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Quando amore comanda
Quando amore comanda
Quando amore comanda
E-book341 pagine4 ore

Quando amore comanda

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"Tutta l'eletta schiera dei privilegiati dalla sorte, gli annoiati di felicità, eternamente in cerca di emozioni, stanchi di trascinare la loro noia da Parigi al Cairo, da Nuova York a Cannes, da Montecarlo a Napoli, parevano essersi dati convegno in quell'angolo di terra nascosto tra l'Oceano e l'estrema propaggine dei Pirenei, entusiasti della fastosa cittadina artifiziosa sorta lungo la scogliera contro la quale si frange, sempre tempestoso, l'Oceano...". "Quando amore comanda", pubblicato nel 1934, prende le mosse da qui: dalla lussuosa cittadina francese di Biarritz, meta di villeggiatura di tutta una decadente aristocrazia europea, proveniente un po' da ogni dove, che si sofferma sull'arrivo di una coppia enigmatica. I duchi di Sangri attirano subito lo sguardo incuriosito di tutti gli astanti. L'allampanato duca Alberto, la bella moglie americana Giorgina e la piccola Emmy sono i tre estremi di una tela che, nel corso del romanzo, si farà sempre più tesa... -
LinguaItaliano
Data di uscita19 ago 2022
ISBN9788728436066
Quando amore comanda

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    Anteprima del libro

    Quando amore comanda - Flavia Steno

    Quando amore comanda

    Copyright © 1934, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728436066

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    QUANDO AMORE COMANDA

    PARTE PRIMA

    I.

    La sala da pranzo del grande albergo era già tutta occupata quando Giorgina vi entrò seguita dalla istitutrice della sua piccola figliuola, che teneva questa per la mano.

    Preceduta dal direttore di mensa che la guidava verso l’unico tavolino libero presso la finestra d’angolo, ella avanzò sostenendo con indifferenza lo sguardo d’ammirazione degli uomini e quello carico di ostilità appena contenuta delle signore. Era abituata all’impressione che la sua bellezza ardita, fatta tutta di contrasti (biondo oro autentico i capelli, smeraldo liquido gli occhi, carnosità di gardenia rosea le guance) suscitava dovunque; ne aveva quasi più fastidio che piacere. Appena seduta, tra Emmy, la sua piccoletta, a sinistra, e miss Dudley a destra, si guardò attorno con uno sguardo lento e freddo che era tutto di curiosità senza interesse.

    Forse indovinò i discorsi che il suo arrivo suscitava perchè si attardò un istante a guardare il conte Cattaneo che diceva in quel momento al suo vicino, avvocato Palan:

    — Scommetto che è americana.

    — Eccentrica.

    — D’apparenza soltanto, poichè si tiene la bimba accanto invece di mandarla alla nursery con l’istitutrice. —

    Il terzo commensale del tavolino occupato dal conte Cattaneo, osservò:

    — L’ho veduta arrivare oggi. C’era anche un signore che deve essere il marito.

    — Avete ragione, Charlie, il marito c’è; eccolo. —

    Infatti, un signore alto, biondo, sottile, con l’aria stanca di chi ha abusato della vita, entrava in quel momento.

    Parve cercare qualcuno con lo sguardo, poi si diresse verso Giorgina.

    — Buona sera, — le disse piano, in italiano. — Credevo di trovarvi ancora su.

    — Ho aspettato fino alle sette.

    — Siete di cattivo umore? — chiese l’individuo invece di rilevare l’appunto.

    E non aspettò nemmeno la risposta, ma sedette e, con una rapida occhiata intorno, parve cercare se fra i presenti vi fosse qualcuno di sua conoscenza.

    In fondo alla tavola, un vecchio signore gli fece un cenno sorridendo, poi lo salutò alzandosi. Egli rispose al saluto spiegando a Giorgina:

    — Il principe Galatz.

    — Ha salutato Galatz, — osservò Cattaneo — gente in regola, dunque.

