Anche fare il nonno è un mestiere
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Anteprima del libro
Anche fare il nonno è un mestiere - Alvaro Collini
CAPITOLO PRIMO
Nei primi mesi di vita, Principessa aveva più bisogno della mamma. In quella fase il mio contributo è stato molto ridotto, se non per disattendere i consigli del pediatra e viziarla prendendola tra le mie braccia.
Era un piacere poter giocare con lei, conversare, ascoltare le sue domande. I bambini possono essere imprevedibili e capaci di metterti in difficoltà.
In qualità di nonno mi imposi anche un regolamento da rispettare: con Principessa sarei stato sempre sincero, mantenendo ogni promessa che le avrei fatto!
Quando ha cominciato a muoversi a gattoni per la stanza, ho avvertito che il mio rapporto con lei stava crescendo. Sapeva riconoscermi e rispondeva ai miei primi ruvidi segnali di comunicazione. Anche la mia voce si trasformava e ne usciva una dissonanza di suoni gutturali. Inconsciamente mi stavo adattando a lei e non mi sentivo per niente ridicolo.
Giocavamo con qualche peluche o con le prime semplici costruzioni della Lego. Principessa si divertiva a distruggere e, poi, mi regalava i primi sorrisi.
Il suo pupazzo preferito era un gattino bianco con qualche macchia nera a cui io donavo un verso, un movimento, una carica esplosiva di tenerezza.
Un pomeriggio, del tutto per caso, cominciai a inventare o, meglio, improvvisare, una storia che legasse i pupazzi, che stavano aumentando di numero, per farli diventare dei veri attori di un immaginario teatrino che ruotava intorno alla mia piccola Principessa. Subito, con grande stupore, mi resi conto che il racconto, narrato con la voce che si trasformava nei toni a secondo dei personaggi, era un’attrazione più grande di un qualsiasi giocattolo.
Il suo volto sembrava rapito, immerso tra i peluche, e i suoi occhi che mi fissavano con meraviglia.
Questa nuova scoperta nel rapporto con Principessa mi suggerì di aggiungere un nuovo comma al mio regolamento: evitare di darle il telecomando perché si mettesse davanti al televisore.
La penso in questo modo, forse, perché provengo da una generazione che i giochi se li costruiva con le proprie mani. Come un aquilone, un carrello con i cuscinetti a sfera per lanciarsi lungo qualche discesa, una collezione di figurine, una pista sulla sabbia o sulla terra battuta per poi fare il giro d’Italia con i coperchietti delle bibite dopo averci incollato all’interno la foto del ciclista campione preferito.
CAPITOLO SECONDO
Una mattina dinanzi a un nuovo peluche, precisamente a un cagnolino, l’ho anticipata dicendo: «Principessa, se ti va bene lo chiamerei Rudy».
Lei, dopo avermi guardato un po’ meravigliata, mi dice: «Ma è una femminuccia, non può chiamarsi Rudy. La chiamiamo Acqua Chiara».
«Davvero bello come nome» le rispondo, ma non voglio lasciarmi scappare quest’occasione per tentare di fare chiarezza. «Mi piace molto, però a me sembra un cagnolino, per questo ho pensato di chiamarlo Rudy. Poi, a pensarci bene, siamo circondati da tutte femminucce e io mi sento un po’ solo. Penso che gli altri animali abbiano piacere di giocare con un maschietto. Tu quando vai al parco, non giochi con tutti i bambini che ci sono, compresi i maschietti?»
Mi fermo e penso di essere stato troppo lungo nell’esposizione e di averle confuso le idee.
Mi guarda come volesse sincerarsi delle mie intenzioni e scoprire se la mia richiesta può essere accettata o respinta. Provavo la stessa sensazione a scuola in attesa del voto, quando dopo l’interrogazione l’insegnante tardava a pronunciarsi.
Il suo silenzio si prolunga e lei non distrae, per neanche un attimo, lo sguardo da me.
