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La duchessa di Migliano
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La duchessa di Migliano
E-book171 pagine2 ore

La duchessa di Migliano

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Info su questo ebook

Pubblicato a Bologna dall'editore Cappelli, nel 1928, "La duchessa di Migliano" è un romanzo che ci trascina con sé nel mondo a tratti brillante, a tratti cupo, dell'aristocrazia italiana di inizio Novecento. L'anziana Olimpia, Duchessa di Migliano, è rimasta vedova molti anni addietro, allevando da sola ben tre figli maschi dei quali il primo si è fatto gesuita, il secondo è morto in Libia e il terzo, Don Filippo, dimostra una salute alquanto cagionevole. Resasi conto che l'unica possibilità di dare un erede alla dinastia sta proprio in quel suo terzogenito dall'aria fragile e malata, Donna Olimpia è riuscita nell'impresa di fargli sposare Francesca, nobildonna di origini francesi, spagnole e rumene, che vanta un "pedigree" di primordine. Peccato, però, che l'autorità della matrona sul palazzotto di Borgo Pace rischi di essere messa in discussione proprio dalla nuova arrivata, abituata alla sfarzosa vita sociale di Firenze e Roma... -
LinguaItaliano
Data di uscita4 nov 2022
ISBN9788728447956
La duchessa di Migliano

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    Anteprima del libro

    La duchessa di Migliano - Flavia Steno

    La duchessa di Migliano

    Copyright © 1928, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728447956

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    I

    — Piove sempre, Gaspare?

    — Sempre, Eccellenza — rispose il vecchio cameriere con un tono di voce che pareva chiedere scusa per il tempo. — Però — soggiunse — le strade non sono molto cattive; me lo ha detto il dottore che tornava adesso col biroccio dalla cantoniera di Bocca Trabaria.

    — Dalla Bocca al Borgo la strada scende; bisogna veder com’è ridotta da San Giustino su al valico.

    — Speriamo bene con l’aiuto del Signore — osservò l’unico commensale che sedesse alla tavola della duchessa di Migliano nel vasto e malinconico Salone del palazzotto: don Rocco Piana, Rettore del Convitto Ecclesiastico di Borgo Pace e consigliere spirituale della duchessa.

    Il cameriere, disposti i candelabri d’argento alle due estremità della tavola, e collocate le tazzine del caffè si disponeva ad uscire quando la voce della sua padrona lo fermò:

    — Il fuoco, è acceso nella stanza di don Filippo?

    — Da tre ore, Eccellenza. E anche in quella di Sua Eccellenza donna Francesca.

    Appena il cameriere fu scomparso, don Rocco osservò:

    — Posso chiedervi una cosa, Duchessa?

    — Dite.

    — Se ho ben capito, don Filippo continuerà a occupare la propria camera.

    — Senza dubbio.

    — Separato dalla sua sposa?

    — Separato… separato… Sì e no. Fra le due camere ho fatto installare il bagno e lo spogliatoio.

    — Ma voi, donna Olimpia, e il defunto duca buon’anima…

    — Eh! che cose andate cercando, caro teologo! Il Duca e io si faceva camera comune. Sì. Altri tempi, prima di tutto. Ora, non usa più. Poi, altre circostanze: il duca aveva una salute di ferro: come i miei due primi figlioli, d’altronde. Don Filippo… Non è colpa mia se invece di ereditare il sangue gagliardo di suo padre, o il mio, ha ereditato quello debole e misero della sua nonna paterna.

    — Giusto, giusto — si affrettò ad ammettere don Rocco desideroso sempre, prima di tutto, di non contrariare la duchessa.

    Non era, d’altronde, cosa facile il contrariarla.

    Imperiosa per temperamento, donna Olimpia di Migliano era stata portata dalle circostanze a esercitare quasi esclusivamente il lato volitivo del suo carattere. Vedova dopo otto anni di matrimonio, si era trovata sola ad amministrare il patrimonio ingente dei Migliano e quello dei La Cerda Belmonte che le apparteneva in proprio; sola a difendersi contro le insidie dei fattori che amministravano i quaranta poderi compresi nelle terre che i suoi figli possedevano tra il Metauro, l’Appennino tosco umbro e il mare Adriatico; sola, infine, a crescere i tre figli maschi il primo dei quali, don Ignazio, glielo aveva preso la compagnia di Gesù; il secondo, don Ruggero, la patria per la quale, brillante ufficiale meharista, egli era caduto in Libia alla testa del suo squadrone; e il terzo, infine, le era rimasto.

