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Buon giorno Buona notte
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E-book334 pagine4 ore

Buon giorno Buona notte

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Info su questo ebook

«Giulia è a un cambio di rotta nella sua vita quando conosce Lucio e s'avvia verso una relazione di coppia dove l'amore è illusione. Soltanto durante una vacanza estiva Giulia vivrà l'amore puro, autentico, e capirà quanto male l'uomo le ha inflitto e quanto ancora continua a infliggergliene. Una storia a tinte forti in cui Giulia ci riserverà un finale inaspettato…»
LinguaItaliano
Data di uscita27 lug 2022
ISBN9791221378719
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    Anteprima del libro

    Buon giorno Buona notte - Duccio Nelli Machiavelli

    Duccio Nelli Machiavelli

    BUON GIORNO

    BUONA NOTTE

    Atile edizioni

    In ricordo di Ennio Fantastichini

    Vero è che più e meno eran contratti

    secondo ch’avien più o meno a dosso;

    e qual più pazienza avea ne li atti,

    piangendo paea dicer: Più non posso.

    Purgatorio X -135/139

    PREFAZIONE

    " Buon giorno Buona notte evidenzia la capacità non indifferente dello scrittore Duccio Nelli Machiavelli di compenetrare l'animo femminile scendendo poco alla volta nei meandri mentali della donna Giulia". Chi è Giulia?

    È un briciolo di donna che vive dentro ogni donna.

    La separazione dal marito la obbliga a uscire dalla comfort zone e si destabilizza, disancorandosi dalla routine coniugale; il tradimento del marito è una fuoriuscita dalla fiducia incondizionata. La realtà matrimoniale non le aveva consentito di avere sospetti o dubbi, né di vedere il male.

    Minata la stabilità di coppia, Giulia caccia Roberto nell'ombra negandogli i suoi valori ma non consapevolizza la propria uscita da una gabbia ovattata, o da una fase infantile in cui era rimasta appesa. Tuttavia, volge lo sguardo all'emancipazione, più sessuale che di coscienza. S'innescano in lei dei meccanismi in cui i valori emotivi assumono una particolare connotazione. In fondo, vive il tradimento come un'uscita dal noi e la traduce come possibilità di una esplorazione di sé per una chiara conoscenza di se stessa; possibilità in cui muoversi da sola, svincolandosi da un'appartenenza. Giulia è alla ricerca dell'affermazione di sé, della libertà, dell'addio al noi.

    Lei deve ricostruirsi – anzi, costruirsi – un'identità.

    Fino all'uscita dalla zone comfort la sua identità era stata un'imposizione, silenziosamente accettata, da parte degli altri: la famiglia d'origine, il marito, il gruppo sociale frequentato. Quando percepisce la solitudine interiore non accetta la svalutazione di sé: il livello strutturale della sua mente sembra regredire e distorta appare la consapevolizzazione della sua vita separata da quella dell'uomo con il quale era cresciuta, al quale si era affiancata durante le varie tappe dello sviluppo, non solo fisico ma anche morale e cognitivo.

    Con maestria psicologica l'autore ci indirizza sulla strada di una Giulia adolescente che inizia un processo di conoscenza del proprio corpo, delle sue potenzialità e non dei suoi limiti. È quando la donna sperimenta in un modo nuovo la propria sessualità – per certi versi vissuta compulsivamente perché spinta da un crescente aumento di una pressione istintuale – che conosce Lucio e, forte delle proprie illusioni e credenze, instaura una relazione di attaccamento che l'uomo ribalterà in una relazione di sottomissione psicologica e sessuale con le connotazioni di una relazione tossica vera e propria.

