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Il tatuaggio insanguinato
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E-book265 pagine3 ore

Il tatuaggio insanguinato

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Info su questo ebook

Non sempre la normalità e il benessere sono sinonimo di tranquillità. Può capitare, infatti, che il fato nasconda dietro l'angolo un imprevisto, quell'imponderabile situazione che, energicamente, cambia all'improvviso lo status quo. Tutto questo è capitato in una tranquilla città marchigiana e pugliese, tanto distanti tra loro ma accomunate da terribili fatti di sangue che, come un incubo, finiranno per spazzare la tranquillità dei loro abitanti, sino a quel momento abituati a trascorrere le giornate immersi nel lavoro e lontano da ogni forma di violenza. Il velo della morte incombente, però, ridimensionerà ogni cosa. Per un commissario di Polizia e un giornalista di cronaca nera nulla sarebbe stato come prima...
LinguaItaliano
Data di uscita7 dic 2022
ISBN9791221421071
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    Anteprima del libro

    Il tatuaggio insanguinato - Gianpaolo Balsamo

    Capitolo primo

    La normalità aveva da sempre avvolto e preservato la tranquilla cittadina in prossimità delle colline nell’entroterra marchigiano. Quel modesto centro in cui la laboriosa comunità era sempre stata ligia ad assumere, in caso di bisogno, ogni forma di coesione per il bene comune. Non vi era mai stato uno screzio o un diverbio tra i concittadini, tant’è che era divenuta una località presa come esempio dagli altri comuni limitrofi, quasi una sorta di isola felice. 

    Da tempo immemore non si ricordava un accadimento eclatante che avrebbe potuto scuotere dal normale torpore quotidiano la comunità, scalfire quella condizione che era sempre stata ricercata e mantenuta negli anni. Tutto era stato avviato, da tempo, nei giusti canoni della razionalità, consuetudine e unità d’intenti. 

    Vi erano state avvisaglie di un certo insediamento malavitoso, venuto dal sud, che avrebbe puntato inquinare la proverbiale tranquillità del paesino, insediando in quel posto sano il quartier generale dei suoi loschi affari. I malavitosi avrebbero potuto scegliere, per non destare sospetti, quella piccola e isolata comunità, lasciando da parte i grandi centri del nord sempre più in vista, fortunatamente non l’avevano mai fatto. 

    La serenità e il quieto vivere erano garantiti dalla dedizione e dalla solidarietà dei concittadini, sopra a tutti il sindaco Luigi Corvino, una persona morigerata e retta che aveva sempre combattuto in prima persona la benché minima infiltrazione malavitosa; come un paladino era sempre stato in prima linea cercando di debellare ogni accenno di delinquenza con ogni mezzo possibile, stroncandola sul nascere.

    Il male però è sempre in agguato, pronto a palesarsi al momento opportuno, in buona sostanza è sempre dietro l’angolo, e con esso tutto ciò che di orrido ne consegue. 

    Un giorno di fine estate l’azzurro e terso cielo dell’altopiano della comunità marchigiana tutto d’un tratto si scurì, un sinistro colore plumbeo avvolse ogni cosa intorno, pareva il presagio di tristi accadimenti. Fu notata levarsi al cielo, in una commistione di grigio e nero, una colonna di fumo intenso proveniente da una zona meno frequentata dell’hinterland cittadino. 

    Sul posto prontamente accorsero con solerzia i vigili del fuoco, allertati dai contadini che stavano ritornando a casa a conclusione della loro dura giornata di lavoro nei campi, preceduti dalle sirene spiegate di una volante della polizia che, con quel suono incessante, recapitò all'intera vallata un chiaro segnale d’inquietudine. 

    Arrivati sul posto, mentre la polizia delimitava la zona dell’incendio, i vigili del fuoco si misero al lavoro alacremente per cercare di spegnere l’inspiegabile incendio.  

    Si dovette faticare per diverse ore prima che tutto fosse domato e assolutamente spento, anche il più piccolo focolaio, ma la sorpresa che ne scaturì, quando tutto fu compiuto, fu davvero enorme. 

