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Attacco dal cielo. Droni
Attacco dal cielo. Droni
Attacco dal cielo. Droni
E-book289 pagine4 ore

Attacco dal cielo. Droni

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Info su questo ebook

Il Maggiore Umberto Gamondo, dopo aver portato avanti con successo una pericolosa indagine a carico di un’organizzazione criminale internazionale, subisce la feroce e spietata reazione della stessa e deve sospendere il proprio lavoro.
Nell’era dei droni, sui cieli di Alassio ne compare uno non identificato che compie evoluzioni e azioni apparentemente incomprensibili. Inizialmente toccherà a tre giovani del posto, incuriositi dalle loro casuali scoperte, svolgere le prime ricerche sul misterioso velivolo. Quando intuiranno di trovarsi di fronte a un possibile crimine, cercheranno aiuto e a quel punto verrà loro in soccorso l’ufficiale dell’Arma che, grazie alla sua professionalità ed esperienza, cercherà di risolvere il mistero.
Primo romanzo del ciclo dedicato alle indagini internazionali di Umberto Gamondo.
LinguaItaliano
Data di uscita6 giu 2018
ISBN9788896608746
Attacco dal cielo. Droni

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    Anteprima del libro

    Attacco dal cielo. Droni - Ugo Moriano

    casuale.

    Ottobre 2014

    Aspromonte

    Da quando avevano lasciato la strada provinciale che, serpeggiando dal Mar Tirreno allo Jonio, da Bagnara Calabra, Sinopoli e Delianuova, porta a Platì e Bovalino, il brigadiere Sergio Vrenna guidava con grande prudenza la Panda 4x4 del 2001. Il mezzo, con la verniciatura di un anonimo grigio logorato dal tempo e da qualche piccolo incidente, grazie a un attento lavoro di revisione e manutenzione affrontava senza particolare sforzo la strada sterrata che conduceva a una vecchia casa rurale edificata, molti anni prima, a mezza costa su una delle tante alture che levano le loro cime sul massiccio dell’Aspromonte.

    – Signor Maggiore, ci siamo quasi – disse il brigadiere senza staccare gli occhi dalla carreggiata che, a partire dalla deviazione di un chilometro prima, assomigliava sempre più a un vero e proprio tratturo costellato di buche, pozzanghere e dossi.

    – Sì, ci siamo. Fermati a una cinquantina di metri dalla cascina, poi io andrò a piedi. Tu, mi raccomando, resta accanto all’auto. Se qualcosa andasse storto, non fare l’eroe e pensa solo a salvarti la pelle – rispose il maggiore Umberto Gamondo voltandosi per un attimo a osservare il sottufficiale alla guida.

    – Come Lei comanda.

    Naturalmente ambedue sapevano bene che, se qualcosa non fosse andato per il verso giusto, non sarebbero sopravvissuti per andare a raccontarlo.

    Dopo aver lasciato l’ex strada statale per addentrarsi sempre più tra le falde impervie del parco, avevano incontrato alcuni pastori con le loro greggi di capre dell’Aspromonte e solo pochi minuti prima ne avevano oltrepassato altri quattro che, senza proferire parola, li avevano scrutati mentre passavano loro accanto. Forse erano veri pastori, ma più probabilmente erano uomini di Antonio Gallo che stavano sorvegliando e proteggendo il loro capo, pronti a intervenire qualora ce ne fosse stato bisogno. Altri sicuramente si trovavano nella fattoria o nelle sue vicinanze.

    – Comunque l’invenzione del gps è stata davvero una gran cosa – commentò Umberto cercando di stemperare la tensione nell’abitacolo. – Un tempo per un appuntamento simile sarebbero state necessarie mille spiegazioni, mentre adesso sono bastate due coordinate e ci siamo arrivati senza problemi.

    Giusto, arrivati pensò il brigadiere fermando l’auto e spegnendo i tergicristalli. Tutto sta a vedere se riusciremo anche ad andarcene.

    Umberto scese, richiuse la portiera e, senza alcuna esitazione, s’incamminò verso la sua destinazione.

