Le Piramidi del Tempo
Di Ricci Elena
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Anteprima del libro
Le Piramidi del Tempo - Ricci Elena
633/1941.
I.
Il sole stava calando, Marco e Giulio decisero di tornare a casa. Si erano incamminati lungo il viale del parco, quando sentirono delle voci provenire dal campo di basket.
Oh no! Non di nuovo!
disse Marco a Giulio. Si guardarono e senza dirsi una parola corsero verso il campo, si fermarono sul muretto vicino all’entrata e da lì videro un gruppetto di ragazzi circondare qualcosa, anzi, qualcuno.
Marco prese un respiro profondo e con tutto il fiato che aveva gridò: Ehi! Voi! Bel coraggio avete a prendervela sempre con il più piccolo!
.
Tutto il gruppo girò lo sguardo verso loro due con intenzioni decisamente minacciose. Giulio avrebbe voluto scappare urlando a Marco: Ma che ti salta in mente pazzo incosciente! Ci farai ammazzare tutti!
. Invece rimase zitto, al suo fianco e caricò tutto il peso sulle gambe, pronto alla più spettacolare fuga della sua vita.
Marco si guardò intorno, alla disperata ricerca di qualcosa, qualunque cosa. I suoi occhi si posarono su una grossa busta di spazzatura lasciata ai piedi di un cestino troppo pieno. La afferrò e con tutta la forza che aveva la lanciò verso il gruppetto gridando a squarciagola: Scaaappaaa!
.
Mentre tutte le teste erano rivolte all’insù per seguire la traiettoria del sacchetto, dal centro del gruppo schizzò fuori un ragazzino che cominciò a correre verso di loro alla velocità dalla luce. La busta stava volando velocemente verso il gruppo, lo aveva quasi raggiunto quando all’improvviso il laccio che lo sigillava cedette e il disgustoso meteorite si aprì, quasi sopra le loro teste, liberando una cascata di immonde schifezze.
I ragazzi del gruppo inorridirono, mentre una ripugnante pioggia di rifiuti piombava loro addosso. Fazzoletti usati, cartacce di merendine, bucce di frutta, barattoli vuoti, persino un limone marcio, si liberarono dal sacchetto come un orrendo e puzzolente fuoco d’artificio ed ogni porcheria sembrava aver puntato la propria vittima. Ci furono convulsi movimenti scomposti, per evitare di essere colpiti, ma i barattoli e le altre schifezze che i ragazzi riuscivano a schivare colpivano terra per poi rimbalzare sulle loro scarpe o sui pantaloni, lasciando macchie orribili e puzzolenti. Altre robacce schifose finirono nei cappucci delle loro felpe segnando dei canestri perfetti.
Marco e Giulio assistettero a quello spettacolo disgustoso per qualche secondo, quando il ragazzino sgusciato fuori dal gruppo li raggiunse e schizzarono tutti e tre verso i palazzi. Correvano così veloci che se qualcuno avesse preso il tempo, avrebbero saputo che stavano stracciando tutti i record del mondo.
Il gruppo iniziò a rincorrerli con le movenze del peggior toro infuriato. Bastardi schifosi! Vi facciamo a pezzi! Tornate subito qui mocciosi, vi disintegriamo le ossa!
.
Ma non furono abbastanza veloci, impacciati dai giacchetti e dai jeans alla moda ormai ridotti a cenci macchiati e puzzolenti. Qualcuno pestò i lacci di quello che gli correva accanto, facendolo inciampare, altri inciamparono addosso a quelli già a terra. Al culmine della corsa, poi, furono ostacolati dai loro stessi scooter parcheggiati in perfetto divieto sul marciapiede e mentre cercavano di passarci in mezzo senza farli cadere, si resero conto che i tre erano spariti.
Tanto ti riprendo bastardo! Non avete scampo merde! Vi spacco tutte le ossa, nani! Siete morti!
. Kevin, il capo del branco, gli gridava contro, sputando rabbia e saliva.
Marco, Giulio e il fuggitivo, Karthik, non riuscirono a sentire il resto delle minacce, ma non era necessario, le conoscevano a memoria. Non era la prima volta che affrontavano una situazione come quella.
Corsero con tutto il fiato e le gambe che avevano, seguirono il sentiero tra i palazzi, prima a destra, poi a sinistra, di lato, su, giù, come avevano pianificato per quelle occasioni. Un intricato percorso che avrebbe depistato il più accanito dei segugi.
Arrivati al capolinea, stremati e senza fiato, si infilarono nell’androne del loro palazzo e si rifugiarono nel sottoscala.