    — Chiedetegli chi sono, — suggerì Palan.

    Per chiederlo, Cattaneo dovette aspettare che il pranzo finisse e che il diradarsi degli ospiti gli permettesse di avvicinarsi al vecchio russo senza troppo farsi notare.

    — Ho visto che avete salutato i nuovi venuti; potreste dirmi chi sono? —

    Il vecchio gentiluomo sorrise:

    — Chi vi interessa: lui o lei?

    — Entrambi. Lei è americana, vero?

    — Sì.

    — Lo avevo indovinato.

    — Lui è il duca di Sangri. —

    Poco dopo il conte Cattaneo riferiva agli amici l’esito della sua indagine.

    — Sangri! — esclamò come fra sè l’avvocato Palan che preferiva il suo titolo professionale a quello di barone che pur gli spettava. — Dove ho udito questo nome?

    — È notissimo, — fece il conte Cattaneo. — Sangri è un nome che appartiene alla più antica nobiltà di Sicilia.

    — Allora mi sbaglio dicerto. Ho conosciuto, una diecina d’anni fa, a Parigi, un duca di Sangri, italiano, pieno di fascino, ma completamente squattrinato. Non può essere lui.

    — Perchè? — intervenne a dire la baronessa Palan che da un istante sorrideva alla bimba dei forestieri sotto gli occhi spaventati dell’istitutrice. — Potrebbe essere lui sotto una stella migliore. —

    Charlie ne convenne:

    — Se ha sposato in America! —

    Cattaneo taceva intento a cercare il modo di avvicinarsi alla coppia senza dover chiedere il diretto intervento di Galatz per una presentazione.

    Il messo, intanto, sorseggiato il terzo bicchiere di cognac, si era avvicinato al tavolo dei duchi di Sangri e salutava cerimoniosamente la duchessa che evidentemente vedeva per la prima volta.

    Presto furono tutti e tre immersi nella conversazione, cosicchè il momento parve opportuno a Emmy, la bella piccoletta abituata ad assecondare tutti gli impulsi, per stringere più da vicino la conoscenza cominciata a distanza e attraverso una serie di sorrisi reciproci con la baronessa Palan. La mamma discorreva col vecchio signore dalla barba bianca; miss Dudley pareva assopita in una beatitudine interiore; Emmy scivolò dalla sedia e d’un balzo fu presso la baronessa che si chinò premurosamente a parlarle.

    L’atto della bimba, visto troppo tardi dalla istitutrice, strappò la duchessa di Sangri dalla conversazione e la fece rivolgere nervosamente per gridare alla piccola:

    — Emmy, che modi sono questi? —

    L’istitutrice ebbe la sua strigliata.

    — Vi prego, miss Dudley, fate in modo che queste sconvenienze non avvengano più. —

    Ma Emmy non parve molto turbata dal temporale; la sua grazia birichina, l’irresistibile simpatia che si sprigionava dalla sua figuretta sveglia e deliziosa le stavano procurando un successo enorme presso la baronessa e i suoi amici.

    Vi furono scuse e spiegazioni che servirono, di pretesto a reciproche presentazioni cosicchè, per l’impulsività della bimba, dopo pochi istanti, alla tavola dei duchi di Sangri sedevano anche il conte Cattaneo e i suoi amici.

    Fu ancora il cinguettio della bambina che apprese alla baronessa Palan e ai tre nuovi conoscenti, che la duchessa di Sangri aveva viaggiato moltissimo, poichè Emmy parlò delle sue bravure spiegando come, a ballare il fox-trott avesse imparato a Parigi, e a cantare Valencia a Roma dove una donna « tanto buffa» usciva a dire la canzone vestita « come gli uomini che ammazzano i tori ».

