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Lo sguardo del mago
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E-book278 pagine3 ore

Lo sguardo del mago

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Info su questo ebook

Il giovane mago Yrick, dopo aver brillantemente superato l’esame finale alla scuola di magia, intraprende un viaggio per individuare l’omicida che lo ha privato di entrambi i genitori, accompagnato dall’orco Grog. A loro si uniranno l’elfa assassina Erynil e l’Oscuro, leggendario ladro hobbit. Giunti a Roccapietra, dimora della famiglia reale, scoprono che la fortezza è assediata dal perfido Conte e dal malvagio drago Irsual, impegnato a radunare le dodici leggendarie reliquie che gli permetterebbero di soddisfare il suo desiderio di onnipotenza. Tutto è pronto per l’immane battaglia, e Yrick avrà bisogno dell’aiuto di ognuno dei suoi compagni per sconfiggere il male.
LinguaItaliano
Data di uscita14 feb 2019
ISBN9788863938586
Lo sguardo del mago

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    Anteprima del libro

    Lo sguardo del mago - Riccardo Pasina

    1

    Il mago era pronto. La prova finale dell’esame stava per iniziare. Doveva solamente dimostrare di saper usare ogni tipo di magia per neutralizzare quell’orco.

    Yrick era un ragazzo di diciannove anni, dall’aspetto tipico della sua casata di maghi: capelli biondo cenere tagliati corti, statura media, spalle larghe e una postura leggermente sbilenca, come se non riuscisse mai a stabilire se caricare il proprio peso sulla gamba destra o sinistra. I suoi lineamenti erano marcati, le labbra carnose inclini a un sorriso indeciso.

    Spesso si sente dire che gli occhi sono lo specchio dell’anima e per Yrick era proprio così. Letteralmente. I suoi mutavano colore a seconda delle emozioni e ciò gli impediva quasi sempre di mentire. Per celare i suoi pensieri doveva impegnarsi molto. In quel momento di tensione aveva due iridi viola che non sarebbero mai passate inosservate agli esaminatori.

    Yrick si trovava al centro della Sala delle Prove della Scuola delle Arti Magiche: una stanza abbastanza grande da poter ospitare comodamente due draghi anziani, illuminata da candele levitanti e decorata con i simboli runici delle Cinque Arti.

    Odiava quel posto: essendo stato addestrato solamente da zio Azorius e non avendo frequentato una sola lezione dai maestri della scuola, veniva scrutato dai presenti istruttori e maghi apprendisti come una sottospecie di fenomeno da baraccone, quasi fosse uno stregone autodidatta o, peggio ancora, uno di quei bardi girovaghi.

    Un altro dettaglio poco rassicurante era l’orco armato di clava che lo stava squadrando con un’espressione piuttosto ambigua. Era alto almeno due metri, ma aveva un’aria infantile e più che un omicida sembrava un enorme bambino imbronciato.

    Il corno suonò. Era il segnale. L’orco si lanciò all’assalto e colpì Yrick con la clava. O almeno così gli sembrò.

    «Arte numero uno: Illusione» disse Yrick alle sue spalle. «Un po’ prevedibile, ma spesso efficace.»

    In quel momento il mago si concentrò e dopo qualche secondo cambiò forma, trasformandosi in una massa gelatinosa e verde.

    Un brusio stupito riempì la sala: gli incantesimi di Trasmutazione erano quasi impraticabili e quel forestiero, dopo solo pochi istanti di concentrazione, era diventato una Melma, un essere gelatinoso verdastro che poteva assumere qualsiasi dimensione.

    Zio Azorius, seduto in tribuna d’onore, sorrise mentre ad Arcadius, il preside, per poco non venne un infarto. I due si conoscevano da tempo, avendo frequentato la stessa scuola cinquant’anni prima. Azorius era il fratello maggiore di dieci anni del padre di Yrick, deceduto misteriosamente insieme alla moglie poco dopo la nascita del figlio.

    Ora la melma/Yrick immobilizzava l’orco, soffocandolo e inglobandolo mentre questo si divincolava invano. Avrebbe potuto finirlo, ma gli dispiaceva per lui e doveva ancora esibire tre Arti, così tornò in forma umana, sempre fissando il suo avversario. Questo era il suo primo combattimento dopo quindici anni di addestramento e non poteva fallire. 

    Improvvisamente l’orco, ancora mezzo stordito, si lanciò alla carica, ma si schiantò su una barriera magica.

    «Aaargh!» sbraitò dopo essere rimbalzato e atterrato sull’enorme posteriore.

