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Il pirata gentiluomo: Harmony History
Il pirata gentiluomo: Harmony History
Il pirata gentiluomo: Harmony History
E-book213 pagine3 ore

Il pirata gentiluomo: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815
Lady Elizabeth Rowe è una splendida donna di ventinove anni che ha giurato di non sposarsi mai. Fuggita giovanissima con un tenente dell'esercito che l'abbandona prima di convolare a giuste nozze, e pertanto esclusa dal bel mondo londinese, conduce un'esistenza ritirata con l'amata nonna Edwina, dedicandosi a opere di beneficenza a favore di donne e ragazzi di strada. All'improvviso nella sua vita irrompe la figura misteriosa e trasgressiva di Ross Trelawney, di recente nominato visconte di Stratton per meriti alquanto discutibili. Generoso, ricco e molto bello, l'uomo, divenuto corsaro soltanto per il gusto del pericolo, tenta il suo ultimo arrembaggio. Al cuore di Elizabeth.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2020
ISBN9788830512689
Il pirata gentiluomo: Harmony History
Autore

Mary Brendan

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il pirata gentiluomo - Mary Brendan

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    A Roguish Gentleman

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2001 Mary Brendan

    Traduzione di Maria Letizia Montanari

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-268-9

    1

    «Elizabeth!»

    Lady Elizabeth Rowe si voltò di scatto e nel grande atrio dell’elegante residenza cittadina della nonna vide l’anziana donna guardarla con aria di disapprovazione mentre si chiudeva il naso tra pollice e indice, disgustata.

    Elizabeth comprese al volo.

    Contrita, lanciò un’occhiata all’orlo del proprio vestito, orribilmente imbrattato. Sospirò mormorando alcune parole di scusa. Forse quelle macchie erano solo fango raccolto da una pozzanghera che aveva sfiorato scendendo dal calesse del reverendo Clemence. Ma Elizabeth sospettava, esattamente come la nonna, che le chiazze fossero di provenienza meno innocente. Probabilmente lordura degli scarichi di Wapping, dove lei assisteva il reverendo come insegnante alla scuola domenicale di Barrow Road.

    «Ma guardati!» strillò Edwina Sampson alla nipote, sollevando le mani in aria e facendo tintinnare gli anelli che le ornavano le dita grassocce. «Riesco sempre a capire quando torni a casa! Mi basta seguire il mio fiuto!»

    «Non ve la prendete così, nonna» replicò blandamente Elizabeth. «Nella vita ci sono cose ben peggiori di un po’ di sporcizia. Sono appena stata tra poveretti che vivono in condizioni inenarrabili.»

    Edwina Sampson si inalberò. «Decenza e duro lavoro, ecco che cosa manca loro! Chiudete quella porta!» urlò improvvisamente, rivolta a un uomo alto e dignitoso apparso sulla soglia, le sopracciglia appena inarcate mentre esaminava con aria flemmatica le macchie di sporcizia che segnavano il pavimento di marmo, poco prima immacolato. «Avanti, fate in fretta! Credete che io faccia riscaldare questa casa solo perché il calore si disperda così? Sapete quanto costa un sacco di carbone? E un carretto di legna?»

    «In effetti sì, signora» le rispose imperturbabile Harry Pettifer. «Ho appena saldato per incarico vostro il conto della settimana per il combustibile.»

    «State forse cercando di essere insolente con me, Pettifer?»

    «Io non sono mai insolente, signora» dichiarò dignitosamente il maggiordomo alla sua padrona, mentre con passo regale attraversava l’atrio. Nel passare accanto a Elizabeth le strizzò l’occhio e lei dovette sforzarsi di nascondere un sorriso a quel gesto sbarazzino.

    Harry Pettifer svolgeva le mansioni di maggiordomo in casa Sampson da almeno trent’anni e, da quando Elizabeth si era trasferita a casa della nonna, si era abituata a quei battibecchi tra la sessantenne gentildonna e lo statuario maggiordomo.

    Mentre Elizabeth si sfilava le scarpe infangate, si accorse dell’agitazione della servitù accorsa alle grida della padrona di casa.

    Con supremo distacco, Pettifer schioccò le dita ai suoi sottoposti. «Spazzate e pulite l’atrio. Adesso» ordinò, succinto.

    Edwina Sampson si accigliò, lo sguardo puntato sulla schiena del maggiordomo. «Con quello che lo pago, potrei assumere due valletti o saldare il conto del macellaio per dodici mesi.»

    «Non credo, nonna. Dubito che il salario del povero Pettifer possa minimamente raggiungere il conto del tuo pasticciere» intervenne Elizabeth, prendendosi gioco del debole che la nonna aveva per il marzapane mentre rivolgeva un cenno significativo alla sua figura.

