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La vita perfetta
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E-book267 pagine3 ore

La vita perfetta

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Info su questo ebook

Il lavoro svolto in qualità di architetto mi ha condotto ad approfondire in special modo gli aspetti legati all’uso del territorio da parte delle comunità umane, nonché le sue ricadute sull’ambiente, argomento tanto in voga in tempi recenti. Tuttavia, allargando i miei orizzonti conoscitivi su molti altri aspetti – all’apparenza lontani da quelli prettamente lavorativi ma che da sempre suscitano il mio interesse – ho ritenuto meritevole raccogliere annotazioni e riflessioni fatte al riguardo, e che sono indirettamente connesse all’ecologia. Il risultato di questo lavoro protrattosi per anni è condensato nello scritto che qui si propone. Le conclusioni in esso contenute mettono in risalto il fatto che le società umane sembrano non essere ancora pronte, in termini sia emotivi sia culturali, ad affrontare compiutamente tutti i propri problemi, compresi quelli ambientali che oggi si stanno prospettando in tutta la loro drammaticità all’attenzione generale.

Placido Leotta è nato nel 1954 a Messina, dove attualmente risiede. Dopo aver frequentato il Liceo Scientifico, ha conseguito la Laurea in Architettura presso l’Università degli Studi di Reggio Calabria. Trascorsi alcuni anni lavorando presso studi tecnici privati, a seguito di concorso pubblico è stato poi assunto presso l’amministrazione della Regione Siciliana. In più di trent’anni di lavoro pubblico ha avuto modo di approfondire alcuni aspetti legati alla sua professione, in particolare quelli rivolti alla tutela del paesaggio e alla pianificazione del territorio. 
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9791220136204
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    La vita perfetta - Placido Leotta

    INTRODUZIONE

    Gli studi relativi al cervello ed alla mente, avviati nell’età contemporanea, rivestono un’eccezionale importanza perché sono ancor oggi attualissimi per capire molti fenomeni sociali. Però, come spesso succede, essi ci hanno lasciato delle questioni insolute e argomenti carenti di rapporti con le altre discipline dello stesso periodo, sia quelle definite scientifiche sia quelle definite umanistiche.

    Come sappiamo, oggi non è più possibile ignorare un approccio interdisciplinare fra tutti i prodotti della cultura umana, in modo tale da amplificare i risultati ottenuti all’interno dei singoli campi di studio rinchiusi su sé stessi. Tuttavia, nonostante l’approfondimento conseguito all’interno di svariate materie, sembra che queste manifestino ancora grandi difficoltà a relazionarsi tra loro: così facendo notiamo che più ci si addentra nei particolari tramite le specializzazioni, più si perde di vista la visione generale delle cose. Ciò è riscontrabile anche e soprattutto a livello accademico, cioè nel luogo deputato a diffondere le nuove conoscenze. Detto in altre parole: sembra che le persone colte si ignorino a vicenda.

    Quest’ultimo fattore è particolarmente evidente in un paese come l’Italia, col risultato ovvio che i settori della scuola, dell’università e della cultura non riescono ad avere effetti pratici sulla cosiddetta società civile, in modo tale da formare la nuova classe dei cittadini di domani.

    Perché ciò accada sarà comprensibile alla fine di questo scritto.

    Freud sosteneva che l’avanzamento della civiltà portasse alla creazione di nuovi tabù, in modo tale da privarli della libertà per condurli verso l’infelicità, proprio a causa dei loro aumentati sensi di colpa¹. Al contrario, poiché non esisterebbe una legge metafisica, E. Fromm era convinto che la libertà fosse il frutto dell’avanzamento della civiltà; di conseguenza, sviluppare la libertà sarebbe stato il compito della psicologia tesa sia a scoprire i meccanismi alla base della natura umana sia a liberarsi della metafisica².

