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Homburg: L'ora dell'amore
Homburg: L'ora dell'amore
Homburg: L'ora dell'amore
E-book264 pagine3 ore

Homburg: L'ora dell'amore

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Info su questo ebook

Roberto, da poco in pensione, decide di cambiare radicalmente la propria vita, così vende la sua casa e si trasferisce in un piccolo e isolato borgo sul mare, poco distante da Milano Marittima. Trascorre la maggior parte del tempo a passeggiare sulla spiaggia guardando l’orizzonte ed è proprio durante uno di questi momenti che incontra Valentina, il suo primo amore. La loro storia era durata due anni per poi terminare per volontà di Roberto a seguito del trasferimento della ragazza. Negli anni le loro vite sono cambiate: lui non si è mai sposato e vive ancora solo, mentre lei ha avuto due figlie e da poco è rimasta vedova. Dopo il loro casuale incontro sulla spiaggia, tra i due nasce di nuovo una forte attrazione e un intenso sentimento: forse il destino ha riservato loro una seconda occasione.
LinguaItaliano
Data di uscita14 ago 2020
ISBN9788863939996
Homburg: L'ora dell'amore

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    Anteprima del libro

    Homburg - Alvaro Collini

    Prologo

    Il romanzo che state per leggere è una storia dentro una storia.

    Questa affermazione non è un rebus da risolvere o qualcosa di complicato da spiegare, ma è soltanto un chiarimento per raccontare come mi sono avvicinato alla stesura di queste pagine.

    Parla di un uomo che, arrivato all’età della pensione grazie al raggiungimento dei trentacinque anni contributivi – la legge Fornero non era ancora entrata in vigore –, decide di iniziare un nuovo percorso di vita a partire dal cambio di residenza. Sceglie una casa davanti al mare, di cui è sempre stato innamorato. Per lui il mare non rappresenta il sogno di navigare, né quello di intraprendere il mestiere del pescatore, né tantomeno il piacere di vivere come in una lunga vacanza godendosi il caldo, il sole, l’abbronzatura e tutto il piacere di un bagno rinfrescante. Questo è ciò che attrae chi sogna di viaggiare o vivere per lunghi periodi dell’anno – specie nei mesi invernali – in luoghi spiccatamente turistici come Cuba, le isole Canarie, Sharm el-Sheik, le Maldive o Mauritius. Per lui il mare non è niente di tutto questo, bensì qualcosa da guardare, osservare con attenzione per cogliere ogni particolare e ogni sfumatura.

    Il mare è riempire i polmoni di brezza, odorare il profumo, distinguere i colori che cambiano per una forte mareggiata o la dolcezza dell’acqua calma sotto un cielo azzurro, provare tenerezza per la ritrosia che dimostra quando si ritira per la bassa marea. Godersi lo spettacolo e la meraviglia di un’alba. Ascoltare i suoni emessi dalle onde quando si infrangono sulla riva, prestando attenzione ai pericoli nascosti nel garbino, quando l’apparente calma spinge sempre più al largo lo sprovveduto che si lascia cullare sopra un lettino gonfiabile.

    Il mare è la sorpresa negli occhi di un bambino che lo guarda per la prima volta e nasconde anche la paura davanti all’immensità dell’acqua.

    Il mare resta anche lo stupore di uno spazio che non trova confini, e che solo i nostri occhi identificano nell’orizzonte. Il mare, agli occhi del protagonista, è tutto questo. È una ricerca, quasi un dialogo continuo fatto di domande e risposte, che si unisce al bisogno di tranquillità e di serenità con se stesso. Un po’ come accade al vero amante dell’arte, che si sofferma più volte in una galleria per ammirare un quadro e recepisce ogni volta sensazioni nuove, anche solo per la luce più o meno intensa che arriva da una finestra. Non è il mercante che compera un’opera solo come investimento, per poi rivenderla alla migliore occasione. Non è l’anonimo turista che durante una gita organizzata visita un museo, forse per la prima e unica volta, seguendo una guida che parla, parla e alla quale nessuno presta la minima attenzione.

    Questa visione del mare non ha nulla a che vedere con le spiagge affollate o alla moda fitte di sofisticati ombrelloni, lettini, bar sempre pronti a shakerare cocktail e i più strani drink dell’estate, che non sono altro che un’opportunità sfruttata da abili imprenditori per attirare i turisti e circondarli di attenzioni, senza concedere tregua, con animazioni spesso chiassose sia sulla spiaggia sia in acqua.