    Giulia subisce uno smottamento psicologico e vuole trovare un senso alla propria vita, alla propria libertà interiore, ma sperimenta la fuga nell'immaginario idealizzando, secondo la sua ingenuità romantica, l'uomo-Lucio. Vorrebbe colmare un vuoto interiore, vuole e implicitamente chiede amore approcciandosi però con la parte più istintuale di sé che lascia spazio soltanto a una dipendenza più sessuale che affettiva, in primo tempo edificante perché contenitore di un desiderio di perversione da assecondare. Ma questo desiderio, unito al bisogno di legame con l'uomo, la schiavizza, la imprigiona, la confeziona e la donna tradisce i propri radicati valori emotivi nello stesso tempo in cui Lucio la devia da una moralità normata, come normata dalla società era stata la sua sessualità. Questa deviazione rappresenta un limite alla sua fantasia erotica ma la costruisce oggetto sulla base di comportamenti sessualmente imposti dall'uomo.

    Quali meccanismi psicologici si innescano in Giulia nella relazione con Lucio? In lei agisce forte il ricordo dei momenti piacevoli, anche romantici, trascorsi con l'uomo; quei ricordi contribuiscono a indurla ad associare sensazioni ed elementi dinamici delle emozioni e, pertanto, a rinforzare il processo di formazione di una volontà fortemente e gravemente inficiata da un conflitto di desideri. Tale volontà riveste un ruolo fondamentale nella deliberazione di certi comportamenti. La sua è una volontà assoggettata al ricordo di un'esperienza e di un fascio di emozioni che in lei, e solamente in lei, hanno creato una correlazione fra fatto vissuto e sentimento, o illusione di sentimento d'amore. Questi, ovviamente, equivocati da una falsa percezione delle aspettative di Lucio ma alimentati dalle sue stesse aspettative, che scoprirà poi offuscate dai lati oscuri dell'animo dell'uomo. Giulia dovrà, successivamente, anche snocciolare e analizzare l'anello di congiunzione fra concretezza di determinati fatti e credenze, per capire i confini fra verità e falsità in rapporto più a se stessa che all'altro.

    C'è, nel mondo interiore di Giulia, un fastello di credenze che devono essere smembrate una alla volta affinché possa intravedere e capire gli elementi cardine che sottendono a una sorta di adattamento cognitivo allo scopo. Scopo che consiste nella capacità di instradarsi a un lavoro di introspezione in grado di farle conoscere i propri processi mentali, quelli di sua figlia, quelli di Lucio. Importante diventa, quindi, il viaggio esperienziale per giungere allo scopo.

    In una dimensione quasi parossistica, Giulia ha necessità di scavare in fondo a se stessa, di penetrare nel suo sottosuolo.

    Lo scrittore, a questo punto, si pone come osservatore dell'osservato nell'ambito introspettivo. Quello di Giulia, nel rapporto con Lucio, è niente di più che la ricerca di soddisfacimento di desideri che devono manifestarsi in un ciclo di azioni il cui risultato doveva essere conforme a un bisogno specifico, in prima battuta era quello di restare sentimentalmente legata a Lucio. Ma l'inaspettata forma di legame con l'uomo la spinge a sgorgare in un mare dal quale non ha la forza psichica sufficiente per uscirne.

    La vacanza estiva rappresenta per la protagonista una pausa interiore che la stimola a un'appercezione particolare e affiora l'assenza di una coscienza del desiderio di Lucio. Quindi, in lei si fanno largo un pensiero caotico e un nuovo desiderio: non attuare comportamenti, e cicli di azioni, allo scopo di soddisfare un desiderio-bisogno che è soltanto di Lucio.

    Con celata delicatezza, Duccio Nelli Machiavelli evidenzia in Giulia un barlume di presa di coscienza, nel momento dell'allontanamento mentale da Lucio, della propria intimità, del proprio essere interiore. La donna prende le distanze da meccanicismi mentali perversi per giungere a un principio di non contraddittorietà di importante rilevanza: ora Giulia sa cos'è l'amore, quello autentico, quello tenero, impregnato di comprensione, di abbracci e di interazioni carnali spontanee e reciproche. Giulia si autodetermina e trova un equilibrio sessuale e prova, finalmente, l'armonia fra emozioni e sentimento amoroso. Giulia vive un momento generativo, di rinascita dell'io. Ha trovato il suo porto sicuro in Elena e approda con tutta se stessa. Adesso la donna è in grado di ragionare e capire il valore dell'amore, non soltanto romantico ma anche filiale.