    Generalmente, la metafisica è definita come il tentativo del pensiero umano di capire il mondo del reale, ma facendo a meno dell’esperienza vissuta in quello stesso mondo.

    Nel corso del ‘900, liberarsi della metafisica era diventato anche l’obiettivo finalizzato a sostenere la teoria evoluzionista dell’uomo e dell’intero universo. Anche il pensiero logico-scientifico attuale tende ad escludere la metafisica classica, poiché il ragionamento moderno è sostenuto appunto dall’esperienza e dalla sua stessa conoscibilità anche dagli altri. Tuttavia, come vedremo, se il pensiero è un concetto che concorre non solo a capire, ma anche a creare l’esperienza nel mondo fisico, di conseguenza anche il concetto classico di metafisica, con tutti i significati che racchiude, è un prodotto del pensiero e dell’esperienza umana: anche non tener conto dell’esperienza fa parte dell’esperienza. In definitiva, se il pensiero logico moderno è indirizzato ad utilizzare un certo tipo di esperienza, cioè quella scientifica, non è possibile ignorare la metafisica classica poiché anch’essa è un prodotto dell’esperienza stessa, anche se di tipo diverso. Riconosciuto il valore e l’esistenza della metafisica, il problema si trasforma in altro: alla luce dell’intera esperienza umana, quale è l’estensione che il pensiero logico, che include anche la metafisica, può raggiungere nel corso dell’evoluzione?

    Ormai è assodato che i fenomeni sociali hanno la caratteristica di essere imprevedibili, e questo fattore li accomuna a molti settori della ricerca scientifica, così come si sta prospettando all’interno di un dibattito di livello internazionale. In altre parole, contrariamente a quanto sosteneva Fromm, anche la metafisica, ciò che caratterizza il pensiero, sembrerebbe essere soggetto a leggi statistiche.

    Tuttavia, mettendo a confronto i risultati che la cultura dell’’800 e del ‘900 ci offre, di cui la psicanalisi ne costituisce solo un aspetto, è possibile arrivare a mettere in discussione i concetti considerati intoccabili e che utilizziamo da sempre nella formazione delle società, cioè quelli definiti normali frutto della conoscenza e della logica antica, perché essi si stanno rivelando limitati nel tempo.


    1

    S. Freud

    , Das Unbehagen in der kultur, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Vienna 1930 (trad. it. Il disagio della civiltà, in Opere di Sigmund Freud, 12 voll. , Bollati Boringhieri, Torino ).

    2

    E. Fromm

    , Escape from freedom, Holt, Rinehart and Winston, Inc. New York 1941 (trad it. Fuga dalla libertà, Appendice: Il carattere e il processo sociale, Edizioni di Comunità, Milano 1963).

    1.

    L’evoluzione del mondo, sia fisico che metafisico, si alimenta dallo scontro fra le differenze, con apparenti contraddizioni.

    2.

    Nel corso dell’800, sotto il nome di Positivismo si riaccese il dibattito filosofico-scientifico volto a scoprire le leggi che, secondo i protagonisti di allora, avrebbero regolato sia i fenomeni fisici sia quelli sociali. Fu l’inizio di un periodo fecondo durante il quale la scienza avrebbe destato interesse anche nei salotti mondani, ed i cui sviluppi si sarebbero prolungati fino ad oggi. Su questa scia si innestò il dibattito intorno al concetto di evoluzione.

    Nel 1859 C. Darwin aveva pubblicato L’origine della specie in conclusione di un lungo lavoro di studio sui reperti raccolti durante i suoi viaggi effettuati in gioventù. La teoria evoluzionista di Darwin, ricordiamo, cercando di conciliare le nuove scoperte della geologia e dalla paleontologia basate sullo studio dei fossili, introdusse un concetto nuovo: sulla Terra riescono a sopravvivere solo gli individui più forti che, nel corso dell’evoluzione della specie, meglio riescono ad adattarsi all’ambiente ai fini della sopravvivenza, dando origine alla selezione naturale. Questo concetto, seppur non completamente esatto per come vedremo, è la premessa al fatto che sulla Terra è riscontrabile un aumento dell’ordine, cioè di esseri viventi che presentano una elevata complessità strutturale.