    Pettifer si concesse un sorriso di apprezzamento, che indusse la nonna a esplodere di nuovo. «Bada ai fatti tuoi, signorina! Forse io sono golosa» ammise. «Ma perché non dovrei esserlo? Una donna che ha lavorato fino a consumarsi le dita ha pur diritto a qualche piccola concessione durante gli anni del tramonto.»

    Elizabeth cominciò a salire lo scalone a piedi scalzi. «Voi sapete benissimo che abbiamo bisogno di Pettifer... molto più di quanto lui abbia bisogno di noi, sospetto. Ho sentito dire che Mrs. Penney è tornata alla carica con lui. Non vede l’ora di averlo al suo servizio nella casa di Brighton» la informò.

    «Davvero? E chi te lo ha detto?» sbottò la nonna, serrando le labbra in una sottile linea indignata mentre socchiudeva i pallidi occhi azzurri.

    Elizabeth si tolse la cuffietta e rise reclinando la testa bionda. «Ora vado a rinfrescarmi, poi vi raggiungerò in salotto e vi ragguaglierò sui pettegolezzi riguardanti la popolarità del nostro caro Pettifer. Nel frattempo voi potreste industriarvi a riguadagnare i suoi favori, prima che sia tentato per davvero da un nuovo impiego» la punzecchiò, guardandola da sopra la spalla mentre saliva in fretta i gradini.

    Poco dopo, nella propria stanza odorosa di lavanda, Elizabeth guardò accigliata prima l’orlo inzaccherato della gonna e poi la cameriera, Josie, che, arricciando disgustata il naso, scosse il capo con aria di disapprovazione prima di aiutare la padrona a liberarsi della gonna.

    La nonna aveva ragione, riconobbe Elizabeth sospirando, mentre si umettava il viso con acqua di rose. Il cattivo odore era proprio quello che più la infastidiva. Anche quando tornava a casa e indossava abiti freschi, il sentore stantio dei sobborghi popolari continuava a disturbarle le narici.

    Da ormai tredici mesi si occupava della scuola domenicale di Barrow Road. E in tutto quel periodo l’odore dell’aria non era mai cambiato. Le emanazioni di quell’umanità che si affannava a sopravvivere lavorando duramente non mutavano mai. Neppure la recente ondata di caldo estivo era riuscita a portare qualche differenza tra quei diseredati, i cui bambini frequentavano la scuola domenicale organizzata da un filantropo, per strappare almeno per un giorno quei poverini alla miseria e allo squallore della strada.

    Sedendosi davanti allo specchio del tavolo da toeletta, Elizabeth studiò il proprio volto sano e dall’aspetto ben nutrito. Mentre Josie le toglieva le forcine dalla testa i capelli biondi ricaddero abbondanti attorno al viso e sulle spalle. Gli zigomi alti erano ancora lievemente arrossati per la passeggiata a passo sostenuto fatta poco prima.

    Ogni domenica, lei e Hugh Clemence percorrevano in fretta il dedalo di vicoli per raggiungere Barrow Road. Nemmeno il reverendo, che pure era rispettato dai suoi parrocchiani, si azzardava ad attardarsi in quelle zone. Il loro percorso non mutava mai. Inverno ed estate, era sempre il solito dipanarsi di stradine anguste e sporche, popolate da donne con gli occhi spenti e ragazzini dall’aria patita che si assiepavano sulla soglia di casa o frugavano nell’immondizia nella speranza di trovare qualcosa di utile.

    Elizabeth chiuse gli occhi viola e cercò di rilassarsi sulla sedia mentre Josie pettinava con mano abile le chiome bionde. Sospirò al pensiero dei bambini e si augurò che almeno il suo impegno servisse un poco ad alleviare la miseria delle loro esistenze opache.

    «Oh, così va molto meglio» approvò Edwina alla vista della nipote. Elizabeth entrò nel piccolo salotto, grazioso e intimo, indossando un abito rosa, i capelli biondi raccolti con grazia. «Adesso hai un aspetto e un profumo migliore, mia dolce Lizzie.»

    «A proposito di odori, nonna... per caso avete di nuovo fumato in questa stanza?» le domandò Elizabeth arricciando il naso. «Sembra la stanza in cui i gentiluomini si ritirano a fumare un sigaro dopo cena» la prese in giro, agitando davanti a sé la piccola mano.

    «E tu come fai a conoscere simili posti? Per caso sei stata in una stanza del genere, ultimamente?» volle sapere la nonna.

    «Sapete benissimo che papà si ritirava sempre con i suoi amici a fumare, quindi so riconoscere l’odore del tabacco.»