    Però un campanello d'allarme scatta nella sua mente, ormai percettiva.

    Può un uomo preda dei suoi istinti sessuali più perversi, del suo immane e scalfito ego, delle sue abilità manipolatorie, delle sue fragilità emotive ed empatiche fermarsi e subire il cambiamento della donna che si fortifica e sfugge alle sue grinfie?

    Con Buon giorno Buona notte, il nostro autore ci lancia contro una realtà non fantasiosa, o con elementi fantastici, bensì concreta e ci mette in guardia dinanzi alla pericolosità di relazioni tossiche.

    Non è difficile cadere nelle trappole psicologiche di individui con personalità fagocitanti dell'energia di chi, per debolezza o per fatalità, vive fasi di disagio e di fragilità emotiva nell'arco della vita. In fondo, quest'opera è un messaggio di allarme per tutte le donne ma è anche una carezza verso le donne – soprattutto verso quelle vittime di raggiri, soprusi, maltrattamenti, violenze fisiche, psicologiche, economiche, sessuali – affinché possano trovare in loro stesse la forza necessaria a chiedere aiuto, a tirarsi fuori da relazioni pericolose in cui uno dei due componenti, se non entrambi, sono destinati a farsi male seriamente o a soccombere.

    Quando Giulia si fa veramente male? Quando vede con i propri occhi la figlia vittima di umiliazioni e violenze psicologiche e sessuali da parte di Lucio. Quando si rende conto che la figlia è un oggetto sessuale compromettente la sua stessa incolumità psicologica ma, nello stesso tempo, Giulia ha contezza del fatto che la figlia si è indebolita a tal punto da non avere capacità protettive emotive né d'immagine sociale.

    Ecco la follia (che, in un'ottica platonica, è uno scenario d'amore) nella ormai raggiunta lucidità mentale di Giulia-mamma. La follia si sovrappone alla razionalità pur seguendo le regole della ragione. Giulia deve liberarsi dal male e deve necessariamente liberare dal male un'altra se stessa: la figlia.

    Molteplici sono le sfumature dell'opera sulle quali soffermarsi a riflettere, come diversi e differenti sono le tematiche emergenti nella storia di Giulia. Calarsi nelle dinamiche che costituiscono lo sfondo all'innamoramento di Giulia ed Elena equivale a evidenziare le cause che, in molti casi reali, spiegano l'avvicinamento di una donna vittima di violenze, per lo più carnali, verso un'altra donna che possa assicurare ciò che si ritiene non trovare più in nessun uomo: comprensione dei malesseri psicologici derivati e causati dalla storia vissuta, tenerezza, dolcezza. Tale avvicinamento è spesso, come lo è per Giulia, un percorso di affermazione dell'identità sessuale, di una precisa identità precedentemente latente o repressa.

    Le immagini utilizzate dall'autore sono molto crude, senza fronzoli; la rappresentazione di atti carnali non solo evidenzia alcuni momenti di massima tensione nella narrazione ma testimonia situazioni che si verificano concretamente nella realtà sessuale di un buon numero di persone, e che, se estreme, hanno rilevanza nel campo legale. La violenza carnale, soprattutto se accompagnata da sottomissione psicologica, non è un'idea astratta ma la violazione illecita e inammissibile dell'intimità femminile. È un reato.