    L’incendio era stato appiccato con la volontà di cancellare alcune tracce sparse attorno a un furgone, ne era palese la causa per la comparsa di taniche di materiale infiammabile nelle vicinanze, lasciate lì per noncuranza o forse per il semplice motivo che gli autori dell’infausto gesto per presunzione avevano ritenuto che il propagarsi delle fiamme avrebbe provveduto a fare il resto. 

    In particolari momenti come questo, il caso fortuito è quantomeno determinante, in considerazione che, se quella colonna di fumo non fosse stata scorta dai ligi contadini con tutto ciò che ne era poi conseguito, forse il loro piano criminoso messo in atto avrebbe avuto l’assoluto perfezionamento, cosa però che non è fortunatamente avvenuta. 

    Al disperdersi delle fiamme, quando tutto fu dipanato, la scena che si presentò dinanzi agli occhi degli operatori fu davvero raccapricciante: un grosso furgone era stato dato alle fiamme, l’abitacolo del mezzo era pressoché vuoto.

    Inizialmente si era creduto che quel rogo fosse stato appiccato per altri fini, forse per una ripicca contro chi aveva perpetrato torti a qualcuno, o forse più verosimilmente per una frode assicurativa, ma quando i vigili del fuoco aprirono lo sportello laterale rimasero sconcertati. 

    Lo sgomento fu tale che quasi non credettero ai loro occhi allorché scoprirono che all’interno del mezzo vi era un corpo quasi totalmente carbonizzato. Fortunatamente il corpo era ancora tutto intero, tuttavia sarebbe stato alquanto arduo il riconoscimento.

    La cosa che colpì gli intervenuti fu la posizione che aveva assunto quella persona: era adagiata in una maniera insolita, legata in modo inusuale, erano state usate come corde dei pezzi di ferro filato che non potevano di certo ardersi. Si intuiva che era stato stretto in un intreccio mortale, quasi a voler rendere vano ogni movimento del malcapitato, ogni suo tentativo di liberarsi lo costringeva invece a consolidare sempre più quel ferale abbraccio. 

    Tale legatura è nota nell'ambiente malavitoso come incaprettamento, nel quale la vittima si strozza quasi da sola a ogni suo movimento per cercare di liberarsi.

    Si tratta di una consuetudine della malavita, atta a punire un proprio adepto venduto o quando si discosta dagli affari utili all'organizzazione, oppure qualcuno che non si sottomette al loro potere. 

    Tutto ciò faceva presagire che fosse stata commessa un’esecuzione sommaria.

    Sarebbe stato davvero difficile risalire all'identità di quel corpo, sfortunatamente tutto si era bruciato in quell'incendio, ogni sorta di documento che potesse rivelargli il nome, solo un eventuale segno particolare avrebbe potuto far risalire all'identità di quel cadavere. 

    Ecco che il fato a volte lascia il suo segno inconfutabile.

    Quando la salma fu posizionata sul lettino della sala autoptica del gabinetto di medicina legale per eseguire gli esami specifici, il medico legale notò con meraviglia che proprio quella posizione assunta aveva preservato alcuni lembi e parti di pelle intonsa, che risultarono importanti. 

    In quei pochi centimetri vi era uno strano tatuaggio, forse poteva essere sottovalutato e definito nella normalità dell’epoca, il vezzo di poter esibire qualcosa d’insolito, ma forse era un indizio e non fu sottovalutato visto, che il volto del cadavere era pressoché irriconoscibile. Era un segnale, un indizio che non era stato messo in preventivo da chi aveva architettato ogni cosa. 

    Ma torniamo un passo indietro. Visti i nuovi sviluppi che aveva preso lo strano incendio e la presenza inquietante di quel corpo, tutto fu momentaneamente sospeso e preventivamente fu richiesto l’intervento del magistrato, quindi contestualmente al suo arrivo giunsero sul posto anche la scientifica e il coroner che erano stati precedentemente allertati. 

    Dopo che il magistrato era accorso sul luogo del misfatto, diede l’autorizzazione a effettuare gli accertamenti di rito, dando la giusta pietà al cadavere del povero malcapitato, e lo fece trasportare presso il gabinetto di medicina legale principale del capoluogo della provincia marchigiana per le opportune ispezioni autoptiche, prima però aveva da impartire le sue direttive. 

