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Enderton e le porte del male
Enderton e le porte del male
Enderton e le porte del male
E-book207 pagine3 ore

Enderton e le porte del male

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Info su questo ebook

"Vedete, mio caro Lambest, in ogni uomo dabbene vi sono i germi del male, in ogni malvagio i germi del bene [...] Ah, chi di noi può dire di non essere passato per le Porte del Male, sia pure col pensiero?". In questa nuova indagine del mitico detective Enderton – nato dalla penna del fantasioso Alfredo Pitta – tutto sembra essere sempre il contrario di tutto. Se non ci si può basare sulle apparenze, in effetti, su che cos'altro si dovrebbe fare affidamento? Tutto ha inizio quando il signor Muldave, preoccupato per lui e la moglie, decide di rivolgersi a Enderton e Lambest. La sua famiglia sembra correre un grave pericolo: negli ultimi giorni, infatti, la cassetta della posta di casa Muldave ha ricevuto più di una quarantina di missive anonime, stampate con un ingegnoso trucco da ragazzini, recanti messaggi del tenore di "Morirai" e "La vendetta è vicina". Comprensibile, quindi, la loro preoccupazione... -
LinguaItaliano
Data di uscita15 feb 2023
ISBN9788728552858
Enderton e le porte del male

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    Anteprima del libro

    Enderton e le porte del male - Alfredo Pitta

    Enderton e le porte del male

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1940, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728552858

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    ENDERTON E LE PORTE DEL MALE

    I

    P eccato , però, sciupare un’ora di questa mite sera di maggio! — sospirò Enderton, guardando desideroso attraverso la finestra aperta gli alberi della sponda destra del Tamigi quasi irreali nella lieve foschia. — E ciò per udire chissà quali sciocchezze o quali frottole. Mio caro Lambest, mi pare che abusiate della mia amicizia per voi. E del resto sapete bene che ciò che mi chiedete è contrario alle mie abitudini.

    — Preferite reprimere anziché prevenire? — sorrise il dottor Lambest, senza mostrarsi offeso per quel brusco rimprovero, o scoraggiato. E stese piú comodamente le lunghe gambe.

    — Ma no, lo sapete bene! Non è questo che intendo dire; ma se mi mettessi a fare il consulente per ogni pauroso che si crede minacciato, gli assassini potrebbero rimanere impuniti, e sarebbe peggio. E poi, voi che mi conoscete da anni, non ignorate la mia riluttanza a farmi conoscere troppo dal pubblico. Io debbo fare il mio lavoro standomene il piú possibile dietro le quinte; e solamente cosi riesco a concludere qualche cosa.

    — Capisco, il ragno che dopo aver tessuta la te’a se ne sta in agguato nell’ombra in attesa della mosca. Ma questa volta farete un’eccezione per me, Enderton; e rinuncerete alla vostra romantica passeggiata nella dolce sera primaverile pel vostro vecchio amico. Enderton romantico! Ecco una novità, per lo meno.

    — Io romantico? Via, Lambest! Tanto varrebbe dire che è romantica una macchina… Piuttosto, vedete, questo mio spiacevole mestiere mi fa vedere tante brutture, mi mostra la vita sotto un aspetto cosí odioso, che qualche volta, a passeggiare un po’ la sera per prendere una boccata d’aria pura dopo una giornata di lavoro, mi sembra di respirare meglio anche con lo spirito. Ma lasciamo queste chiacchiere, adesso, e veniamo al sodo. Dunque, tenete proprio a che parli con quel vostro protetto?

    — Protetto è dir troppo, perché desidero semplicemente di accontentare il mio amico e collega Spiky, che in parecchie circostanze è stato molto gentile con me; e vi ricorderete certamente che una volta ci fu particolarmente utile in quelle indagini sul…

    — Sí, sí, lo so: e me l’avete già detto, che volevate accontentare Spiky. Ma che c’entra lui? Vuole accontentare a sua volta un amico?

    — Sí e no. È il medico curante della signora Muldave, per la quale ha una deferenza che confina con la venerazione; e terrebbe a tranquillizzarla. Perciò ha consigliato al marito di ricorrere a voi.

    — Una cosa perfettamente inutile, direi — brontolò Enderton, accomodandosi meglio nella poltrona e appoggiando le braccia stranamente corte sulla scrivania. — Ma insomma, poiché ci tenete, e poiché per caso mi trovate momentaneamente non troppo preso dal lavoro, riceverò questo signor Muldave. Dov’è, adesso? Spero non vorrà farsi aspettare, per di piú.