    Il terzo, il meno brillante dei tre per forza e per bellezza, il meno atto a lusingare il suo orgoglio.

    Proseguendo il discorso intavolato dal «teologo» — come donna Olimpia soleva chiamare il Rettore — ella riprese:

    — Voi che sapete tutto, dovreste comprenderle senza bisogno di spiegazioni le ragioni che mi hanno consigliato ad agire così. È stato necessario di dar moglie a don Filippo perchè, ormai, lui solo può assicurare la continuazione della famiglia. Ma voi sapete che, se non fosse stato per questa considerazione, don Filippo, fin ch’io fossi stata viva, non avrebbe sposato mai…

    — E, forse, sarebbe stato peggio anche per la sua salute. Quei temperamenti a fondo…

    Non trovò subito la parola.

    Con audacia spregiudicata donna Olimpia gliela suggerì:

    — …tubercolare. Sì, dite pure. La parola non mi fa paura. Don Filippo ha preso dai Castelleto di Moranzone e, in quella casa se ne vanno tutti così da un secolo.

    — Tutti, no, però. Don Giulio e don Claudio, i cugini del defunto Duca, si sono salvati in grazia dei saggi incroci dei rispettivi genitori…

    — Sì, come la nonna materna di don Filippo. Mio marito crebbe sano malgrado che sua madre fosse una Castelleto di Moranzone. Ma, vicerversa, Filippo ha ereditato per lui. La natura, in questi casi, acconsente alle tregue, non alla rinunzia. Le leggi della ereditarietà sono inesorabili. Che farci? Tuttavia, siccome esistono le tregue, ho anch’io deciso di tentar d’ottenerne una… Ho acconsentito al matrimonio di mio figlio soltanto per questo. Chissà! Dio può dargli un figlio sano! Io lo sorveglierò, lo crescerò con tali riguardi che forse egli verrà più somigliante agli zii o al nonno che non al padre…

    — Sarà così senza dubbio, molto più che voi avete preso la precauzione di scegliere per lui una sposa sana e forte. Donna Francesca…

    — Non lascia nulla a desiderare da questo punto di vista. Eredità senza tare di sorta da parte paterna verificata sino alla settima ascendenza. Erano uomini di ferro quei Guerrini di Linara. Ma anche da parte di madre Francesca è garantita: i Polffy d’Erdöd contano nella loro famiglia molti longevi. Già, vivevano quasi tutto l’anno fra quei monti della Transilvania dove ogni uomo arriva a vedere, prima di morire, la propria discendenza fino alla quarta generazione. Poi, c’è stato, mezzo secolo addietro, un incrocio coi Calvados di Andalusia. Francesca è un prodotto magnifico…

    La parola strappò al Rettore un mugolio di disapprovazione.

    — Una creatura, volete dire — egli corresse.

    — Giusto. Ma eravamo in tema di… pedigree, e il vocabolo m’è sfuggito.

    — Basta riprendersi — disse il prete chiudendo il piccolo incidente con un largo gesto di indulgenza accompagnato da un sorriso.

    Donna Olimpia sospirò.

    — Speriamo — ella disse — che il morale risponda al fisico.

    — Ma senza dubbio! Educazione perfetta, santo timor di Dio, riserbo pieno di signorilità…

    — Sì, dieci anni di Sacro Cuore a Firenze, ma, due di mondanità a Roma.

    — Oh! di mondanità! In casa della Duchessa di Montevergine!

    — Caro teologo, la Duchessa di Montevergine riceve tutta l’alta società romana e internazionale, va alla caccia alla volpe, balla e fa ballare…

    — La vita della società aristocratica moderna. Non si può ancora parlare di mondanità. Ricordate Santa Giovanna di Chantal e i consigli di San Francesco di Sales.

    La Duchessa sorrise:

    — Decisamente ella disse — stasera sono sfortunata nelle espressioni, caro Teologo. Io non intendevo già di dire che temo che mia nuora abbia contratto un abito di mondanità: sarebbe farle ingiuria. Mi preoccupo soltanto della influenza che questo genere di vita possa aver avuto sul suo spirito, e anche questo soltanto dal punto di vista delle circostanze. Se noi pure si vivesse a Roma o anche soltanto a Firenze, non avrei preoccupazione alcuna perchè la vita che conduce la Duchessa di Montevergine sarebbe presso a poco la stessa di quella che si dovrebbe fare noi. Ma noi viviamo qui, sempre qui, e Francesca ha vent’anni!

    — Ma ama don Filippo. E quando ha accettato di diventare duchessa di Migliano sapeva pure che avrebbe dovuto vivere quì.