    Con quell’autorità che gli competeva e con quel piglio motivazionale, dispensò ordini perentori, rivolgendosi al medico: «Voglio che al più presto giunga sulla mia scrivania l’esito della vostra ispezione autoptica, voglio notizie certe e nel più breve tempo possibile.» 

    Avuto il giusto riscontro che i suoi ordini fossero stati compresi per intero, si rivolse quindi alla polizia scientifica chiedendo di bonificare al meglio la zona e, con l’ausilio dei vigili del fuoco, di redigere un rapporto esaustivo sulla causa dell’incendio, per cercare di reperire tutto ciò che potesse essere utile a risalire agli artefici di questo atto vandalico che, in realtà, assumeva sempre più i connotati di un efferato omicidio. 

    La notizia dell'atto criminale scosse non poco la comunità marchigiana, il primo cittadino Luigi Corvino in compagnia del comandante dei carabinieri della piccola stazione, il maresciallo Giorgio Pratti, si recarono dal magistrato inquirente a cui era stato assegnato il caso, volevano dettagli utili a tranquillizzare tutti i cittadini. Purtroppo l’incontro non fu molto proficuo, il magistrato non poté rivelare alcunché, tutto era celato nel più stretto riserbo, anche perché non aveva avuto ancora nessun rapporto informativo sull'episodio.

    Chiese quindi al maresciallo dei carabinieri di coordinarsi con i poliziotti del commissariato di zona, e di svolgere le indagini, di organizzare posti di blocco sulle principali arterie in entrata e in uscita dal paese, ma anche nelle zone limitrofe di quel piccolo centro, cercando di reperire notizie utili, relative a eventuali nuovi arrivi in città di persone estranee alla comunità. 

    Si rivolse poi al sindaco dicendo: «Lei, signor Corvino, può sicuramente tranquillizzare i suoi concittadini, stiamo effettuando tutto ciò che è in nostro possesso per far in modo, nel breve tempo possibile, di risolvere questo caso e dare un nome alla vittima. Assegnerò il caso alla sezione investigativa criminale della polizia, un nucleo di persone che hanno già lavorato con me in altre circostanze e sulle quali posso fare un sicuro affidamento per professionalità e perizia.» 

    Il sindaco, avuta questa rasserenante comunicazione e ritenendosi soddisfatto, salutò cordialmente il magistrato e con il maresciallo dei carabinieri fece ritorno in paese, con la consapevolezza che la loro comunità sarebbe stata colpita, da quel male, solo in maniera marginale.

    Tuttavia a volte non è mai così come sembra, c’è sempre una variabile che stravolge ogni cosa. 

    Il magistrato, appena i due inattesi ospiti lasciarono il suo ufficio, chiamò immediatamente il questore dottor Manfredi, gli raccontò le vicende che si erano succedute nella pacifica zona di quell'entroterra marchigiano, e, dopo aver interpellato i rispettivi comandanti delle locali forze di polizia della zona, fece coordinare una gazzella dei carabinieri e una volante della questura per effettuare i primi accertamenti e perlustrare la zona tramite posti di blocco.

    Quindi assegnò, per la fiducia che aveva sempre riposto negli uomini della polizia, ufficialmente il caso a loro, chiedendo che a seguire le indagini in maniera approfondita fosse la sezione comandata dal commissario Antonio Belluno. Il questore non si oppose, anzi, siccome stravedeva per quel suo brillante collaboratore, ne avvallò la scelta. 

    Ci sono situazioni nelle quali non si può omettere nulla, neanche il più piccolo particolare, e il commissario Antonio Belluno era la persona adatta. Molteplici erano stati i suoi successi in casi che inizialmente parevano irrisolvibili, invece con la sua arguzia e la sua intelligenza investigativa riusciva sempre ad avere la meglio sul crimine, anche il più esecrabile!

    Capitolo secondo

    Muovi il culo e vieni qui immediatamente. C’è roba per te.

    Un giorno come tanti, pensava. Ma quel messaggio audio ricevuto su WhatsApp lo fece subito ricredere. In realtà, da quando faceva quel lavoro era oramai consapevole che nessun giorno sarebbe mai stato uguale agli altri. 