    «Oh, per un attimo avevo sperato che frequentassi un vero uomo, invece di sprecare il tuo tempo con quell’insipido religioso che si affanna a starti attorno» borbottò la nonna.

    Lady Elizabeth rivolse alla nonna un’occhiata di rimprovero. «Hugh è un gentiluomo molto coscienzioso e gentile e io l’ho molto caro come amico.»

    Edwina Sampson sventolò la mano grassoccia a dimostrazione del proprio disprezzo per l’argomentazione addotta dalla nipote, tuffando nel frattempo l’altra in un piatto d’argento contenente pezzi di marzapane. Masticando e osservando con attenzione Elizabeth, l’anziana donna volle sapere: «Non si è ancora fatto avanti?».

    Elizabeth si sedette di fronte alla nonna, accanto al camino. Tendendo le mani verso il fuoco, si concesse un piccolo sorriso. «No, non ancora. E nemmeno lo farà. Hugh sa bene che non sono interessata a lui in quel senso.»

    «Sia lode al cielo per questo!» borbottò la nonna. «Vivo nel terrore che un giorno o l’altro tu possa tornare a casa con un anellino da quattro soldi al dito, annunciandomi che stai per sposarti e trasferirti insieme a lui in qualche tugurio nei sobborghi.» Agitò il dito verso la nipote. «Questo non significa che io abbia rinunciato all’idea che tu ti sposi, signorina. Ormai dovresti essere accasata da un pezzo. Presto compirai ventinove anni e non puoi continuare a vivere per sempre con la tua vecchia nonna. Chissà... entro breve tempo potrei anche morire e vorrei prima essere certa che ti sei sistemata.»

    «Siete sana come un pesce e destinata a vivere a lungo. E sapete benissimo che non mi sposerò mai. E adesso, volete sapere come mai sono a conoscenza del fatto che Mrs. Penney sta facendo la svenevole con Pettifer, agitandogli sotto il naso la promessa di un lauto stipendio?» le domandò, affrettandosi a cambiare argomento.

    «Oh, non mi abbindolerai con tanta facilità, ragazza mia! Parlavo sul serio, ho sessantacinque anni e spesso sento una fitta dolorosa qui» affermò la gentildonna poggiandosi una mano sul petto. «Potrebbe essere qualcosa di grave! Potrei andarmene da un momento all’altro!»

    «È solo indigestione» la rassicurò Elizabeth. «E sicuramente ogni dolore scomparirà se evirerete di mangiare... vediamo... per almeno un’ora al giorno?» Un sorriso malizioso apparve sul suo viso, facendola apparire più giovane e smorzando l’indignazione della nonna.

    «Elizabeth» riprese questa in tono ragionevole. «Sei una donna bellissima e hai bisogno di un marito. Non puoi permettere che la tragedia accaduta dieci anni fa rovini il resto della tua vita. È tutto dimenticato. La gente ha scordato.»

    «Io non ho scordato! E non ho alcun desiderio di trovare marito, soprattutto non tra i gentiluomini della buona società. Se dovessi sposarmi, vorrei un uomo gentile e affettuoso come Hugh. E questo vi farebbe inorridire, lo so. Dopotutto, sono figlia di un marchese, e il povero Hugh nasce da una famiglia di bassa estrazione. Perciò, se non vi dispiace, lasciamo perdere l’argomento.»

    Con languore teatrale Edwina sollevò una mano in segno di disperazione, poi si adagiò di nuovo contro lo schienale. Le dita tornarono a tendersi verso il piatto d’argento. «Dimmi perché quella vipera di Alice Penney sta dando la caccia a Pettifer» mormorò, con un sospiro da martire.

    Elizabeth sorrise, maliziosa. «Immagino perché lui è così di bell’aspetto.»

    «Sciocchezze! È un vecchio rudere, ha un anno più di me!» bofonchiò la nonna tra un boccone e l’altro di marzapane.

    «È un uomo ancora molto vivace e attraente, a dispetto dell’età. Da quanto mi ha raccontato la cara Sophie, molte delle gentildonne del giro di Mrs. Penney ambirebbero ad avere un maggiordomo così distinto e fine come Pettifer. Pare che siano intenzionate a fare una scommessa su chi di loro riuscirà a fartelo sparire da sotto il naso. Mi sembra di aver capito che la posta in gioco sia una bella cifra.»

    «Una scommessa?» strillò Edwina. «Su chi può rubarmi il mio maggiordomo? È il mio servitore da tre decenni e tale resterà anche in futuro! Io... io non gli concederei mai delle referenze, se mi abbandonasse!»