    Il concetto di evoluzione, sulla base delle idee del naturalista francese J.B. Lamarck, era stato già ripreso nel 1857 da H. Spencer con la pubblicazione di un articolo giornalistico, sfociato nel suo scritto filosofico Primi principi del 1862. In quel contesto l’autore ebbe modo di illustrare il suo pensiero su questo nuovo concetto: l’evoluzione avrebbe caratterizzato lo sviluppo di tutta la realtà naturale in base ad una legge lineare, procedendo da uno stato di semplicità iniziale ad uno stato più complesso, caratterizzato da una grande varietà di forme biologiche. Per di più, così come l’evoluzione del mondo fisico, anche l’evoluzione del pensiero era visto come un avvenimento già realizzato di cui prendere atto, come se esso fosse stato il prodotto di una crescita ininterrotta da un primitivo stato di barbarie ad uno più elevato riconoscibile nella civiltà del tempo.

    Le idee spenceriane manifestate all’interno del Positivismo, raccogliendo le influenze ottimistiche sull’evoluzione culturale dell’uomo espresse dalla precedente corrente del Romanticismo, avevano di fatto sminuito le prime conclusioni della neonata paleontologia, secondo cui i fossili spiegavano l’estinzione di intere specie a causa di catastrofi naturali. Come detto, l’idea prevalente era invece quella secondo cui la complessità degli esseri viventi fosse dovuta ad una lenta tendenza che, in modo lineare, aveva favorito l’evoluzione dell’uomo, del suo pensiero e quindi anche del progresso riscontrabile nella società moderna. Al contrario, oggi invece sappiamo con certezza che l’evoluzione della specie, la bio-diversità e quindi la nostra comparsa, nel corso di milioni di anni sono stati favoriti da fenomeni naturali susseguitesi in modo non esattamente lineare. Per di più, come sappiamo, senza questo tipo di fenomeni naturali, definite catastrofi e che tanto temiamo per la nostra sopravvivenza, paradossalmente noi non saremmo qua. Infatti, solo in conseguenza delle diverse precedenti estinzioni di massa, avvenute negli ultimi cinquecento milioni di anni, è stata possibile l’apparizione di una nuova linea evolutiva che comprende anche gli esseri umani.

    All’interno del pensiero positivista è indispensabile ricordare J. Stuart Mill, il quale è noto principalmente come un grande economista, ma questa figura ha rivestito un ruolo molto più importante. Le teorie economiche di Stuart Mill scaturirono dall’analisi della società del suo tempo. La sua fu una ricerca di più ampio respiro mirata a risalire ad una legge di causalità, cioè basata su cause ed effetti, che riuscisse a spiegare le conseguenze delle scelte effettuate dalla politica in campo economico.

    Ricordiamo che tutte le leggi classiche della fisica, pensate secondo il concetto di linearità, fino a quel momento erano state congegnate in modo tale che conoscendo alcuni valori relativi ad una certa condizione ad un dato istante, sarebbe stato possibile calcolare i valori relativi ad ogni altra condizione. Ad esempio, tramite la formulazione delle leggi della dinamica, elaborata da Newton studiando il moto dei corpi nello spazio, conoscendo la posizione e la velocità di un qualsiasi corpo secondo la sua traiettoria, è possibile calcolare la sua posizione ad un dato istante, sia per quanto riguarda il suo futuro sia il suo passato. In questo senso, la dinamica classica rientrava tra quelle leggi lineari definite reversibili, cioè valide sempre.

