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L'oscurità
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E-book242 pagine3 ore

L'oscurità

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Info su questo ebook

*EDIZIONE NUOVA COPERTINA 2023* (Prima edizione 2020, Libromania/DeAgostini Libri) 
Cosa si è disposti a fare pur di salvare la propria carriera in ascesa? Quali pericoli si è pronti ad affrontare e quali segreti si possono svelare per poter scrivere un buon romanzo? 
Zoe Martini, autrice in preda al blocco dello scrittore, si lascia convincere da una donna appena conosciuta a riesumare un vecchio caso d’omicidio e quindi poter smascherare il vero colpevole: Silvia Rastelli, giovane madre single, sceglie proprio lei per raccontare quanto successo sedici anni prima alla sua migliore amica Cassandra Benedetti ritrovata carbonizzata in un capanno nel bosco attorno a Palsnìco. 
La storia di Silvia è forte, pericolosa. Ma è la reale verità quella che Silvia racconta?
Qualcosa nella donna non convince Zoe fino in fondo, così la scrittrice chiede aiuto al cugino detective Gioele Sasso per indagare su Silvia e sull’allora fidanzato della vittima, Mauro Peveri, un uomo dal passato discutibile.
Palsnìco si rivelerà un posto tutt’altro che ospitale, un luogo dove a cadenza quasi regolare il male dilaga ed esplode in violenze atroci, proprio come era successo a Cassandra.
LinguaItaliano
Data di uscita12 gen 2023
ISBN9791222048734
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    Anteprima del libro

    L'oscurità - P.M. Montanari

    PRELUDIO

    PALSNÌCO

    Archivio di Palsnìco - Biblioteca Comunale

    Corriere della Sera

    Palsnìco (PV), 16 Giugno 1997

    «Questa mattina nelle acque del torrente che scorre alle spalle della sede amministrativa di Palsnìco (PV), piccolo centro dell ’ alta Valle Staffora, è stato rinvenuto il cadavere di una studentessa del liceo scientifico, Anna Pastore, di anni 17. Segni evidenti di strangolamento e ferite d ’ arma da taglio, lasciano intendere che la morte non sia stata accidentale. L ’ indagine in corso sembra puntare al fratello di Anna, Norberto, di anni 19, indagato e prosciolto lo scorso autunno per rissa aggravata ai danni dell ’ allora fidanzato della sorella, Stefano Menni, rimasto paralizzato a seguito delle percosse ricevute da Pastore e da altri quattro ragazzi della squadra di calcio della Polisportiva di Palsnìco».

    La Stampa

    Palsnìco (PV), 3 Dicembre 1981

    «La scorsa notte, seppellito sotto diversi centimetri di neve fresca, è stato rinvenuto il corpo senza vita di Giovanni Anselmi, anni 27, insegnante di musica presso la scuola media di Palsnìco. Ancora ignote le cause della morte che ha seminato il panico per le strade della cittadina, poiché il cadavere presentava gli arti amputati. È stata aperta un ’ inchiesta ma al momento non vi è nessun indiziato specifico; nei prossimi giorni saranno interrogati tutti gli studenti e il corpo docenti della Scuola Secondaria di Primo Grado. Anselmi, che non aveva precedenti, godeva della stima di tutti i cittadini scossi per l ’ accaduto».

    La Provincia Pavese

    Palsnìco (PV), 7 Agosto 1966

    «Stella Camioli, cameriera di anni 22, è stata trovata barbaramente uccisa sulla riva del torrente Staffora nella boscaglia all’altezza di Palsnìco, a circa un chilometro dal centro abitato. A ritrovare il corpo è stato un boscaiolo che, alle prime luci dell’alba, si stava recando al lavoro. Dalle prime informazioni sull’efferato omicidio, il cadavere risulta lacerato da innumerevoli tagli e sgozzato. Sotto inchiesta il fidanzato della giovane, Carlo Foschi, già denunciato in precedenza per violenze domestiche, cuoco nella trattoria Le Tre Rose situata sulla Strada Provinciale 186, dove la Camioli prestava servizio».