    Pareva un’allodola cinguettante; sempre ritta in mezzo alla improvvisata sua corte, piccola precoce dominatrice già abituata all’ammirazione e all’omaggio. Ma, a un tratto, nel giardino, l’orchestra attaccò un ballabile, e allora la piccola pregò:

    — Oh, andiamoci anche noi, mamma! —

    Uscirono tutti: Giorgina a fianco della baronessa Palan; Emmy con Cattaneo e Charlie, mentre l’avvocato Palan si metteva a fianco del duca di Sangri che era lieto d’aver trovato Galatz e di poter discorrere con lui.

    Nel giardino c’erano già tutte le signore vestite dei loro freschi abbigliamenti estivi, sdraiate nelle sedie a dondolo di bambù, o intente a passeggiare lungo i viali profumati.

    Tutta l’eletta schiera dei privilegiati dalla sorte, gli annoiati di felicità, eternamente in cerca di emozioni, stanchi di trascinare la loro noia da Parigi al Cairo, da Nuova York a Cannes, da Montecarlo a Napoli, parevano essersi dati convegno in quell’angolo di terra nascosto tra l’Oceano e l’estrema propaggine dei Pirenei, entusiasti della fastosa cittadina artifiziosa sorta lungo la scogliera contro la quale si frange, sempre tempestoso, l’Oceano, per il momento innamorati di quella bellezza suggestiva e insieme selvaggia, presi, fin dove la loro sensibilità giungeva, dalla dolcezza divina dell’ora e dalla commozione che la musica suggeriva.

    Ah, la soavità di quel tramonto!

    Sotto la grande terrazza candida dell’albergo, riposava, tutta chiara e signorile, la cittadina di lusso; lontano, il sole moriva nell’Oceano azzurro baciando un’ultima volta le case fabbricate sulla collina, lo splendido Casino, i maestosi palazzi che parevano manieri feudali ed erano grandi alberghi, e, più lontano, le vette selvagge dei Pirenei, mentre tutto un incendio si accendeva laggiù, all’orizzonte estremo, un immenso incendio che il mare rifletteva come fosse stato d’oro liquido e sul quale spiccava, nero e nitido, la « Roccia della Vergine », il celebre scoglio che sorge sul mare, a un centinaio di metri dalla riva, con la candida statua della Vergine rivolta verso il largo, faro dei naviganti e stella dell’Oceano.

    Giorgina e la baronessa si trovarono a un tratto staccate dal gruppo, all’angolo estremo della terrazza, da dove più ampia era la visione e più propizia la solitudine a subirne l’incantesimo.

    — Ho viaggiato molto, ma non ho mai visto nulla di così bello! — disse la giovane donna con commozione.

    La baronessa la guardò sorpresa di vederle gli occhi umidi.

    — Tanto vi piace? — chiese con simpatia.

    — Tanto! Io adoro il mare e non conosco nulla di più bello di un tramonto sull’Oceano. Guardate! — disse accennando lontano, con un gesto ampio e lento, l’immensa distesa liquida dove alcune barche a vela andavano comparendo. — C’è forse qualcosa di più bello? Quale musica può valere il canto che s’innalza dal cuore in questi momenti? Quale preghiera può essere più sincera e più umana di quella che sgorga dall’anima in questi istanti?

    — È verissimo! — esclamò la baronessa.

    Quelle poche parole di Giorgina avevano fatto un miracolo. La corretta cortesia della signora per la giovane donna, s’era mutata in un attimo in una vera e profonda simpatia. Una creatura che sentiva così vivamente la bellezza eterna delle cose non poteva non avere un cuore ben fatto, e non era certo una donna frivola colei che preferiva la sua compagnia a quella di tanti uomini che assai volentieri le si sarebbero profferti.

    Glielo fece comprendere subito smettendo il riserbo col quale l’aveva trattata fino allora.

    Quando il sole, non fu più che un riflesso violaceo all’orizzonte e il mare parve rabbrividire sotto la carezza del crepuscolo, ella propose:

    — Sarà meglio rientrare. Le serate sono fresche e voi siete poco coperta, duchessa. —

    Giorgina sorrise.