    «Aaargh? Non mi sembra un’uscita di scena tanto gloriosa. Che arte mi manca dopo la barriera di Abiurazione? Ah giusto, la mia preferita, l’Invocazione!»

    Stava per lanciare l’incantesimo del fulmine, quando qualcosa che avvertì dentro sé lo fermò. I suoi occhi diventarono verdi. Zio Azorius inarcò un sopracciglio; di nuovo quel problema. Yrick era un rammollito, evidentemente. 

    Ma al mago non importava più dell’opinione dello zio o dei presenti: quell’orco meritava veramente di morire solo perché lui doveva passare un esame? Non gli sembrava giusto. 

    Così lanciò il fulmine qualche centimetro più a destra. Versi di scherno arrivarono dagli altri studenti. 

    «La prova d’esame è fallita» decretò con falsa tristezza Arcadius.

    Yrick sospirò. Era buono, certo, ma mica stupido.

    «Non mi pare sappiate contare, signor preside. Ho esibito solo quattro Arti, me ne rimane ancora una.»

    Detto questo si girò verso l’orco e gli chiese: «Qual è il tuo nome?».

    «Grog!»

    «Vuoi essere mio amico? Starai bene dalla mia parte.»

    Pronunciò amico e mia con una voce profonda e armonica, che risuonò nella mente di Grog come un canto di mille usignoli. Irresistibile.

    «Grog amico mago!» rispose esultante.

    «Signor preside, con la conclusione di Ammaliamento io chiedo di essere…»

    Non fece in tempo a finire la frase che quattro quintali d’orco lo abbracciarono quasi soffocandolo.

    «Mago amico Grog. Mago passa esame!» esultò l’orco.

    Con una certa riluttanza Arcadius proferì il verdetto: «Io Arcadius, preside della Scuola delle Arti Magiche, Maestro di Divinazione, conferisco il titolo di Mago delle Scintille allo studente privato Yrick. D’ora in poi potrai possedere un famiglio e… ehm, anche l’orco se lo desideri. Io e Azorius ti aspettiamo per la scelta del Compagno Magico».

    Seguito dal brusio degli studenti, Arcadius uscì dalla Sala.

    «Potresti dirmi cosa ti è venuto in mente?» gli chiese molto garbatamente zio Azorius non appena uscì dalla sala, mentre Grog tentava di acciuffare una candela levitante. «Avresti dovuto fulminare l’orco fin da subito, avevi anche l’aura giusta, ma poi no! Povero orco! Occhietti verdi e passiamo all’Ammaliamento!»

    «Intanto ho ottenuto un alleato che non può che farmi comodo per la mia missione» replicò Yrick, pur sapendo di avere le solite iridi blu di quando tentava di nascondere qualcosa.

    «Sì, giusto. Una missione che non puoi portare a termine. Come se fosse possibile scovare l’assassino della tua famiglia e vendicarti! Ho visto con i miei occhi il disastro che c’era in quella casa. Tu, così impedito, non riuscirai mai a sconfiggere chi ha ucciso tua madre e tuo padre. Non voglio che muoia anche tu! E l’idea di ingaggiare una Rakmir non ti servirà a nulla. Quanto all’orco, peggio ancora!» replicò Azorius.

    Yrick non sapeva come rispondere, non capitava spesso che lo zio si infuriasse così tanto. Gli aveva suggerito di finire l’orco subito dopo la Trasmutazione, che era la sua Arte preferita.

    Yrick non sapeva leggere la mente, ma aveva la sensazione che Azorius stesse per toccare il tasto dolente.

    «Quel giorno avrei dovuto salvare tuo fratello» concluse lo zio.

    In quel momento entrò Arcadius, con il suo passo affaticato ma fiero, come se avesse speso i suoi sessantacinque anni a comandare e dirigere, oltre che a combattere.

    Assomigliava molto a zio Azorius, stessi capelli grigi, stessa corporatura massiccia. Gli occhi di Arcadius erano azzurri mentre quelli di Azorius scintillavano verdi; entrambi portavano una tunica rossa lunga fino ai piedi. Yrick invece preferiva la sua tunica blu cielo. Era semplice e al tempo stesso simbolica: delle rune dorate ne decoravano le maniche, mentre sul cappuccio era raffigurato un occhio stilizzato, anch’esso d’oro. Sulla schiena si imponeva lo stemma della casata nobile di Roccapietra, con la quale era imparentato: un monte con al centro uno zaffiro incastonato, conosciuto col nome di Cuore di Ghiaccio.

    Il vecchio preside li condusse in una sorta di stalla completamente vuota se non per un libro posato su un leggio che sembrava incoerente con il resto dell’ambiente.

