Cercami: Coprimi, #3
Di L.A. Witt
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Info su questo ebook
All'inizio, il Detective Andrew Carmichael e il paramedico Nick Swain sono riusciti a salvarsi per un soffio da uno stalker delirante. Adesso, mesi dopo, le cicatrici fisiche non sono guarite del tutto, e neanche quelle emotive. Il senso di colpa e il risentimento persistenti minacciano di fare a pezzi la loro relazione, ma Andrew non è pronto ad arrendersi. Ha quasi perso Nick una volta, e non è disposto a rinunciare a lui senza combattere.
In un ultimo, disperato tentativo per restare insieme, Andrew suggerisce di passare un weekend fuori, ma c'è abbastanza tempo per trovare un motivo per tenere viva la loro relazione?
O è arrivato il momento di lasciare che Nick se ne vada?
Seconda edizione.
L.A. Witt
L.A. Witt is the author of Back Piece. She is a M/M romance writer who has finally been released from the purgatorial corn maze of Omaha, Nebraska, and now spends her time on the southwestern coast of Spain. In between wondering how she didn’t lose her mind in Omaha, she explores the country with her husband, several clairvoyant hamsters, and an ever-growing herd of rabid plot bunnies.
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Anteprima del libro
Cercami - L.A. Witt
Capitolo 1
Tenendo la pistola con entrambe le mani, avanzai lungo il corridoio dell’appartamento di Nick. Mi si erano rizzati i peli dietro al collo, le mie terminazioni nervose formicolavano e i miei sensi erano in allerta in cerca di qualsiasi indizio della presenza di qualcuno lì dentro. Fino a quel momento, l’appartamento era risultato vuoto. Non era stato spostato nulla.
«Nick,» dissi da sopra la spalla, tenendo la voce bassa, «hai lasciato la porta della tua camera aperta o chiusa?»
«Non lo so. Probabilmente chiusa.»
Contrassi le labbra. Davanti a me, la porta era socchiusa.
Mentre facevo un altro passo in avanti, dissi: «Resta contro il muro.»
Sentii il fruscio della stoffa dietro di me, quindi non mi guardai alle spalle per assicurarmi che avesse fatto come gli avevo chiesto. Proseguii invece verso la porta, tendendo l’orecchio per percepire qualsiasi movimento oltre la soglia. Se Jesse era lì, poteva essere in uno stato mentale qualsiasi. Lucido. Instabile. In astinenza. Strafatto. Quel ragazzo aveva comunque dei problemi mentali, in più era un drogato di crack. Dopo aver attaccato Nick l’altra notte, rompendogli il naso e arrivando quasi a strangolarlo, era impossibile prevedere che cosa gli passasse per la testa in quel momento.
Mi fermai davanti alla porta per un istante, restando in ascolto. Poi la aprii con un colpetto del piede.
Tutto accadde così in fretta. Troppo, troppo in fretta. Doveva essere rimasto del tutto immobile, in silenzio totale, e non lo vidi finché non alzò la pistola. Finché il lampo dello sparo non mi colse di sorpresa, facendomi barcollare all’indietro nello stesso istante in cui un proiettile mi lacerò il lato del braccio e una forza pari a quella del calcio di un asino mi colpì in pieno petto.
Nick cercò di tenermi in equilibrio, ma cademmo entrambi.
Mentre lui si dimenava per rimettersi in piedi, mi strinsi il braccio. Era una ferita di poco conto. Mi aveva preso di striscio. Mi faceva male il petto nel punto in cui il giubbotto aveva fermato il secondo proiettile, e mi servì qualche sforzo in più per respirare, ma non era nulla di grave.
E Jesse era ancora lì.
«Stai bene?» chiese Nick. La preoccupazione e la paura erano scolpite su tutto il suo volto ferito e ammaccato.
«La pistola.» Tossii, poi parlai a denti stretti. «Prendi la mia pistola.»
L’arma che avevo tenuto in mano era caduta proprio oltre la soglia della porta aperta, quindi Nick prese il revolver che avevo nella fondina alla caviglia.
Dall’interno della stanza, arrivò una voce isterica e familiare: «Oddio, oddio, oddio…»
«Jesse, metti giù la pistola,» intimai. Mi misi in ginocchio. «Jesse…»
«Scusa, scusa! Non volevo, scusa!» fu la risposta stridula e tremante. «Non volevo, Mark, non…»
«Jesse, calmati.» Tenni la voce bassa. Il ragazzo mi conosceva soltanto con il mio nome di copertura e probabilmente non aveva idea che fossi un poliziotto. Era già delirante e da tempo aveva preso per buona la farsa che io e la mia partner avevamo mandato avanti per mesi. Mentre cercavo di capire come fare in modo che la situazione non degenerasse, notai che Jesse aveva lasciato cadere la pistola. Il rumore e il rinculo dovevano averlo spaventato a morte. Oppure si era reso conto di aver colpito me – non Nick, che era probabilmente quello a cui voleva sparare – e aveva dato di matto.
Abbassando un po’ la voce, dissi: «Nick. La sua pistola. È sul pavimento.» Feci un cenno con la testa verso la camera da letto.
Nick guardò. Quindi si voltò verso di me e mimò con le labbra, «Cosa faccio?»
«Resta lì.» Indicai l’arma che aveva in mano. «Punta la pistola verso la porta…»
Piegò il capo. «Punto la…»
«Fallo e basta. Se dovesse avvicinarsi a una delle pistole, non esitare a sparare.»