    — Verissimo. Soltanto, soppiamo noi fin dove, quest’accettazione, è stata determinata dalle circostanze materiali della vita di Francesca? la duchessina Guerrini di Linari aveva un nome aristocratico ma era povera in canna. È superfluo che ve lo ricordi. Suo padre era già poco meno che povero quando sposava la Polffy d’Erdöd, ma, in cambio, costei possedeva in Transilvania latifondi che la facevano ricchissima. Senza la guerra e l’annessione rumena, Francesca sarebbe decine di volte milionaria.

    — E voi non avreste osato chiederla per vostro figlio.

    — Così è. Per accettare Filippo e la vita a Borgo Pace occorreva una fanciulla non troppo favorita dalla sorte.

    — Viceversa, la sorte ha favorito don Filippo che ha incontrato una sposa adorna di tutte le qualità e favorita di tutti i doni.

    La Duchessa sospirò.

    — Speriamo bene — ella disse — per quanto, se dal mattino si conosce il giorno…

    Don Rocco Piana alzò in viso alla vecchia dama uno sguardo pieno d’interrogazione e di attesa.

    E non fu attesa inutile.

    — Se don Filippo viaggia, a quest’ora, sotto la pioggia, è per un capriccio della signora sposa.

    — E come mai?

    — Sicuro. Il viaggio di nozze era già terminato tre giorni fa. Avevo dato a don Filippo un mese: mi pare bastasse. Era stabilito che lunedì scorso gli sposi sarebbero stati di ritorno. Invece, no. Francesca ha voluto fermarsi ancora qualche giorno a Firenze e mio figlio ha piegato il capo.

    — Si capisce — disse il prete con tono conciliante — si capisce! non è poi una colpa!

    — Non è una colpa, no. Ma può diventare un guaio. Ricordate che bella giornata era lunedì? Invece, ieri ha fatto la luna e la nuova è venuta con l’acqua.

    — Luna di ottobre, è naturale.

    — Credete, Teologo, che io non ci avessi pensato nello stabilire il giorno del loro ritorno? Don Filippo si prenderà un malanno, ve lo dico io.

    — Speriamo di no. L’automobile è chiusa.

    — E l’aria c’entra da tutte le parti. E ancora, purchè non avvengono guai peggiori: fare in macchina il valico con questo tempo… Sentite come scroscia!

    Insieme al percuotere della pioggia contro le imposte chiuse e sul terreno, si udì anche il battere di nocche contro l’uscio.

    — Avanti — disse donna Olimpia.

    Riapparve il vecchio cameriere:

    — Ci sarebbe qualcuno, Eccellenza — e la voce del domestico era così evidentemente sgomenta che prima ancora di chiedere chi fosse il «qualcuno» la fisionomia della Duchessa si irrigidì in una espressione di ostilità. Dalle sue labbra contratte, l’invito a spiegarsi meglio cadde con una sola parola:

    — Cioè?

    — Una ragazza, Eccellenza. Una ragazza arrivata con la corriera e con tante scatole. Dice di essere la cameriera di Sua Eccellenza Donna Francesca.

    — Che novità son queste? — Scattò donna Olimpia.

    Ma si riprese subito udendo il Teologo suggerirle sottovoce:

    — Calma, calma. Fatela entrare.

    Ella diede l’ordine, e nel breve intervallo di tempo intercorso tra l’uscita del domestico e il riaprirsi dell’uscio proruppe congestionata:

    — Vedete? vedete? ve lo dicevo io? una persona di servizio nuova, venuta di fuori, in casa mia!

    Don Rocco tacque anche per la buona ragione che la persona di servizio nuova, venuta di fuori, entrava in quel punto e si offriva alla sua curiosità con un aspetto che egli giudicò subito «simpatico» e la Duchessa «sfacciato».

    — Eccellenza…

    La voce aveva salutato da sulla soglia ma la figuretta sottile che s’era piegata in una reverenza profonda si avanzava adesso sicura con lo sguardo levato alternativamente sulla Duchessa e sul prete.

    Giunta presso la tavola si fermò e attese imperturbabile che l’esame di cui si sentiva l’oggetto fosse terminato.

    Sapeva di essere graziosa; sapeva che il vestitino di faglia nera con colletto e paramani candidi che indossava le stava benissimo, che i suoi piedi erano ben calzati, i suoi capelli corti ravviati, le sue mani accurate.

    E indovinava — anche perchè l’accoglienza del vecchio cameriere che l’aveva introdotta era stata in proposito eloquentissima — che la sua venuta non squadrava troppo alla vecchia dama.

    L’esame fu lungo

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