    — Io, — disse — ho sempre caldo e sono refrattaria alle infreddature. Ma è davvero meglio rientrare, per Emmy soprattutto. Non vorrei che, non vedendomi, abusasse troppo della pazienza di quegli amici. —

    Trovarono la bambina insieme col conte Cattaneo, intenta a spiegargli che cosa fosse il teatro poichè, certo, lui non doveva saperlo.

    — Chi è salito a prenderti il paltoncino? — domandò Giorgina stupita di non vedere miss Dudley accanto alla bimba.

    — Io, mamma.

    — E come hai fatto per trovare la camera?

    — Ma…. il cameriere mi ha accompagnata su, e il conte….

    — Abbiamo anche sbagliato appartamento, — disse il conte Cattaneo.

    — E come mai?

    — Il cameriere credeva che l’appartamento della signora duchessa fosse quello a sinistra, al primo piano, e così siamo entrati, invece, nel salotto di mister Hawes.

    — Hawes? — domandò la signora sorpresa, celando a stento un improvviso turbamento. — Hawes? Quale Hawes, prego?

    — Ma, che io sappia non devono mica essercene molti! Almeno, io non conosco che questo…. americano, multimilionario. Lo conoscete, forse?

    — Non so se sia quello che io conobbi molto tempo fa, — disse Giorgina.

    Era riuscita a superare il proprio turbamento con uno sforzo violento di volontà.

    Udì il conte Cattaneo spiegare:

    — Viene ogni anno a Biarritz e occupa sempre tutto l’appartamento a sinistra al primo piano dell’Hôtel Regina. Non giuoca mai al Casino ma vive con autentico fasto. È sempre in giro con la sua Chrysler; a Madrid, a Parigi, a Pau, a Deauville, a Saint-Juan les-Pins. Pare tormentato da un’ irrequietezza che non riesca a sopire. Quando è qui, è di buon umore, è un compagno piacevolissimo. —

    Giorgina ascoltava apparentemente indifferente. Ma quando udì Cattaneo concludere: « Dev’essere californiano », corrèsse istintivamente:

    — No. È di Wyoming, nel Colorado.

    — Ah! —

    E intuendo vagamente che quella precisazione doveva nascondere qualche cosa di più importante, il conte domandò:

    — Forse, vostro concittadino?

    — Sì, — fece la signora, breve.

    Si alzò quasi subito, come dimentica dei suoi interlocutori e della parte che doveva rappresentare in quella commedia mondana che sono i rapporti di società.

    — Buona sera, — disse con un sorriso subito spento. — Vieni, baby, — soggiunse rivolta a Emmy.

    Prese ella stessa la bambina per mano e si avviò senza rivolgersi più.

    Il conte Cattaneo e la baronessa Palan si guardarono un istante in silenzio poi sorrisero.

    — Partenza all’americana, — fece lui.

    — Bizzarra, però. Se non temessi di essere indiscreta, direi che è stata la notizia della presenza qui di quel mister Hawes che le ha fatto mutare umore.

    — Può essere. Ma non avreste per caso la fantasia di una romanziera, baronessa?

    — Chi sa! Mio marito lo dice, qualche volta.

    — Che cosa dico, io? — interrogò una voce vicina.

    E il barone Palan apparve, accompagnato da Galatz e dal duca di Sangri.

    — Credevo — osservò sorpreso costui — di trovar qui mia moglie e la mia bambina. —

    E si guardò attorno come cercandole.

    — C’erano infatti sino a un istante fa. La duchessa è salita or ora. —

    Era stato Cattaneo a spiegare.

    Il duca ringraziò; scambiò ancora poche parole coi presenti, poi salutò e salì a sua volta.

    Quando al suo sommesso bussare Giorgina ebbe risposto invitando a entrare, il duca trovò sua moglie ancora in abito da sera, appoggiata al davanzale della finestra spalancata.

    — Non hai sonno?

    — No. La serata è così bella.