    Il mare del protagonista di questo romanzo è una piccolissima striscia di spiaggia rimasta in disparte, forse per qualche problema burocratico del Comune, del demanio o di qualche proprietà che ancora non ha il permesso di trasformare questa ridottissima oasi di tranquillità in un’occasione di business.

    In questo rapporto di amore con il mare, vissuto quotidianamente e in tutte le stagioni dell’anno, si intreccia una mattina, ormai alle porte dell’estate, un incontro del tutto casuale con una bellissima signora che mette a dura prova i suoi ricordi, la sua vita, le sue scelte, i suoi dubbi, le sue domande, le sue certezze, le sue emozioni. Chi è questa signora? Le due storie proseguono di pari passo, si confondono in un tutt’uno senza contrastarsi. Cambieranno il futuro?

    Capitolo uno

    Da quando la primavera è iniziata non si è visto alcun miglioramento nel clima, tanto che la nuova stagione sembra un prolungamento dell’inverno, fatto di giornate grigie, molto fredde e lungamente piovose.

    Manca solo la neve, che però quest’anno non è arrivata.

    All’improvviso, nella seconda metà di maggio la temperatura sale fino a venticinque gradi per buona parte della giornata.

    Come sempre ci troviamo impreparati e continuiamo a indossare i panni invernali, eliminando magari il maglione di lana e sostituendo al piumino un giubbotto più leggero. Ma il disagio resta.

    Io mi ritrovo con i soliti jeans sbiaditi, una maglietta blu a girocollo di cotone su cui indosso una camicia di jeans completamente aperta, con le maniche arrotolate fin sopra ai gomiti. Ai piedi indosso i consueti scarponcini di camoscio. Non ho cambiato molto i miei abiti, a parte il giubbotto.

    Sono seduto sulla spiaggia con la schiena appoggiata alla parete di un vecchio stabilimento da anni in disuso e guardo il mare.

    La sabbia non è fredda, così mi sono messo a piedi nudi e il sole che batte mi procura una piacevole sensazione. Raccolgo un pugno di sabbia nella mano e lo lascio scivolare molto lentamente, come all’interno di una clessidra. Decido io che il tempo non corra in fretta: voglio godere di questo momento di piacere.

    Da alcuni anni abito in una vecchia casa proprio alle mie spalle, sul lato mare della strada, e tutto questo mi è abituale. Molto spesso alla mattina o nelle prime ore del pomeriggio, subito dopo il pranzo, mi attardo a oziare sulla spiaggia.

    Che questa mattina non ci sia nessuno, nonostante ci sia bel tempo e sia sabato, è del tutto normale. Questo lembo di spiaggia non è mai frequentato, perché non ha stabilimenti e quindi è spoglio di servizi e di bar. Non è nemmeno una striscia di spiaggia libera che il Comune deve lasciare a disposizione e tenere pulita, per intervallare gli stabilimenti balneari: è semplicemente un angolo non frequentato, quindi dimenticato e trascurato da tutti.

    È facile trovare arbusti che crescono selvaggi o qualche rifiuto lasciato dal mare. Per questo all’apparenza è molto selvaggia, ma piena di fascino.

    Chi abita in questo angolo un po’ fuori dal centro urbano, o chi durante il periodo estivo prende in affitto le rarissime case che ci sono, lo fa per il basso costo. Basta poi spostarsi, anche con una vecchia bici, e in pochi minuti si raggiunge il litorale più alla moda di Milano Marittima.

    Le poche persone che attraversano questa spiaggia quasi dimenticata di solito accompagnano il cane per la passeggiata. A volte si può incontrare qualche inarrestabile ricercatore di metalli o qualcuno in compagnia che ha bisogno di rimanere nascosto da sguardi curiosi o incontri non desiderati.

    Una di queste mattine i miei piacevoli e abituali rituali sono stati interrotti da qualcosa di assolutamente nuovo e inaspettato.

    Il mare è di una calma assoluta. Le piccole ondine che si infrangono a riva sono talmente prive di forza che non riescono a trasmettere quel delicato e particolare suono.

    La tentazione di mettere i piedi nell’acqua per il solo piacere di sentire un contatto si fa sempre più forte.

    Mi alzo, mi avvicino e il primo impatto con l’acqua fredda – anche se mi mozza un po’ il respiro – non frena l’emozione di sentire la sabbia che scivola sotto i piedi.