    Seduto al posto di guida, Sergio Vrenna non aveva paura. Era teso e ben consapevole del rischio che stavano correndo, ma aveva piena fiducia nel maggiore che in quel momento stava arrancando solitario sotto la pioggia battente. Non appena il suo superiore fu uscito, appoggiò una mano sulla Beretta 92 che aveva posato sul sedile accanto al suo. Lo confortava anche il pensiero di avere, adagiata sul pianale dietro, la fedele Beretta pm/12, compagna di innumerevoli operazioni ed esercitazioni. Se ci fosse stato da sparare, lei avrebbe compiuto la sua parte e sicuramente, prima di soccombere, qualche danno sarebbero riusciti a farlo.

    Per un attimo gli venne in mente il caldo deserto libico e la prima volta in cui lui e il maggiore avevano affrontato uno scontro a fuoco.

    Accorgendosi di essersi distratto, riportò la propria attenzione su quanto stavano affrontando.

    Umberto percorse un tratto di salita più ripido e dovette fare uno sforzo per non scivolare sulla mota che copriva ormai tutto il percorso. La pioggia, nonostante il cappello di feltro, gli impediva di tenere gli occhi bene aperti e, per l’ennesima volta, si passò la mano sul volto per scacciare le gocce che gli solcavano fronte e guance.

    Davanti a lui, il lungo casolare in pietra e mattoni parzialmente intonacati pareva abbandonato. Solo una piccola lampadina appesa su una delle pareti gettava un cono di luce gialla che sembrava lottare per non essere inghiottita dalla fitta penombra di quel pomeriggio autunnale segnato dalle intemperie.

    Prima di fare gli ultimi metri, si voltò a guardare la Panda che si era lasciato dietro, ma tutto ciò che riuscì a scorgere fu una vaga sagoma scura alle spalle dei fari quadrati accesi.

    Lui, se avesse potuto, sarebbe andato a quell’appuntamento da solo. Era sposato e amava sua moglie, però non aveva figli; Sergio, oltre a una bella consorte, ne aveva tre: due maschi di undici e nove anni, vivaci e intelligenti, e una femmina di quattro, Claudia, che con i suoi capelli neri e i grandi occhi castani sembrava un vero angelo. Se quel giorno fosse successo qualcosa di brutto, quei bambini sarebbero cresciuti orfani di un padre buono e retto e la responsabilità sarebbe stata la sua.

    Ormai però era troppo tardi, erano venuti insieme e insieme si ripromise che sarebbero tornati indietro.

    Quell’incontro lo si poteva considerare il coronamento di due anni di indagini, spesso poco fruttuose o addirittura demoralizzanti. In tutto quel tempo, se non avevano imboccato vicoli ciechi, si erano comunque ritrovati con la strada sbarrata da silenzi omertosi, paure o addirittura ostilità.

    Ma alla fine forse stiamo per fare un passo avanti importante.

    Umberto era stato inviato in Calabria per indagare il lato più oscuro dell’immigrazione clandestina e, con la motivazione ufficiale di un affaticamento cardiaco che gli impediva di svolgere attività prettamente operative, aveva occupato un ufficio in caserma a Reggio Calabria. Con i pochi uomini da tempo adibiti a quel compito, ma, soprattutto, con calma e pazienza, aveva rinsaldato le maglie della rete degli informatori.

    Settimana dopo settimana, si era impegnato a penetrare quel mondo composto per la stragrande maggioranza da brave persone, da associazioni veramente senza fine di lucro e da idealisti spesso disposti a sacrificare il proprio tempo e, perché no, anche un po’ dei propri averi per aiutare la moltitudine di disperati che si riversava oltre le coste della Libia. Accanto a loro però aveva anche scoperto comportamenti a dir poco opachi, interessi non sempre leciti, grumi di malaffare organizzato che si nutrivano del fiume di denari pubblici destinati ad aiutare chi scappava da guerre e povertà.

    Ma scavando sempre più a fondo, si era convinto che vi era anche qualcos’altro che navigava sotto la superficie, come un’ombra scura e minacciosa che a volte per un istante, se si era ben attenti e si sapeva dove guardare, si intravedeva, ma che poi s’inabissava nuovamente per scomparire nelle profondità del no profit e del volontariato più puro.