    — E tu sei di ottimo umore; perciò mi dispiace di dover mettere un’ombra sul tuo sereno, Giorgia mia…. —

    Egli le stava alle spalle, ritto, senza toccarla. Senza rivolgersi, sentendo venire la notizia, ella domandò con la sua voce più fredda:

    — Che cosa c’è?

    — Una notizia che m’ha seccato: figurati che c’è a Biarritz, auzi, al Regina e sullo stesso nostro pianerottolo, Harold Hawes! —

    Fu stupito di sentirla dire:

    — Tutto qui?

    — Non t’importa?

    — Affatto. Non sei tu con me?

    — Meglio così, se sei indifferente. T’accerto che ero un po’ preoccupato.

    — Per me o per te?

    — Non diventar cattiva, Giorgia. Sai che tra tutti i miei innumerevoli difetti la vigliaccheria non c’è….

    — Hai ragione, perdonami.

    — Se mi può impensierire la presenza qui di quel matto, è perchè so che è una specie di animale selvaggio…. —

    Un brivido percorse la duchessa di Sangri per tutta la persona.

    — Io non lo temo, — ella disse.

    — Allora, all right! —

    Baciò la moglie sulla fronte che odorava di rose e le disse con una calda voce suggestiva:

    — Buona notte, pupa! —

    Ma Giorgina, rimasta sola, pianse.

    II.

    Quella sera, Harold Hawes non era a Biarritz.

    Secondando l’impulso della sua bizzarra originalità che in quel momento inclinava al vagabondaggio, egli s’era recato due giorni prima a Barcellona e, contro il solito, si divertiva abbastanza nell’ambiente assai chiassoso e un po’ sguaiato di un variété internazionale.

    Non che fossero proprio di suo gusto la jota catalana o la zarzuela basca, il garrotin granado o il bolero andaluso, ma lo interessava discretamente la cornice e i tipi che vi si movevano, venuti da ogni parte del mondo.

    Una brunetta assai graziosa, intenta a scimmiottare scrupolosamente la Raquel Meller, era venuta una sera a sedersi accanto a lui, punto intimidita dai suoi occhi sormontati dalle sopracciglia irsute che riunendosi sulla fronte davano alla sua fisonomia un aspetto singolarmente minaccioso. E per compensare la fanciulla della sua audacia non comune, nonchè per ringraziarla della graziosa intenzione di volerlo distrarre, Harold Hawes s’era tolto dal dito un anello di gran prezzo e lo aveva passato al pollice della piccola mano sapientemente curata, tra lo stupore, l’ammirazione e l’invidia di tutti i presenti.

    Una delle sue solite stranezze, uno « scherzo » diceva lui, mentre le altre soggiungevano: « ma di ottimo genere! ».

    Stranezze e scherzi avevano un doppio effetto: quello di farlo giudicar babbeo dagli uomini ricchi, ma più cupidi di lui, incapaci di comprendere come si potesse far doni a così tante belle creature senza profittarne, e l’altro, invece, di dissipare quasi per incanto dall’animo suo qualunque malumore, di toglierlo per un momento a quello spleen incurabile che era la sua gran malattia, il suo atroce tormento.

    Quella sera Harold Hawes sorrideva, quasi felice, allo stupore delle divette che, a spettacolo finito, gli si stringevano attorno incapaci di comprendere come e perchè quell’uomo che tutti dicevano immensamente ricco si mostrasse così generoso senza nulla chiedere in cambio della sua generosità.

    Era quasi felice, quella sera, Harold Hawes.

    Eppure se qualcuno, avvicinandosi, gli avesse sussurrato all’orecchio un nome, un sonante nome di donna chiaro e ridente, l’avrebbe veduto trasalire come colpito in mezzo al cuore; e ancora, se qualcuno gli avesse detto che tornando a Biarritz egli avrebbe incontrato la donna che portava quel nome, sarebbe balzato in piedi pallido e alterato in viso, deciso a fuggire all’angolo opposto del mondo per non correre il pericolo di rivedere il dolce viso pallido e gli occhi color del mare luminosi nell’aureola biondissima.

