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ANA: Perdita
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E-book253 pagine4 ore

ANA: Perdita

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Info su questo ebook

Dopo la perdita della moglie il narratore cerca distrazione e un modo per tornare a vivere. Lo trova dopo un incidente in montagna in una donna tanto audace quanto affascinante. Più volte torna da lui nella sua casa in un paesino di montagna tra le Alpi italiane senza lasciare molte tracce della sua presenza. Concentra la sua vita interamente su di lei trascurando la sua famiglia in Germania. E quando la donna si rimette in cammino, il protagonista si inquieta aspettando il suo ritorno. Con uno strano senso di un maligno presagio, il narratore tiene nota di tutte loro esperienze condivise su un diario in cui inserisce molti flashback della sua propria vita, ispirati da visioni e immagini di perdite, senza sospettare ciò che realmente lo attende.
LinguaItaliano
Editoretredition
Data di uscita20 dic 2022
ISBN9783347679771
ANA: Perdita
Autore

Jürgen Kemper

Der Autor lebt mit seiner Frau in einem kleinen Dorf im Artland in Norddeutschland. Er hat drei Töchter und vier Enkeltöchter. Er ist Diplompädagoge, Systemischer Familientherapeut und Supervisor. Er leitete bis zu seiner Pensionierung eine Fachschule für Heilerziehungspflege und hat ein Handbuch der Heilerziehunspflege mit herausgegeben. Er lebt mehrere Monate im Jahr in seinem Haus in den italienischen Alpen oberhalb des Comer Sees. Seine Leidenschaft gehört den Bergen und seit zehn Jahren dem Mountainbiken. Er plant seit langem eine Fünf-Seen-Tour durch die Orobischen Alpen und schreibt romantische Liedtexte. Sein erstes Buch "ANA - Perdita" ist eine phantastische Reise in sein Innenleben mit autobiographischen Bezügen, das um das Thema Abenteuer und Verlust kreist. In seinem zweiten Buch "FREDDA - Bocca", das während des ersten Lockdowns entstanden ist, beschreibt er nach seinem überstandenen Prostatakrebs, seinen Umgang mit der schwindenden Manneskraft und wie er nach einer russischen Grillparty in eine Welt von Verboten und Wünschen eintaucht.

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    Anteprima del libro

    ANA - Jürgen Kemper

    Parte 1

    SEPOLTO

    2017-01-01 Mi svegliai alle quattro

    Mi svegliai alle quattro, ero appena riuscito ad andare in bagno e vomitai tutto il buon cibo con cozze, granchi e pesce che Enrico aveva pescato da solo durante le sue vacanze estive all'isola d'Elba, lo avevo congelato e trasportato, ben raffreddato, al nostro villaggio di montagna con la teleferica, una funicolare per il trasporto merci. Ora così tutto finì in una disgustosa orgia di vomito nelle fauci della fogna. Non solo aveva un aspetto disgustoso, ma aveva lo stesso odore e faceva apparire la notte scorsa a casa di Enrico in una luce completamente diversa. Mi rallegrai quando tutto passò, mi lavai, brancolavo tranquillo per casa mia, che era gelata, e il sonno era fuori questione. C'era odore di camino e di cenere fredda e mi misi dei vestiti caldi, mi ci sarebbe voluto un po' per riscaldare la casa. Fuori era buio pesto e nevicava. Nella luce pallida guardai nella mia camera da letto, LEI era beatamente addormentata, una metà della sua conchiglia giaceva accanto a lei sulla mensola, ma a una sirena non ero interessato in quel momento.

