Mignon
Di Flavia Steno
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Anteprima del libro
Mignon - Flavia Steno
Mignon
Immagine di copertina: Shutterstock
Copyright © 1931, 2022 SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728195284
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
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This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.
www.sagaegmont.com
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PRESENTANDO
Questo libro è stato scritto molti anni fa, quando Flavia Steno non era ancor nata e una giovinetta italiana che si chiamava Amelia Osta insegnava Lettere e Storia d’Italia nella Scuola Normale Femminile di Locarno (Canton Ticino) a una sessantina di alunne molte delle quali maggiori di età di lei.
Per queste sue alunne, perchè la ricordassero staccandosi dalla scuola e da lei, la Osta scrisse tre onesti romanzetti: questo Mignon; L’Istitutrice del Baronetto; Senza macchia, che apparvero allora coi tipi della Casa Editrice Speirani di Torino. L’Editore Cappelli li ha scovati e ristampati per la sua collana di romanzi per signorine. E Flavia Steno, che non poteva rinnegare il volto della sua lontana giovinezza, ha voluto lasciarlo qual’era: intatto e senza ombra di artificiosi abbellimenti.
I.
Nel carrozzone di seconda classe Mignon s’era sbarazzata del cappello e della leggera mantiglia; sola affatto nello scompartimento, aveva inclinato dolcemente la bella testa bruna, fino ad appoggiarla al vetro metà rialzato del finestrino, e guardava distratta lo splendido tratto di campagna brianzuola che va da Erba a Milano.
La mattinata era stupenda: una gran pace serena su la distesa dei prati verdeggianti, nel cielo purissimo, nell’aria vivificante, imbalsamata da un leggero profumo primaverile. Tutte le case della pianura, ville o capanne, avevano le finestre aperte, quasi ad invitare l’aria e la luce; tutti i contadini, che, appoggiati alla vanga, interrompevano il lavoro al passare del treno, avevano un sorriso di speranza sull’onesto volto abbronzato e rugoso.
Veniva dagli uomini, dalla natura, dalle cose una gioia tranquilla, penetrante, commovente, come una promessa di serenità, come un’intima corrispondenza di speranze segrete.
A poco a poco mignon si lasciò prendere da quella semplice commozione naturale, la espressione di sconforto profondo che si leggeva sul volto pallido, e serio si cambiò in una tristezza rassegnata, dolce quasi; guardò più attentamente la rapida sfilata di prati, campi, colline ed alberi, sotto il cielo perlato, e le si riempirono gli occhi di lagrime. Oh! chissà fin quando non l’avrebbe più riveduta la campagna! Chissà com’era triste la grande città che l’aspettava! Come sarebbe stata la nuova vita?
Ora il treno passava presso un cimitero piccino e modesto; una visione passò nella mente della fanciulla: un altro cimitero di paese, una croce bianca sulla terra smossa di fresco e un volto pallido di donna morta. E, dietro questa, la visione dei begli anni passati nel paesello gentile, nella casetta bianca, nascosta tra gli abeti verde cupo; delle care persone perdute…. E ancora e sempre la stessa domanda: «Come sarebbe stata la nuova vita?».
— Milano! — gridò una voce aprendo gli sportelli, mentre il treno si fermava fischiando un’ultima volta.
Mignon si rimise il cappello, si tirò il velo nero sul volto, tolse la piccola valigetta di cuoio nero e discese stancamente, guardando intimidita se nessuno l’aspettasse alla stazione. Come si smarriva nella folla, tutta ignota per lei! Stette così sul selciato vicino al binario, colla valigetta ai piedi, gli occhi sgranati e il viso soffuso di lieve rossore, finché una donna di mezza età le si avvicinò con aria di protezione.
— E’ lei la signorina Sartori?
— Si, — disse Mignon, chiedendo a se stessa chi potesse essere quella donna: come domestica le pareva troppo ben vestita, e parenti donne non sapeva d’averne nella casa di suo padre. E la guardava incerta.
— Sa, — disse la donna, — io sono la loro governante, e suo padre mi ha raccomandato di venire ad incontrarla. E’ un po’ ammalato il signore; sempre i suoi disturbi, sa! Ma credeva che la signorina sarebbe stata accompagnata dalla zia; come han potuto lasciarla partir sola?
— La zia non può assentarsi, — rispose seria la fanciulla; — e poi, — soggiunse con aria triste, — a Milano non viene.