    Harold Hawes odiava la duchessa di Sangri, e la odiava perchè aveva amato troppo Giorgina Normand.

    L’odio nasce assai sovente dall’amore; anzi, questi ha il vertice proprio dove quello ha le radici; di là dall’amore è spesso l’odio, come, nell’essenza di questo, è celata, talvolta, la divina scintilla d’amore.

    Anche la storia di Hawes era una storia dolorosa così. E non occorreva risalire molto lontano per ricostruirla: bastava riportarsi indietro di otto anni, e collocarla nell’ubertosa pianura del Colorado, di là dall’oceano immenso.

    Giorgina Normand lo chiamava, allora, Harold, e per dire il suo nome trovava un accento più dolce d’ogni melodiosa canzone. Egli chiamava lei la sua diletta Giorgy.

    Era cosi piccola e sottile, ramatissima! Una cosina minuscola di froute a lui, aito e colossale, nella robustezza della virilità rigogliosa. Chissà! Forse era stato il suo aspetto di Ercole antico che aveva sgomentato e allontanato la diletta! Eppure, no! Allora, ella lo amava. Lo amava, o credeva di amarlo!

    Si ama forse a sedici anni?

    Egli aveva avuto il torto di credere e di illudersi.

    La figlia del miliardario Normand gli aveva sorriso un giorno, là nel salone dello skating mentre aveva permesso ch’egli le allacciasse i pattini.

    Quanto tempo per la dolce occupazione! Egli non aveva scordato più i piedini calzati d’azzurro e l’abitino azzurro di Giorgina orlato di pelliccia scura, e il berretto di pelliccia calzato bizzarramente sui capelli biondi, e la corsa, la breve corsa a due sul ghiaccio verde, col vento che sferzava il viso, con le trecce di lei sciolte al vento, con le mani di lei nelle sue, e le dolci innocenti parole….

    — Vi voglio bene, — gli aveva detto qualche tempo dopo Giorgina.

    E per provarglielo era passata dal voi al tu; poi aveva acconsentito a scendere, talvolta, la sera, in giardino, quando egli passava tornando dalla Banca e rallentando rautomobile per poter empirsi gli occhi della cara visione.

    Più tardi ancora, ella gli aveva permesso di fermare l’automobile lontano e di accostarsi a piedi alla cancellata dove stava ad aspettarla fin che ella giungesse.

    Giorgina doveva usare mille strattagemmi per non farsi scorgere dal padre; miss Violet, l’istitutrice, faceva da scolta, dieci minuti appena: il tempo di stringersi la mano attraverso le sbarre della cancellata, di scambiarsi una rosa, di ripetere, lei, la promessa di fede, lui, il proposito di conquistare presto presto quella ricchezza che doveva permettergli l’ardimento di chiedere a mister Normand la mano di Giorgina.

    Non era povero, Harold Hawes; egli possedeva terre e campagne; ma la sua fortuna non poteva stare a pari di quella di Normand.

    — Io sarò ricco fra due anni, Giorgina. —

    Ahimè! Due anni sono brevi, ma sono anche troppo lunghi quando, intorno alla figlia di un miliardario, convergono le brame.

    Una sera, la bimba era giunta con una triste notizia.

    — Sai, Harold? Io parto. Vado in Europa con miss Violet. —

    Ah, lo schianto!

    — In Europa? E puoi annunziarmelo così, Giorgina mia? Come farò, io, senza di te?. —

    La fanciulla era rimasta stupita.

    Perchè Harold s’impensieriva per un viaggio così breve? E come non capiva che era assolutamente indispensabile? Tutte le sue amiche erano già state a Parigi. Lei sola non la conosceva. E dunque? Che cosa temeva Harold?

    Egli sapeva bene che cosa temeva: la dimenticanza e l’oblio.