    In quei due anni, ogni tanto Umberto aveva percepito quest’entità a dir poco maligna, un paio di volte aveva anche creduto di riuscire, se non ad afferrarla, almeno a scorgerne più nitidamente i dettagli, ma gli era sempre sfuggita. Oggi però, forse qualcuno sarebbe stato disposto a gettare un raggio di luce in quell’oscurità.

    Dopo essersi abbottonato la giacca verde alla cacciatora, appoggiò per un istante la mano sulla tasca dove teneva la Beretta 8000 con il colpo in canna, poi riprese a camminare cercando di non affondare gli scarponi nel fango.

    Vrenna uscì dall’auto e rimase in piedi sotto la pioggia con tra le mani la fidata pistola mitragliatrice. Il suo sguardo, dopo aver vagato sul territorio circostante in cerca di movimenti o figure sospette, ritornò ad appuntarsi sulla figura alta, atletica e robusta del maggiore.

    Quando Umberto raggiunse la bassa costruzione, nessuno si fece avanti, così decise di controllarne il perimetro prima di introdursi nell’oscurità al suo interno.

    Dopo aver aggirato il lato più corto, si affacciò sul retro e vide che sotto una tettoia di tegole ruscellanti d’acqua sorretta da quattro pali di legno c’era un tavolino metallico, come quelli che si vedono davanti ai bar, e due sedie una delle quali era già occupata da un uomo. Una lampada illuminava quell’oasi riparata dalla pioggia.

    – Buonasera Maggiore. Venga, venga pure! Mi scusi se non mi alzo per salutarla, ma da qualche anno le gambe, soprattutto quando piove, mi stanno rendendo la vita difficile – disse l’uomo seduto, accennando a un sorriso e tendendo la mano. – Lo so che dovrei farmi operare, me lo dice sempre anche mia moglie, ma finché ci riesco, preferisco evitare i ferri dei chirurghi.

    – Buonasera Gallo – rispose Umberto stringendogli la mano.

    – Prego, si sieda, così non dovrò torcere il collo per guardarla. Posso offrirle un bicchiere di Palizzi? Lo produce un mio cugino. Le garantisco che pochi sanno fare il vino buono come lo fa lui.

    – Due dita le assaggerò ben volentieri, grazie.

    Mentre si sedeva e il suo ospite, dopo aver estratto da una delle tasche della giacca un coltellino multiuso comprensivo di cavatappi, afferrava la bottiglia appoggiata sul tavolo accanto a due bicchieri di vetro e iniziava a stapparla, Umberto si concentrò sul suo interlocutore.

    Era alto all’incirca un metro e settantacinque, snello, con i capelli completamente grigi. Aveva ormai abbondantemente superato i sessant’anni ed era vestito come un impiegato ministeriale, giacca, camicia, foulard al collo, pantaloni con la piega perfetta, scarpe di pelle intonate con il cinturino dell’orologio d’oro che ostentava al polso. Attualmente era in libertà vigilata in attesa di un processo continuamente rinviato.

    Addosso non aveva un solo schizzo di fango, come se per arrivare non fosse stato costretto ad appoggiare i piedi a terra o ripararsi dalla pioggia. Sedeva rilassato, ma composto, teneva la schiena dritta senza toccare lo schienale della sedia.

    Con pochi gesti precisi e sicuri Antonio Gallo aveva estratto il tappo e versato il vino, di color rosso rubino intenso, nei due bicchieri.

    Bevvero in silenzio, osservandosi a vicenda.

    Umberto ripensò alle vicende che lo avevano portato a incontrare il capo di una delle principali famiglie malavitose che operavano in Calabria con ramificazioni su tutto il territorio nazionale.

    Otto giorni prima, un noto ricettatore aveva fatto giungere a Vrenna la richiesta di passare nel suo negozio di orefice perché doveva riferirgli personalmente un messaggio. L’uomo, ben conosciuto alle forze dell’ordine, ma al momento libero da pendenze giudiziarie, gli aveva riferito dell’intenzione di Gallo di incontrare il maggiore Gamondo.