Mi rendo conto che è furba, fa gioco sulla mia resistenza perché desista dalla richiesta. Finalmente si pronuncia: «Va bene, lo chiamiamo Rudy perché è un maschietto, ma è ancora piccolino».
Ci scambiamo un cinque, come sempre facciamo quando raggiungiamo un’intesa. Cominciamo a giocare e Rudy ha bisogno delle attenzioni della mamma e del sostegno di tutte le sue amiche femmine, ma sono molto fiducioso che ben presto diventerà grande, autosufficiente e avrà anche lui le sue richieste da avanzare.
In casa mia, Principessa comincia a scoprire gli oggetti appoggiati sui ripiani della libreria, sopra ai mobili e sulla scrivania.
Accompagna ogni scoperta con mille domande: «Cos’è? Lo posso vedere? Lo posso tenere in mano?… Questo sì che è proprio bello».
In pratica, è attratta da tutto quello che riesce a inquadrare.Per le cose che si trovano a portata di mano la tentazione di prenderle è molto più forte e, per questo, sono le prime a essere oggetto della sua curiosità e attenzione. Ovviamente sono anche le meno delicate, il barattolo delle penne sulla scrivania, il computer, qualche ricordo di una vacanza, e quindi non sono un pericolo.
Più in alto, invece, si trovano le cose di maggior riguardo, come lo stereo, i dischi in vinile, i cd, molti libri, qualche soprammobile di cristallo e alcune ceramiche. Infine la mia collezione di sfere di vetro con la neve, che all’interno hanno qualcosa che ricorda le città dove sono state acquistate, come la Torre Eiffel, una gondola, il Vesuvio, una cattedrale, una piramide e così via. Ne conto circa centocinquanta, poste in otto ripiani.
Non sono stato in tutte queste città, ci mancherebbe! In me non è innata la voglia di viaggiare, ma gli amici, sapendo della mia collezione, al ritorno da un viaggio mi portano sempre una sfera di neve.
Così me ne hanno portate anche dalla Cina, dal Cairo, dalla Spagna, da Cuba, da Tokyo, dall’Inghilterra, dalla Polonia…
A volte, mi sono state regalate persino da amici di amici,
persone che non conosco direttamente ma a cui era stata chiesta questa specie di catena di solidarietà.
Di questa collezione, come per tutto quello che associo a momenti particolari della mia vita, sono un po’ geloso, per non dire di peggio.
Per esempio non ho mai prestato a nessuno un libro da leggere; e non per la paura che, come spesso accade, non faccia ritorno, soltanto non ho mai accettato che qualcun altro lo possa tenere in mano, sfogliare le pagine, magari inumidendo le dita sulle labbra per girarle meglio. Lo stesso per i dischi: ho la netta sensazione che poi non suoni più bene, come se le puntine per il vinile o i laser per i cd altrui li avessero rovinati.
Figuriamoci la mia collezione di palle di neve!
Persino la pulizia dalla polvere, di tanto in tanto, la faccio solo io con un pennello particolare perché non mi fido degli altri.
Principessa, con tutta la sua dolcezza e lo stupore della prima volta, un giorno mi chiede con lentezza, sillabando le parole: «Bel-li-ne, posso prenderne in mano una?».
Prima o poi doveva arrivare questa domanda ma, al momento, non sono ancora preparato. Normale trovarsi a disagio e balbettare qualcosa cercando di essere credibile. Qualcosa come: «Vedi Principessa, queste palle di neve sono molte delicate. Basta poco che una ti scivoli dalle mani e cadendo per terra si rompa, proprio perché è di vetro. Poi esce l’acqua sul pavimento e tutta la neve si scioglie. La palla non si aggiusta più. I vetri per terra possono procurare un taglietto nella mano nel raccoglierli o ferire un piedino se si è scalzi. Vedi, è anche un po’ pericoloso».
In realtà non si è verificato niente di tutto questo! Nemmeno l’ho pensato un istante e non ho avuto nessun dubbio né la minima esitazione.
Scelgo la più bella, la rovescio e poi le faccio vedere l’effetto della neve che scende sulla torre Eiffel.