Nick annuì e tirò indietro il cane. Deglutì visibilmente, il suo pomo d’Adamo che sobbalzava tra i lividi rossi e viola sulla parte anteriore della gola. Mi parve di vederlo sussultare. Doveva essere spaventato a morte, ma fece come avevo detto, assumendo la posizione di tiro che gli avevo insegnato e puntando la pistola verso la porta della camera.
«Jesse, spostati dove ti posso vedere,» ordinai.
«No, no, non posso, è…»
«Jesse, spostati dove ti posso vedere. Ora.»
Un movimento incerto e invisibile si trascinò lungo il tappeto.
«Jesse, non ho tempo da perdere.» Feci un gran respiro mentre mi mettevo in piedi con cautela, continuando a stringere il braccio ferito. «Mettiti davanti alla soglia con le mani in alto e non toccare quella pistola. Andiamo, Jesse.»
Un altro passo.
«Riesci a vederlo?» chiesi.
«Non ancora,» rispose Nick.
«Andiamo, Jesse,» abbaiai. «Ora.»
«Per favore, non spararmi,» disse la voce stridula dall’altra parte. Aveva iniziato a piangere, stava quasi iperventilando.
«Non ti sparerò, a meno che tu non cerchi di prendere una pistola,» disse Nick. «Vieni fuori ora, oppure entro io.»
Jesse entrò nel mio campo visivo. I suoi occhi erano sconvolti per la furia e probabilmente per l’influenza di qualche sostanza, ma erano anche rossi per il pianto. Aveva le mani alzate e il volto a chiazze, dei segni verticali evidenziavano i punti in cui le lacrime si erano aperte un varco tra lo sporco sulla sua pelle. Si sforzò di respirare tra i singhiozzi, e quando guardò oltre Nick e mi vide, pianse ancora più forte.
«Oddio,» gemette. «Scusa, Mark, scusa…» Frignò e tremò, strofinandosi freneticamente le braccia come se avesse degli insetti invisibili che gli strisciavano addosso. Le sue gambe tremavano sotto di lui mentre dondolava avanti e indietro. Cazzo. Probabilmente stava smaltendo la roba, forse anche una sbronza, e quello era proprio il momento in cui un drogato di crack poteva essere pericoloso e instabile.
«Jesse, rialza le mani,» disse Nick con calma.
La sua isteria si trasformò in furia quando guardò male Nick. «Fanculo. Volevo colpire te, non…» Mi guardò di nuovo e scoppiò di nuovo a piangere. «Mark, oddio, scusa. Non volevo! Mi…» Borbottò qualcos’altro poi, singhiozzando e sforzandosi di parlare, cominciò a lasciarsi cadere sul pavimento, fin troppo vicino alla mia pistola per farmi stare tranquillo.
«Alzati, Jesse,» disse Nick, bruscamente. «Alzati e metti le mani dove posso vederle. Ora.»
Jesse obbedì, ma fissò Nick con uno sguardo pieno di furia. «Hai ucciso Chelsea.» La sua voce si spezzò e sbatté rapidamente le palpebre. «L’hai uccisa! Ti ho visto, ti ho visto e ho provato a salvarla…»
«Jesse, non ho ucciso nessuno.» La voce di Nick tremò, ma la pistola nelle sue mani rimase ferma.
«Ascoltalo, Jesse,» dissi. «Non ha ucciso nessuno. Chelsea è viva. Sta bene.»
«No, non è vero,» disse Jesse. «Non sono stupido, Mark. L’ho vista. L’ho vista, cazzo.»
«E mi hai quasi ucciso,» ringhiò Nick.
Jesse ricominciò a piangere e a borbottare cose incomprensibili.
Sforzandomi di tenere un tono di voce calmo, dissi: «Chelsea non è morta, Jesse.»
«State mentendo entrambi.» La voce di Jesse avanzava lentamente verso un’isteria ancora maggiore. Si strappò i capelli, ondeggiando avanti e indietro sulle ginocchia tremanti. «È morta. L’ho vista, e hanno tolto tutto ciò che c’era da casa sua e l’hanno portato via, e…»
«Jesse, posso chiamarla,» disse Nick. «Lasceremo che parli con lei. È viva, te lo assicuro.»
Jesse si afferrò i capelli e scosse la testa, senza smettere di muoversi. «Stai mentendo. Stai mentendo. Non sono stupido, Mark. Non sono stupido e lei è morta. Ho visto cosa le ha fatto, l’ho visto, tu…»
«Non è morta, Jesse,» disse Nick.
«Stai mentendo!» All’improvviso, Jesse scattò e Nick fece fuoco. Il suono e il rinculo dovettero prenderlo alla sprovvista, specialmente con le vertigini causate dalla commozione cerebrale, e afferrò il telaio della porta per restare in piedi.
Jesse cadde sul pavimento, urlando. Per circa due secondi pensai che fosse stato neutralizzato e che potesse essere tutto finito, ma poi tentò di prendere una delle pistole.
«Nick! La pistola!» Senza pensare, spinsi Nick da parte. Uno sparo. Dolore. Altri spari.
Caddi in ginocchio, tenendomi il braccio. La ferita stava peggio rispetto a prima. Molto peggio. No, no, non era così. Era una nuova ferita. Più profonda, con più sangue, e mi aveva centrato il braccio.
«Oh, cazzo…»
Una mano si materializzò sulla mia spalla.
La voce di Nick sembrò molto lontana mentre diceva: «Sei…»
«Prendi la pistola,» dissi a denti stretti.
Nick si allontanò. Ero vagamente cosciente del movimento, di Jesse che gemeva accanto a me ma, più di ogni altra cosa, ero cosciente del sangue caldo che mi scivolava attraverso le dita e sul dorso della mano. Mi girava la testa. Crollai in avanti, la vista che mi si anneriva e, sbucando dal nulla,