    — Ma no, è dabbasso! — rise Lambest, stendendo un braccio per battere leggermente sulla mano grassoccia dell’amico. — Una telefonatina all’agente di servizio, e sarà qui.

    — Andate voi stesso giú e accompagnatelo, sarà meglio — concluse Enderton. — Gli avete detto che avrebbe parlato con l’ispettore-capo del Reparto Investigativo?

    — No: conosco le vostre idee al riguardo, e mi son limitato a dire, almeno a Muldave, che l’avrei fatto parlare con un funzionario di New Scotland Yard, nulla di piú. Quanto al dottor Spiky, state tranquillo, non ciarlerà troppo. Allora vado.

    Tre o quattro minuti appena rimase solo nel suo ufficio, Enderton, mentre il dottor Lambest andava dal suo «protetto»; e quei tre o quattro minuti egli utilizzò sfogliando una specie di schedario che aveva in un cassetto della scrivania, ma non trovò ciò che forse si aspettava, poiché protese il labbro inferiore con una smorfia di perplessità e di dubbio richiudendo il cassetto a chiave. Poi fu picchiato all’uscio. Senza dubbio Lambest, nella sua qualità di medico fiscale e di amico del temuto Enderton, non aveva avuto difficoltà alcuna a passare per la ben custodita anticamera dell’ispettore-capo.

    — Avanti!

    Apparve di nuovo Lambest, questa volta con un signore di mezza età, di statura appena superiore alla media, ma in aspetto straordinariamente robusto, dal viso un po’ congestionato, dai capelli rossicci. E subito il medico presentò:

    — Il signor Norberto Muldave; signor Muldave, l’ispettore Enderton.

    Ma Lambest aveva pronunciato il nome del suo amico molto rapidamente; e Muldave parve non averlo compreso bene. Tuttavia non insistette, rimanendo un po’ meravigliato a guardare quel personaggio cosí diverso da come se l’era immaginato. Infatti secondo lui gl’investigatori della polizia dovevano essere asciutti, pallidi, con occhi penetranti, col mento prominente, il viso atteggiato a dubbio ed a sospetto. Invece vedeva dietro la scrivania un uomo pingue e un po’ panciuto, dal viso paffuto e roseo, dagli occhi bonari, piuttosto basso, come si vedeva bene poiché s’era alzato gentilmente all’entrare dei visitatori ed ora accennava, con un braccio un po’ troppo corto, ad una poltrona. In ridicolo contrasto con lui, poi, quel dottor Lambest, alto, magro, barbuto, dinoccolato, con braccia e gambe troppo lunghe, che lo facevano somigliare a un ragno. Ma non ebbe tempo di pensare allo strano aspetto dei due amici e collaboratori, Muldave, poiché Enderton disse subito, quietamente:

    — Piacere, caro signore. Vogliate accomodarvi, e dirmi brevemente in che cosa posso esservi utile.

    Muldave si mise a sedere; e, sebbene non facesse ancora caldo, con un fazzoletto che trasse dal taschino della giacca si asciugò la fronte, quasi fosse madida di sudore. Passato il primo momento d’incertezza e di sorpresa che aveva evidentemente avuta nel vedere Enderton, egli pareva ora ripreso da una sottile angoscia, da un tormentoso pensiero che doveva assillarlo, poiché stette per un po’ a muovere le labbra come in un movimento convulso. Infine cominciò, con una voce bassa e incerta che poi andò rinfrancandosi:

    — Sono molto grato al dottor Lambest, qui, che ha voluto presentarmi ad un distinto funzionario; ed anche al nostro buon dottor Spiky. Signor… signor ispettore, ho bisogno di aiuto, di consiglio, soprattutto della protezione della polizia. Siamo seriamente minacciati nella vita, mia moglie ed io.

    — La protezione della polizia in certi casi non può dare sicurezza — rispose gentilmente Enderton. — Ma vedremo di fare il possibile, signor Muldave. Ditemi di che si tratta, cominciando dal primo principio, brevemente ma senza omettere nessuna circostanza se anche può sembrarvi di scarso valore. Chi e come minaccia nella vita voi e la signora Muldave?

    — Chi? Non lo so — rispose Muldave, scrollando la testa; e soggiunse, stringendo i vigorosi pugni: — Ché se lo sapessi… Non sono un pulcino, io, ispettore, e so difendermi da chiunque; ma come difendersi contro qualche cosa d’invisibile, d’imponderabile, contro un avversario che potrebbe essere nella mia stessa casa, che posso incontrare in istrada, contro un ignoto, insomma? E se…

    — Raccontatemi i fatti, prego — interruppe, sempre gentilmente, Enderton.