    Prefazione di Trattieni il respiro , il nuovo romanzo di Zoe Martini - in tutte le librerie, Novembre 2016

    «Palsnìco sembrava il luogo tranquillo dove approdare dopo la caotica, rumorosa vita di Milano, ma ci sbagliavamo. Era come vivere trattenendo il respiro. Dietro i giardini ben curati, le case color pastello e il rigoglioso verde del bosco, i sorrisi smaglianti e le feste di beneficienza, si celava un male oscuro, silenzioso e antico, che s’insinuava nelle vite degli abitanti come un serpente demoniaco. Quando mi è stata raccontata la vicenda di Cassandra Benedetti, non compresi appieno cosa comportasse; il male era sempre là fuori, in ogni angolo in penombra, nelle crepe dell’asfalto, dietro i cespugli, pronto a scatenare la sua ira. E servivo io per dare il via alle danze».

    Effetto farfalla

    Dopo pranzo, tutti tornano alle loro faccende quotidiane e il tempo pare assopirsi per quel lasso necessario a digerire il cibo. L ’ aria resta sonnacchiosa e immobile, una sorta di silenzio rilassante aleggia tutt ’ attorno.

    Mario Rigamonti percorreva la strada provinciale 461 all ’ altezza di Varzi a bordo del suo rombante camion tirato a lucido, Mina leggera alla radio e la mente a spasso in alternanza fra il traffico e la donna che lo aspettava a casa.

    Oh, quanto era focosa quella Claudia, con i suoi fianchi larghi e i lunghi capelli arricciati. Offrirle una birra due sere prima in un bar di Godiasco era stata di certo l ’ idea migliore che Mario avesse avuto negli ultimi due anni almeno.

    Una lieve foschia era rimasta a una spanna dall ’ asfalto, dopo la pioggia di quella mattina, il cielo era incolore. Se solo avesse avuto un euro ogni volta che quegli idioti delle previsioni meteo sbagliavano, Mario Rigamonti ora sarebbe stato già in pensione. Deliziosa giornata primaverile!, ecco cosa avevano annunciato quella mattina alla radio, Mario se lo ricordava bene perché aveva pensato che finalmente quella sera avrebbe potuto rispolverare la sua cara vecchia Harley Sprint del ’ 69, per far colpo su Claudia. Ma quella giornata non aveva alcunché di delizioso e, di certo a sera, la nebbia avrebbe vagato nuovamente per le strade. Dannata umidità, a 58 anni non poteva permettersi di girare in motocicletta a qualunque temperatura come quando era ventenne, le sue ossa iniziavano a reclamare attenzione.

    Alla deviazione per Palsnìco, Mario si concentrò unicamente sulla strada, aveva l ’ ultima consegna della giornata ancora in carico e voleva sbrigarsela il prima possibile senza intoppi. Controllò la destinazione, quattro taniche di fornitura d ’ acqua per l ’ ufficio alla concessionaria d ’ auto Peveri Class Motors e poi via, di filata a casa. Ricordava il proprietario, non era uno dei suoi clienti favoriti, uno di quei giovani riccastri (come li appellava Mario) figli di papà, che guardano tutti con aria beffarda, pensando di essere di una classe superiore solo perché il papino ha avuto la malaugurata idea di spianar loro la strada. Ogni volta che Mario entrava in quella concessionaria e sentiva in lontananza la voce di Peveri lisciare qualche cliente, provava il forte desiderio di scagliargli contro una delle taniche e lasciare che rotolassero assieme, il riccastro e la tanica, fino a quando uno dei due non fosse esploso.

    Giunto in prossimità della concessionaria, svoltò all ’ interno del piazzale con il bilico, spense la radio e con uno sbuffo scese dal camion.

