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Vite tagliate
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E-book209 pagine3 ore

Vite tagliate

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Info su questo ebook

Il lavoro in fabbrica e la solita routine: il treno coi pendolari che parlano di calcio, il cartellino da timbrare, il ritorno a casa da moglie e figlie, la domenica al mare, le preoccupazioni economiche, tutto vissuto sempre con grande dignità. Fino a quando la fabbrica viene venduta e un nuovo consiglio di amministrazione assume una figura manageriale. Cominciano così le paure, le incertezze sul proprio posto del lavoro, le prime «ristrutturazioni del personale», le prime assemblee sindacali e le prime agitazioni. Fino a un tragico epilogo…

Una lucida denuncia della vita straniante dei lavoratori al tempo della crisi, del consumismo e della precarietà.
LinguaItaliano
Data di uscita2 mag 2017
ISBN9788863937015
Vite tagliate

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    Anteprima del libro

    Vite tagliate - Alvaro Collini

    I

    Sono le sette e quindici e ho trovato posto a sedere. Strano, ma il fatto è che mancano gli studenti per lo sciopero degli insegnanti. Un percorso breve, appena ventitré chilometri, e poco meno di altri due da casa mia alla stazione – che, sotto il sole cocente o sotto la neve, faccio in bicicletta. È un treno locale, ma c’è solo una stazione prima di arrivare alla mia. Lo prendo ogni mattina alle sette e zeroquattro. Poi prendo un tram.

    Lavoro in fabbrica, alla Cisterne Italia. Costruiamo enormi cisterne che vendono in Italia e all’estero. Io sono entrato come operaio saldatore, avevo appena vent’anni. Oggi che ne ho quaranta sono saldatore specializzato e ho una busta paga di mille e quattrocento euro netti, con qualche straordinario.

    In treno, oltre agli studenti che oggi mancano, la maggior parte sono colleghi e operai che lavorano in altre fabbriche nelle vicinanze. Poi c’è una piccola rappresentanza di impiegati, insegnanti e viaggiatori occasionali.

    In treno si parla di tutto, a partire dalla cronaca del giorno. Adesso lo tsunami in Giappone e il problema della radioattività la fanno da padrone. Il referendum. Nucleare sì o nucleare no? I dubbi e la confusione sono gli stessi dell’informazione pubblica, e si scivola in politica. Il calcio. Ieri sera l’Inter ha vinto tre a due contro il Bayern Monaco, e ha passato il turno della Champions. Qualcuno legge il giornale e qualcuno seduto accanto sbircia un po’, come si faceva a scuola per copiare il compito in classe.

    Io preferisco starmene vicino al finestrino. Ascolto tutto con grande curiosità, ma non mi piace intervenire. Meglio stare in silenzio e guardare fuori le case e i campi coltivati a pesche e mele che scivolano via al contrario.

    Siamo arrivati. Ci dirigiamo verso il tram e intanto c’è chi si fuma una sigaretta a occhi chiusi – io non ho mai fumato, ma il piacere di quel momento deve essere paragonabile a fare pipì dopo averla trattenuta molto, penso.

    Il tram ferma proprio davanti all’enorme cancello grigio della fabbrica.

    Si entra, si timbra il cartellino, ci si avvia agli spogliatoi, s’indossa la tuta e quant’altro e si lasciano nell’armadietto gli abiti borghesi.

    All’ora di pranzo si va alla mensa interna. Le solite discussioni, dallo sport al lavoro in fabbrica. L’atteggiamento del sindacato di questi tempi trova molto malcontento tra gli operai.

    A fine giornata, il solito treno locale delle diciotto e trentacinque mi riporta alla stazione, poi in bici fino a casa. Da noi si cena verso le sette e mezza.

    Siamo io, mia moglie Maria e le due bambine, Francesca e Sara. Francesca frequenta la prima elementare, Sara la quarta. A tavola raccontano tutto quello che hanno fatto durante il giorno, compresi litigi e compiti.

    L’appartamento non è di nostra proprietà: paghiamo un affitto di circa seicento euro al mese. Più volte, appena sposati, io e Maria avevamo pensato di comprarlo, ma il mutuo ci ha sempre spaventati. Mia moglie lavora tre mesi d’estate in un albergo al mare, si occupa della pulizia delle camere al mattino.

    La grandezza dell’appartamento è quella che offre il mercato. Piccolo e sfruttato al massimo per ottimizzare gli spazi; per ora le bambine dormono nella stessa stanza, in un letto a castello per fare posto a una piccola scrivania. Poi ci sono la nostra camera, un bagno e un cucinotto appena abitabile, un salotto con un divano, una poltroncina davanti a una vecchia tv e un tavolo che usiamo per le ricorrenze speciali: il pranzo di Natale, quello di Pasqua, i compleanni.

