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Broken. Dammi un'altra possibilità
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E-book230 pagine3 ore

Broken. Dammi un'altra possibilità

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Info su questo ebook

Broken Trilogy

Dopo aver assistito alla morte dell'uomo che amava, Savannah è distrutta. Qualcosa dentro di lei si è definitivamente spezzato e il dolore ha chiuso il suo cuore in una morsa gelida. Possibile che sia arrivato il momento di arrendersi? Quando il destino le concede una seconda occasione, Savannah sa che è solo questione di tempo prima che il passato torni a tormentarla. Perché ci sono verità oscure che minacciano di strapparle via, di nuovo, tutte le certezze. A peggiorare le cose c'è una rete di bugie che mette in pericolo la sua vita. Di chi può davvero fidarsi? Dicono che non ci sia niente di peggio di un cuore ferito. Ma non sanno cosa significa averlo infranto in mille pezzi.

J.L. Drake
è un'autrice bestseller internazionale. È nata in Nuova Scozia, in Canada, ma attualmente vive con la famiglia in California. Quando non è impegnata a scrivere adora trascorrere il suo tempo viaggiando. Le piace inserire sempre una punta di mistero nelle sue storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2019
ISBN9788822735331
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    Anteprima del libro

    Broken. Dammi un'altra possibilità - J.L. Drake

    2432

    Titolo originale: Shattered

    Copyright © 2015 by J.L. Drake.

    Traduzione dall’inglese di Carla De Pascale

    Prima edizione ebook: ottobre 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-3533-1

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    J.L. Drake

    Broken

    Dammi un’altra possibilità

    Indice

    Prologo

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    Ringraziamenti

    Mamma,

    come si dice, quel che non uccide, fortifica.

    Le cicatrici che portiamo dentro ci ricordano che la vita è tanto preziosa quanto fragile.

    Grazie per essere la madre che sei, la nostra roccia, la nostra migliore amica.

    Prologo

    C’è differenza tra vivere e sopravvivere, la mia esistenza non si poteva definire in nessuno dei due modi. Non stavo andando da nessuna parte. Mi tenevo semplicemente a galla, impegnata a occuparmi di tutti gli altri, prima di mia madre, poi di mio padre e di tutte le persone che ho avuto intorno. Per alcuni mesi ho avuto la fortuna di innamorarmi di un uomo capace di farmi sentire più viva di quanto pensavo fosse possibile. A causa mia quell’uomo è stato catturato e ucciso nella maniera più cruenta affinché tutti noi fossimo testimoni, ho perso anche il nostro bambino inaspettato. Non c’è più nulla a cui possa aggrapparmi per rimettere insieme i pezzi, ormai non lo voglio neanche. E adesso eccomi qui, con la pistola puntata alla testa, pronta a raggiungere la mia famiglia.

    Capitolo uno

    Da qualche parte in Messico

    Cole

    «Cosa hai fatto, Raul?», domanda l’Americano all’uomo con quella ridicola cintura con le corna di toro e la scritta

    TEXAS

    sulla fibbia.

    «No, no, señor, è vivo, vede?». Si scosta di qualche passo per fargli vedere che Cole in realtà sta bene. «Non gli ho fatto niente».

    «Ah, no?». L’Americano tira fuori un coltello, gli afferra la mano, gliela fa stendere sulla parete e, in una frazione di secondo, l’indice rotola sul pavimento.

    «Ahhh!», urla.

    «Abbiamo solo lui come merce di scambio! E ora lo credono morto. Cazzo!». Sferra un pugno contro il muro imbrattato di sangue. Si volta e guarda Raul che, con il viso emaciato, osserva inerme il moncone del dito. «Se non fossi sposato con mia cugina giuro che ti taglierei la testa con le mie stesse mani».

    «», ribatte l’uomo con un filo di voce.

    Luka si tampona le labbra con un panno. Deve dargli fastidio l’odore del sangue. Guarda Cole, il quale sta fissando entrambi mentre accenna un sorriso. Gode nel vedere quanto Luka sia impressionabile.

    ***

    Savannah

    Guardo davanti a me, con le mani tremanti mentre mi scendono le lacrime. Potrei raggiungerli presto. Se solo…

    Il cellulare di Keith rompe il silenzio, mi si gela il sangue e mi si addormenta il dito che inizia a tremare sul grilletto. Serro le palpebre e cerco di ritrovare la giusta concentrazione.