    Quindi, così come le leggi naturali, Stuart Mill cercava una legge scientifica che, indagando la natura umana tramite la psicologia e la sociologia, riuscisse a far capire come predire nel futuro la produzione e la distribuzione della ricchezza in base ai comportamenti umani. In altre parole, come prima accennato, si cercava di scoprire delle leggi scientifiche da applicare ai fenomeni sociali.

    Ma non tutti erano concordi con queste idee. Infatti, sempre nell’800, ricordiamo che accanto alla filosofia che sosteneva lo sviluppo delle scienze naturali, in Germania sorse la corrente dello Storicismo rivolta alla ricerca di un rapporto tra filosofia e storia. Però, diversamente dal pensiero positivista, lo Storicismo intendeva effettuare questa ricerca tramite strumenti diversi da quelli usati dalle scienze naturali. In altre parole, per gli esponenti di questa corrente, le scienze sociali sarebbero state soggette a leggi diverse da quelle seguite dalle scienze naturali.

    Questo dibattito si sarebbe trascinato fino ai primi decenni del ‘900, in modo tale da indurre Fromm ad esprimere il proprio punto di vista, come accennato nell’introduzione in merito all’inesistenza di leggi metafisiche.

    Accanto a queste linee di pensiero si stavano sviluppando altre strade proprio all’interno della stessa conoscenza scientifica. Ricordiamo che già nel 1850, R. Clausius aveva coniato il concetto di entropia per spiegare i cambiamenti di stato nei sistemi fisici isolati, concetto riassunto nel secondo principio della termodinamica. Secondo questa legge, in un sistema chiuso lo scambio di calore, che avviene tra un corpo caldo ed uno freddo, presenta una sola possibile direzione naturale manifestando un risultato irreversibile, dal caldo al freddo fino a raggiungere l’equilibrio termico, cioè il massimo dell’entropia, e quindi in modo tale che non è possibile tornare indietro, cioè dal freddo al caldo.

    Un altro importante traguardo intorno al concetto di entropia fu raggiunto a fine ‘800. In questo periodo, infatti, dopo un lungo iter teorico e sperimentale, i matematici H. Poincaré e F. Zermelo concludevano che l’irreversibilità dell’entropia, osservata nei processi di laboratorio, non era riconducibile a fattori temporali, così come invece sosteneva lo scienziato austriaco L. Boltzman. Questi, infatti, accanto al tempo aveva utilizzato il concetto di probabilità, già approfondito da J. Bernoulli, per spiegare i fenomeni connessi alla propagazione del calore nei corpi³. Boltzman intendeva dimostrare che l’entropia di un sistema macroscopico osservabile dall’uomo, cioè durante gli esperimenti di laboratorio ove avvengono i processi di trasformazione chimico-fisico, è correlata con il grado di disordine e di temperatura delle sue componenti più semplici non osservabili rappresentate dalle molecole; e questo concetto lo espresse con una equazione matematica che tuttora costituisce un caposaldo della fisica. Riassumendone il significato: se un sistema fisico isolato, caratterizzato da temperature differenti al suo interno, è lasciato evolvere spontaneamente, alla fine del processo assumerà la sua conformazione più probabile rappresentato dall’equilibrio termico e dal disordine irreversibile delle particelle che lo compongono, in modo da raggiungere il massimo dell’entropia; tutto ciò in un certo tempo. Questo concetto ci dice che sulla Terra, oltre che a fenomeni che favoriscono la nascita di strutture ordinate e complesse, vi sarebbero anche fenomeni fisici opposti, che tendono al disordine in modo irreversibile.