    L’appartamento sta in un palazzo di dieci unità. Al seminterrato ci sono garage e cantine; e sul retro un prato e qualche albero utile per stare all’ombra nei mesi più caldi. C’è una buona armonia tra i condomini e nei nostri confronti sono tutti molto gentili. Il rapporto più affettuoso lo abbiamo con la signora Teresa che abita nell’appartamento sullo stesso piano del nostro. Dico affettuoso perché la signora Teresa vive sola. È vedova da molti anni. Il marito era un funzionario del comune e lei una maestra in una scuola elementare nelle vicinanze. Ora vive bene grazie alle due pensioni che le arrivano, e nel nostro palazzo possiede un altro appartamento, oltre al suo.

    Potrebbe essere contenta, eppure parla spesso della sua solitudine, di quanto abbia nostalgia del marito e soprattutto della lontananza dell’unica figlia, sposata, che sta a circa quattrocento chilometri, e le manca.

    Spesso Maria, quando esce per la spesa, le chiede se ha bisogno di qualcosa. Qualche volta le tiene compagnia in casa sua e guardano la tv; di tanto in tanto la invitiamo a cena da noi. Lei è contenta e aiuta le bambine quando hanno bisogno per i compiti.

    Nel condominio, Maria si occupa della pulizia delle scale e del cortile; io mi adopero a tenere in ordine il giardino con un piccolo tagliaerba elettrico. Per queste mansioni ci riconoscono duecento euro al mese.

    Inoltre, in cantina ho un po’ di attrezzi, e così quando qualcuno ha un piccolo problema non esita a chiamarmi: sono lavoretti, ma sempre urgenti. A noi queste piccole entrate fanno comodo, e a volte qualcuno mi regala anche una bottiglia di vino.

    Possediamo una sola auto, una Fiat Punto. Durante la settimana rimane a casa perché può servire a Maria: per questo ogni mattina vado in stazione in bicicletta. La chiudo attorno a un palo della luce con una catena ben robusta, e devo dire che l’ho sempre ritrovata. Vuoi per fortuna o perché forse non ha mai interessato nessuno.

    Se una mattina il tempo è brutto Maria, che è la prima ad alzarsi, si mette qualcosa sopra al pigiama e mi accompagna volentieri al sottopassaggio vicino alla stazione, poi torna e prepara le bambine per la scuola, che è quasi sotto casa. Non hanno neppure bisogno di attraversare la strada. Basta camminare sempre a sinistra.

    Spesso le accompagna a piedi o le aspetta all’uscita, soprattutto quando hanno un compito in classe che incute un po’ di tensione. Se piove hanno tre ombrellini multicolore che sembrano l’arcobaleno.

    Al sabato sono a casa dal lavoro, e così faccio di tutto per aspettarle all’uscita davanti al cancello della scuola. Mi sembra ogni volta che siano sorprese e felici.

    A volte Maria, quando le bambine sono già a letto, si mette a fare l’elenco delle cose che occorrono in casa. Un frigorifero più moderno e con un congelatore più capiente, una lavastoviglie più grande e meno rumorosa… in pratica, metà cucina. Per le bambine ha sempre una grande attenzione, e vuole che siano vestite come tutte le compagne di scuola e le amiche del quartiere. A me rimprovera che non mi prendo mai nulla, qualche maglione di qualità migliore o anche un bel giubbotto di vera pelle, che è uno dei miei capi preferiti. Io non la contraddico mai sulla casa e sulle bambine; per me sono più restio e rimando sempre gli acquisti a quando ci saranno gli sconti o più in là, perché non ne vedo mai la necessità impellente. So benissimo che è una scusa.

    Poi mi chiede come sia messo il conto corrente: «Ce la facciamo?».

    Io sorrido, perché lo sa benissimo. In banca è sempre lei che svolge tutte le operazioni. Le rarissime volte che ci sono andato io e magari c’era qualche impiegato nuovo, mi ha sempre chiesto se fossi autorizzato alla firma.