    L'espressività di Duccio Nelli Machiavelli e la sua capacità di elaborazione intellettuale vestono l'opera creativa di singolare genuinità, di originalità e di vitalità. Quest'ultima intesa come qualità che non consente alla storia di Giulia di scivolare nel dimenticatoio. In ogni donna, in ogni lettore, ci sarà un angolo riservato alla sopravvivenza di Buon giorno Buona notte, che ha un approccio con la donna (lettrice) quasi catechetico. Non è possibile, né accettabile, il coinvolgimento in relazioni di finto amore e, pertanto, in situazioni di degrado della dignità femminile, situazioni che possono evolvere nella morte psichica e/o fisica della donna, o in un procedimento penale a carico della donna stessa, che ha avuto il coraggio (o la fortuna?) di sconfiggere il proprio carnefice.

    Buona lettura riflessiva.

    Elena Midolo

    Roma, 25 maggio di un anno fa.

    Ci sono momenti in cui la vita costringe a voltare una pagina. Iniziare un nuovo capitolo. Più bello? Più brutto? La cosa era assolutamente indifferente. L’importante era farlo. Prendere coscienza del proprio fallimento con la quasi certezza di andare incontro a un altro. Chissà perché tutto questo avviene sempre senza un segnale, un avviso. La sterzata prende sempre di sorpresa.

    Quello era proprio quel giorno.

    Roberto ormai se n’era andato da quasi cinque mesi ed era chiaro che non sarebbe più tornato. Giorno dopo giorno avevo aspettato che aprisse la porta di casa. Non avevo cambiato le serrature proprio per questa stupida illusione.

    Non ero attrezzata a vivere con la visuale di un faro antinebbia.

    Avevo bisogno di certezze, anche se ho capito a mie spese che chi pretende certezze, non è, a sua volta, in grado di darne.

    Roma, oggi.

    – In questo percorso che faremo insieme vorrei che ti concentrassi es-clusivamente sul momento specifico, senza guardare né avanti e né indietro. Direi di cominciare dall’inizio. Da quello che è successo un anno fa. Vuoi?

    – Non c’è stato un evento, una cosa specifica. È successo come suc-cedono spesso le cose. Succedono e basta.

    Un attacco di ansia mi stava impedendo di respirare. Tenevo le mani appoggiate sul bordo del lavabo del bagno. La testa bassa. Gli occhi chiusi. Un profondo sospiro. Ripresi a lavarmi. Due prese d’acqua e poi dovetti fermarmi. Mi mancava l’aria. Pensai di andare al pronto soccorso. Mi resi conto che sarei stata quasi felice di morire. Togliermi dalle palle senza rumore. Lasciare tutto e tutti. Basta! Basta! Basta!

    Analizzavo la donna che mi guardava dallo specchio senza pietà e senza quell’ipocrita benevolenza che ognuno di noi dimostra verso se stesso. Odiavo quella donna. Ho continuato a lavarmi evitando di guardarmi. La sentenza era stata una condanna senza appello.

    Che fine aveva fatto la donna piacente, la sua figura slanciata ed elegante, invidiata dalle amiche nonostante la maternità e i quarantacinque anni? Erano mesi che non facevo un pasto decente. Uno yogurt e un pacchetto di crackers era tutto ciò che riuscivo a mangiare. Tutto il resto mi causava bruciore di stomaco. Vomitavo e mi passava. Non avevo più la pancia.

    – Parlami del momento esatto in cui hai percepito il desiderio di metterti tutto alle spalle!

    – Giravo per casa frizionandomi i capelli con l’asciugamano. Avevo acceso il televisore più per un riflesso condizionato che per il bisogno di vedere qualcosa. Sul tavolo del salotto c’era ancora l’album del matrimonio che mi era servito per trovare una foto di mio zio Aldo per ricavarne un santino da dare al suo funerale. Ho iniziato a sfogliarlo, distrattamente, senza una vera voglia di guardarlo. Ho sentito la rabbia che mi stava facendo scoppiare il cuore. Non riuscivo a respirare tanta ne provavo. Sono andata nel ripostiglio e ho preso un sacco nero per l’immondizia. Quelli grossi dell’Ama.

    La prima cosa che ci ho buttato dentro è stato quell’album. Era nient’altro che un album di gente morta da un pezzo. Cadaveri come noi due.