    Seduto alla sua scrivania, aveva già riposto nella cassettiera metallica quella che, da qualche anno, era diventata la sua inseparabile amica che tutto sapeva di lui e che viveva ogni sua preoccupazione, che avvertiva ogni suo brivido e condivideva ogni suo sussulto. Un calibro 40, acquistata di seconda mano, che, chissà, si chiedeva sempre, se avrebbe mai usato per difendere la sua pelle sparando contro quella altrui. Si ostinava però a portarla sempre con sé, ben celata sotto camicie o maglioni, perché nessuno avrebbe dovuto scorgere la sua amica segreta…

    La giornata in redazione, vigilia di un weekend che avrebbe voluto trascorrere lontano da quella fottuta scrivania e dal quel fottuto telefono che aveva imparato ad amare e odiare, era appena cominciata. Ma quel messaggio ricevuto poco prima dall'amico poliziotto presagiva già un altro sabato lontano dalle sue donne di casa. L’ultimo di una lunga serie…

    Paolo Balzi, capelli brizzolati e aria da vissuto che non si scomponeva di fronte a ciò che la sua consumata esperienza di uomo da strada reputava di ordinaria routine, è oramai prossimo al mezzo secolo di vita, gran parte del quale speso sul fronte del giornalismo che informa e denuncia, trascorso a insinuarsi, a mimetizzarsi, ad ascoltare, a registrare e solo dopo a raccontare con la sua penna o con la sua tastiera. 

    Un cronista cocciuto lo definivano in molti. Un giornalista innamorato del suo mestiere si autodefiniva lui.

    Un cronista di nera che, nonostante internet, blog e social network, preferiva scrivere più per i suoi lettori che per i follower. Un segugio d'altri tempi della notizia: per lui raccontare voleva dire conoscere, toccare con mano, vivere di persona le cose e i luoghi dei suoi articoli. Come un buon artigiano mette in fila le cose, le assembla, le smonta, le ricompone e scopre il bandolo della matassa. Poi candidamente scrive il pezzo e spiffera tutto. 

    La vera notizia non è quella che il giornalista apprende, ma quella che egli pazientemente riesce a scoprire era solito ripetere agli studenti che, ogni tanto, facendo visita in redazione, sbarravano gli occhi dinanzi alle montagne di giornali che, come cimeli di una informazione cartacea dall'aura mitica affascinante ma relegata al passato, ricoprono di norma le scrivanie dei redattori di un quotidiano. 

    Ma è risaputo: raccontare le verità fa paura. Infastidisce il potente di turno, mette in ansia il colletto bianco, fa arrabbiare il mafioso.

    Paolo, nel corso della sua carriera, lo aveva capito a sue spese, ed è per questo che gli avevano consigliato di farsi un’amica che sempre lo accompagnava. Ormai aveva perso il conto delle intimidazioni ricevute: minacce di morte, insulti, offese e annunci di querela. Tante e tali da far sempre più maturare in lui la convinzione che una stampa libera, indipendente e corretta sia e deve continuare a essere il primo, insostituibile e formidabile antidoto all'affermazione della cultura dell’illegalità. Povero illuso! di tanto in tanto si ripeteva…

    «Ma che storia è questa? Ritrovate il cadavere di una donna e non sapete chi sia? E nel frattempo, forse, avete già ingabbiato chi l’ha accoppata…» 

    «Paolo, che stronzate dici! Ti ho mandato quel vocale perché siamo amici e da amico ti ripeto che, per il momento, sappiamo solo che è una donna, ancora senza identità. È stata ammazzata con numerosi colpi di arma da fuoco al torace e all'addome. Il killer le ha poi fracassato il cranio, forse per essere certo che morisse. Il suo corpo, infine, è stato dato alle fiamme lì dove è stato rinvenuto, su quella strada a circa quattro chilometri dalla città. Altro non so dirti.» 

    «Una prostituta?» 