    Del resto, entrate e uscite sono sempre le stesse. Affitto, spese condominiali, riscaldamento, acqua, luce, telefono, assicurazione dell’auto, bollo e benzina. E ovviamente dobbiamo mangiare, vestirci e comprare i libri di scuola delle bambine. Devo dire che mia moglie è brava a fare la spesa: conosce tutti i prezzi, è aggiornatissima su tutti i volantini della pubblicità e soprattutto è attentissima alle offerte. Per l’abbigliamento, sta attenta ai saldi. Io sarei più sbrigativo: se mi trovassi in un supermercato, uscirei con il carrello e tutta la spesa; lei ne cambia almeno tre o quattro, perché la verdura costa meno in un posto, l’acqua in un altro e la carne in un altro ancora. Bisogna riconoscere però che è tutta roba fresca e anche bella da vedere.

    Mi piace che in casa siamo tutti sereni e contenti, ma dentro di me mugugno e disintegro tutti questi pensieri come schiacciassi il guscio delle noci sin dal primo mattino quando mi avvio alla stazione. M’infilo dentro un vagone del treno, e spesso mi capita anche di fare il viaggio in piedi. Seguono otto ore di fabbrica. Un elettrodo dopo l’altro per la saldatura, una maschera protettiva davanti agli occhi e a mezzogiorno il suono della sirena che annuncia la mensa. Un’altra sirena per riprendere il lavoro alle quattordici e un’ultima per l’uscita, alle diciotto. Certo che ne ho di tempo per pensare.

    E penso, penso, penso a tutto. Penso a questa vita che faccio da vent’anni e a quanto tempo ancora dovrò farla prima della pensione. In cambio di cosa? Meno di millequattrocento euro al mese. Per tutto questo e altro ancora, dentro di me, continuo a essere il bombarolo che ero a vent’anni e forse ancora prima.

    Stamattina in treno l’argomento prioritario è il calcio. Sabato ci sarà il derby fra Milan e Inter. L’Inter è a soli due punti dal Milan, primo in classifica. Qualunque risultato cambierà lo scenario del campionato: se l’Inter vince, sorpassa il Milan di un punto; ma se vince il Milan allunga a cinque punti e mette una seria ipoteca sul campionato. Terzo c’è il Napoli. Che, se vince con la Lazio, in caso di sconfitta del Milan lo raggiunge in classifica a un solo punto dall’Inter. Forse, a giochi fatti, il calcio non è così interessante come fare pronostici prima della partita.

    II

    Dopo la scuola dell’obbligo, ho cominciato a lavorare in una piccola officina specializzata in ringhiere di ferro per terrazzi e per recinzioni. Non mi è dispiaciuto lasciare la scuola, anche se non ho mai avuto problemi in nessuna materia. Quello che mi è rimasto è la passione per la lettura.

    L’approccio al primo lavoro è stato molto positivo. Eravamo solo sei dipendenti, più i due principali, due fratelli. C’era molta armonia. All’inizio forse l’ho preso come un gioco, poi la prima busta paga e il libretto di lavoro mi hanno aiutato a maturare in fretta. Mi ricordo le domande che facevo sempre a tutti perché erano più grandi di me e mi sembravano bravissimi; io ero il boccino d’officina.

    Si impostava il modello standard su un banco da lavoro di precisione, poi si tagliavano i pezzi col flessibile, si componeva la ringhiera e si saldava. Una volta raffreddata si versava dell’acqua e si toglieva la scoria della saldatura col martelletto a testa sottile – questo era il mio lavoro da principiante. Per ultimo si passava alla verniciatura o alla zincatura, che era però tutta un’altra fase.

    Io ero attratto dalla saldatura e continuavo a fare domande agli operai addetti. Dalla pulizia delle scorie, si poteva intravedere la migliore. Il cordone – il punto di saldatura tra i due pezzi di ferro – deve essere uno strato continuo e uniforme, dello stesso spessore. Quando la mano non è ben ferma e a uguale distanza dai due ferri da saldare, rimangono dei vuoti se l’elettrodo è saltato troppo in avanti o una specie di gobba se si è insistito troppo sullo stesso punto.

    Ogni sera mi veniva chiesto chi fosse stato il più bravo. Per me erano tutti bravi allo stesso modo, e in breve mi tolsero l’incarico perché non volevo assumermi la responsabilità della scelta.

    Lunedì mattina si poteva capire come fosse finita la partita fin dall’arrivo in stazione, per l’euforia dei tifosi milanisti. Tre a zero e, con la vittoria del Napoli sulla Lazio, Inter addirittura al terzo posto. Questo è il calcio. E la sconfitta deve aver influenzato il morale della squadra: qualche sera dopo, nell’andata con lo Schalke 04 di Champions League, un’altra batosta per cinque a due. Pensare che giocava in casa e il pronostico la dava favorita. Anche questo è il calcio.