    — Oh, i fatti sono cosí poca cosa! Ad ogni modo, eccoli qua. Da… ecco, esattamente dalla fine di febbraio scorso, mia moglie ed io siamo bersagliati da una valanga di lettere anonime, press’a poco tutte eguali, nella sostanza se non proprio nella forma. Morirai… La vendetta è vicina… Non avrai pace se non nella morie… E via dicendo. Le lettere son dirette ora a me ora a mia moglie, e qualche volta ne riceviamo lei ed io contemporaneamente. Ci giungono sempre per posta, insieme con la solita corrispondenza, e l’indirizzo è scritto ora a macchina, ora a mano in caratteri stampatello, ora stampato, addirittura, press’a poco come il testo…

    — Il testo dunque sarebbe stampato? Cioè?

    — Stampato… o quasi. Si tratta di quei caratteri di caucciú di cui si servono i ragazzi per stampare, contenuti di solito in una scatoletta, e che s’inseriscono in un regolo incavato sufficiente per quattro o cinque parole al piú.

    — Ho capito: sistema non nuovo — sorrise Enderton. — E la corrispondenza chi la riceve?

    — La raccoglie il cameriere dalla cassetta delle lettere; poi la divide… O meglio, cosí faceva sino a qualche tempo fa; poi, per evitare a mia moglie angustie inutili, gli ho dato ordine di passare tutta la corrispondenza a me. Cosí, quando vedo una di quelle lettere che immagino provengano dal nostro sconosciuto nemico, se è diretta a lei la sopprimo…

    — La sopprimete? Cioè? La distruggete?

    — Oh, no! Le conservo tutte, quelle lettere, che ora sono giunte a quarantadue, con l’ultima ricevuta da me ieri. Non le do piú a mia moglie, ecco tutto.

    — Capisco. Ne avete qui qualcuna?

    — Sí, certo… — E, sbuffando, scrollando la testa fra minaccioso e disperato, Muldave trasse da un portacarte di cuoio tre o quattro buste sgualcite e si alzò per porgerle a Enderton. Questi le esaminò con apparente trascuratezza, poi ne trasse i foglietti che contenevano, lesse le frasi stampatevi su ad inchiostro di un pallido viola, e domandò:

    — Potrei tenerne almeno una, signor Muldave?

    — Anche tutte, se volete — rispose il visitatore, stringendosi nelle spalle. — Ne ho purtroppo una collezione. Avete visto, eh? Che ve ne sembra?

    — È ancora troppo presto perché possa formarmi una qualsiasi opinione, signor Muldave. Vedo che vi si minaccia di morte, voi e la signora, e che l’anonimità è temperata da una specie di firma: Tu sai chi. Sempre cosí, in tutte le lettere?

    — Sempre. Ma come volete che sappia chi è, questo demonio? Se lo sapessi; a quest’ora… E mia moglie che è malata di cuore, povera donna!…. Insomma, io ci perdo la testa; e chiedo consiglio e protezione alla polizia.

    — Me l’avete già detto; ma pel momento so ancora troppo poco per darvi un consiglio e… e per proteggervi, signor Muldave. Continuate.

    — Che cosa volete che vi dica? È cosí. Sulle prime risi di tutta questa storia, naturalmente; ma poi… Ecco, fu in marzo la prima volta che capii non trattarsi di uno stupido scherzo. Il 18 marzo, se mi ricordo bene. Una sera rientravo a casa: abito a Kensington, Villa degli Elci, e spesso faccio il tragitto a piedi. Dunque, rientravo, quando da un vicoletto buio, Humphrey Lane, mi fu lanciato contro un mattone con tanta violenza, che se m’avesse preso alla testa me l’avrebbe spaccata, certo. Fui colpito alla spalla, e v’assicuro che lo spasimo fu vivissimo. Ne ebbi per qualche giorno una contusione che dovetti curare con pezzuole d’acqua vegeto-minerale. Appena colpito, e nonostante la sorpresa e il dolore fisico, corsi nel vicolo; ma non vi trovai alcuno. Ebbi soltanto l’impressione di udire una risata lontana… In quel vicolo ad un certo punto se ne inserisce un altro che sembra un budello, stretto e tortuoso, e poi va a sboccare in Lamark. Senza dubbio di là era fuggito quel furfante. Comunque, nessuna traccia: forse perché Humphrey Lane è buio come un forno.

