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Un morto che cammina
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E-book51 pagine40 minuti

Un morto che cammina

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Info su questo ebook

Dopo le guerre civili finite con l'ascesa al trono imperiale di Diocleziano, sembrava che l'Impero non dovesse più conoscere gli orrori delle guerre interne. Ma ora le voci del prossimo avvento di un Re Riformatore si susseguono da Khem alla Britannia, il terrore e il tradimento dilagano di nuovo nelle terre all'ombra dell'Aquila...e a farne le spese saranno ancora una volta innocenti che ne porteranno il peso per tutta la vita.

Dopo "Requiem", un nuovo racconto breve dei Demiurghi che vi catapulterà in un passato tutto da scoprire!
LinguaItaliano
Data di uscita5 set 2018
ISBN9788890827525
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    Un morto che cammina - I Demiurghi

    forma.

    UN MORTO CHE CAMMINA

    I

    Maius 1062 a.u.c. – Athenae, castrum. Hora III.

    (Maggio 309 d.C. – tra le 8:00 e le 9:00)

    Domiziano Severo Agostino camminava a passo stanco in quei corridoi semibui che anche la luce del sole rifuggiva, avvolto negli afrori intensi degli escrementi non puliti; il viso era segnato dalle perdite delle ultime settimane e dalle preoccupazioni della sua nuova carica di paterfamilias ricaduta su di lui in modo del tutto inaspettato, nonché del peso delle ultime decisioni. La guerra impazzava nell’Impero; fratelli combattevano contro fratelli. Un’altra volta.

    Al suo fianco procedeva un pretoriano come scorta, ma tutti sapevano il ruolo di controllore che svolgeva su di lui. Visti gli ultimi avvenimenti, era inevitabile dopotutto. L’imperator Diocleziano non era uno stupido. Ignorando la presenza della sua scorta, entrò nella stanza male illuminata dalle torce che rilasciavano un fumo acre, gli odori si mescolavano rendendo l’olezzo di quel posto ancora più disgustoso. Scostò con attenzione i lembi bianchi della toga laticlavia avendo cura di tener pulito soprattutto il bordo purpureo, lasciandosi sfuggire una smorfia di disgusto alla poltiglia maleodorante che gli aveva sporcato i calcei in pelle di capretto per poi dimenticarsene. Si guardò intorno con occhi vitrei, mentre i corridoi riecheggiavano di urla disumane.

    «Senatore?».

    Il tono deferente del legionario accanto al prigioniero sembrò riscuoterlo e Domiziano rivolse la sua attenzione all’uomo in catene posto sulla ruota. Lo aveva catturato lui, con la collaborazione della coorte XII Fulguralis, uno dei manipoli della Legio M Ultima, il braccio armato della Specula.

    Era una squadra di veterani ormai, comandata dal vecchio amico Gautighot. In verità, era un miracolo che quel prigioniero fosse ancora vivo, visto quello che aveva fatto. E lui, ora, doveva sapere. In fretta.

    Fissando quegli occhi neri e malvagi, il sorriso sghembo nel viso provato dalle ultime esperienze, il senatore sentì anche l’ultimo, sottile, filo, recidersi definitivamente e liberarlo dall’agonia che quel tanto speciale, quanto inspiegabile legame fraterno esistente tra loro, gli aveva dato negli ultimi anni.

    Osservando con la coda dell’occhio i presenti, colse il loro stupore; guardavano dall’uno all’altro con malcelata meraviglia. Non c’era da stupirsene troppo, in fin dei conti. Glaciale, sorrise di rimando al gemello incapace di provare pietà. A causa sua rischiava di perdere tutto quanto aveva di importante nella vita. «Luca, voglio i nomi. Chi ha rapito mia moglie e mia figlia?».

    «È stato il re», rispose l’altro, ridacchiando. Tirarono le corde e lui digrignò i denti, ma nulla più.

    «Non c’è nessun re».

    «Allora ci sarà».

    «Ne dubito».

    «Se non sarà lui, sarà suo figlio. Prima o poi tutto andrà come deve».

    Domiziano guardò con malcelato odio il proprio gemello, quindi sbottò ringhiante: «Dimmi dove sono mia moglie e mia figlia! Dimmi chi è questo re!».

    «Fottiti, fratellino», replicò rantolante per la sete e il dolore il prigioniero.

    «Ti sbagli. Sei tu che sei già fottuto. Entro questa sera avrò quei nomi e implorerai di dirmi tutto quello che voglio sapere».

    Il senatore si era pentito dello sfogo di poco prima. Ancora una volta Luca aveva avuto la capacità di farlo sragionare e Azia e Miriam non se lo meritavano.

    Ghignò sadico al volto già tumefatto del fratello e si strinse nelle spalle, sedendosi a braccia conserte in paziente attesa di fronte a lui.

    «E ti garantisco», aggiunse

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