    Bello, il nostro nuovo coinquilino a quattro zampe, non si muoveva, stava disteso sulla schiena dormendo il meritato sonno di un cucciolo. Mi preparai un doppio espresso scaldandomi un attimo alla fiamma del gas, non avevo nessuna fame. Poi accesi il camino e riscaldai così davanti e dietro al fuoco ardente. Una vaga inquietudine mi assalì, all'inizio pensai che fosse puramente fisica e la attribuii al mio stomaco vuoto, ma c'era qualcos'altro che voleva uscire. Determinato, presi il mio portatile, lo aprii, ma non c'era ricezione, nessuna connessione a internet, probabilmente stava nevicando troppo forte. Inquieto, stavo per chiuderlo quando una sua foto, che avevo salvato sul mio desktop contro la mia abitudine, attirò la mia attenzione. Feci che aprirla, era una delle mie foto preferite, dove LEI mi guardava provocatoriamente, perché stavo fotografando di nuovo LEI, la sua criniera selvaggia e indomita che le cadeva per metà sul viso era questa indomabilità che mi aveva affascinato di lei fin dall'inizio, come LEI sapeva attirarmi mantenendo la sua attenzione e catturarmi con quegli sguardi. La sua natura provocatoria talvolta spaventava le persone, piuttosto le donne e alcuni uomini la tenevano alla larga, qualcuno si massaggiava per lei, io non ne avevo bisogno, mi ero tenuto fuori da questo ruolo competitivo fin dall'inizio e mi ero concentrato piuttosto sull'osservazione. Eppure, qualcosa di questo posto e di LEI aveva fatto scattare qualcosa in me, non riuscivo ad afferrarlo, oscillava tra la felicità e la paura. LEI era sdraiata tranquillamente e al sicuro nella stanza accanto e tuttavia sentivo qualcosa come l'abbandono o la solitudine, oppure era solo paura di questo.

    Tracannai un grande sorso del mio espresso raffreddato, nell’attesa mi ero sfregato le mani, aprii un file Word vuoto e iniziai a scrivere, di lei, di me, della mia defunta moglie, dei miei figli, dell'incidente durante il nostro primo giro in montagna insieme. Scorreva dalle mie mani, scrivevo come se l'avessi portato dentro di me per tutto il tempo, le parole si formavano da sole senza interruzione, forse la mia esile poesia, che LEI trovava così sdolcinata, aveva rotto il ghiaccio, forse era stata la conversazione di ieri su patria e luoghi, su dove ti senti veramente a casa. Alzai lo sguardo e sì, ghiaccio, proprio così, fiori di ghiaccio si erano formati nei vetri della mia finestra e questo di nuovo lo sapevo solo dalla mia infanzia quando avevamo ancora il riscaldamento a stufa. Lottavano coraggiosamente contro il calore del mio camino che lentamente si era diffuso e così si erano sciolti i fiori di ghiaccio mentre i miei ricordi mi inondavano.

    E scrissi e scrissi come se qualcosa si fosse dissolto. Perché avevo incominciato a farlo? Allora non sapevo ancora perché volessi registrare tutto, ma continuavo a scrivere instancabilmente.

    2017-07-14 Questo non era in ogni caso il posto

    Questo non era in ogni caso il posto che mi aspettavo di trovare, anche se era sempre esistito nella mia immaginazione, credo, come un luogo di desiderio, credo.

    L'avevo conosciuta quattro anni fa, nell'estate in cui era morto il mio zio preferito Fritz. Ora LEI era sdraiata sul mio letto, come solo LEI sapeva fare, apparentemente lontana, completamente dislocata, proprio come LEI stava facendo l'amore con me, come se non ci fosse stato altro al mondo. Non avevo mai incontrato una donna che si desse ai giochi d’amore senza alcun obiettivo. Ai suoi piedi giaceva Bello, raggomitolato, anche se chiaramente non era lì che sarebbe dovuto stare, ma oggi non mi importava, sembravano entrambi molto contenti.

