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L'io robotico
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E-book166 pagine2 ore

L'io robotico

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Info su questo ebook

Grazie agli studi compiuti da numerosi brillanti scienziati abbiamo avuto la possibilità di scoprire piccole particelle di verità in grado di renderci consapevoli del funzionamento del nostro pensiero e del nostro organismo. La psicologia cognitiva ha rappresentato nel Novecento quasi una vera e propria religione, ma nonostante questo per l’uomo comune la sua conoscenza rimane tuttora sostanzialmente marginale. Nel presente saggio l’autrice analizza, attraverso gli strumenti nuovi dati dalla scienza, la figura dell’uomo inteso come essere meraviglioso tecnologicamente avanzato, un io “robotico” che ha trasceso la sua natura ed espanso capacità e potenzialità, arrivando a superare i propri limiti.

Susanna Petrini è nata a San Marino nel 1981. Ha conseguito il diploma in Lingue classiche nel 2000 e la Laurea in Psicologia generale e sperimentale nel 2008.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2022
ISBN9791220130660
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    Anteprima del libro

    L'io robotico - Susanna Petrini

    Introduzione

    Io considero questo libro abbastanza difficile, spero comunque che risulti scorrevole e di facile lettura. Sono centinaia gli scienziati geniali che hanno studiato e scoperto piccole particelle di verità che oggi ci rendono consapevoli di come funziona il nostro pensiero, il nostro organismo e di come si sviluppano e si curano le malattie.

    La psicologia cognitiva si propone come la religione del ventesimo secolo, ma per l’uomo comune la sua conoscenza rimane completamente marginale.

    Gli argomenti che si presentano in questo libro sono intrecciati tra loro e rimangono spunti sempre disponibili ad essere meglio approfonditi.

    Come psicologo e artista io considero l’uomo come un robot, così come lo vedo quando mi ci approccio e lo studio.

    Epigenetica

    Per un medico un cuore è un cuore in assoluto, ha dei funzionamenti chiari; per uno psicologo il funzionamento dell’anima (psicologia: discorso sull’anima) è meno chiaro, ma l’approccio è similare. Specialmente da quando sono nate le tecniche di neuroimaging. L’umanità si manifesta in infinite forme, ma esse rimangono comunque limitate e circoscritte delle regole uguali per tutti.

    Oggi io vedo l’uomo come un essere meraviglioso tecnologicamente super avanzato. Un uomo che ha espanso le sue capacità e le sue potenzialità. Non possiamo più parlare semplicemente di uomo ma dobbiamo chiamarlo uomo robotico, un uomo che ha trasceso la sua natura e ha superato i suoi limiti.

    Ma andiamo a vedere: l’uomo in carne e ossa chi è? Il paragone con un androide che si auto-apprende è per me particolarmente affascinante, si apprende mano a mano che viene a vivere. Certe potenzialità sono latentizzate e per divenire manifeste devono essere scoperte ed esercitate. Ad esempio il camminare, il parlare, il correre, ma anche il danzare, il disegnare e il cantare… a volte diciamo: mi sembra portato! Ma cosa significa esserci portati? Significa avere un sistema nervoso che, se attivato e sviluppato nella giusta maniera, può dare grandi risultati estatici. Prendiamo confidenza con questa parola estasi e lasciamola. Per fare un esempio fantastico dovremmo creare un robot che salta cento metri per volta, riesce a sparare raggi laser e tirare frecce con gli occhi, ma per farlo o deve vedere farlo agli altri o deve scoprire dentro di sé questa potenzialità e provare e riprovare per farla crescere. Il robot umano impara il proprio funzionamento da quando nasce, acquisisce consapevolezza di sé stesso, dei propri movimenti, la mano che si muove in risposta a una volontà: questa si chiama maturazione sensomotoria.