Ma si pentì subito di essersi lasciato sfuggire questa frase in presenza di quella donna. Presero il tram per Piazza del Duomo, e per non parlare più, Mignon si sporse un po’ a guardare la città, tutta nuova per lei. Oh! la tristezza immensa di quelle casone alte, di quell’orizzonte ristretto, delle vie lunghe, ampie, affollate!
Nella folla chiassosa si sentiva più isolata che nello scompartimento del treno, si sentiva a disagio sotto gli sguardi curiosi della governante; come volentieri l’avrebbe lasciata! Da Piazza del Duomo alla casa del signor Sartori in via Torino giunsero presto assai. Come le batteva il cuore entrando! Su per le scale ampie e pulite si fermarono al secondo piano; sulla placca inchiodata all’uscio era inciso il nome dell’avvocato Sartori; e con una commozione indicibile Mignon varcò la soglia di quella casa, ove da sette anni non era più entrata…. Dov’era suo padre?
— Il signore sarà ancora in camera, — osservò la governante, spingendo l’uscio del salotto; ha voluto attendere la signorina per far colazione.
Quasi nello stesso tempo, dall’uscio opposto, apparve una figura d’uomo alto, nervoso, brizzolato, più invecchiato dai dolori che dagli anni!
— Babbo! — gridò Mignon, vivamente commossa, correndogli incontro.
— Mignon, povera piccina mia! — sussurrò lui, baciandola sulla fronte pallida.
Accennò alla domestica di uscire e sedettero entrambi, guardandosi ansiosi. Forse volevano comprendersi a vicenda in quei primi momenti d’una vita nuova che cominciava, e si cercavano sul volto reciprocamente la rivelazione.
— Mignon!… — cominciò il padre, accarezzandole la testina bruna.
Essa proruppe in un pianto quasi infantile, nascondendo la faccia sulla spalla di lui. Singhiozzava forte, come se a un tratto potesse sfogare un dolore represso da tempo, come se tutta dovesse stemperarsi l’angoscia che l’opprimeva.
— Taci, calmati, Mignon, la mia bambina….
— Sì, sì, babbo; sono calma; lasciami piangere, babbo…. Oh! ho tante cose da dirti, sai?… tante!… Vedi? ora piango per la gioia d’essere qui con te, finalmente! Che triste Viaggio!… Come sono stata male da che….
Un altro singhiozzo più forte finì l’evocazione del tristissimo ricordo; ora anche Sartori piangeva; oh! quegli occhi da quanto tempo non avevano pianto più! Cosa lo prendeva adesso? Sì, sì; l’aveva riacquistata ora la sua creatura, non l’avrebbe lasciata partir più, più: era rifatta la famiglia, rinasceva la vita!
Un dubbio tristissimo gli passò il cuore come una fitta dolorosa.
— Di’, Mignon: t’è rincresciuto tanto, vero, di lasciar la zia per venir a vivere con me!
— Oh, babbo, non le dire queste brutte cose! Certo, amavo assai la zia e mi si spezzava il cuore nel lasciarla; ma come puoi pensare ch’io non sia felice di venir a stare con te? Vedrai, babbo, che bella vita buona e tranquilla faremo! Io ti voglio tanto bene e sarò la tua gioia; di’: vuoi?
Se voleva! Oh! se davvero avesse potuto rifare la sua vita, essere compensato una volta di quanto aveva sofferto, dimenticare…. forse? Tutte le sue potenze buone sorgevano a fortificare questa sua volontà di far bene, a ravvivargli le speranze di felicità avvenire; si strinse al cuore la sua figliuola, promettendo a se stesso di farla felice.
Due ore dopo Mignon, seduta di fronte a suo padre nel minuscolo salottino da pranzo, gli sorrideva parlandogli con espansione: la calma s’era ristabilita sul suo viso e nel suo cuore: certo, anche nel suo cuore; le parole e la commozione di suo padre l’avevano rassicurata, sentiva d’avere ancora tanta parte d’affetto per sè sulla terra e si era proposto d’approfittarne, di ricambiarlo, d’abbellirne la sua esistenza.
Aveva già visitato tutto l’appartamento e gettato più d’una volta piccole grida di gioia infantile alla vista delle belle camere elegantissime, sopratutto del piccolo nido bianco e azzurro che le era stato assegnato. Trovava che dopo tutto avrebbe potuto farsi una vita buona e tranquilla e soddisfare ai voti della mamma morta.
Così sorrideva affettuosa e dolcissima al babbo, mentre dalle finestre aperte entrava il sole sulla tavola, sul pavimento, sui mobili; entrava come raggio di felicità, come bacio della mamma morta.
II.