    Quell'anno avevo ancora fatto visita al mio defunto zio Fritz nella camera mortuaria nel profondo Sauerland, insieme al mio vecchio caro amico di arrampicata Friedel. Avevamo fatto una deviazione verso la mia vecchia casa perché non volevo disdire o rimandare il nostro tour in montagna. Lo preferivo comunque al rituale funebre smorto di un prete cattolico. Così gli dissi addio a modo mio, a colui che mi aveva senza dubbio spronato nella mia ricerca di un posto come quello in cui ora mi ritrovavo a vivere per la maggior parte del tempo e che forse avevo anche cercato fin dall'infanzia. Ed è lì che ero sempre stato fuori con lui e mia zia Martha, c'era sempre qualcosa da fare, che fosse nella stalla, dalla quale mi era permesso di raccogliere le uova ancora calde dai nidi e portarle con cura nella dispensa di mia zia, o dover stare attento con le mucche a non farmi sbattere la coda in faccia mentre mungevo e a non far cadere il secchio zincato pesante del latte, gironzolavo per il pascolo con mio zio in stivali di gomma troppo grandi per vedere se anche la recinzione elettrica funzionava, cosa che ovviamente si poteva provare davvero toccandola, il che era sicuramente una delle prove di coraggio più ardue dei giovani anni. Ma il momento migliore, a parte il fatto di essere sempre all'aperto, era avere a che fare con le api, da cui dovevo stare rigorosamente alla larga. La comparsa un po' spaventosa di mio zio nella sua tuta bianca da apicoltore, avvolto dal fumo della sua pipa, mi infuse un grande rispetto e il primo vero lavoro che ricordo è quello di mettere in rotazione la centrifuga manuale e vedere il succo dorato dei favi uscire dal tubo, che dolce e piacevole senso di realizzazione. Ancora oggi, non c'è viaggio dal quale non porti a casa un barattolo di miele. Riesco ad assaporare i ricordi. Io rimanevo comunque sempre lì per diverse settimane fino a quando non iniziai ad andare a scuola, fino a quando loro non ebbero figli propri, ero stati quasi adottato lì e non avevo mai neanche visto un asilo dall'interno, avevo sempre goduto di quei momenti di attenzione e cura speciale, così come sei nonni che vivevano entrambi nella casa con me. Tale attenzione e familiarità in questo luogo del Sauerland significa casa, patria per me, ancora oggi, e così avevo fatto visite a mio zio e mia zia con amici moltissime volte durante la mia vita, come se volessi condividere anche tutto questo con loro, e anche Friedel era stato lì una volta in moto con me.

    Con gli occhi pieni di lacrime, salutai mio cugino e mia zia, che gli è sopravvissuta di cinque anni. Il viaggio verso l'Italia fu silenzioso e Friedel non si soffermò ulteriormente dopo i primi racconti su mio zio e sugli anni della mia infanzia. Potevamo anche sederci uno accanto all'altro e stare in silenzio per molto tempo in un viaggio così lungo senza sentirci a disagio. Ci conoscevamo ormai da un po’, avevamo manifestato insieme contro il nucleare a Brokdorf ed eravamo stati a varie manifestazioni per la pace, ma a parte i nostri interessi politici eravamo uniti da hobby che richiedevano tempo, il motociclismo, l'arrampicata e le escursioni in montagna ad alta quota sulle Alpi e sull'Himalaya. Credo che abbiamo fatto la maggior parte dei passi alpini in moto in stile pas des deux, avevamo anche percorso la maggior parte delle vie ferrate. Noi due ci armonizzavamo bene, anche se avevamo un temperamento molto diverso. Friedel era più riservato di me, ma questo non gli impediva di avere inclinazioni estreme quando andava in moto, anche se il suo diabete lo rallentava un po' in alcuni tratti e da quando ebbe una figlia, la sua vita e le sue priorità erano cambiate, così come le nostre attività insieme.

    Così arrivammo all'alba sul passo dello Spluga che era ricoperto di neve residua, il mio passo preferito sulla strada verso sud. Nel sole che sorgeva, avevo la sensazione certa che non solo stavamo attraversando il confine con l'Italia, ma che in qualche modo si percepiva l'odore di un nuovo inizio, anche il mio amico nonostante la mancanza di sonno era di buon umore e nel primo paese dopo il passo entrammo nell'Albergo della Posta e fummo catturati dall'odore di caffè appena fatto in quella stanza degli ospiti, completamente tappezzata di legno e decorata con vecchi trofei di caccia, dove un numero considerevole di mattinieri si era già riunito e la cui conversazione in dialetto lombardo, a me incomprensibile, riempiva la stanza. Comprai una bellissima cartolina d’epoca con le marmotte per le mie due nipoti Iris e Ines, che tenevo sempre aggiornate, intanto ci godemmo il nostro primo cappuccino e l'atmosfera dell'albergo. Arrivati! Ci deliziammo ancora per un momento con i vecchi ricordi. Con Friedel una volta avevo percorso lo stesso itinerario in moto e documentato questo impressionante giro con la mia macchina fotografica con obiettivo grandangolare installato sul mio borsello da serbatoio, alla fine del quale finimmo in una gelateria a Chiavenna, su quelle curve infinite ci eravamo ben divertiti allo stesso modo.