    Questo capitolo della psicologia è per me affascinantissimo; intanto, lo ricordo personalmente, tutti i bambini adulti potrebbero farlo e tutti gli adulti hanno visto crescere i bambini mentre lo facevano. Io ricordo nel silenzio della mia stanza, sotto le api di gomma che mi giravano sopra in una serie di gialli e rossi intramezzati da canzonette (allegre e leggere), il mio viso immerso nella seta e la mia mano. Ora questa mano era accanto a me, non dico che io guardavo lei o lei guardava me perché ancora non era chiaro il rapporto che c’era tra di noi. Erano veramente i primissimi giorni di vita. A un certo punto guardo l’indice e l’indice si muove, poi il resto della mano. L’indice ancora piano piano, che felicità, potevo muoverlo quando io gli ordinavo di muoversi. È chiaro gli arti non si muovono quando piace a loro, si muovono quando ne abbiamo necessità, ma prima che il sistema nervoso impari questi collegamenti passa del tempo. Piaget ha descritto questo tempo momento per momento, con la sua dolcezza e il suo pacchetto di sigarette ha descritto cosa succede nella mente dei bambini fino alla prima adolescenza. Il robot conosce sé stesso, acquisisce intelligenza sensomotoria, impara a calibrare i movimenti.

    Ora rimane il miracolo. La macchina uscita dal pacco che si guarda intorno e si muove non a caso, ma dove vuole, nella direzione che vuole, alla velocità che vuole; nasce la volontà, la libertà del robot. È nato l’uomo, una parte infinitesimale dell’uomo dotato di volontà. In un primo momento il bambino sbaglierà ad infilarsi il cucchiaio in bocca, poi raffinerà i movimenti sino a non sbagliare, imparerà quanto ampi dovranno essere i movimenti per raggiungere un determinato obiettivo, quanti passi e quanto lunghi dovranno essere per raggiungere la poltrona o il tavolo. Quando ci muoviamo verso qualcosa, passa un tempo infinitesimale che ci consente di inviare il comando ai muscoli per muoverli nella giusta direzione valutando lo spazio esterno, e neanche la propriocezione è scontata, alzarsi in piedi e rimanere eretti costa una certa dose di esercizio.

    Con intelligenza epigenetica intendiamo il fenomeno per cui il robot umano impara a muoversi e a gestire l’intelligenza sensomotoria, esplorando l’ambiente esterno costruiamo modelli d’azione o schemi di pensiero, forme di adattamento dell’organismo con l’ambiente. In seguito impariamo a mangiare da soli, a camminare, a correre, leggere, infine per concludere la primissima infanzia a parlare. Tutte queste funzioni solitamente sono date per scontate, perché tutti i bambini addestrati imparano; ma quanta fatica costa. Pensiamo agli esperimenti ai tempi di Jean-Jacques Rousseau, quando si abbandonavano bambini nella giungla per verificare che cosa sapessero fare da soli; i bambini non parlavano, regredivano a uno stato animale anche trovando cibo, i bambini non esposti al linguaggio non parlavano. Pensiamo a un esempio meno crudele, un esempio di tutti i giorni. I bambini arabi esposti all’arabo parlano arabo, i bambini inglesi parlano inglese e così via, i bambini esposti a una doppia lingua diventano bilingui. Insomma, slatentizziamo delle potenzialità infinite: i cinesi scrivono in verticale, gli arabi da sinistra verso destra, noi occidentali da destra verso sinistra, tutte possibilità che il nostro androide ha di poter divenire. Potenzialmente possiamo imparare fino a sei lingue, la nostra memoria supera di undici volte in gigabite quella di un computer. Le nostre potenzialità sono limitate ma praticamente infinite considerata la durata di una vita. Cosa ci frena allora a divenire, a espletare le nostre infinite potenzialità? E perché abbiamo una vita così corta e potenzialità così elevate? Probabilmente tutto dipende da come organizziamo il mondo intorno a noi e da come lo dominiamo. Un viaggio umano verso l’eternità.

    È chiaro che dalle nostre potenzialità cerebrali siamo creati per vivere di più, per imparare più cose, per provare più emozioni, in due parole per essere più felici, così sembra dalla dotazione. Non mi voglia male chi non ama il paragone uomo-macchina. Nel nostro cervello circuiti già implementatati ci permettono di reagire in modi precostituiti in relazione a determinati stimoli, siamo programmati per vivere in questo mondo, per reagire ai pericoli. Siamo dotati di paure ma sino a un certo punto, sino alla libertà di cambiare, di superarle. Abbiamo, per dirla in breve, dei freni che il nostro cervello ci pone per fermarci e farci vivere al sicuro.

    Ma al di là di questo come possiamo superarci?