Grazie!
disse Karthik con un filo di voce, ormai senza fiato, con gli occhiali tutti appannati e il naso che colava. Giulio lo guardò con le lacrime agli occhi per lo sforzo di correre in quel modo; i suoi capelli ricci, che di solito sembravano l’imbottitura di un vecchio divano, erano flosci per il sudore. Marco scosse la testa e con l’ultimo alito di aria che aveva nei polmoni disse: Karthik! Così non possiamo andare avanti. I patti erano chiari, dobbiamo uscire sempre insieme, eravamo d’accordo!
.
Ok, hai ragione, ma ero solo andato a comprare delle caramelle al bar, sono nuove! Gommose, con il gel in mezzo! Una bomba di gusto! Ero quasi al sicuro, all’improvviso me li sono trovati davanti. I bastardi me le hanno fregate. Spero che si strozzino!
disse raddrizzandosi gli occhiali sul naso.
La giustizia non è di questo mondo!
disse Giulio, ripetendo una delle frasi preferite di suo nonno, con aria solenne, scostandosi dalla fronte una piccola massa di capelli flosci. Non capiva bene cosa significasse ma faceva sempre il suo effetto.
Che ti hanno fatto?
chiese Marco.
Mi hanno solo dato qualche pugno, spintone, niente di che, però mi hanno fregato il resto delle caramelle e il cellulare di mia sorella. Era rotto, per questo me lo aveva dato, ma la custodia era fichissima! In silicone verde con disegni mimetici, mi piaceva un sacco e mi serviva per darmi un tono!
. Marco scosse la testa, i capelli neri e lisci gli si erano appiccicati sulla fronte per il sudore.
Dopo una breve discussione sui dettagli del piano frega-bulli
, presero l’ascensore e tornarono ognuno a casa propria. Era una fortuna abitare tutti e tre nello tesso palazzo – pensò Marco mentre apriva la porta di casa – questo semplificava di molto le manovre tattiche di emergenza.
Entrato in casa si rese subito conto che qualcosa non andava.
In salotto sua madre e suo padre stavano parlando con qualcuno e avevano due facce serie, come quando succedeva qualcosa di brutto.
Mise le chiavi di casa sul mobiletto vicino alla porta del salotto e sbirciò dentro per vedere cosa stesse succedendo. La persona con cui stavano parlando i suoi era il Signor Tucci, quell’antipatico del padrone di casa! Trattenne il respiro per non fare rumore, cercando di sentire cosa si stessero dicendo.
Non credo che ci sia altro da dire, Rosati, la mia è una proposta più che conveniente per voi, visto che non siete in grado di pagare un affitto più alto. Inoltre, farete un’opera di bene
.
Certo, come no! Lei non ci sta dando altra scelta!
disse suo padre, con una voce che non gli aveva mai sentito prima, se non quando parlava dei problemi al lavoro.
Per il momento siamo costretti ad accettare, ma si aspetti una disdetta del contratto, ce ne andremo appena troveremo un’altra casa!
.
Faccia pure come vuole, nel frattempo liberi subito una stanza. La chiamerò per farle sapere quando arriverà
.
Il Signor Tucci si alzò e con passo deciso andò verso la porta.
Marco non fece in tempo a muoversi di un millimetro che se lo trovò di fronte, alto, magro, con delle sopracciglia nere e folte come i suoi capelli. Gli aveva sempre fatto venire in mente un grosso insettone, tipo una cavalletta, come quelle che ogni tanto, d’estate, vedeva al parco.
Buonasera giovanotto!
disse con voce profonda e cavernosa.
…sera…
. Farfugliò Marco e appena l’insettone fece un passo, Marco sgattaiolò verso la sua camera e si chiuse dentro.
- Che cavolo sta succedendo? - pensò – Sicuramente niente di buono.
Rimase in camera fino all’ora di cena, quando sentì sua madre che li chiamava a tavola.
Ok, era il momento di farsi coraggio e affrontare la situazione. Entrò nella camera di sua sorella Gemma, scavalcò i giocattoli che erano per terra, si fece strada tra le lenzuola che aveva appeso per costruire una capanna, entrò dentro e la trovò seduta per terra sui cuscini. Indossava le sue inseparabili ali da fata, quelle che si mettono a carnevale, solo che lei le portava tutto l’anno.
Era tutta concentrata a pettinare la sua bambola-fata preferita, sembrava non essersi accorta di Marco.
Gemma è pronta la cena. Vieni
.
È venuto il padrone di casa e ha parlato con papà e mamma
.
Sì, lo so, me lo sono trovato davanti quando sono tornato…
.
"Non