    «Cosa?», domanda Keith con voce roca. «Aspetta un attimo. Cosa?». Apro lentamente gli occhi e mi accorgo che si è voltato verso di me. Assume un’espressione stravolta appena vede cosa impugno. «Aspetta!». Posa il cellulare e si avvicina con uno scatto fulmineo. «Savannah?»

    «Fermo», ordino scuotendo il capo e premendo la pistola alla tempia. Si ferma davanti al letto e solleva le mani per farmi capire che non ha intenzione di muoversi oltre.

    «Per favore, Savi, dammi la pistola. Ha appena chiamato Mark con…».

    «Basta», lo interrompo con determinazione. Mi scappa un singhiozzo. Non ce la faccio più. «Lasciami stare».

    «No», ribatte, senza aggiungere altro.

    «Sono stufa di creare problemi. Sto soffrendo, non ho voglia vivere senza di lui e senza il nostro bambino». Abbasso il capo e tiro le ginocchia al petto. Keith capisce che ho davvero intenzione di mettere fine a tutto. Premi il grilletto, Savannah! Tengo stretta la pistola che continuo a premere contro una tempia. «Quand’è che il destino ha deciso che non merito di essere felice?», domando in tono disperato mentre mi tornano in mente tanti ricordi. «Ho visto morire mia madre. Ho visto mio padre allontanarsi e disinteressarsi a me. Sono stata rapita, ho trascorso il mio compleanno rinchiusa in una stanzetta di sette metri quadri! Ora ho perso l’amore della mia vita e il nostro bambino! Non voglio sapere cos’altro mi aspetta, Keith, non ci riesco!». Sento la canna della pistola premermi ripetutamente contro la testa, ogni volta che singhiozzo, sempre più forte. «Tutti quelli che amo prima o poi se ne vanno. Voglio mettere fine a tutto questo!».

    «Lo so, Savannah». Sale gattonando sul letto per sedersi davanti a me. «Ma non è questo il modo giusto di affrontare le cose». Si avvicina e mi percorre il braccio fino alla mano, con un tocco lento e deciso. Intreccia le dita con le mie e sussurra: «Dammi la pistola, tesoro, ti scongiuro».

    D’un tratto il dolore che provo diventa insopportabile. Allento la presa e mi lascio sottrarre l’arma. Mi posa una mano su una spalla e mi tira a sé. Sta tremando.

    «Manca anche a me», commenta in un sussurro.

    Appena sento quelle parole perdo l’ultimo briciolo di lucidità e annego nella disperazione.

    Sono una vigliacca.

    ***

    Mark

    Mark sale in un lampo le scale e percorre il corridoio verso la stanza di Cole. Entra e trova Savannah, rannicchiata a singhiozzare, e Keith con un’espressione terrorizzata.

    «Cosa c’è? Che succede?».

    Keith scuote il capo con la pistola ancora in mano. Mark impallidisce appena si rende conto di cosa stava per succedere. Si porta una mano sulla testa e si aggrappa ai capelli mentre cerca di fare mente locale. Deve assolutamente parlare con Keith e Daniel, subito.

    «Keith», sussurra in tono pacato, in preda al voltastomaco. «Nell’ufficio di Cole, tra cinque minuti». Keith risponde con un cenno del capo.

    Esce e va nella stanza di Abigail che in questi giorni condivide con sua sorella, June.

    «Abby!», esclama Mark appena accende la luce. «Ho bisogno del tuo aiuto».

    «Ma che succede!?». June serra le palpebre, accecata dalla luce improvvisa.

    Abigail allunga un braccio per prendere la vestaglia. «Mark, caro, che succede?»

    «Ho bisogno di…». Si ferma e cerca di schiarirsi le idee. «Dov’è Sue?»

    «È con Savannah. Perché?».

    Mark scuote il capo. «Vai nella stanza di Cole e resta lì con Savi. È successo qualcosa e non voglio che lei resti sola. Io…».

    Abigail infila le ciabatte. «Cosa è successo? Dov’è Keith?»

    «Ho indetto una riunione. Credo… credo di aver scoperto qualcosa». Fa per andarsene, poi si volta. «Abby, tu sai meglio di chiunque altro dove Cole potrebbe aver nascosto delle armi nella sua stanza. Per favore, falle sparire».

    Lei guarda June con espressione basita, subito dopo rivolge a Mark un cenno d’assenso.

    Mark bussa con veemenza alla porta della stanza degli ospiti per chiamare Daniel. Va ad aprire Sue, chiaramente assonnata.