    – Cosa hai provato nel fare quel gesto?

    – Accidenti se mi sono sentita bene! Ero addirittura euforica. Sembravo in preda a un delirio, prendevo qua e là le cose che appartenevano a Roberto gettandole nel sacco nero dell’immondizia senza crearmi nessun problema per il loro valore, anzi ogni volta gridavo: ’Ffanculo.

    Avevo deciso di gettare tutto. Tabula rasa. Via foto, souvenir, cassette video, tutto… tutto tranne i libri.

    Indugiai un po’ nel gettare il video del matrimonio, mi piaceva rivedere i miei genitori vivi e felici. Decisi di rivederlo. Forse speravo di rivivere in quelle immagini quei momenti di felicità di cui sento ancora forte la nostalgia, o forse volevo salutare papà e mamma per l’ultima volta. Volevo quasi tranquillizzarli che non li stavo tradendo. Ne feci scorrere alcune scene. Non riuscii a sopportare la stupida mascherata da principessa Sissy. Pigiai il tasto eject. Il videoregistratore sputò fuori la videocassetta quasi con disgusto. La gettai definitivamente e coscientemente nell’immondizia. A tutto c’era un limite.

    – C’è stato un preciso momento in cui hai deciso di voler essere una donna libera? Una donna diversa?

    – Sul pavimento della stanza da letto avevo fatto una catasta di vestiti di Roberto. Pesavano, specialmente i cappotti e gli abiti invernali. Erano tantissimi. Guardavo quella montagna. Non avevo idea come portarli ai secchioni. Cominciavo a temere di non potercela fare senza aiuto.

    L’asciugamano che tenevo in testa a mo’ di turbante e l’accappatoio m'infastidivano nei movimenti e così me ne liberai continuando a fare quella cosa nuda. Ero sola in casa. Mia figlia Giogiò stava a Siena, per frequentare la facoltà di biologia. Guardai in giro per cercare una cosa sfuggita. Avevo finito. Ero stanchissima. Sudata. Sollevai lo sguardo dall’ultimo sacco ormai pieno e mi vidi allo specchio dell’armadio. Non era Giulia quella che vedevo, era una specie di aborigeno accovacciato che stava rovistando nell’immondizia. Capelli in disordine. Peli sotto le ascelle, sul pube, sulle gambe, sul viso… mi davano una sensazione di ribrezzo, di una donna trascurata e sgradevole.

    Mi sono alzata in piedi per avvicinarmi allo specchio. Mi analizzai meglio. Osservandomi da vicino, ciò che vedevo era un’immagine devastante. Mi passai le mani sul viso, sulle gambe, tra i capelli, mi resi conto che i punti su cui intervenire, erano decisamente tanti… troppi. I capelli bicolore da riprendere con una tinta magari un poco più intrigante, la ceretta, il visage, le unghie...

    ’ Ffanculo a Roberto e a tutte le Slave puttane e ladre di mariti.

    Roma, 26 maggio di un anno fa.

    La porta dell’ascensore era stata lasciata aperta. Giulia trasportò i sac-chi dentro l’ascensore facendoli scivolare sul pavimento tirandoli per l’imboccatura, legata con alcuni giri di nastro adesivo. La borsa le sci-volò dalla spalla. Si rassettava continuamente i capelli che le cadevano davanti agli occhi. La signora Luigia, novant’anni, era davanti alla porta del suo appartamento, rimestando nella borsa cercava le chiavi.

    «Giulia, fai le pulizie di Pasqua?»

    «Ho gli armadi pieni di cose che non metto da anni… ho deciso di buttare tutto.»

    «Che ci faremo con tutta ‘a roba che ce compramo, manco dovessimo campa’ cent’anni.»

    «Signora Luigia, voi i cento ve li lasciate alle spalle, date retta a me.»

    L’ascensore era ingombro dei bustoni neri pieni di abiti e non solo. Giulia dovette faticare per entrarvi. Si guardò allo specchio mentre con un kleenex si asciugava il sudore e qualche lacrima. Era stata una prova dura.