    Nel giro di quattro giorni avevano concordato luogo e ora e adesso si trovavano faccia a faccia sotto una precaria tettoia sommersa da una specie di diluvio.

    – Qui siamo completamente soli – esordì Gallo dopo aver appoggiato il proprio bicchiere sul piano del tavolino. – Quello che ci diremo resterà tra noi.

    – Inutile che le stia a dire che invece tutto quello che dirà io lo userò durante le mie indagini – precisò Umberto appoggiando a sua volta il bicchiere. – Ma questo Lei lo sapeva benissimo ancora prima di chiedere questo abboccamento.

    Gallo sorrise e si aggiustò sul naso gli occhiali contornati da una leggera montatura metallica.

    – Maggiore, dopo che ci saremo salutati, deciderà lei cosa farne di ciò che sto per farle sapere; così facendo, se ne assumerà anche i rischi e le conseguenze. Prima di iniziare, volevo dirle che uno dei fattori che mi hanno spinto a incontrarla, oltre alla sua fama di correttezza e onestà, è stato che io ho conosciuto suo padre. Quando ha svolto per cinque anni servizio qui in Calabria, nel 1984 ha arrestato me e mio fratello Giuseppe. Una piccola estorsione ai danni di un macellaio di Reggio. C’è mancato poco che riuscisse a farci scontare parecchi anni di carcere, ma poi ne siamo usciti fuori. Lui era un ufficiale, anzi, un uomo dello Stato, tutto d’un pezzo, e quindi mi sono detto che anche suo figlio, seppur passato nei Servizi, non poteva essere diverso.

    – E quindi perché ha voluto vedermi qui? In fondo poteva venire in caserma, chiedere di me e dirmi quello che voleva. – Umberto sapeva benissimo che una cosa simile era praticamente impossibile, ma la buttò lì perché voleva arrivare al dunque senza dare troppo spazio all’uomo che aveva di fronte.

    La pioggia non accennava a diminuire d’intensità. Il rumore delle migliaia di gocce che colpivano il tetto, i rami degli alberi circostanti e la terra ormai zuppa creava uno schermo protettivo, impedendo alle loro parole di disperdersi nella campagna circostante.

    – Nella mia vita ho fatto molte cose, come dire, poco educate. Non mi pento di nulla, si nasce con un destino scritto addosso e non si può far altro che affrontarlo meglio che si può. Magari, se fossi venuto al mondo in una famiglia come la sua, adesso le parti sarebbero invertite, ma non accampo scuse e certamente non mi lamento del mio destino. In fondo ho raggiunto quello che cercavo.

    – Continuo a non comprendere perché mi ha fatto venire in pieno Aspromonte. Per parlarmi della sua vita? O magari ha deciso di uccidermi facendomi prendere una polmonite fulminante, così non la potranno accusare di nulla?

    Gallo ancora una volta sorrise, si sfiorò leggermente con le dita il camuffu che portava al collo e poi afferrò la bottiglia e riempì nuovamente i bicchieri.

    – Che dice mai, Maggiore! Quando decideremo di ucciderla, lo faremo in modo spettacolare e Lei così potrà avere tutti gli elogi che merita. Un bel funerale di Stato con tanto di trombettiere dell’Arma che le suona il silenzio mentre i governanti di turno prometteranno tremenda e implacabile giustizia.

    – Quindi? – Umberto non aveva completamente scherzato a proposito della polmonite. Aveva i pantaloni in gran parte bagnati e la stessa giacca alla cacciatora, seppur garantita impermeabile, era decisamente umida.

    – Sono sempre stato fedele alla mia famiglia e onoro il patto che ci lega. Se verrò condannato mi farò tutta la galera che mi daranno, ma non diventerò mai un infame pentito, questo è sicuro. – Mentre proferiva quelle parole con tono deciso, senza staccare gli occhi da quelli del carabiniere, prese il bicchiere e sorseggiò un po’ di Palizzi. – Ma certe cose non si possono fare. Io non posso farle.