    «Questo è il Libro dei Famigli, una delle sacre reliquie in grado di evocare qualunque animale vi sia rappresentato. Non appena lo avrai scelto, si materializzerà di fronte a te. Tu e lui condividerete l’anima, ma non il corpo. Le sensazioni, ma non i sentimenti. La vita, ma non la morte.»

    Arcadius sembrò soffermarsi più lungamente sull’ultimo passaggio, quasi con nostalgia, e Yrick si chiese quando avesse perso il proprio famiglio. Suo zio, invece, non aveva mai avuto il diritto ad averne uno: non aveva mai passato l’esame perché era stato espulso.

    Il preside quindi concluse: «Ora, fai la tua scelta. Non essere condizionato da nulla».

    Arcadius sembrava sapere che lo zio gli aveva consigliato un Cavallo della Tempesta, da come lo aveva guardato. Dopotutto, era un esperto di Divinazione.

    Yrick iniziò a sfogliare il tomo, c’erano animali incredibili, spiritelli, elementali o persino draghetti. E c’era il Cavallo Tempestoso: un nobilissimo equino in grado di correre sulle nuvole. Stava per sceglierlo, quando un altro animale attirò la sua attenzione.

    «La mia scelta è compiuta. Il mio famiglio sarà un Falco della Nebbia.»

    Non appena lo disse, in un lampo di luce uno splendido esemplare si materializzò proprio sopra la sua spalla. Il manto piumato dell’animale era un vortice di grigio, nero e bianco, il becco ricurvo si stagliava sotto due occhi simili a monete d’oro.

    Una voce risuonò nella testa di Yrick: Io sono Dedalo.

    2

    La giornata era iniziata piuttosto bene per il ladro. Non solo era riuscito a svaligiare un’erboristeria, ma era anche riuscito a non far esplodere nulla con il bottino. Almeno per ora.

    Hoppip, meglio conosciuto con il nome molto più inquietante da lui divulgato dell'Oscuro, se ne stava a miscelare mandragola e zafferano nel suo calderone per creare una nuova pozione, possibilmente non esplosiva.

    Era un giovane halfling di famiglia povera, datosi al crimine per saziare la sua terribile madre e la sorellina Hilda.

    La sua vera passione era tuttavia l’alchimia sperimentale, come la chiamava lui, o autolesionista, come la chiamavano gli altri. La sua altezza era discreta per la sua razza: raggiungeva persino il metro. Infatti, gli halfling, ormai poco numerosi in quelle terre, assomigliavano a degli uomini in scala ridotta, ma avevano le orecchie a punta leggermente più tonde degli elfi e l’andatura un po’ più goffa dei nani. I più malvagi li definivano: «il brutto risultato di un’antica serata di festa collettiva».

    Hoppip indossava una maschera che gli copriva il volto, danneggiato e maledetto da una miscela di Orripilanza di sua creazione che si era scaldata un po’ troppo. Chiunque lo guardasse in faccia non avrebbe potuto trattenersi dalla paura o dal disgusto. Per questo motivo aveva dovuto rinunciare alla carriera di truffatore per darsi a quella di topo d’appartamento e di ladro.

    Non poteva però lamentarsi della sua maschera: nera come la notte, gli copriva interamente il volto, lasciando scoperti solo gli zigomi e gli occhi, facendolo apparire ben più inquietante di qualsiasi altro halfling. Nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la bocca era disegnato un ghigno di denti bianchi. La maschera era poi vincolata a un cappuccio di maglia anch’esso nero. Non per niente, si faceva chiamare l'Oscuro. 

    Un campanile risuonò in lontananza. Le dieci di sera. Tempo di smettere di giocare e cominciare a lavorare.

    Prese un paio di pozioni fumogene, una esplosiva e una etichettata originalmente come ??? e di cui non coniosceva nemmeno l’effetto, ma era come un portafortuna: non era mai stato visto quando la portava con sé. Era tempo di agire.

    La destinazione questa volta sarebbe stata impegnativa, ma quel tizio con il bastone a teschio aveva promesso ingenti ricompense in caso di successo. Doveva rubare il Libro dei Famigli in una scuola di magia.

    Non era mai stato impressionato dai maghi, da trucchetti del tipo Puff, e sparisco! ma doveva ammettere che una pala magica o qualsiasi altra diavoleria gli sarebbe stata piuttosto utile per entrare là dentro.

    Si era immaginato un castello su un lago, una fortezza stile Abracadabra Ma Che Meraviglia, ma la scuola non era niente di tutto ciò. Si trattava di una torre circolare con l’ingresso sopraelevato e una maniglia nel muro, ma la cosa più strana erano le dimensioni. La sua casa di campagna era forse più grande. Quell’edificio si estendeva al massimo per dieci metri quadrati, in modo da sembrare una comune catapecchia di città. Di sicuro qualche incantesimo permanente consentiva di distorcerne la reale estensione.