    Uno degli uomini di Peveri, non chiaro se fosse un venditore, un meccanico o un lecchino, andò incontro a Rigamonti con sguardo dubbioso, farfugliando qualcosa circa il disagio per i clienti causato dal camion nel piazzale.

    «Senti amico,» lo interruppe subito Mario Rigamonti che aveva già intuito l ’ antifona «ho una consegna d ’ acqua per l ’ ufficio e il piazzale è grande a sufficienza per me, il mio camion, i tuoi clienti e anche tua nonna, se vuoi. Lasciami fare il mio lavoro e mi tolgo dai piedi prima ancora che tu abbia il tempo di andare a lamentarti con il gran capo».

    L ’ uomo di Peveri non ebbe modo di replicare che Rigamonti se ne era già trotterellato via con il suo muletto e le taniche. Meno di cinque minuti dopo Mario Rigamonti rimontava in sella al suo destriero di metallo, pronto ad andarsene a casa.

    Mentre riaccendeva i motori, si accorse di uno strano movimento dallo specchietto retrovisore. Qualcuno stava tentando di rubare un ’ auto dal gran piazzale espositivo. «Per la miseria!» esclamò socchiudendo gli occhi per cercare di vedere meglio cosa stava accadendo.

    Il tizio di prima, quello che aveva bofonchiato contro il suo parcheggio nel piazzale, aveva appena rotto un vetro di una Ford in vendita. Mario Rigamonti restò per alcuni istanti a riflettere sul da farsi. Non aveva alcuna simpatia per il padrone di quella concessionaria, tuttavia non gli aveva mai fatto nulla personalmente, era solo un ’ antipatia a pelle, non giustificava certo il lasciare che rubassero una vettura.

    L ’ istinto prevalse sulla ragione, così anziché chiamare la polizia o qualcuno all ’ interno della concessionaria, Rigamonti scese dal camion e si mise a gridare: «Ehi! Che diamine stai combinando? Dico a te!».

    Il ladro della Ford si voltò di scatto verso Rigamonti, gli occhi iniettati di sangue e un ringhio sulle labbra. Rigamonti si ritrasse di un passo, quasi avesse guardato il diavolo in persona negli occhi. Strano, non aveva notato nulla di pericoloso in quell ’ uomo prima. Un brivido gli fece accapponare i peli delle braccia e i capelli sulla nuca. No, no, qualcosa di storto, di dannatamente storto stava per accadere. Cosa gli era saltato in mente di scendere dal suo bolide, forte e sicuro, per affrontare un ladruncolo con lo sguardo di Satana? Neanche fosse stata sua quella fottuta Ford!

    Mentre il disagio impietriva i movimenti di Rigamonti, Peveri in persona uscì dalla concessionaria. Si fermò sulla porta, mani sui fianchi e sguardo rivolto alla scena nel parcheggio. Piccole gocce di pioggia leggera iniziarono a scendere dal cielo incolore, imperlandogli i capelli corvini. «Tutto bene laggiù?» domandò a gran voce Mauro Peveri, notando movimenti sospetti accanto al camion delle consegne.

    Rigamonti non fiatò, si voltò per un secondo verso Peveri ma il ladro fece scintillare i suoi occhi malefici rapidamente da Peveri a Rigamonti come un avvertimento. Lesto, continuò ad armeggiare con la Ford fino a quando il motore non rombò pronto a fuggire. Mauro Peveri avanzò a grandi passi verso l ’ auto in partenza, intimando l ’ uomo di fermarsi. Era ancora troppo lontano per identificare il ladro e Rigamonti era ancora immobile a metà strada fra il suo camion e il resto della scena.

    La Ford scalpitò stridendo gli pneumatici sull ’ asfalto del piazzale, sollevando polvere che andava a confondersi nella foschia causata dalla pioggia. Un botto esplose nell ’ aria, facendo sobbalzare Peveri mentre l ’ auto scompariva a tutto gas nel traffico di Palsnìco.

