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Il lascito
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E-book174 pagine2 ore

Il lascito

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Info su questo ebook

Emanuele incontra Lisa per la prima volta all’università e si innamora subito di lei, la ragazza però non ricambia i suoi sentimenti. Per non perderla del tutto, Emanuele decide di reprimere il proprio amore per la ragazza e accetta di esserle amico, condividendo con lei la sua passione per la scrittura. Le invia regolarmente i suoi racconti, tra i quali la bozza di un romanzo storico, Il segreto di Sveva, che dovrebbe rivelare l’amore impossibile tra due donne vissute in un passato lontano ma che, in realtà, nasconde molto di più. Le vite di Emanuele e Lisa prendono due direzioni diverse quando lei decide di sposare Elio da cui ha una figlia, Chiara, ma torneranno a incrociarsi quando Elio perderà la vita in uno strano incidente stradale, e accanto a lui verrà ritrovata una ragazza di vent’anni, Fiamma, amica intima di sua figlia. Lisa, non capacitandosi dell’apparente relazione segreta tra suo marito e una ragazza così giovane, sarà costretta a ripercorrere le tappe della sua vita scoprendo così quale segreto si cela realmente nel manoscritto del suo amico di gioventù.
LinguaItaliano
Data di uscita14 ago 2020
ISBN9788863936988
Il lascito

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    Anteprima del libro

    Il lascito - Giuseppe De Renzi

    1

    Perché ti sei sfilata la fede nuziale dal dito, Lisa? Se ne sono subito accorti tutti, per via del segno bianco che ha lasciato sulla pelle. Tua figlia ti ha guardato addirittura con un’espressione che a te è sembrata di rimprovero. La portavi fedelmente da vent’anni senza toglierla quasi mai, se non in rare occasioni, ma poi la rimettevi sempre al suo posto, come se non potessi farne a meno. Invece tuo marito se ne era separato quasi immediatamente, ancor prima di venire a dormire con te la prima notte di matrimonio. Si era seduto sul bordo del letto, l’aveva fatta roteare con naturalezza lungo l’anulare e l’aveva poi appoggiata sul comodino, accanto alla lampada accesa. E quando si era accorto che lo stavi fissando come inebetita, ti aveva sorriso rassicurante.

    «Io questa proprio non riesco a portarla. Ho le dita grosse» ti aveva spiegato. «Ma non temere, non la perderò.»

    Forse è stato il tuo primo presagio che qualcosa, nella vostra unione, non sarebbe andato per il verso giusto. Ti sei chiesta se, alla fine, avessi davvero scelto l’uomo migliore per te. È stato un pensiero furtivo, che hai scacciato subito, ma lo hai pensato, ammettilo, e un velo di amarezza ti è calato sugli occhi, perché per lui avevi rinunciato a me, per sempre.

    Vedendo che lui si era privato del vostro anello, avevi fatto una smorfia. Potevi accettare l’idea che un giorno lui lo perdesse, semplicemente, proprio per via del fatto che a causa delle sue dita tozze lo aveva ordinato un po’ più largo; avrebbe potuto perderlo in qualunque modo, magari, chissà, sarebbe scivolato sul fondale nella fretta di fare un bagno in mare, per non essere ritrovato mai più. Ma quel gesto, così spudorato, non glielo avresti perdonato tanto facilmente.

    Forse è stato per questo che ti sei tenuta più stretto il tuo.

    Poi, all’improvviso, quando ormai non ritenevi più possibile poterti separare da lui, è arrivato lo schianto. La sua auto, lanciata a forte velocità su una provinciale, aveva perso aderenza in una curva, colpendo frontalmente un traliccio, piantato poco oltre il margine di un fosso di scolo per l’acqua piovana. È accaduto quasi all’alba, un mattino in cui doveva andare per lavoro in un luogo a pochi chilometri da Roma. Quando te lo aveva comunicato, la sera prima, non ti aveva detto esattamente il motivo di quella gita fuori porta, ma ti era sembrato eccitatissimo e nervoso allo stesso tempo.

    «Perché non vai in treno?» avevi abbozzato, ma lui aveva tagliato corto, dicendo che Ninfa era una specie di oasi perduta nel tempo, così l’aveva definita, e non era facilmente raggiungibile se non in macchina.

    «E a che ora parti?» avevi cercato di informarti con gentilezza.

    «Alle sei.»

    Ti sei accigliata.

    «Che bisogno c’è di partire così presto? Non rischi di trovare ancora tutto chiuso?»

    «Voglio evitare il più possibile il traffico del raccordo anulare e prendere la Pontina prima che si incasini pure quella…» aveva ribattuto lui.

    La provinciale 148 Pontina è notoriamente una delle strade statali da sempre tra le più intasate e rischiose, così avevi alzato le spalle, tanto era inutile discutere con lui, e avevi evitato di fare altre domande.