    «E adesso?» si chiese. «Come si entra?»

    Passando molto tempo in solitudine aveva iniziato a parlare da solo. Temeva il momento in cui avrebbe iniziato anche a rispondersi.

    Decise di provare alcune parole magiche chiave.

    «Apriti Sesamo? Niente. Alacadabrunetta? Non va. Tre salti in pentola?»

    «Potresti star qui fino a domani mattina. Non fare scherzi e tira giù quella maschera.»

    Non era stato lui stesso a rispondersi, ne era certo. Un mago all’incirca della sua età gli era comparso alle spalle senza che se ne accorgesse. Peggio per lui.

    «Credimi, amico, non ti conviene attaccarmi. Sono mooolto cattivo. Se mi tolgo la maschera, tu morirai.»

    E stette lì ad aspettarsi la replica. Nonostante l'Oscuro non volesse assolutamente levarsi la maschera, finiva sempre che lo sfidavano a farlo.

    Invece il mago rispose: «D’accordo, tieniti pure la maschera».

    Solo allora l'Oscuro notò il falco che stava appollaiato sulla spalla dell’incantatore: un Falco della Nebbia. La Foschia Occultante che aveva usato per nascondersi nulla poteva di fronte a un famiglio come quello. Agì con destrezza, estrasse il coltello e gettò una pozione fumogena contro l’umano.

    Yrick capì troppo tardi quello che stava succedendo e si ritrovò con un coltello alla gola prima di poter scagliare un incantesimo qualsiasi.

    «Fine della corsa Merlinetto, mi hai facilitato il lavoro. Aprimi questa porta e conducimi al Libro dei Famigli.»

    Nel buio della notte si udì lʼurlo di una voce familiare, subito dopo l'Oscuro fu colpito in testa da una clava molto grossa, soprattutto per un halfling. 

    «Ladro brutto no uccide mago amico» disse allegramente Grog.

    Il giorno successivo, l'Oscuro si risvegliò legato e caricato su un cavallo a mo’ di salame, con un orco che camminava di fianco a lui. Non appena lo vide, il ladro strillò un’ottava più acuta del dovuto.

    «Buongiorno caro ladruncolo, passata una buona nottata? Sono già le undici del mattino e non ho potuto aspettare il tuo risveglio per partire. Spero che non ti dispiaccia. Io mi chiamo Yrick e sono un mago. Il tuo nome invece?»

    «L'Oscuro» sbottò.

    «Bene, Oscuro, sappi che Grog ieri ti ha quasi ucciso. Sono dovuto passare da un chierico della luce di mia conoscenza per tenerti intero e mi sei costato parecchi soldi.»

    «E perché l’avresti fatto? E ieri non avevi gli occhi azzurri? Perché ora sono marroni?»

    Yrick trattenne a stento una smorfia. Di nuovo quel problema, due volte in due giorni. Non uccideva e lasciava trasparire i suoi sentimenti. Tuttavia rispose: «Mi sarai utile e le domande le faccio io. Per iniziare: cosa se ne fa un ladro del Libro dei Famigli? Non puoi mentirmi».

    Con sgomento, l'Oscuro si accorse che era vero: come avrebbe potuto ingannare una così bella voce?

    «Un tizio mi ha promesso molto denaro in cambio.»

    «Descrivilo.»

    «Era un umano sui venticinque anni che portava con sé uno scettro terminante in un teschio. Era accompagnato da tre zombie e da una ragazza niente male. Non ha voluto rivelarmi il suo nome, né il motivo per il quale gli servisse il libro. Mi ha dato solo le informazioni necessarie. E i soldi, ovviamente.»

    «Un chierico oscuro che si interessa di magia arcana…» disse Yrick parlando tra sé e sé, poi si rivolse di nuovo al ladro. «Anch’io posso offrirti una cospicua ricompensa se mi seguirai senza fare scherzi. Non ho zombie per minacciarti, ma penso che i miei fulmini e Grog possano essere abbastanza convincenti.»

    Grog chiese: «Ladro brutto diventa ladro brutto amico?».

    L'Oscuro finse di pensarci qualche secondo, poi rispose: «Il fantastico ladro diventa fantastico ladro amico, ma tu tieni quella clava lontano da me! Dove siamo diretti?».

    Yrick gli rivolse un mezzo sorriso: «A ingaggiare un assassino della gilda di Rakmir, nella città di Tordor».