    Continuammo fino al primo bivio per Isola, ma optammo per il vecchio percorso, che era chiuso ai veicoli pesanti, che fece riaffiorare in me tantissimi ricordi. Lì avevo già soggiornato con la mia famiglia, tremante, in vista delle temperature del sud, della Toscana, della Sardegna e della Corsica. Più di trent'anni fa ci eravamo fermati nel punto panoramico del passo proprio di fronte al primo tunnel, mia moglie Carina, morta da sei anni, una coppia di amici dei tempi degli studi e i nostri due figli Mascha e Jakob, che ormai sono cresciuti. Insieme avevamo guardato la cascata zampillante immergersi nelle profondità poco prima del tunnel e ammirato l'avventurosa strada a serpentina le cui curve esterne sembravano incollate alla roccia. Sul bordo del belvedere avevo freneticamente tenuto mio figlio, allora di due anni, super incuriosito, lontano dalla ringhiera prima di continuare il nostro viaggio verso la Sardegna sul vecchio decrepito Hanomag ma adatto alla montagna.

    Forse fu la morte di mio zio, forse il flusso di ricordi, ma il nostro tour alpino era stato caratterizzato da una pelle sottile e vulnerabilità.

    Nel tardo pomeriggio, attraverso la Valle d'Aosta e la valle del fiume Savara, arrivammo al campeggio di Pont a 1800 metri di altitudine, da dove iniziammo alcuni giri in mountain bike per abituarci all'altitudine e migliorare la nostra condizione. Quattro giorni dopo salimmo al Rifugio Vittorio Emanuele II a 2800 metri. Nel grande rifugio, con un sole splendente e il lago di montagna che lo accompagnava, era pura frenesia di montagna, ma con un alto livello di divertimento e un pubblico internazionale. Ci eravamo acchiappati uno degli ultimi posti per dormire, direttamente sotto il tetto, dove si poteva camminare solo accovacciati sotto le travi del tetto e si correva costantemente il rischio di battere la testa, soprattutto la sera quando ci si ritirava nel sacco a pelo. Chi aveva problemi di vicinanza e di odore erano decisamente fuori luogo, ma un buon pasto italiano in montagna in compagnia di due esperti scalatori spagnoli aveva compensato alcune di queste difficoltà. Tuttavia, il giorno dopo fuggimmo verso un picco innevato a est che per tutto il giorno ci aveva attirato. Qui ci esercitammo ancora nella tecnica della cordata e nel salire un pendio ripido di neve, prima faceva freddissimo, poi ci arrostimmo e più tardi arrivarono foschia e nuvole, ma noi ben soddisfatti tornammo al trambusto del rifugio, dove parlammo a lungo con gli alpinisti baschi già conosciuti e anche loro pronti a partire per il Gran Paradiso il giorno successivo. Così di nuovo andammo a letto presto e non bevemmo troppa birra, perché volevamo partire alle cinque del mattino e non eravamo nemmeno i primi. Nel buio e nello stretto cono di luce delle lampade frontali, ci muovemmo lentamente su per i ghiaioni con altre dieci persone, accompagnati dal costante tintinnio dei moschettoni delle imbragature da arrampicata. Qui l'altitudine era già chiaramente percettibile e il ritmo veloce e costante della respirazione produceva nuvole di respiro altrettanto regolari davanti ai nostri volti. Alle prime luci dell'alba dovemmo allacciare i nostri ramponi, perché d'ora in poi avremmo attraversato ghiaccio e neve. Ad un tratto passammo un ponte di ghiaccio e neve sotto il quale un torrente impressionante spuntava visibilmente da un tunnel allungato. Non volevamo finirci dentro in nessun caso, così ci unimmo ad un'altra cordata che ci sembrava molto più sicura. Alcune nuvole scure si stavano radunando sopra di noi, il bel tempo degli ultimi giorni per oggi era ormai chiaramente andato via e iniziò a piovere lievemente. Per un attimo ci accordammo per continuare, ma la pioggia stava diventando più pesante e a circa 3400 metri i primi scalatori stavano scendendo verso di noi dicendo che c'era un forte vento che soffiava sulla cresta, così decidemmo di tornare indietro. Meno di un quarto d'ora dopo il temporale scoppiò su di noi, non c'era riparo e i fulmini tuonavano a destra e a sinistra nei versanti della montagna, immergendo tutto in una luce pallida, poi cominciò anche a grandinare e quando superammo il ruscello, dove il vuoto di prima ben visibile nel frattempo era raddoppiato in dimensioni e la passerella accessibile era larga solo sessanta centimetri, fummo contenti di aver superato quel punto e di trovarci alle undici bagnati fradici al Rifugio insieme a tutti gli altri. Nessuno era stato sulla cima quel giorno, una piccola consolazione, dato che il giorno dopo il sole splendeva di nuovo da un cielo azzurro, come se nulla fosse successo, un'altra volta forse.