Vent’anni prima la mamma morta era una gentilissima fanciulla, Armida Levis, a cui l’avvocato Sartori offriva fede di sposo. Com’erano scorsi felici i primi anni di matrimonio! Armida era bella e fierissima sotto apparenze timide e soavi; ma temperava la sua fierezza con una grazia innata che rubava i cuori. Educata ed istruita, Sartori trovava in lei la vera donna intellettuale che aveva sognato a compagna della sua vita.
Armida adorava suo marito, ne era adorata, e non sospettava neppure che vi potessero essere dolori nella nuova vita incominciata! Come era beata quando la sera uscivano insieme invidiati e felici, la esile figurina appoggiata al braccio robusto di lui, orgogliosi l’uno dell’altro, uscivano portando la loro atmosfera pregna d’amore nelle vie ampie, rumorose della città, o fuori sui bastioni solitari rinverditi! Quando era nata Mignon, poi!
Il primo bimbo! E’ la benedizione di Dio certa, sicura: è l’angelo invocato da tanto tempo, che viene a stringere più forte i legami d’amore, a promettere la pace per sempre, a dare uno scopo al lavoro, alla vita: è tutto, insomma! Con quanta trepidazione aspettato! Quanti sogni intessuti sul piccolo essere misterioso che verrà! quanti discorsi per lui nell’intimo santuario della casa! Il babbo lavora con maggior cuore, la mamma benedice la vita, si sente orgogliosa d’essere donna, ripensa a’ suoi anni infantili e a quelli dei fratellini passati, per immaginare tutto il cammino che percorrerà il suo angelo; ripensa ai consigli di collegio per darli poi alla sua creatura; si propone cento volte come la educherà, vive già della sua vita! Sarà bello?… certo; sarà biondo e roseo e vezzosissimo. Intelligente?… oh! è così intelligente il babbo! E buono?… sicuro: un angioletto! Povere mamme! Sì, sì, tutte perfette le vostre creature, perchè voi le adorate e Dio ve le manda! E la preparazione del minuscolo corredo? Così tutto trine e nastri e tulles; così piccino e vaporoso e soffice, che ricorda le bambole di un tempo! Con che ansia si cuciono quelle piccole camicie, quelle cuffiette, quelle fascie! Nulla sarà cosi festeggiato mai come l’aspettato, nulla! E nessuna poesia è più vera, più santa, più commovente, più pura di questa aspettazione!
Povere mamme!
Armida aveva accolto la bambina con un delirio di gioia, e quel giorno Sartori aveva esaurito tutti i suoi baci sulla piccina e su la moglie. La sua Armida! com’era più bella, più cara, più buona! come doveva amarla! E teneva strette in un amplesso solo le due care creature, che riempivano la sua vita ormai, e non usciva più dalla camera dove la piccola culla ondeggiava sotto le cortine di tulle azzurro!
Cosi erano passati sei anni: sei anni buoni di vita sempre tranquilla, sotto il cielo sereno, sul mare calmo, sei anni scaldati dall’affetto; la piccola cresceva esile, bella, gentile. Sartori, sempre lieto de’ suoi affari, sempre premuroso verso sua moglie, sempre pazzo per la bimba. Armida continuava la sua vita di madre felice, di sposa esemplare, di donna onesta. Come non le era mai venuto il pensiero che la sua vita non potesse essere sempre così buona e così serena, così neppur l’altro che le fosse possibile mancare al suo dovere verso suo marito o sua figlia. Guai! Aveva ricevuto una educazione onesta, ma solo umanamente onesta; era fiera ed orgogliosa, perciò aborriva dal fango; era buona di cuore e retta di principii, perciò si faceva amare e camminava rettamente. Le veniva natuturale la bontà, l’adempimento del suo dovere; ma trascurata la sua educazione religiosa, non cercava da Dio la forza per la virtù, per il sacrificio; era riconoscente a Dio delle gioie che le dava, amava suo marito e riposava tranquilla su lui; ma guai se le fosse toccato un uomo che l’adorasse meno, o che la facesse soffrire! Non sopportava il dolore e non conosceva il sacrificio Guai!
E purtroppo nella vita di quasi tutti gli uomini naturalmente onesti e umanamente buoni c’è un’ora di delirio, un passo sviato, un rimprovero da farsi; per ogni vita c’è anche un calice d’amarezze, e bisogna accettarlo. Beato chi nel momento della desolazione sa cercarvi, o Signore, e piangere sul vostro seno!
L’ora della prova suonò anche per Armida!
III.
Quella mattina Sartori era partito per affari, diceva, e