    «Credo che potrebbe non averne bisogno» osservò Elizabeth ridacchiando. «Sono sicura che Mrs. Penney lo accoglierebbe a braccia aperte anche senza.»

    Edwina scosse la testa, socchiuse gli occhi e serrò, irata, le labbra. Nei suoi occhi azzurri apparve un lampo. Una scommessa, eh? Lei amava le scommesse forse più di quanto amasse i dolci. Avrebbe dato a quelle pettegole una lezione con i fiocchi!

    Harry Pettifer era un uomo attraente, nelle sue vene scorreva sangue nobile. Se non fosse stato per l’idiozia del padre che aveva sperperato i beni di famiglia per l’amore del gioco d’azzardo, il figlio avrebbe ereditato una somma considerevole. Invece, il fato aveva decretato che diventasse il maggiordomo di un amico, il defunto marito di Edwina, ed era rimasto al servizio di quest’ultima quando era diventata vedova tredici anni prima.

    Irritata alla prospettiva di poter perdere quello che in cuor suo reputava più un amico che un domestico, Edwina si riscosse e chiese bruscamente: «A che ora dobbiamo andare a casa Heathcote?».

    «Alle otto» le rammentò Elizabeth, confermando l’appuntamento per una tranquilla serata insieme ai genitori di Sophie, la sua amica del cuore, anche se più giovane di lei di ben sei anni.

    Sophie, bella e vivace, era dotata di uno spirito sagace che non si peritava di nascondere, il che la rendeva poco simpatica agli occhi del bel mondo. La giovane era un’intellettuale, una strana creatura, ben più felice di cercare la conoscenza che uno scapolo appetibile. Ma questo in fondo andava benissimo, perché nessun uomo avrebbe voluto una donna la cui intelligenza fosse superiore alla sua. Le due amiche erano delle fuori casta in una società che disprezzava e isolava le donne che non si conformavano ai canoni del bel mondo.

    Da quando Elizabeth si era trasferita dalla campagna in città, dopo la morte del padre, lei e la piccola Sophie, entrambe vivaci, ma solitarie, si erano sentire reciprocamente attratte ed erano diventate amiche.

    «Ti dispiacerebbe molto se questa sera non venissi con te, Lizzie? Sai bene che in quell’ambiente mi annoio un po’ e poi ho un invito da Maria Farrow. Può accompagnarti Josie.»

    «No, non mi dispiace. In ogni caso non rientrerò tardi. Ho in programma una visita a Bridewell, domani...» Elizabeth si interruppe davanti alla smorfia della nonna, chiaramente poco interessata ai dettagli della sua visita all’istituto correzionale in compagnia di Hugh Clemence e di altre dame di carità. Dopo un attimo di esitazione, proseguì: «A dire il vero, nonna, speravamo che alcune persone di buon cuore donassero...». Non andò oltre.

    A dispetto del peso e dell’età, Edwina schizzò letteralmente dalla poltrona e si diresse verso la porta. «Te l’ho già detto, signorina. Non ho denaro per tagliaborse e donne perdute!»

    «Non vi sto chiedendo una fortuna, nonna» sospirò Elizabeth. «Poche sterline sarebbero le benvenute. Comprerei della tela perché le donne potessero tagliarla e cucire qualcosa da rivendere, come sottovesti, fazzoletti...»

    «Se non avessero rubato, o peggio, non sarebbero rinchiuse in quell’istituto! Dovrebbero restarci per sempre!»

    Elizabeth scattò in piedi e fulminò la nonna con lo sguardo. «Un errore nelle loro misere vite, forse solo per dare un pezzo di pane ai figli affamati... e dovrebbero pagare per sempre? Anch’io ho commesso un errore, una volta. Lo avete dimenticato? Un brutto errore. Ma mi rifiuto di provare vergogna. Anch’io ho sbagliato per giusti motivi. Alcuni di quelli che voi definite gentiluomini sono molto peggiori di quelle donne. Vi assicuro che quei due o tre che continuano a ronzarmi attorno sono animati da propositi non certo onorevoli e non hanno alcuna intenzione di proporsi come mariti.» Il suo bel viso ovale arrossì di collera.

    Per qualche secondo le due donne si fissarono in un silenzio pesante come pietra. Poi Elizabeth sospirò, facendo un gesto di scusa.

    «Mi dispiace, nonna, non avevo intenzione di gridare. Ma...» Le rivolse un debole sorriso. «Sono settimane che volevo chiedervi... la somma di denaro che avete messo da parte per il mio matrimonio probabilmente rimarrà intatta. Io non mi sposerò. Ma se volete veramente farmi cosa grata, permettetemi di prenderne solo una piccola parte per...»

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