    E non s’era ingannato, perchè non l’aveva riveduta più. I sei mesi stabiliti per la durata del viaggio erano passati in ansie angosciose, in alternative di speranza e di sconforto; poi, dopo un anno, era giunta la notizia incredibile, anche se preveduta e paventata: Giorgina si faceva sposa!

    Erano bastati un anno e la traversata dell’Atlantico perchè tutte le promesse giurate fossero poste in oblio, perchè l’immagine di Harold le uscisse interamente dal cuore.

    Un anno! Ed egli aveva intanto lavorato come un condannato alla catena per rendersi degno di lei; in un anno era diventato il maggiore azionista delle miniere del Colorado, s’era fatto un nome e una fortuna.

    A che aveva servito tutto questo?

    Il premio del suo sforzo doveva essere Giorgina, e Giorgina diventava la moglie di un altro.

    Di chi?

    Non aveva nemmeno voluto chiederlo, Harold Hawes, non aveva voluto saperlo. Non era sufficiente questo, che un altro l’avrebbe fatta sua? A che conoscere il nome del fortunato cui sarebbero toccate le gioie da lui invano sognate?

    Ma ciò che egli non aveva voluto, lo aveva fatto il caso. Un giorno gli era capitato fra le mani un giornale dove si parlava del prossimo matrimonio della bellissima miss Giorgina Normand col duca di Sangri, gentiluomo siciliano vivente a Parigi, sportman distintissimo, schermidore eccezionale, apprezzatissimo nell’alto ceto.

    Harold Hawes aveva letto con amara voluttà tutti i particolari che il giornale recava, felice, quasi, di tormentarsi, illuso forse di poter guarire attingendo allo sprezzo quell’oblio che la sua fortissima volontà non valeva a concedergli.

    Un giorno, l’odio o l’amore o la disperazione, forse tutti questi sentimenti fusi insieme, lo avevano spinto a varcare l’Oceano e a toccare la detestata Europa.

    C’era stato già due anni prima, cinque anni dopo il matrimonio di Giorgina, ma egli non l’aveva veduta mai. Invece si era incontrato col duca di Sangri in uno di quei Circoli mondani che sono come la foce ove conviene tutto il cosmopolitismo delle grandi capitali.

    Come lo avesse preso, quella notte, il desiderio di conoscere la storia del marito di Giorgina non sapeva. Certo lo aveva fatto, e l’amico interrogato gli aveva dato questa risposta sbalorditiva:

    — Chi è il duca di Sangri? Bisogna proprio venire come te dal Colorado per non saperlo! È il tipo perfetto del gentiluomo inutile; socio di tutti i Circoli eleganti, campione in tutti gli sports di lusso, corteggiatore di belle donne e capacissimo d’incanagliarsi anche nel trivio, vincitore dell’ultimo Grand Prix, e infine, se questo t’interessa, marito legittimo di Giorgina Normand.

    — Ricco?

    — Adesso, sì. La moglie gli ha portato dieci milioni di dollari.

    — Ma, lui?

    — Lui ha portato il suo titolo.

    — Un mercato, allora!

    — Cosa vuoi che ti dica? La Normand è così bella, che lui potrebbe anche avere avuto il colpo di fulmine. Egli poi, oltre al titolo, aveva un’esperienza di vita mondana che può aver costituito una seduzione per lei. Per un anno, egli l’ha messa in mostra come una curiosità: poi, l’ha nascosta; ora, egli ha ripreso completamente le sue abitudini da scapolo.

    — E lei?

    — Lei…. è difficile dire. C’è chi la ritiene virtuosa; c’è chi dice che renda al marito pan per focaccia. Certo è assai corteggiata.

    — Tu, cosa credi?

    — Io credo che la duchessa di Sangri sia una donna onesta.

    — Che cosa te lo fa pensare?

    — Soprattutto il fatto che il duca cerca di salvare le apparenze nei confronti di sua moglie; egli rientra

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