    Mario Rigamonti non si accorse del proiettile, non subito almeno. Si ritrovò a terra in una frazione di secondo, qualcosa di caldo scendeva sulla sua camicia a scacchi dai colori stanchi come le sue membra. Si portò la mano al petto e vide il sangue. Fu allora che il dolore lo colpì, violento e chiaro come la realtà. Quel dannato ladro d ’ auto gli aveva sparato, probabilmente pensando che avrebbe denunciato il fatto e riconosciuto il suo volto alla stazione di polizia.

    Claudia, oh quanto aveva desiderato arrivare a casa, vestirsi di tutto punto e offrirle una cena. Una vita spesa a scarrozzare merce per il paese e poi eccoti qui, disteso sull ’ asfalto a tirare le cuoia.

    Mauro Peveri giunse accanto a Rigamonti mentre altri dalla concessionaria erano usciti scossi dal trambusto. Qualcuno stava chiamando il 112, altri restarono sbigottiti.

    Peveri e Rigamonti si guardarono negli occhi e in quegli ultimi istanti Mario Rigamonti riconobbe qualcosa di cui aveva solo sentito raccontare tanto tempo addietro, qualcosa che è meglio non conoscere mai. Quel buco di paese che era Palsnìco ne possedeva l ’ essenza. Sì, ora gli veniva in mente, era stato un vecchio amico camionista a parlargliene durante un pranzo in una bettola lì vicino. Buffi i pensieri che si fanno prima di morire. Ma forse era solo la paura stessa della morte, si disse Mario Rigamonti tirando gli ultimi affaticati respiri.

    Doveva saltare in aria assieme alle taniche d ’ acqua, pensò. Avrebbe dovuto.

    PROLOGO

    Marzo 2016

    Nessuno riconosce l ’ arrivo del diavolo perché si avvicina strisciando. Questo pensava con un sorriso sbieco all ’ angolo della bocca, mentre rallentava l ’ auto sotto la pioggia che scrosciava ininterrottamente da ormai due ore, un costante rumore bianco in sottofondo alla quotidianità del piccolo centro abitato.

    La casa si ergeva al limite di una strada chiusa chiamata La Valle, dove la zona boschiva confinava con le abitazioni innalzandosi alle loro spalle e cingendole con il suo morbido e ombroso abbraccio, quasi volesse ingoiarle. Non era stato difficile trovare l ’ indirizzo corretto nonostante l ’ eccessiva attenzione alla privacy dei proprietari, un gioco da ragazzi in quel paesello di una dozzina di migliaia di anime.

    Accostò l ’ auto qualche civico più indietro, a lato della strada alberata illuminata dai fasci di luce dei lampioni che si riflettevano sull ’ asfalto inondato d ’ acqua piovana e creavano piccoli riflessi in movimento ritmico. Il buio del crepuscolo aveva già ammantato quell ’ angolo di mondo.

    Osservò l ’ abitazione: solo una fioca luce azzurrata proveniente da una delle finestre, simile a quella di un monitor acceso. Il marito non era ancora rientrato, come aveva notato nei giorni precedenti, quindi sapeva di avere tutto il tempo necessario per portare a termine il suo piano, nessuna fretta.

    Decise che era comunque meglio aggirare la villa per evitare di farsi notare da qualche vicino ficcanaso dall ’ occhio lungo, perciò riavviò il motore e percorse a ritroso la strada fino all ’ incrocio della via principale con una sterrata. Imboccò il tragitto fangoso e parcheggiò il veicolo nell ’ erba al limitare opposto del bosco confinante la villa al 58 di via La Valle.