    Tre settimane successive, dopo la nostra salita fallita e persa del Gran Paradiso in Valle d'Aosta, la incontrai al campeggio direttamente sul Lago di Como, dove coorti di turisti tedeschi e olandesi avevano già campeggiato negli anni '60 e molte ragazze tedesche avevano ceduto al fascino dei gigolò italiani che affollavano il campeggio. L'odore di muffa, che a me piaceva, incombeva tutto e il proprietario, dotato di quell’atteggiamento da macho così tipico degli italiani e con quei vistosi muscoli tonificati in palestra, contro la situazione di decadenza imminente aveva costruito il suo bar. La cosa particolare era che quando ci si incontrava lì da Emanuele e la sua scatenata Stella per una birra serale, incontravi sia gli immancabili campeggiatori abituali sia la gente del posto sulla via di ritorno a casa. E non c'era bisogno di ordinare nulla da mangiare, perché ogni mezz'ora venivano serviti deliziosi tranci di pizza dal forno a pietra, gratis, benvenuti nella Bella Italia!

    In mezzo a tutto questo, LEI si muoveva, velocemente con movimenti fluidi, fermandosi, come una lucertola, qui un bacino a destra e a sinistra, là una chiacchierata in italiano, poi in inglese e il mio orecchio ci mise un po' ad abituarsi allo, il tedesco svizzero. LEI era ovunque, ma non a casa qui. Quando LEI mi passò davanti, notai la lucertola tatuata sulla sua spalla, quanto era azzeccato. Il piccolo corpo sinuoso poggiava sulla sua spalla, la coda scompariva sulla nuca sotto i capelli neri come la pece, la testa in agguato con uno sguardo vigile sui bicipiti, molto pronunciati per una donna, osservava la preda mentre una piccola lingua rossa catturava l'odore, una cacciatrice, questo mi era chiaro, ero in guardia.

    Con un ospite, credo si chiamasse Ivo, purtroppo non lo incontrai più, scambiai alcune idee sui miei piani per il giorno dopo. Volevo percorrere il Sentiero Roma. Un collega esperto delle Alpi me l'aveva consigliato, una settimana sul terreno alpino, ad alta quota, e Ivo voleva insistentemente mostrarmi quale sentiero avrei dovuto prendere al sorgere del rosso di sera, ma tutto ciò che vidi furono ripidi pendii di montagna che salivano a tremila metri, coperti da boschi di castagni, coronati da torri di roccia scoscesa. Era uscito con me sulla strada, indicando più e più volte i pendii della foresta impenetrabile, io non vedevo quello che vedeva lui e capivo solo la metà di quello che cercava di insegnarmi in un azzardato mix di inglese e italiano. E improvvisamente LEI si mise dietro di me e si rivolse a me in un inglese raffinato.