    «E adesso pensiamo a noi!»

    Disse a se stessa dopo aver trascinato con fatica l’ultimo dei quattro sacchi dell’immondizia, sistemandolo insieme agli altri accanto ai secchioni.

    Liberò lo scooter dal lucchetto che lo teneva incatenato a un segnale stradale. Indossò il casco e partì. Giulia rallentò al semaforo rosso passando tra le auto che aspettavano il verde. Facendo slaloom arrivò davanti a tutti, si guardò intorno e, approfittando della strada sgombra, passò anche se il semaforo segnalava ancora il rosso.

    Transitò davanti San Pietro. Sul Lungotevere. Per Viale Trastevere.

    *

    Più tardi all’interno di un centro estetico.

    Giulia stava sdraiata sul lettino bocconi, la ragazza della ceretta le diede una piccola pacca sul sedere facendole il gesto di mettersi supina.

    «Togliamo tutto?»

    «Cosa vuol dire… tutto?»

    «Ma i peli del pube» le rispose la ragazza della ceretta sorpresa per quella che doveva esserle sembrata un’ignoranza mostruosa «ormai non li tiene più nessuna.»

    «Ah! Ma davvero?»

    «Uhm! Uhm!» rispose la ragazza annuendo.

    «Leva tutto!»

    «Giulia, mi ha fatto piacere vederti, Filippa mi parla spesso di te» le confidò Valeria, la proprietaria del centro estetico.

    «M’immagino le cattiverie di Filippa.»

    «Sei ingiusta, Filippa ti vuole bene… lo sai.»

    «Lo so. Nemmeno te l’immagini quante volte mi ha detto di venire.»

    Le rispose allargando le braccia per scusarsi: «non è stato un bel periodo per me!»

    «Lo so, me l’ha detto... speriamo che sia passato!»

    «Se passerà, un po’, sarà anche per merito tuo!»

    «Mi piace il pensiero di averti aiutato...» le disse baciandola per un saluto «ti meriti un poco di serenità!»

    «É proprio la serenità quello che sto cercando!... Ciao Valeria!»

    Roma, oggi.

    – Avevi un modello di riferimento? Che tipo di donna avevi deciso di voler essere?

    – Una troia! Né più e né meno di una troia. Se si vuole combattere chi è armato di un bazooka come minimo ne devi avere uno anche tu, ma se puoi avere un cannone è meglio, anche se sembrare una troia e non esserlo significava farsi del male da sola.

    Dopo cinque ore di lavoro e trecento euro di conto ho dovuto riconoscere che ne era valsa la pena. Pagavo il conto e mi distraevo analizzandomi allo specchio. Mi piacevo. Sicuramente sarei piaciuta a molti uomini. Compresi subito che per combattere ad armi pari con le altre antagoniste femminili quello che dovevo restaurare era il cervello.

    – Qual era l’obiettivo della tua trasformazione?

    – La ripicca verso mio marito in effetti era stata la vera molla verso cui la rabbia mi aveva spinto e l’occasione per la mia vendetta c’era pure. La solita burracata del sabato sera da Titti era proprio l’occasione giusta per dimostrare a lei e agli altri amici di essere uscita finalmente dalla trappola della moglie disperata. Sapevo benissimo che non bastava un po’ di maquillage per scrollarsi di dosso tutte le angosce e le delusioni di una vita di coppia andata a puttane, ma, perlomeno, si evitavano le commiserazioni degli amici.

    Avevo deciso di indossare un tubino nero cortissimo con una generosa scollatura.

    L’aveva comprato Roberto. Sperava che un abito un poco osé facesse risorgere la sensualità di donna che evidentemente vedeva scemare in me giorno dopo giorno. Quell’abito l’avevo indossato una sola volta e Roberto ha avuto pure la sfortuna che, in quell’occasione, mi venisse il ciclo. Dopo allora era rimasto nell’armadio. Mi guardavo allo specchio, mi giravo a destra e a sinistra. Facevo le contorsioni per vedermi di dietro.