    Il silenzio che mi circonda, lontano da tutti e dai soliti rumori della città, non mi appare mai come una morsa di solitudine. L’assenza di persone, che possono essere a volte maleducate o che cercano la stessa tranquillità, mi fa sentire padrone di uno spazio tutto mio.

    Questo mi aiuta ad ascoltare e leggere tutte le mie emozioni, a cui per troppi anni sono rimasto sordo o poco attento.

    Davanti ho tutto il mare, nella sua infinita grandezza, e alle spalle poche case molto vecchie, con l’aspetto tipico degli edifici che non sono mai stati oggetto di una minima manutenzione e che appaiono quindi ancora più malandati di quanto siano in realtà, come i volti delle poche persone che ancora resistono ad abitare in questa strana parte di mondo.

    Anche le macchine sono tanto rare che è facile contarle, dato che la strada che passa solo all’interno di questo piccolo borgo è ancora sterrata e rientra nella statale molto più in là.

    Rimango fermo a guardare il mare, incurante dell’acqua che ha bagnato l’orlo dei jeans.

    Ogni volta mi sorprendo notando che il mare di oggi non somiglia al mare del giorno prima, a volte per il colore del sole che lo illumina, a volte per le onde, altre per le correnti che spingono le stesse ora destra ora a sinistra, a volte per la sua calma che anticipa una mareggiata.

    Oggi sembra che il mare voglia riposare e godersi il sole dopo il freddo dell’inverno.

    Altre volte, per l’effetto della bassa marea, l’acqua si ritira come volesse vergognarsi di qualcosa oppure offrirci lo spettacolo dei tanti isolotti che solo la fantasia di un bambino riesce ad arricchire di sorprese tutte da scoprire.

    Immerso in questo paradiso immaginario, mentre mi giro per ritornare al mio spazio di spiaggia, vedo alla mia destra, verso la zona dei bagni, una signora con un cane accanto che cammina nella mia direzione.

    La distanza non mi permette di vederla in volto. I capelli di media lunghezza ondeggiano per i movimenti naturali della testa.

    Veste un paio di pantaloni, un maglioncino o una maglietta di color azzurro. Il cane, che di tanto in tanto si allontana e corre libero, non può essere al guinzaglio.

    L’incontro può sembrare del tutto normale, insignificante, ma questa volta la curiosità mi spinge a tergiversare e senza una spiegazione sento di voler aspettare che la distanza tra noi si riduca. Ammesso che mi si avvicini e non preferisca fare ritorno, per non avventurarsi in una parte di spiaggia troppo abbandonata, magari preoccupata per la possibilità di incontrare qualcuno che la cronaca nera, che ogni giorno ci lava il cervello, suggerisce di evitare.

    Cerco di rimanere spontaneo e di comportarmi come faccio abitualmente quando ogni giorno vengo a salutare il mare, o come quando mi fermo nella tarda mattinata a parlare con qualche vecchio che incontro con le buste della spesa.

    Il mio muovermi è studiato per ingannare l’attesa.

    Fingo di essere intento a cercare conchiglie, ogni tanto mi abbasso per raccoglierne una, lavarla e poi lasciarla perché non mi appartiene.

    Ho anche simulato con il cellulare lo scatto di qualche foto.

    Tutto questo per tranquillizzare a distanza la donna, facendole capire che le mie intenzioni non sono sospette. Senza farmi scoprire osservo se continua a camminare nella mia direzione o se invece, titubante, ha già fatto ritorno.

    Penso anche che il cane, di grossa taglia, le dovrebbe garantire una certa sicurezza nel proseguire la sua passeggiata.

    Forse anche lei sta cercando solo un po’ di tranquillità.

    Forse non immagina assolutamente nulla di tutti questi miei pensieri e cerca semplicemente di approfittare di questo spazio.

    Ormai la vicinanza mi permette di vederla in viso, di apprezzare la dolcezza dei suoi lineamenti, di scoprire l’eleganza del suo portamento e di ammettere che, nonostante l’età non più giovane, sprigiona un suo fascino particolare.

    Di sicuro doveva essere stata una bellissima ragazza. Anche il suo modo di camminare ricorda la postura di un’indossatrice, e il maglioncino azzurro abbinato al biondo dei capelli la rende ancora più graziosa.

    Mi accorgo di aver girato le spalle al mare e rimango a guardare il suo viso in questi ultimi metri in cui ancora posso averlo davanti agli occhi.