    L'Oscuro sbiancò dietro la maschera. «Quelli mi vogliono uccidere! Sono ancora in tempo per ritirarmi?»

    «Troppo tardi.»

    «Almeno posso essere slegato?»

    «Grog, slegalo.»

    E con un acuto da soprano, il ladro fu liberato dalle corde e rimesso sul cavallo. Dalla parte sbagliata.

    3

    «Ti prego, posso pagarti, ho soldi e potere! Non uccidermi!»

    «Tutte le volte la stessa storia.»

    Erynil tagliò la gola al mercante di pergamene. Il mese era poco oltre la metà, e lei era già al cinquantatreesimo omicidio. Era la migliore della gilda, nessuno lo metteva in dubbio.

    Da quando era nata, centododici anni prima, era sempre vissuta con i Rakmir. O almeno, così ricordava. Aveva affinato le sue tecniche fino a diventare silenziosa e letale quanto un’ombra.

    Essendo un’elfa, era attratta dalla magia, e questo mercante possedeva un bel mucchio di pergamene interessanti.

    Eccola: incantesimo del teletrasporto, un importante tassello per lei. La aprì, ma con sconforto notò che era scritta in una lingua incomprensibile. Elfico. Fece una smorfia.

    Ancora una volta maledisse mentalmente la sua razza. Tutti nella gilda la chiamavano «l’elfa», anche se per lei non significava nulla. Era sempre vissuta con gli umani, per questo motivo considerava come differenze tra le due razze solamente le orecchie a punta e la longevità. Bel dono vedere i propri compagni invecchiare e morire rimanendo sempre perfetti e immutabili. Perfetto. Tutto avrebbe definito perfetto meno che se stessa.

    Gli altri la elogiavano sempre: «Erynil qui, Erynil là». Tutti ipocriti. In realtà la consideravano una splendida elfa con i capelli rossi buona solo a uccidere. D’altro canto, come dare loro torto? 

    Sospirò immersa in questi pensieri e ripulì la scena del crimine. Un lavoro perfetto, di nuovo. La guardia reale non avrebbe neanche notato i cinque cadaveri dei soldati uccisi e quello del mercante. In pochi minuti tutto era sparito, a eccezione dei falsi indizi indicanti la fuga dal paese del mercante; in questo modo avrebbero pensato che fosse un truffatore e avrebbero inseguito un fantasma. Era tempo di tornare alla gilda.

    Discesa nei sotterranei della città, bussò tre volte contro un muro e attese. Poco dopo, un cigolio metallico le indicò che il meccanismo di sorveglianza era disattivato. Tordor era piena di questi passaggi, all’incirca uno ogni isolato, ma quello era il suo personale e le permetteva di raggiungere il Nucleo, il quartier generale dei Rakmir, in pochi minuti.

    Era lì che teneva i suoi libri magici, la sua più grande passione. Spesso rubava interi volumi dalle biblioteche, altre volte solo le pagine riguardanti l’Illusione e la Tenebra.

    Nel corso degli anni aveva tentato di affinare la sua magia, tuttavia, non avendo ricevuto alcuna istruzione su come farlo, aveva sviluppato una tecnica personale, ricavata dallo studio dei libri trafugati. Riusciva a teletrasportarsi a brevissima distanza, ma gran parte delle volte sbagliava direzione.

    Si sentiva attratta dall’arcano, ma allo stesso tempo sapeva di non averne il pieno controllo e non poteva rischiare di compromettere le missioni per un errore.

    Depose la pergamena nel suo nascondiglio e avanzò verso il Nucleo.

    «Erynil, hai concluso la missione?»

    Arahan, il capo della gilda, la osservava dal suo trono personale: un palo alto due metri sul quale stava in equilibrio su una gamba. Sosteneva che star seduti non fosse allenante per i riflessi.

    «Sì, Arahan, il mercante è deceduto assieme alle sue guardie e la giustizia non sospetterà nulla.»

    In due secondi il capo le fu alle spalle, ma lei non si fece impressionare. Aveva molta più esperienza dell’umano, in più era stata lei ad appoggiare la sua elezione come leader. Erynil non voleva il comando, voleva essere libera, e ogni volta che le avevano proposto il trono aveva rifiutato.

    Arahan invece era la scelta migliore per comandare, o tutt'al più, la meno peggiore. Aveva un ottimo fiuto per gli affari ed era sufficientemente carismatico per prevenire rivolte interne. Tuttavia, come ogni altra persona lì dentro, si occupava esclusivamente del proprio interesse personale. Era solo un altro che si approfittava della sua bravura.

    L’unica differenza rispetto agli altri: Arahan sembrava avere compassione

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