    Mai e poi mai avresti immaginato che, nella sua macchina disarcionata dall’asfalto, con le braccia stretta a lui, ci fosse una giovane ragazza dell’età di vostra figlia. Gli airbag erano esplosi, anche quelli laterali, il che li aveva fatti trovare in una posa inequivocabilmente intima, come fossero amanti. Altre parti dell’auto erano state proiettate per inerzia in avanti, per conficcarsi nelle cortecce degli alberi o sparpagliandosi tutt’intorno al muso dell’auto. Un pistone del motore era stato ritrovato venti metri oltre il traliccio. Stranamente nessuno aveva assistito all’incidente, ma quella provinciale è sempre trafficatissima: appena qualche istante dopo l’impatto, un camionista si era accorto della presenza di una berlina nera, di grossa cilindrata, finita fuori strada. Aveva frenato a lungo prima di riuscire ad accostare, lungo il ciglio della strada, il suo pesante autotreno. L’uomo era sceso dalla cabina incurante di lasciare la portiera aperta ed era corso a ritroso fino alla curva appena superata.

    Quando si era affacciato al finestrino infranto e aveva tentato di mettere la testa dentro per sentire se tuo marito respirasse ancora, aveva capito che non c’era più nulla da fare. E solo allora si era accorto della ragazza accovacciata tra le sue gambe, forse a causa della violenza dell’impatto. Le malelingue però hanno fatto subito circolare una strana voce, che non ha tardato ad arrivare al tuo orecchio. L’auto forse aveva sbandato a causa di qualche gioco erotico in corso?

    Ti rifiutasti di andare a vedere con i tuoi occhi il luogo della sciagura, ma questo non ti impedì di immaginare la scena, né di chiederti se la cintura di tuo marito fosse aperta o chiusa.

    L’incidente era paradossale: non c’erano tracce di frenata sull’asfalto, tranne quelle del Tir che si era fermato per soccorrerli. È come se tuo marito avesse perso il controllo dell’auto senza rendersene conto e non avesse avuto il tempo di toccare il pedale del freno, come se avesse, per un breve istante, chiuso gli occhi in preda a una qualche forma di estasi. Eppure nella dinamica della disgrazia c’era qualcosa di incomprensibile. In quel punto il tratto di strada era destrorso e la velocità a cui l’auto viaggiava avrebbe dovuto far sì che continuasse la sua corsa in linea d’aria, sfondando le protezioni sul lato sinistro della curva, che però apparivano immacolate. Incomprensibilmente, invece, la macchina di Elio era uscita di strada proprio verso il lato interno, nello stesso senso della curva, come risucchiata da una misteriosa forza centripeta verso il pilone di ferro attorno al quale l’asfalto delineava un lungo e dolce semicerchio a compasso. Come diamine aveva fatto una macchina stabile e sicura come quella a schiantarsi contro quell’ostacolo quasi impossibile da colpire secondo le leggi della fisica? Sembrava talmente improbabile che potesse accadere che nessuno si era mai nemmeno preoccupato di piantare uno straccio di guardrail. Se ci fosse stato, probabilmente, l’impatto non sarebbe stato mortale, perché la macchina non sarebbe andata fuori strada e non avrebbe trovato il traliccio dell’alta tensione sulla sua traiettoria. Invece era successo ed erano morte due persone.

    Quando ti raccontarono tutto questo rimanesti sbigottita, non tanto dall’orrore o dallo sgomento di sapere che un’altra donna aveva perso la vita insieme a lui, quanto da una folgorazione ben più sconvolgente: tu ne eri stata avvertita, ne avevi avuto un preciso presagio appena qualche giorno prima, e ora il significato di quel presentimento ti sembrava lampante, tanto più che riconduceva a me, come se fossi stato proprio io a volerti mettere sull’avviso.

    Stavi tornando a casa in pullman dal lavoro all’ambasciata, come al solito, quando hai visto apparire, nel cielo piovigginoso, un arcobaleno che sovrastava l’intera linea delle colline retrostanti. Era un arcobaleno dai colori giallo, verde e arancio molto intensi, che si distinguevano nitidi tra gli altri, ma la cosa che più ti aveva resa inquieta era che dietro di esso, poco distante, ce n’era un altro, di un’indefinibile iridescenza violacea, quasi fosse un riflesso del primo. Sentisti un forte odore di gelso alzarsi da terra e ripensasti a me. Alzasti di più lo sguardo, cercasti d’istinto di vedere dove fossero piantate le estremità di quel secondo arcobaleno e in quel momento, al di là del finestrino, apparvero le mura perimetrali di un cimitero monumentale, sopra le quali spuntavano le croci e le estremità appuntite delle tombe e delle cappelle. Uno degli estremi di quell’iride viola si perdeva tra le nuvole ma l’altro era perfettamente visibile e sospeso proprio al di sopra quel luogo di pace, quasi a indicarlo come il fine destinatario di tutto.

    Sì, Lisa. Sono stato io a cercare di metterti in guardia. Mi spiace tanto non esserci riuscito.