    La curiosità è forte, ma non voglio metterla in imbarazzo e sentirmi apostrofare con qualche espressione che rimarchi la mia insistenza un po’ grossolana e fuori luogo.

    Tutto, di lei, mi ricorda qualcosa, ma non riesco a fare nessun collegamento.

    Non mi sento padrone di gestire il mio disagio e continuo a guardarla.

    Ho persino la sensazione che anche lei mi stia guardando, e che i nostri occhi siano nella stessa direzione e alla stessa altezza.

    Nessuno dei due sembra cedere all’imbarazzo ed entrambi ci stiamo interrogando con violenza per trovare una risposta.

    Chi è questa signora? Chi mi ricorda? Da dove arriva tutta questa curiosità non pettegola, che vuole solo capire e dare un significato a questa improvvisa emozione?

    I pochissimi metri che ci separano mi rendono estraneo a questa spiaggia come un perfetto e disinteressato sconosciuto, ogni piccola parte del mio corpo è alla ricerca di un riferimento che mi permetta di collocare questa persona.

    Ora siamo l’uno davanti all’altra.

    Il nostro sguardo è ancora incrociato, e sembra una sfida a scoprire chi dei due cederà per primo.

    Ancora un passo e lei sarà alle mie spalle, e io rimarrò a guardarla con l’amarezza di non aver trovato una risposta.

    «Valentina?»

    Questo suono mi esce all’improvviso dalle labbra, senza l’intenzione di volerla chiamare, come se qualcun altro lo avesse pronunciato al posto mio.

    Ancora non trovo una ragione e non riesco a essere consapevole di quello che mi sta succedendo. Anche lei si ferma e tentenna un attimo prima di voltarsi.

    Sembra sorpresa di aver ascoltato quel nome. O forse è solo indecisa sull’opportunità di chiedermi, per gentilezza, se posso averla scambiata con un’altra persona.

    La prima frase che mi rivolge è: «Come fa a conoscere il mio nome?».

    In quell’attimo, solo per aver ascoltato la sua voce e aver avuto la certezza che la donna sia davvero Valentina, percepisco un senso di appagamento e, con meno disagio, le rispondo.

    «Valentina, che frequenta il liceo linguistico, studia violoncello al conservatorio e si lascia prendere in giro da me per non aver scelto uno strumento meno ingombrante, come il violino o il flauto?»

    La vedo allargare le braccia e spalancare gli occhi, incredula. E poi: «Roberto… Roberto! Com’è possibile? Ma quanti anni sono passati? Come hai fatto a riconoscermi?».

    Il cane si avvicina a lei, curioso o forse geloso della mia presenza. Lo accarezza e lo tranquillizza, e quello corre libero in disparte.

    «Non parliamo di quanti anni sono passati!» provo a uscire dall’imbarazzo della sorpresa per entrambi. «Piuttosto proviamo a raccontarci cosa abbiamo fatto o cosa ci è successo in questi anni.»

    Con evidente emozione Valentina prova a balbettare qualche parola e questa esitazione la rende ancora più interessante. Il lungo vuoto d’incanto sembra scomparire, come se l’avessi vista solo ieri.

    L’emozione, mista a stupore e incredulità, è tale che mi riesce difficile trovare un punto preciso da dove cominciare.

    «Roberto, fatti guardare piuttosto! A parte i capelli grigi, noto che non hai alcun segno di calvizie e hai mantenuto una splendida forma fisica. L’età non viaggia pari al tuo aspetto. Complimenti!»

    «Come mai ti trovi in questo posto così spartano? Per me è quasi casa mia, tanto che mi sento come se fossi l’unico proprietario.»

    «Sono qui con mia figlia, in agosto verrà in vacanza nelle vicinanze. È la prima volta da queste parti, quindi voleva rendersi conto di persona della situazione, senza fidarsi di Internet o di un’agenzia viaggi. Di solito va in vacanza a Forte dei Marmi, ma quest’anno si è decisa a cambiare e ha scelto il litorale romagnolo e in particolare Milano Marittima. Aveva bisogno di staccare per qualche giorno, così mi ha chiesto di accompagnarla a vedere il posto. Ho accettato volentieri, mi fa piacere condividere queste giornate insieme… Penso che ci sia qualcosa che la preoccupa, e che me ne voglia parlare. Siamo arrivate ieri sera. Immagino che tu possa capire quanto noi genitori ci rendiamo disponibili per i figli!»