    Linguaggio di programmazione

    Certamente entra in gioco il nostro linguaggio di programmazione. La pragmatica linguistica di Watzlawick e gli studi di Seligman hanno migliorato il mondo di milioni di persone, e i loro rapporti interpersonali ne beneficiano in modo sostanziale. Il linguaggio è una peculiarità umana fondamentale all’uomo per ragionare e per comunicare con sé stesso, ad esempio di ciò che vuole e su come farlo. E in questo è molto preciso. Perciò io lo considero un vero e proprio linguaggio di programmazione. Quando programmo un software, se sbaglio, il programma non esegue, non lavora usando doppi sensi o interpretazioni. Se qualcuno dice a sé stesso non valgo molto il nostro CPU, la nostra mente inconscia, capirà quello che viene detto e troverà aspirazioni in merito. Se anche non credevano veramente a quell’affermazione è come se la facessimo diventare reale. Pensiamo sempre di essere dei programmatori. La nostra corteccia frontale elabora le parole e le traduce in azioni esattamente per quello che formuliamo. Raccontarci storie chiaramente non serve, falsificare la realtà tanto meno. Basta non crederci veramente, anche se sono grasso posso fare tante cose, poi la pancia mi dà un’aria particolare, mi piace mangiare e ogni giorno realizzo il mio desiderio. Con un linguaggio interno del genere la persona diviene integra, ma guardiamo se mi dico: sono il più bravo e ci credo veramente. La mia mente lavorerà in tal senso, senza giudizio. Eviterà il confronto con gli altri. Come faccio a essere il più bravo se non posso esserlo in assoluto? Eseguirò il sogno cercando di eliminare quelli più bravi di me. Almeno avrò l’illusione di esserlo. Che conseguenze disastrose ha un solo pensiero, quante azioni sconsiderate porta e quanto è difficile accorgersene. La nostra mente non ha pietà e ogni realizzazione di questo tipo ha conseguenze virtuali e reali sulle nostre vite.

    Quando uso il concetto di virtuale intendo dire che dietro il mondo materiale c’è un passato, una serie di azioni; un desiderio per me virtuale rappresenta il momento prima che il mondo diventi materiale. Se voglio diventare uno scrittore per prima cosa dovrò volerlo, poi mettere in atto certe azioni, se scrivo su un tavolo questo tavolo è virtualmente arrivato da me sulla base di una serie di considerazioni e cause. Tutto questo dipende da come formuliamo i nostri desideri e da come li mettiamo in pratica. Raccontarci storie significa mal programmarci, non realizzare e non avere un ritorno emotivo positivo. Abbiamo presente un programma di un computer? Fa quello che gli diciamo, funziona a seconda degli ordini in gioco. Noi ci programmiamo da soli attraverso obiettivi, ma più in fondo semplicemente attraverso il linguaggio di programmazione che elabora obiettivi. Sbagliando a formulare dei concetti la nostra personalità cambia. Posso divenire insicuro, incerto, intimorito, solo perché uso male le parole. Il ma mi blocca, io non posso significa potrei ma non voglio, il sicuramente esclude, niente è certo vuol dire tutto è spiegato, insomma formulare un obiettivo male significa non raggiungerlo. Con un ma si chiudono porte, per non parlare delle convinzioni interne. Ad esempio un sono troppo grasso per farlo, troppo stupido, troppo goffo, queste sono convinzioni che si auto-alimentano, lavorando sul nostro inconscio bloccano ogni possibilità di divenire e di lavorare su noi stessi in un’altra direzione. Quando credo a una mia bugia ecco che la bugia diventa realtà. La scuola di Palo Alto ha dedicato al modo di parlare a sé stessi e agli altri milioni di parole, le parole contano, le espressioni hanno un effetto implosivo sulla nostra vita. Posso farcela, sono il migliore, ce la devo fare, non posso sbagliare, non posso che vincere, perderò sicuramente, ognuna di queste espressioni contiene un segreto, un messaggio che arriva all’inconscio. Dopo tali affermazioni possiamo sentirci gasati, impauriti, ipereccitati, superconcentrati, decisi a vincere sugli altri, potremmo vedere tutti come nemici o vedere tutti benevolmente come collaboratori e voler cooperare per raggiungere qualcosa. Sappiamo benissimo che stiamo creando stati d’animo, se cambiamo le parole cambiano i concetti e di conseguenza gli ordini che inviamo al nostro

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