    L’intensità della pioggia aumentò al punto da creare un vero muro d’acqua. Umberto si domandò se gli uomini che in quel momento stavano vegliando sul suo interlocutore fossero appostati sotto qualche riparo o se invece stessero letteralmente annegando sotto quel diluvio. Provò la tentazione di far durare quell’incontro il più a lungo possibile, solo per vedere quanto potessero resistere.

    – Perciò adesso vorrei darle alcune informazioni che Lei mi farà la cortesia di usare, però senza rivelare ad alcuno, neppure il più fidato dei suoi superiori, la fonte da cui le ha ricevute. Se così non fosse, io arriverei anche alla sua bella famiglia nelle campagne intorno a Milano, su questo ci può scommettere.

    – Non amo le minacce, soprattutto verso i miei familiari. – Il tono di Umberto si fece duro.

    – Non era una minaccia, ma una semplice informazione. Ora però mi dica, è disposto ad ascoltarmi? Può ancora alzarsi e andarsene e tutto sarà dimenticato.

    – Parli e facciamola finita con questa brutta copia di uno sceneggiato televisivo sulla mafia.

    Gallo si irrigidì, non era abituato a certi toni perché da molto tempo nessuno osava rivolgersi a lui senza il dovuto rispetto, poi si rilassò, appoggiò le mani con i palmi sul piano del tavolo e, prima di rispondere, trasse un respiro.

    – Armi, droga, prostituzione, strozzinaggio, migranti, nulla di tutto questo mi impedisce di dormire alla notte, ma il traffico d’organi di bambini, ragazzini e giovani, quello non riesco a sopportarlo. La prima volta che è successo, sono voluto andare a vederli di persona quei poveretti, un paio non dovevano avere più di sei o sette anni. Quando ho visto i loro visi pieni di speranza, inaspettatamente mi si è stretto il cuore e il mio pensiero è corso ai miei nipoti. Credevano di aver raggiunto la felicità e invece presto li avrebbero uccisi per asportargli tutto quanto si può prelevare da un corpo umano.

    Umberto non mosse un muscolo. Tutta la sua attenzione era rivolta all’uomo che gli stava rivelando qualcosa di mostruoso. Non avrebbe ricevuto prove tangibili a supporto di quanto stava ascoltando, ma era sicuro che il suo ospite stesse dicendo la verità.

    – Dietro a questo traffico, come può ben intuire, vi sono interessi enormi, noi calabresi siamo solo un tassello di un disegno molto più grande e io non Le sto facendo un favore a rivelarglielo perché probabilmente Lei ne verrà schiacciato e forse, chissà, la uccideranno pure. Chi commercia quegli organi dispone di fortune rilevanti e ha conoscenze molto pericolose. – Gallo si concesse ancora un attimo di pausa, quasi volesse offrire al militare l’ultima possibilità di fermare tutto. – Tra quindici giorni dal porto di Monte Carlo partirà uno yacht, si chiama Gymir. Raggiungerà il limite delle acque territoriali della Libia, venti miglia a nord-ovest di Bengasi. Un motoscafo porterà sottobordo i poveri disgraziati prescelti e poi, dopo averli imbarcati, il panfilo farà rotta verso uno dei tanti porti turistici della nostra bella costa calabra. A quel punto subentrano i miei uomini che assicureranno uno sbarco privo di imprevisti e prepareranno tutti i documenti necessari per far viaggiare quei giovani fino a destinazione.

    – Quale porto? – domandò Umberto.

    – Questo non deve interessarle, tanto ogni volta è uno diverso. Non voglio di certo che Lei piombi sui miei uomini e li arresti. Dovrà abbordare lo yacht in mare aperto, molto lontano da qui, in modo che nessuno possa sospettare qualcosa. In caso contrario la mia vita e quella dei miei familiari non varrebbe più un centesimo.

    – Altre informazioni utili?

    – No, da questo momento è tutto nelle sue mani. Stia attento a con chi parla. Non si fidi di nessuno perché soldi e corruzione arrivano dappertutto e nessuno è mai completamente al sicuro.