La sua curiosità schizza alle stelle e rimane a fissarla con la bocca spalancata, come paralizzata dallo stupore.
Prima che si possa riprendere, anticipo di un attimo la sua scontata domanda. Sistemo la palla di vetro nelle sue manine già pronte e, senza metterle ansia, le dico: «Rovesciala lentamente, aspetta un po’ e poi girala, e guardiamo la neve scendere come magia».
Principessa esegue tutto alla perfezione, poi riprova e ancora ripete. Dimostra molta attenzione e sicurezza. La mia contentezza non è per lo scampato pericolo, ma nel vedere la sua gioia.
Questo è il fascino che procura una semplice palla di vetro piena d’acqua, un modellino di una torre e un po’ di gesso per l’effetto neve. Si può sognare, si può volare, si può sentire il freddo e può essere anche Natale.
Questa è la vera forza di Principessa, che ha appena avuto dal nonno il permesso di toccare la sua collezione, cosa che lui ha sempre negato con fermezza agli adulti.
CAPITOLO TERZO
La primavera, come tutte le stagioni, ha il suo fascino: dopo il freddo dell’inverno l’aria si mitiga un po’, le giornate si allungano sensibilmente e il piumino, il giubbotto più pesante e la sciarpa di lana ritornano nell’armadio.
Si sente il bisogno di uscire, di rimanere all’aria aperta, di fare un pieno di energia appena il sole lo permette.
Certo che, ogni tanto, un acquazzone frena l’entusiasmo anche per qualche giorno, ma poi c’è sempre all’orizzonte un bellissimo arcobaleno.
«Nonno, guarda il cielo davanti a noi, perché c’è una striscia così lunga e colorata?»
Alzo gli occhi e scopro quello che lei ha appena visto.
«Andiamo vicino per vedere meglio, dai nonno!» incalza subito Principessa, e, per essere più incisiva e convincente, ripete: «Dai nonno, andiamo vicino per vedere meglio.»
«È l’arcobaleno» le rispondo, e subito accosto la macchina sulla destra della strada, davanti al cancello di un’abitazione, per scendere e poterlo ammirare senza correre rischi di disattenzione alla guida.
Cerco di incuriosirla, invitandola a riconoscere i colori che distingue meglio. In verità, tergiverso solo per mettere insieme una risposta che sia appena un po’ credibile e soddisfi la sua curiosità per questa nuova scoperta.
Non è che cerco le parole giuste per essere comprensibile, soltanto non so dare una spiegazione tecnica perché neppure io ho la minima conoscenza del fenomeno. Nemmeno mi viene in aiuto la memoria, ricordandomi qualche stralcio di spiegazione durante gli anni della scuola.
Il vero motivo è che non ero appassionato a questa materia, né tantomeno la mia curiosità mi ha mai spinto oltre.
Invece di dare una spiegazione tecnica a cose del genere, ho sempre preferito, sia da piccolo che da grande, credere alla magia delle stelle e della luna, fantasticare su dove il sole nasce e poi la sera va a dormire, pensare che la pioggia scende semplicemente dalle nuvole per annaffiare la terra, che la luce della luna è solo più soffusa del sole per farci riposare meglio.
Da nonno, ora, vorrei saper trovare una risposta che la possa soddisfare.
Mi piacerebbe, in questo istante, poterla accompagnare non vicino all’arcobaleno, come Principessa ha appena chiesto, ma sopra per poterlo cavalcare!
Spesso mi capita di pormi delle domande a seguito di una qualsiasi riflessione e poi cercare di trovare una risposta che mi dia pieno appagamento.
Mi chiedo se il mio attaccamento a Principessa sia per colmare qualche vuoto o per il bisogno di riempire il mio tempo. Assolutamente niente di tutto questo. Non ho motivo di aggrapparmi a lei per distrarmi da qualcosa che mi fa star male. Con questo non vorrei sembrare il ritratto della felicità, che coincide nel mio giudizio personale a quello del cretino, semplicemente, un po’ come tutti, penso di percorrere la mia vita in pianura con comode scarpe. A volte