    Scese dall ’ auto alzando il cappuccio dell ’ impermeabile sopra la testa e si avviò fra gli alberi a passo deciso, dopo aver ricontrollato che non vi fosse nessuno nel suo raggio d ’ azione. L ’ acqua aveva allagato parte del fondo boschivo rendendolo scivoloso, e schiaffeggiava i suoi scarponcini in pelle rimandando schizzi laterali. Seguì il percorso del piccolo sentiero, quello meno battuto dagli abitanti ma usato maggiormente dagli escursionisti di passaggio, amanti del trekking e della natura; durante l ’ estate la popolazione raddoppiava in quella parte della provincia, turisti attirati dalla rigogliosa e fitta vegetazione, dagli angoli ombrosi e dal fascino a tratti incontaminato, il vicino lago artificiale dall ’ acqua verde smeraldo, la riserva naturale Monte Alpe e i torrenti cristallini. Ma era ancora inizio primavera, lungo periodo di pioggia, nessuno avrebbe incrociato il suo cammino.

    Mantenne la direzione prescelta, rami spezzati scricchiolavano sotto i suoi piedi e gocce di pioggia scivolavano incessanti dal copricapo. Nel cuore del bosco, le fronde e i fitti rami degli alti alberi oscuravano la poca luce come fosse già scesa la notte, ma conosceva troppo bene quei luoghi per sbagliare. So che ci sei quasi, fallo e poi tutto finalmente cambierà, me lo devi, risuonava in testa la voce della vecchia amica come il ritornello di una canzone stonata.

    Dopo alcuni minuti di camminata, fra i bassi rami e i cespugli che accompagnavano il limitare del bosco, scorse il lato della casa dipinto in rosso mattone.

    Restando nell ’ ombra, si diresse verso la siepe esterna della villa che costeggiava la fine della strada - un angolo cieco perfetto per entrare nel giardino. Scavalcare la recinzione fu meno facile del previsto, data l ’ altezza del cespuglio e l ’ insistenza della pioggia ad annebbiare la vista, ma pazientemente riuscì nel suo intento. Costeggiò il ciottolato che conduceva all ’ ingresso, tenendo la testa e il busto abbassati e prestando attenzione a non incappare in nessun oggetto ornamentale del portico poi, raggiunta l ’ entrata della villa, fece scivolare una busta sotto la porta.

    Perfetto.

    Pochi istanti e l ’ oscurità della vegetazione l’ingoiava nuovamente, confondendo i suoi passi con il fruscio del temporale e il lontano, improvviso, abbaiare di un cane.

    PARTE PRIMA

    ZOE

    Il biglietto

    Il pomeriggio in cui tutto ebbe inizio, sebbene poi in realtà lo si dovrebbe ricondurre a un altro episodio di poco precedente, l ’ orologio segnava le tre, il cielo aveva assunto una tonalità grigio perla e sbuffava un fresco vento che conferiva alla pioggia intermittente quel sentore primaverile. Era solo inizio marzo ma l ’ aria stava cambiando. Per una di quelle strane associazioni della mente, tutto questo ricordava a Zoe Martini la quiete dei pomeriggi da studentessa al corso di scrittura creativa a Milano quando, immersa nel genere horror fino ad allora lasciato in un cantuccio per poca considerazione (o come in realtà ammetteva solo a se stessa, fino all ’ adolescenza quelle storie la inquietavano e cambiava canale alla tv), passava ore in compagnia di ogni sorta di film, per studiarne le strutture e imparare i trucchi del mestiere, capire dove e quando inserire i colpi di scena, gli indizi per il lettore, in quale modo tenere alta l ’ attenzione. Ora, passati i trentasette anni e dopo aver amato pellicole meno di genere ma ben più complesse e ingegnose, con un contratto firmato per un secondo romanzo thriller - accompagnato da un cospicuo anticipo della casa editrice, certi che potesse superare il gran successo di Schegge il romanzo d ’ esordio di Zoe che li aveva arricchiti di un centinaio di migliaia di euro - cercava ovunque l'ispirazione che pareva (non ditelo in giro, non si deve sapere assolutamente) essersi esaurita assieme alle copie dell ’ ultima ristampa.