    Non conosci il Tracciolino?

    Quelle erano le prime parole che LEI aveva usato per rivolgersi direttamente a me, in qualche modo LEI aveva percepito il disperato tentativo di Ivo di spiegarmi la strada.

    Da quel momento in poi non si tornò più indietro.

    Non c'è tè a letto oggi? Mi sento completamente rinsecchita è stata la prima cosa che sentii da parte sua oggi e così LEI mi tirò fuori dai miei pensieri e ricordi, con Bello dietro, che evidentemente aveva avvertito un po’ di fermento e le saltò addosso incessantemente, così lo presi in braccio.

    Intendi dire prosciugata, vero? LEI mi diede un vero e proprio spintone sul fianco, che commentai ad alta voce e LEI andò a scaldarsi brevemente vicino al fuoco e scomparve senza parole nella camera da letto. Beveva sempre molto, non solo la sera. Amavo questi momenti di bisogno, quando altrimenti LEI sembrava non aver bisogno di nessuno. Andai nella cucina della mia casa tra le montagne italiane, con vista sul Tracciolino che avevo percorso per la prima volta con LEI, e tornai al letto con il tè fumante con latte e un cucchiaio di zucchero di canna. Il mio sguardo cadde sul letto disfatto e sul suo viso altrettanto stropicciato con tre linee del sonno che si distinguevano sulla guancia sinistra. Il suo viso raggiante era una sufficiente ricompensa per la mia notte rotta alle cinque nel buio pesto. Non riuscivo a dormire a lungo accanto a lei, figuriamoci se potevo rimanere inattivo. La sua vicinanza mi inquietava così tanto che preferivo alzarmi e LEI odiava essere svegliata presto la mattina, specialmente dopo notti come questa, dove ci eravamo addormentati avvinghiati, LEI senza fiatare, io dopo essermi liberato dal suo abbraccio dopo un'ora, sapendo che non potevo fissare quel momento per sempre, non più di quanto potesse farlo LEI. Di solito mi ci sdraiavo accanto, guardando LEI. Qualcosa di LEI era sempre fuori dalle coperte e non ne avevo mai abbastanza del suo corpo agile e snello con quella bella lucertola in agguato. Bello, nel frattempo, giaceva pacificamente sotto il letto, dopotutto eravamo entrambi lì e ovviamente non c'era pericolo di lasciarlo solo, cosa che cercava in tutti i modi di evitare. Così le diedi il suo tè e bevvi anche il mio, che nel frattempo era diventato freddo, fino all'ultimo sorso.

    Cos’hai fatto? Sei sveglio da tanto?

    Dalle cinque, ti ho guardato dormire

    Non è vero

    Sì, invece, mi piace tanto guardarti

    Sembro completamente sballata

    Sì, è vero

    Niente di niente, cos’hai fatto dalle cinque?

    LEI non era così facile da liquidare, lo sapevo bene dalla mia prima risposta. Stavo pensando al mio viaggio di quattro anni fa, quando è morto mio zio.

    Ti manca ancora sempre? LEI aveva gran fiuto per qualsiasi sensazione accumulata.

    No, io ho te adesso.

    Ma non si può paragonare. Per lui eri un bambino. Non c’è niente che tu abbia davvero.

    LEI aveva ragione, ma il senso di perdita era durato, mio zio era morto molti anni dopo la morte dei miei genitori, il sentimento si era esteso, propagato nel corso di quell’anno e mi aveva lasciato ferito, aveva riaperto vecchie cicatrici e mi aveva reso suscettibile a qualsiasi tipo di attenzione. È allora che arrivarono le nuove amicizie italiane, in cui pensavo di aver ritrovato molto dell'intimità e della convivialità della mia infanzia, e LEI, proprio al momento giusto. Sì.

    Come sì? Insisteva LEI.

    Intendo solo la stessa sensazione.

    Sei un vecchio incorreggibile. Eccola di nuovo, la sua schiettezza, in

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