    I due uomini si scrutarono a vicenda. Intorno a loro la pioggia era diminuita d’intensità, ma le ombre della sera stavano già avvolgendo tutto l’Aspromonte.

    Non c’era più nulla da dire e così Umberto si alzò dalla sedia e, senza salutare, si incamminò verso l’auto cercando di non sprofondare nel fango o scivolare e cadere a terra. Aveva tutti i muscoli tesi e si accorse di avere i denti serrati fino al punto di fargli male. Rilassò i pugni contratti ed emise un profondo sospiro.

    – Maggiore!

    Il richiamo di Gallo lo fece fermare per poi voltarsi verso la casa. La lampada che aveva illuminato l’angolo della casa adesso era spenta. L’uomo che l’aveva chiamato era ormai poco più di un’ombra tra le ombre, una sagoma indistinta che però gli parve avesse alzato una mano in segno di saluto.

    – Mi raccomando, non mi deluda, non si faccia uccidere e metta fine a questa infamia!

    Umberto non rispose e, voltandosi, si affrettò a raggiungere l’auto accanto alla quale, con in mano la Beretta, vegliava Vrenna.

    – Tutto bene, maggiore? – domandò il brigadiere.

    – Sì, ma ora andiamo via di qui.

    Grazie alla trazione integrale e all’abilità del guidatore, la Panda fece un’inversione di marcia e poi iniziò a ripercorrere la strada fatta poco meno di un’ora prima.

    – Il Gallo aveva notizie importanti? – Avevano all’attivo molte operazioni fatte insieme, in Italia e all’estero, ma Vrenna non aveva mai visto il suo superiore così teso e preoccupato come quella sera.

    – Sì. Presto dovremo affrontare un’operazione molto rischiosa e abbiamo poco tempo per prepararla. – Umberto si tolse il cappello di feltro e lo gettò sul sedile dietro. – Appena saremo in caserma farò alcune telefonate e domani quasi certamente andremo a Roma.

    3 Novembre 2014

    A nord del golfo della Sirte

    Nel buio della notte, al largo del golfo della Sirte, dalla superficie leggermente increspata del mare affiorarono i periscopi dello Juvarra e dopo pochi minuti emerse in superficie lo scafo del mezzo sommergibile della classe Sauro della Marina Italiana.

    Non appena il battello si stabilizzò, dai suoi portelli uscirono velocemente alcuni marinai, seguiti da otto uomini che indossavano delle mute nere.

    Vennero messi in acqua due gommoni Zodiac su ognuno dei quali presero posto quattro uomini, poi, non appena i battelli gonfiabili si furono allontanati a una distanza di sicurezza, i marinai rientrarono nei boccaporti e il sommergibile si immerse nuovamente.

    Umberto era uno degli otto militari sui gommoni. Non era a proprio agio con indosso l’equipaggiamento degli uomini del Comsubin¹, ma si impose di ignorare l’impaccio. Lui era un paracadutista e non un marinaio, anche se le lunghe vacanze estive trascorse a Alassio e le uscite in mare con il cutter della sua famiglia lo avevano abituato alla navigazione.

    Ho mosso mari e monti per essere a bordo di questi gommoni pensò pertanto adesso non posso certo lamentarmi se la muta mi dà fastidio e le onde mi fanno ballare come su un cavallo imbizzarrito.

    Il gommone procedeva immerso nella più completa oscurità portata dalla fitta cappa di nuvole che nascondeva le stelle e la luna ormai quasi al plenilunio.

    L’uomo al suo fianco gli toccò la spalla, poi, senza proferire parola, allungò il braccio indicandogli il mare davanti a loro e a quel punto Umberto scorse una luce che pareva galleggiare sulle acque a circa mezzo miglio di distanza.

    Le informazioni che pochi giorni prima gli aveva dato Antonio Gallo fino a quel momento si erano rivelate esatte. L’imbarcazione lunga quaranta metri che stavano osservando era il Gymir, che era partito dal porto di Monte Carlo e, dopo aver viaggiato verso sud-est, oltrepassando la Corsica, la Sardegna e la

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