    Come ogni giorno lavorativo, quel mercoledì il marito Christian Melchiorri era nel suo ufficio di Voghera, in una società dove armeggiavano sui computer attività informatiche che Zoe aveva rinunciato da tempo a comprendere, mentre Doug, il loro allegro meticcio di taglia media e dal morbido pelo fulvo, dormiva pancia all ’ aria ai piedi del divano (già, un duro lavoro per Doug).

    Zoe accese il televisore alla disperata ricerca fra i titoli di Netflix di un qualcosa che le suggerisse idee, anche una qualunque, una scintilla di sensazione, un ’ ambientazione, qualcosa da poter mettere nero su bianco e vedere dove l ’ avrebbe portata. Non era mai stata un'autrice che scriveva sempre e ovunque, riguardo qualsivoglia argomento, compresi lunghi post su Facebook o articoli su blog; odiava i bla bla di chi credeva d ’ essere il detentore della verità suprema in ogni campo di conversazione; non raccontava per il gusto di parlare abbellendo qualunque avvenimento o ricordo durante gli incontri con amici e parenti. No, lei scriveva per creare, per dare vita a persone e luoghi come fossero realtà parallele dove andare a sognare per un po ’ . Spazi e ambienti, personaggi e attività, vicissitudini che le permettevano di vivere miliardi di vite differenti e farle vivere ai propri lettori. E amava la suspense, mettere quel brivido di tensione nella trama per tenerti incollato alle pagine fino al finale, dove cercava ogni volta di far vincere il bene sul male. Il suo non era un bisogno di raccontarsi, ma di sognare. E quando la vita reale era diventata pericolosa come i thriller che scriveva, i sogni si erano un tantino abbacchiati lasciandola in balia di un vasto mare sconfinato con nessuna isola di salvezza all ’ orizzonte.

    Lanciò un ’ occhiata in tralice alla catasta di romanzi iniziati che teneva ammucchiata sul tavolino da caffè, i suoi scrittori preferiti che la fissavano dai caratteri cubitali dei loro nomi stampati sui dorsi dei volumi, sentendo implacabile il peso di dover concludere qualcosa entro la fine della giornata. Riusciva a sentire Stephen King discutere animatamente con Harlan Coben e Anne Rice, come dei cari zii a una riunione di famiglia mentre sorseggiavano tè caldo e sgranocchiavano biscotti: dannazione, quella ragazza ci sta facendo preoccupare! Il suo primo romanzo è stato una rivelazione, un esempio di narrativa brillante! E ora? Cosa diavolo pensa di combinare, lì, seduta sul divano tutto il tempo? Non sa che i buoni libri non si scrivono da soli? Ci vuole lavoro, lavoro e ancora duro lavoro! Scrivi, per la miseria, scrivi qualcosa!.

    Sconsolata, lasciò che Morgan Freeman e Brad Pitt, riempissero la stanza con le battute di Seven, mentre si afflosciava sul morbido divano cullata dal canto della pioggia che andava crescendo come un coro gregoriano a quattro voci.

    La sua mente fluttuava avvolta in una tiepida caligine, suoni attutiti e immagini sfocate. Se solo tutto quell ’ ammasso di pensieri avesse preso finalmente forma, quel senso di oppressione che percepiva ormai da giorni sullo sterno forse se ne sarebbe andato. Aveva persino iniziato a chiamarlo per nome, quasi fosse un compagno di lavoro nel suo percorso creativo, una sorta di assistente: Carogna . Ricordava uno dei suoi insegnanti favoriti, uno di quelli più eccentrici e illuminati che soleva fare lezione con tanto acume quanta ironia, definire lo stato degli artisti costantemente in lotta con se stessi e le loro opere, pari a una carogna sulla spalla. Ed eccola lì, la sua carogna. Non

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