono era adesso meno spigoloso, ma privo di qualunque coloritura emotiva, freddo. «Sì, d’accordo. Tutto passato. Anche tu mi sei mancata. Ci vediamo più tardi in aeroporto. Anch’io, anch’io. Ciao, ciao».

    L’uomo ripose il telefono nella tasca e proseguì nella lettura. Sul suo volto, un sorriso sardonico disegnava un’espressione divertita da vecchio satiro.

    Capitolo secondo

    Il carrello toccò terra con qualche leggero sobbalzo a causa di una moderata corrente laterale che aveva influito sull’allineamento nell’approccio alla pista. L’aereo atterrò a Catania in perfetto orario salutato dall’ormai rituale applauso dei passeggeri.

    Costante aveva osservato per tutto il tempo del volo lo scorrere del paesaggio sottostante. Il cielo era limpido e la discesa giù per lo stivale era stata piacevole e priva di turbolenze. Un innocuo sbuffo dell’Etna in dormiveglia sembrava dargli il bentornato. Lasciò che i primi passeggeri cominciassero ad abbandonare il velivolo. Non appena la ressa cominciò a scemare si alzò, prese il bagaglio dalla cappelliera e si avviò verso il portellone d’uscita anteriore. Poco più avanti, il tizio palestrato procedeva a fatica nello spazio angusto dello stretto corridoio. Avvicinandosi alle hostess di bordo, mise in mostra i bicipiti come un pavone fa la ruota o un tacchino i bargigli. Le hostess lo guardarono con curiosità, senza tuttavia mostrare un particolare interesse, lo salutarono seguendo il consueto protocollo, quindi si scambiarono un sorriso ammiccante.

    «Arrivederci», disse Costante, mettendo in mostra la sua galanteria.

    «Arrivederci», risposero

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