    «Valentina, ti posso abbracciare? Non mi ricordo neanche se ci siamo dati la mano… anche se lo trovo un gesto così formale e distaccato.»

    Non segue nessuna risposta, ma vedo il suo volto riempirsi di un sorriso e di qualche piccolissima ruga che la segna a lato degli occhi, regalandole una dolcezza unica e sottile.

    Sento tutto il suo abbraccio, la testa che si appoggia di lato sotto il mio mento e i capelli che mi sfiorano le labbra. Mentre le sue mani mi accarezzano la schiena sopra alla camicia, con la stessa leggerezza la bacio sui capelli e poi in perfetta sintonia ci stacchiamo.

    «Non so quale e quanta possa essere la tua disponibilità in questi giorni» le chiedo con maggiore sicurezza, convinto di saper gestire questa inaspettata sorpresa. «Non voglio esserti d’intralcio, dato che sei qui con tua figlia, ma ho bisogno di riempire il vuoto di questi anni e di parlarti. Pensi che sarà possibile? Anzi, vista l’ora, perché non andiamo a pranzo qui vicino? C’è una trattoria dove fanno del buon pesce. Io ci vado spesso, è vicino casa e ho un buon rapporto con il proprietario. Ha pochissimi tavoli e una bellissima veranda proprio sulla spiaggia, vista mare. Per il cane non c’è nessuna difficoltà. Se vuoi, invita anche tua figlia. Decidi tu. Ma solo se la cosa ti fa piacere… non devi accettare solo per essere gentile.»

    «Roberto, anche tanti anni fa sottolineavi sempre la mia gentilezza, e vedo che continui a farlo anche dopo un periodo di assenza tanto lungo. Evidentemente è un particolare che ti è rimasto impresso. Mi fa piacere riempire il vuoto di tutti questi anni in cui non ci siamo frequentati, anche se…»

    La sua sospensione, per non concludere la frase, le fa abbassare gli occhi e arrossire. Non trovo sia il momento di mostrarmi curioso e fare domande. Con un sorriso cerco di spostare l’attenzione e le ricordo che ancora non mi ha dato risposta.

    Rimane in silenzio, mentre estrae dalla borsa il cellulare e cerca un numero.

    Mi sposto per non metterla a disagio, ma subito mi prende il braccio con l’altra mano e m’invita a rimanere.

    «Ciao, Roberta. Sono ancora in spiaggia con il cane… la bella giornata di sole mi ha distratta dall’orologio. Ho incontrato un amico di tanti anni fa, mi ha invitato a pranzo qui vicino per raccontarci qualcosa di tutto questo tempo. Mi farebbe piacere accettare, se per te non ci sono problemi… anzi, se vuoi unirti a noi, lui ha invitato anche te!»

    Dal sorriso di Valentina capisco che non ha trovato ostacoli o la minima perplessità. La sento aggiungere: «Roberta è stata molto contenta, ha capito che la cosa mi fa piacere. Per questa volta non verrà, ma mi ha chiesto di prometterle che, se ci sarà un’altra occasione, la inviterai di nuovo».

    Capitolo due

    Era il 1970. In qualsiasi bar ci si fermasse, si trovavano un calcio balilla, un flipper e un juke-box. Erano tre ingredienti indispensabili per attirare i giovani e farli restare, mentre i più anziani, seduti al tavolo con le carte in mano, si giocavano il caffè a Marafone.

    Il piano del tavolo era sempre appiccicoso e consumato dal tempo. Anche per giocare, spesso bisognava inumidire il pollice sulla lingua per far scivolare meglio le carte.

    Ai bordi del tavolo c’erano sempre evidenti segni di bruciatura lasciati dalle sigarette o qualche mezzo sigaro toscano. Altri preferivano tenerlo sempre appoggiato sulle labbra e lasciar cadere di tanto in tanto la cenere, buttandola poi a terra con il palmo della mano con naturale disinvoltura. Ancora si poteva fumare nei locali.

    Di tanto in tanto qualche parola gergale colorita accentuava l’errore del compagno di gioco, per l’ilarità di chi sedeva accanto.

    «Facile, per voi che vedete le carte di tutti, dire che non dovevo calare l’asso! Ma come potevo immaginare che al primo giro tagliasse con la briscola?» sbotta furioso il colpevole di turno.

    Quando la polemica cresceva, dai denti stretti usciva anche qualche bestemmia. Sono sempre stato sicuro che il

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