    Sul treno di ritorno è facile trovare lasciato su un sedile qualche quotidiano abbandonato o dimenticato da qualcuno. Io non esito a prenderlo e portarlo a casa: a tarda sera mi piace sfogliarlo e leggere qualcosa di politica.

    Anche se sono stanco, non riesco mai a prendere sonno con facilità. Oltre al giornale, il rimedio più efficace è senza dubbio la televisione.

    I compagni di viaggio in treno sono diventati una componente indispensabile per iniziare la giornata: se un giorno manca qualcuno, tutti a chiedersi se sia ammalato o se abbia chiesto un giorno di permesso. Ferie no, altrimenti avrebbe salutato tutti la sera prima.

    Da un po’ di tempo si è aggiunto alla compagnia il nostro responsabile organizzativo del lavoro, Giovanni. Gli hanno ritirato la patente per sei mesi dopo un incidente causato da un’auto con a bordo quattro giovani ubriachi fradici che non aveva rispettato lo stop, ma anche lui, appena uscito dal ristorante dov’era stato a cena con la famiglia per il compleanno della moglie, è stato trovato sopra la soglia consentita.

    Tutti conosciamo Giovanni per il lavoro, ma io lo conosco un po’ di più perché abito poco lontano da casa sua e perché è stato lui che mi ha aiutato a entrare in fabbrica come saldatore. Proprio perché lo conosciamo, sappiamo che non è uno da lasciarsi trascinare a un bicchiere in più solo per il fatto di trovarsi in compagnia. Siamo sicuri che al massimo avrà bevuto un bicchiere di Sangiovese e un limoncello a fine cena: l’incidente non è avvenuto per colpa sua e non è giusto che anche lui ne paghi le conseguenze. È troppo morigerato e corretto.

    In treno Giovanni mi ha fatto una confidenza: «A pensarci bene questa esperienza del ritiro della patente mi ha fatto scoprire e apprezzare cose che non conoscevo. Il viaggio in treno non è poi una scomodità o una perdita di tempo rispetto alla macchina. Si può scambiare qualche chiacchiera e si crea più familiarità con i colleghi. Anzi, a tal proposito so che qualche volta vi trovate pure a cena. Se non sono d’intralcio, mi piacerebbe unirmi, alla prossima occasione». L’ho subito tranquillizzato: nessun problema. Anzi, avrebbe fatto tutti contenti. È uno di noi e l’ha sempre dimostrato.

    Al mattino quello più allegro del gruppo è Giacomo, detto Casanova, che come il suo celebre omonimo ha come interesse quasi unico il mondo femminile. Non si stanca mai di parlarne e dice sempre che è l’unico motivo per cui vale la pena vivere: «Oggi ci siamo, del doman non v’è certezza. La politica è una delusione, lo sport è una combine sporca d’interessi, il lavoro è una necessità. L’operaio morirà sempre operaio, il padrone farà sempre il padrone, rimane solo la donna a poterti regalare il piacere di emozioni forti».

    Ci racconta le sue avventure così bene che sembrano un film, dicono tutti, e a volte anch’io ho pensato che alcune non erano credibili. Ma chi lo conosce bene assicura che è tutto vero.

    Anche alla mensa, se scoppia una risata, di sicuro arriva dal tavolo dove c’è Casanova. E subito tutti curiosi di sapere cosa possa avere raccontato.

    Un altro personaggio degno di rilievo è senza dubbio Pietro, dalla faccia perennemente scura. Non per carnagione: ha un’espressione che sembra sempre arrabbiata. Eppure Pietro è di una bontà e di una generosità unica: sfido a trovare un collega che non abbia avuto un’offerta d’aiuto da lui. La sua rabbia è diretta a ogni forma di potere, che va a condizionare la vita di tutti. Non tollera che nel sistema ci sia un capo da cui dipendere. Insomma, per farla breve, come lui si è sempre dichiarato, è un anarchico.

    Quando io sono entrato in fabbrica, Pietro lavorava già al reparto di verniciatura. Da allora mi chiama Turno, che sarebbe un’abbreviazione di taciturno. «Parli pochissimo ma ascolti tutto» mi ripete sempre. Secondo lui sono l’unico in grado di comprendere la sua scelta anarchica.

    Va anche detto che sono l’unico che lo ascolta e mostra interesse per queste sue argomentazioni. Pietro è molto preparato sull’anarchia, gli piace raccontare dei tanti libri che ha letto sui maggiori esponenti e le fasi del pensiero anarchico. Una volta mi ha invitato a casa sua e ho visto come custodisce i suoi libri; e

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