    Questa teoria, secondo cui nel corso del tempo si osserva un aumento dell’entropia nei sistemi isolati, fu estesa successivamente all’intero sistema macroscopico isolato rappresentato dall’Universo. Ciò indusse Boltzman a concludere che l’universo stesso, partendo da uno stato molto improbabile, cioè ordinato, si stava evolvendo verso il disordine, stato molto probabile, con entropia in aumento in modo irreversibile. In tale contesto, la crescita dell’entropia universale non sarebbe avvenuta dappertutto in modo uniforme. Secondo questo ragionamento, infatti, in alcune regioni dell’universo dove l’entropia ha già raggiunto il massimo possibile, la presenza di organismi macroscopici complessi, quale gli esseri umani, non è possibile; pertanto, noi stessi possiamo percepire solo il fenomeno dell’entropia in aumento, con la percezione del tempo. Con questi concetti, Boltzman per la prima volta ha ritenuto necessario chiamare in causa la presenza degli esseri umani per spiegare i fenomeni fisici percepiti dagli stessi umani.

    Dunque, in linea generale, a fine ‘800 la psicologia scientifica cercava di trovare delle analogie tra leggi fisiche e leggi psichiche. Come detto, così come si intendeva l’evoluzione inarrestabile dei sistemi fisici, anche la storia del comportamento umano voleva essere intesa come l’evoluzione dei prodotti della mente, secondo una legge metafisica lineare. A tal fine, sia l’antropologia che la medicina avevano cominciato ad indagare sull’origine dei comportamenti umani visti attraverso l’evoluzione. In Europa furono parecchi che diressero il proprio interesse in questo campo inaugurando nuove materie di studio, come l’antropologia criminale, dirette all’analisi delle malattie mentali e dei fenomeni delinquenziali. A fine secolo si erano gettate le basi per lo studio della mente umana, inaugurando insieme ad esse, anche una nuova terminologia scientifica.


    3 Il concetto di probabilità era stato introdotto da vari matematici, ma fu B. Pascal ad approfondirlo nel suo trattato del 1653, e poi ancora da J. Bernoulli, il cui teorema fu pubblicato nel 1713.

    3.

    Nei primi anni del ‘900, il medico viennese S. Freud si fece conoscere dal vasto pubblico tramite la pubblicazione di numerosi scritti scaturiti dai suoi studi sulla mente. Agli inizi della sua attività, Freud, diversamente da come avrebbe fatto G. Jung, non mostrò un interesse particolare ai fenomeni sociali o alle manifestazioni psicologiche della collettività, ma si interessò ai particolari risvolti comportamentali riscontrati nel singolo individuo, i cui sintomi erano catalogati con i termini nevrosi e psicosi. Tuttavia, ad un certo punto dei suoi studi, Freud dovette riconoscere che le patologie riscontrate nell’individuo mostravano una strana somiglianza con quelli collettivi, tanto da ipotizzare una nevrosi ossessiva risalente alle origini dell’umanità e che avrebbe rallentato l’evoluzione dello spirito umano. Come è stato possibile e perché tutta l’umanità sarebbe caduta anticamente in tale stato comportamentale assimilabile ad una nevrosi ossessiva?

    È importante ricordare che a cavallo tra ‘800 e ‘900, G. Frazer, uno dei primi fondatori della moderna antropologia, aveva pubblicato un’opera monumentale sugli usi e costumi delle culture umane. Secondo Frazer, la storia umana poteva dividersi in tre periodi temporali: la animista, che è la più antica, quella religiosa ed infine quella scientifica⁴.

    Rifacendosi a queste ricerche antropologiche, in uno studio dedicato al comportamento degli uomini primitivi vissuti nell’era animista, Freud ne descrisse l’uso delle arti magiche⁵. Tramite il rituale magico l’uomo ha sempre cercato di ricreare eventi che riflettono i suoi desideri, sostiene Freud: in definitiva, gli uomini primitivi hanno sempre sopravvalutato l’efficacia del proprio pensiero confondendola con la realtà esterna. Questo fenomeno fu definito onnipotenza dei pensieri. Su queste premesse, Freud intese risolvere un caso clinico i cui sintomi riscontrabili nelle nevrosi ossessive degli uomini moderni, erano paragonati al modo di pensare degli uomini selvaggi dell’antichità. Freud, quindi, sosteneva che la sopravvalutazione dei propri pensieri, rispetto alla realtà, può portare il soggetto nevrotico a convincersi che si possano realizzare i propri desideri, anche e soprattutto quelli considerati malvagi. Durante la fase animista, dunque, l’uomo si sarebbe attribuita l’onnipotenza, riponendo fiducia sul potere dei propri desideri.