    «E chi può dirlo? L’assenza di documenti di riconoscimento ci sta rendendo l’identificazione ancora più difficile. Dai primi accertamenti che abbiamo effettuato pare che nella zona non risultino persone scomparse di sesso femminile. Facci lavorare ora, anche perché il pm non vuole che dal commissariato escano notizie…»

    Paolo si fidava di Ludo, lo conosceva da quando, ancora giovane giornalista pubblicista, aveva cominciato a gironzolare come collaboratore tra le scrivanie della redazione centrale del giornale per il quale adesso continuava a lavorare. Poliziotto scafato dal grugno impassibile, negli ambienti Ludo era considerato un investigatore di esperienza e di grande competenza e fiuto. Uno che aveva fatto carriera tra omicidi, scene del crimine, criminal profiling e raccolta di prove. Un investigatore di razza, insomma, che dinanzi a un morto ammazzato si lasciava sempre prendere dalla sfida. E ogni volta aveva bisogno di assimilare l'essenza dei drammi nei quali si imbatteva, coglierne le sensazioni, farsi suggestionare dal dolore, dall'atmosfera lasciata dalla morte stessa, come uno spettatore che, lavorando d'immaginazione, cerca di ricostruire ogni singolo tassello.

    Paolo Balzi, dal canto suo, avrebbe dovuto raccontare ai suoi lettori un altro efferato delitto la cui notizia, ormai, era diventata di dominio pubblico grazie ai locali siti internet di informazione e alle varie agenzie stampa che avevano subito cominciato a batterla.

    Insomma, l’ennesimo femminicidio, probabilmente frutto di una società malata, spesso complice e colpevole tanto quanto la mano dell’assassino che uccide. 

    «Paolo, ho le foto del luogo del ritrovamento del cadavere. Beh, avrei anche uno scatto di quello che resta di quel corpo ma… non mi sembra il caso…»

    «Infatti, ti sei fuso il cervello? Beppe, quella povera Crista sarà pure morta ma ha una sua dignità!»

    Beppe era lo storico fotoreporter del giornale. Qualunque nerista avrebbe voluto averlo come collega. Era capace di raccontare e, quindi, fotografare i fatti in senso stretto, abile a scavare con la sua fotocamera Reflex fino a trovare l'introvabile. Quando lavorava, Beppe aveva un unico imperativo: arrivare sul luogo del delitto prima degli altri. Per questo era riuscito a crearsi una fitta rete di collaboratori e informatori, invidiata da qualunque altro fotografo.  

    Ritornato in redazione, dopo aver informato il suo direttore e il caposervizio, Paolo era già pronto a sviscerare quanto aveva raccolto e sentito. Un’ultima cosa avrebbe dovuto fare: chiamare il medico legale fatto accorrere sul luogo del delitto su disposizione del sostituto procuratore inquirente. 

    «Senta, Balzi, sa benissimo che non posso dirle granché, anche perché le condizioni del cadavere non mi consentono di sbilanciarmi. Nelle prossime ore effettuerò l’autopsia e, probabilmente, qualcosa in più scopriremo.» 

    «Dottore, so perfettamente che non può rispondere alle mie domande senza essere autorizzato. Me lo ripete ogniqualvolta ci ritroviamo, nostro malgrado, a trattare di questi casi: lei come consulente penale incaricato dal tribunale, io come giornalista che deve informare. Se riesce comunque a fornirmi qualche elemento in più, come sempre le sarò grato.»

    «Balzi, è vero che ci conosciamo da tempo, e proprio per questo non mi va di mentirle. Le posso dire che, dopo un primo esame obiettivo dei resti carbonizzati, ipotizzo che appartengano a una donna di carnagione bianca. Si tratterebbe, ma in questo caso il condizionale è d’obbligo, di una donna di età compresa tra i venti e i quarant’anni. La morte della donna risalirebbe a non meno di due giorni prima ma, ribadisco, solo l’autopsia che eseguirò a breve potrà confermare o smentire l’ipotesi. Non mi chieda a chi potrebbe appartenere quel corpo perché davvero non lo so. Penso che il dirigente del commissariato, che avrà già sentito prima di me, le avrà detto che non sono stati rinvenuti i documenti di riconoscimento della vittima. L’unico elemento di identificazione è il tatuaggio che il rogo ha risparmiato.»

    «Dottore, quale tatuaggio?»

    «Suvvia, vuole farmi credere che non lo sa e che i suoi amici poliziotti non le hanno detto nulla? Sì, mi riferisco a quello che sembrerebbe un pipistrello con una spada, tatuato sul fondoschiena della donna… Buon lavoro, Balzi!»

    Capitolo terzo

    Il giorno

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