    2

    È stata Chiara a portarti la notizia. Si è affacciata alla porta del tuo ufficio facendosi preannunciare e quando ha visto il tuo sguardo interrogativo ti ha detto: «Mamma, è morto papà».

    La polizia aveva chiamato lei, e non te, forse per una pura questione di consanguineità. Tua figlia era un parente di primo grado, tu invece soltanto la coniuge. Credo che le autorità procedano per linea diretta, in questi casi. Alla fine questo modo di formalizzare la cosa ti ha stupito, e irritato. Secondo te, sarebbe stato più giusto che la prima a saperlo fossi stata tu, e che spettasse a te, e non a un agente qualsiasi, scegliere il modo di dirlo a tua figlia, ma alla fin fine lei si è dimostrata più pronta di spirito del previsto.

    Il disbrigo delle pratiche non è stato difficile, ma alquanto labirintico: un vero e proprio pellegrinaggio da un luogo all’altro della capitale; prima tu e Chiara siete corse alla stazione di polizia da cui era partita la telefonata di avviso, poi siete dovute andare all’obitorio per il riconoscimento, infine siete arrivate, senza nemmeno sapere come, in un grande capannone in cui era stata trasportata la carcassa semidistrutta della macchina. In ognuno di questi snodi cruciali della vostra via crucis vi hanno restituito qualcosa: i documenti di Elio, la vista del suo corpo, gli oggetti di uso quotidiano abbandonati in auto. Nella camera ardente hai però dovuto trattenere un moto di ripulsa: accanto alla sua bara ancora aperta c’era anche l’altra, quella della ragazza morta con lui. La cosa incredibile è che quando sei entrata stavano già per chiuderle entrambe. Ti saresti aspettata di poter fare con calma, che nessuno avrebbe mosso un dito fino al tuo arrivo, pensavi perfino di dover vedere il suo corpo nudo disteso su un tavolaccio di marmo. Invece le procedure in questo caso erano assai più pratiche e veloci. Di morti ammazzati dalla strada in quel luogo ne giungevano di continuo e i tempi erano giusto quelli strettamente necessari per il riconoscimento d’ufficio. Per fortuna, voi due avevate fatto più in fretta dei parenti di lei: tu e Chiara siete riuscite ad arrivare in tempo per vedere la salma per l’ultima volta, mentre nessuno dei parenti di Fiamma Fogliano era ancora riuscito a raggiungerla.

    Fissando attonita il volto tumefatto di tuo marito, freddo, immobile, con gli occhi chiusi come se dormisse placido in un letto di petali di lavanda, la tua mente è andata ai vostri ricordi, ai giorni lontani e agli istanti più prossimi. Si fa sempre molta fatica a rendersi conto che basta un niente perché il filo della vita si spezzi, è inevitabile doverselo ripetere ogni volta, ma è incredibile cosa possa tirare fuori la mente umana in momenti assurdi come questo: a te, per esempio, tornò alla memoria un giorno di quando eravate ancora ai primi tentativi di approccio.

    Avevi conosciuto Elio da poco e lui ti aveva invitato a fare un giro alla villa di Adriano a Tivoli. Era un professore universitario di storia medievale, ti aveva rivelato con una vena di languore, e voleva mostrarti una particolare conformazione architettonica a lui cara. Tu gli avevi risposto provocatoriamente che a Tivoli ci sono una villa rinascimentale e una di epoca romana: cosa ne poteva sapere un esperto dell’epoca di mezzo come lui? Elio accusò il colpo al basso ventre ma non mollò l’osso, e poi, in fondo, l’idea di rivedere Villa Adriana insieme a lui non ti dispiaceva affatto, ed era venuto a prenderti con la sua Torpedo blu, come cantava Giorgio Gaber, preannunciandoti così che gli piacevano sia le belle donne come te che le auto potenti. Hai esitato, prima di salire in quell’auto, ma quando lui ti ha aperto lo sportello e ti ha invitato galantemente a entrare ti sei gettata tutti i dubbi alle spalle e, molto sportivamente, hai pensato che il dado era tratto.

    Ma è stato lungo la strada, già ormai prossimi alla meta, che il mio rivale ti stupì del tutto. Mentre guidava piano per prolungare al massimo il tempo dell’affabulazione, notò una piccola scatola di cartone blu abbandonata sul ciglio della strada, in quel momento deserta.

    Era una banale scatola di cartone forato, che poteva aver contenuto qualunque cosa ed esser poi stata gettata via, ma Elio, all’ultimo istante, aveva visto come un riflesso biancastro muoversi al suo interno e l’aveva scansata per non colpirla con le ruote.

    Si era fermato qualche metro più in là, era sceso dall’auto ed era tornato indietro incuriosito. Si era chinato, l’aveva aperta e con sua immensa sorpresa vi aveva trovato un piccolo criceto, paffuto e spaventatissimo.

    Era rimasto a lungo a fissarlo, costernato dalla scoperta, poi si era guardato attorno per cercare di capire da dove potesse esser venuto. Era evidente

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