    Sembra così di assistere ad una frattura operata dal primo indagatore moderno della mente: la scissione tra i pensieri della mente ed il mondo esterno, costituito dalla realtà. Ma andiamo oltre.

    Freud continua sostenendo che nella successiva fase religiosa dell’umanità, l’uomo avrebbe ceduto, almeno in apparenza, questa onnipotenza alla divinità; invece nell’ultima fase storica definita scientifica e della quale egli stesso era un esponente, lo studioso pensava che un po’della primitiva onnipotenza sopravviveva nello spirito umano: questa sua osservazione alludeva al dibattito scientifico allora in corso che mirava a scoprire le leggi della realtà.

    In un altro suo scritto, prendendo spunto dalla tragedia classica greca Edipo Re di Sofocle, Freud approfondì le sue idee sulla cessione del potere umano alla divinità, e quindi sulla nascita del concetto di Dio; le sue conclusioni lo portarono così a coniare il termine Complesso di Edipo. Per Freud, la divinità è una necessità ed un’invenzione primordiale dell’uomo bisognoso di protezione, la quale è ritrovata appunto in un essere superiore come sostituto del padre terreno⁶.

    In definitiva, con il fenomeno definito onnipotenza dei pensieri, Freud ha privato il soggetto della capacità di poter gestire col pensiero la realtà materiale; ma d’altra parte, cioè col fenomeno definito complesso di Edipo, Freud ha privato il soggetto del suo referente primo, Dio, che secondo molte teorie religiose è l’unico abilitato a poter originare e plasmare la realtà materiale.

    A questo punto ci sorge una domanda: chi è che manipola la realtà materiale, chi è che la gestisce a nostra insaputa, ed a chi attribuire la responsabilità di tutti gli accadimenti umani? ll senso di questa domanda è lo stesso di quello racchiuso all’interno del filone tragico del teatro greco nato all’apice di questa civiltà. E per capire il significato originario del termine metafisica è necessario andare proprio in quest’ultimo periodo storico.


    4

    J. G. Frazer

    , The golden bough (trad. It. Il ramo d’oro, Cap. LXIX, Newton & Compton editori, 1992).

    5

    S. Freud

    , Totem und tabu, 1912-1913 (trad. it. Totem e Tabù, Cap. 3, Bollati Boringhieri, Torino).

    6

    Freud,

    Totem e tabù, Cap. 4.

    4.

    Secondo il pensiero di Parmenide, filosofo della Magna Grecia nato nel VI sec. a.C., non è possibile che esista il nulla perché nel momento in cui esso comincia ad apparire come definizione di ciò che non esiste, esiste ciò che non esiste. Se intendiamo quindi ciò che non esiste, esso non può essere neanche pensato. In altre parole: il non essere non è. Di conseguenza, la conoscenza riguarderebbe solo l’essere, il quale è finito, immobile e rappresenta la perfezione. Nel mondo antico, infatti, l’idea del non essere, così come l’idea del vuoto materiale, riassumevano un concetto ancora privo di significato per la maggioranza degli individui: il nulla. Quello di Parmenide fu un primo risultato scaturito dall’uso della ragione, finalizzato ad arrivare alla conoscenza e questo concetto sarebbe stato presente nella filosofia greca posteriore.

    Nel IV secolo a.C, accanto al teatro in Grecia comparirono i massimi rappresentanti della filosofia antica che, come sappiamo, furono Socrate, Platone e Aristotele. Platone introdusse una divinità, il demiurgo

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