    Avevo comprato un paio di scarpe rosse laccate. Tacco dodici. Le calzai. Mi sentivo altissima. I miei un metro e settantacinque diventarono di colpo un metro e novanta. Dominavo il mondo. Potevo lasciare molti uomini indietro. Ho dovuto riconoscere che Roberto ci aveva visto giusto, forse era anche troppo esagerato per una serata tra amici ma mi piaceva fargli capire che avevo finalmente superato la crisi dell’abbandono. Almeno in apparenza.

    Il marito di Titti, Luca, era un collega di lavoro di Roberto e sicuramente ne avrebbe parlato poi in ufficio con lui e già m’immaginavo i commenti.

    – Stai dicendo che era Luca l’obiettivo? Perché hai voluto giocare di rimbalzo?

    – Vigliaccheria? Molta!

    Se avessi avuto più coraggio non avrei accettato così supinamente di essere abbandonata per un capriccio sessuale. Ma all’idea di stuzzicare Luca non ci avrei rinunciato per tutto l’oro del mondo, non solo per la mia vendetta verso Roberto, ma soprattutto per la voglia di tenere il punto con la slava di cui elogiava continuamente la bellezza e la sensualità, sapendo benissimo la rabbia che questo mi creava. Anche per questo avevo tinto i miei capelli lunghi di un bel biondo miele, che una leggera permanente rendeva irrequieti quanto bastava per dare di me un’immagine più disinvolta e allegra. Labbra e unghie rosso fuoco... se guerra doveva essere: guerra sia.

    – Cosa intendi per capriccio sessuale?

    – Erano quasi tre anni che con Roberto non facevamo sesso. Ogni volta trovavo una scusa diversa. Si capiva benissimo che erano scuse. Roberto s'incazzava, bestemmiava una decina di santi e poi si addormentava, di colpo. Dio, quanto mi faceva rabbia. Lui russava e io sveglia a maledirmi. Non sopportavo più i suoi odori. Sapevano di vecchio, quasi di stantio. Di lui mi dava fastidio tutto: i peli troppo lunghi nelle orecchie, il suo sudore acre, il fiato, l’igiene un poco approssimativa. Forse mi aspettavo che mi vedesse in modo diverso, come una donna che aveva abdicato la sua sessualità alla missione di mamma. Mia madre non aveva nulla di erotico. Era mamma e basta, perché da me si pretendeva l’erotismo?

    Il mio compagno l’erotismo se l’è andato a cercare altrove.

    Mi stava bene! Per fortuna si poteva sempre ricominciare, bastava averne veramente voglia e io sentivo di averla… cazzo se me la sentivo!

    Roma, 26 maggio di un anno fa.

    Giulia si stava preparando per uscire. In bagno si lavava i denti senza smettere di osservarsi allo specchio.

    Decisamente sentiva di piacersi. Provava una piacevole frenesia che le fece dimenticare quella fastidiosa indolenza che la faceva trascinare per casa come un fantasma. Fece la pipì e si sedette sul bidet per lavarsi. Si toccò il pube liscio. Si sorprese.

    «Mamma mia, che sensazione… e chi se lo credeva!»

    Giulia, si era distesa sul letto con l’intenzione di cospargersi di olio di Argan il corpo come dopo ceretta. Iniziò a spalmarsi l’olio sulle gambe, poi sul corpo, sulle braccia, sul pube. Si eccitò facendo questa operazione senza rendersene conto. Cominciò a toccarsi sempre più a fondo con una frenesia crescente. L’affiorare di una sensazione di piacere erotico la spinse a masturbarsi. Chiuse gli occhi. La violenza per un orgasmo incontrollato la sorprese. Un piacere mai provato. Da supina si sollevò sui gomiti ansimando.

    «Cosa mi sta succedendo?»

    *

    La

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