    — E le altre volte?

    — Ecco, esattamente una settimana dopo, mentre m’avvicinavo a casa, un motociclista che andava a rotta di collo mi passò accanto, voglio dire strisciò addirittura contro di me, facendomi cadere; poi, dopo essere andato un po’ a zig-zag, si riprese e filò via come una freccia. Non potei vedere che un tale curvo sul manubrio, imbacuccato in un’ampia giacca di cuoio, col berretto tirato sin sugli occhiali da automobilista che portava in modo da avere celato mezzo viso. Ed anche quella volta me la cavai con una contusione. La terza volta, infine, e cioè due sere or sono, la scampai proprio bella. Stavo per infilare la chiave nella serratura della porta esterna di casa mia, quando dal giardino mi fu sparato contro un colpo di pistola, o di rivoltella che fosse. Ne ebbi il cappello perforato, un cappello grigio scuro che conservo ancora. Svoltai di corsa l’angolo della facciata e cercai in giardino, aiutato da Angus, il mio cameriere, che aveva udita la detonazione; ma non trovammo nulla di nulla. Mi spiegai la cosa, però, perché il mio giardino è chiuso in fondo da un muricciuolo alto sí e no due metri e mezzo, che dà in una via privata. Di là doveva essere fuggito l’aggressore, arrampicandosi sul muro.

    — E la signora non aveva udita la detonazione?

    — No, per fortuna, altrimenti chissà quanto si sarebbe spaventata! Spesso ella, poiché soffre anche d’insonnia, prende un lieve sonnifero prescrittole dal dottor Spiky; ed allora dorme profondamente. Quella sera, per fortuna, aveva preso appunto il sonnifero, e non si svegliò. Malata com’è, uno spavento potrebbe cagionare una grave disgrazia.

    — Chi dà di solito questo sonnifero alla signora?

    — Lo prende da sé, o glielo dà la cameriera quando lei glielo chiede.

    — E la cameriera non udí nulla? Né il rimanente della servitú?

    — No. Oltre ad Angus, abbiamo la cameriera, la cuoca e una domestica; ma esse dormono in una camera all’ultimo piano, al lato opposto dell’edificio, e quindi non mi meravigliò che non udissero. Angus, invece, m’aspettava.

    — A che ora, accadeva questo?

    — Saranno state le undici; e venivo dal circolo.

    — Capisco. E contro la signora nessun tentativo è stato fatto?

    Questa volta Muldave parve imbarazzato a rispondere. Di nuovo si asciugò la fronte, e Enderton poté vedere che la mano gli tremava leggermente. Infine si decise a dire:

    — Ecco, ispettore, ciò che accade in casa mia è a volte cosí misterioso che non so proprio… Insomma, forse non mi crederete, ma è come sto per dirvi. Qualche volta è parso ad Angus di udire, in mia assenza o quando sto a leggere in biblioteca, a sera tardi, come un concitato colloquio venire dalle camere che occupa mia moglie. Una sera, e questo accadde due giorni prima dell’affare del colpo di rivoltella, egli venne a chiamarmi, dicendo che si udivano quelle tali voci. Andai in punta di piedi verso la camera di mia moglie, ed infatti mi parve ad un certo punto di udire proprio qualche cosa: una voce d’uomo, si sarebbe detto, ed una femminile che rispondeva fra i singhiozzi. Poi ad un tratto le voci cessarono. Volli entrare nella camera da letto di mia moglie, ma l’uscio era chiuso a chiave dall’interno. Picchiai, allora; e dopo qualche momento ella domandò, con voce assonnata, chi fosse. Risposi che ero io. Mi venne ad aprire quasi subito, in vestaglia da notte, spaventata ma ancora stropicciandosi gli occhi. Breve: mi disse che nulla aveva udito, nulla sapeva, e che stava dormendo. Caterina, la cameriera, mi confermò poi che infatti le aveva dato il solito sonnifero. E questo è tutto… Voglio dire, se se ne eccettua che un’altra volta la consueta lettera anonima mi pervenne insolitamente, e cioè avvolta intorno ad un sasso che mi fu scagliato nella biblioteca dalla finestra aperta.

    — Sempre di sera?

    — Sempre di sera.

    — E la signora Muldave che cosa pensa di questa strana faccenda?

    — Oh, povera Briddie!… Si chiama Brigida, ma io la chiamo per antica abitudine Briddie… Lei, dico, che cosa volete che ne pensi? Sulle prime parve piú sorpresa che spaventata; poi si

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