    «Sue! Devi andare da Savi». Lei gli sfila davanti a passo spedito, avviandosi per il corridoio. Mark entra nella stanza e trova Daniel che sta indossando una maglietta. «Devo parlarti, adesso». Le urla nella stanza di Cole gli fanno serrare le palpebre.

    Merda, la situazione è fuori controllo.

    ***

    Mark tira fuori la cartellina, tutti gli altri corrono.

    «Cristo santo!». Daniel si gratta la testa mentre ascolta l’ipotesi di Keith.

    «Se Mark non avesse chiamato…». Keith inclina la testa. «Credevo stesse bene. Sembrava tranquilla, pensavo che a modo suo stesse comunque affrontando la situazione. Non immaginavo sarebbe arrivata a tanto».

    «Ragazzi», interviene Mark indicando lo schermo, «ditemi cosa vedete». Preme play per avviare il

    DVD

    inviato dall’Americano. Daniel rivolge uno sguardo contrariato a Mark. «Credimi, lo so, ma osserva bene, ti prego».

    Daniel fa un gran respiro e guarda di nuovo suo figlio che viene ucciso, ma stavolta decide di prestare maggior attenzione.

    «Un momento», interviene Mark. Keith si ferma accanto a Daniel.

    «Oh, mio Dio!». Daniel si volta di scatto verso Mark. «Non vedo il tatuaggio!».

    «Esattamente». Mark fa un cenno col capo e blocca il filmato in corrispondenza del fotogramma in cui è inquadrata la spalla. «L’uomo che compare nel video non è Cole».

    Daniel prende il cellulare e fa una breve telefonata prima di tornare a rivolgere la sua attenzione agli altri. «Frank sarà qui fra un’ora. Svegliate i ragazzi. Dobbiamo parlare».

    «Cosa pensi sia il caso di fare?», domanda Keith.

    Daniel incrocia le braccia contro il petto. «Fa’ preparare i ragazzi. Partiremo stanotte».

    «Io ci sono», afferma Mark in tono irremovibile. Toglie la fasciatura.

    «Sì, vieni anche tu». Daniel fa un cenno d’assenso e guarda John. «Paul non può venire, ma al suo posto ci sarà Derek».

    Mark si blocca, è consapevole che Derek non piace a nessuno di loro. «Perché non Keith o Mike?».

    Daniel si volta verso Keith. «Savannah o Cole?».

    Keith si passa una mano sulla fronte. Mark sa quanto è legato a Savannah, e che lei si fida di Keith più di chiunque altro, ma l’idea di riportare a casa Cole vince su tutto. «Cole».

    «Okay», risponde Daniel. «Ci vediamo in soggiorno per una riunione, alle due precise».

    Mezz’ora dopo Mark sta aspettando in soggiorno, ha la mente affollata di pensieri, ma cerca di schiarirsi le idee e prepararsi mentalmente alla spedizione. E se fosse troppo tardi? E se Cole avesse cercato di scappare dopo quel video e avessero quindi dovuto ucciderlo? Mike è seduto con le gambe accavallate mentre guarda Mark che fa su e giù per la sala. Derek è seduto, vicino a Mike, mezzo addormentato. Sbadiglia rumorosamente, guadagnandosi uno sguardo contrariato da parte di Mike.

    «Abbi un po’ di rispetto, Derek».

    «Sono stato svegliato all’improvviso, Mike. Mi sembra normale se si viene tirati giù dal letto come ha fatto John con me».

    «Sta’ zitto…».

    «Ragazzi», interviene Mark in un sussurro, scuotendo il capo. Non è il momento di litigare, anche se sono comprensibilmente tutti molto agitati.

    John segue Paul che cammina con una stampella, ancora convalescente per la ferita d’arma da taglio a una gamba. Arriva Daniel insieme a sua moglie, Sue, che fa accomodare su una sedia. Lei ha un’espressione confusa, continua a guardare verso le scale. Ovviamente preferirebbe stare con Savannah piuttosto che qui, con tutti loro.

    «Eccomi», annuncia Frank appena entra in casa. Non perde tempo a togliere gli stivali, va subito a sedersi sul divano.

    «Bene», esordisce Daniel rivolgendosi a tutti i presenti. «Sarò breve. L’uomo che abbiamo visto essere ucciso nel video non è Cole». Nella stanza cala il silenzio, come se qualcuno avesse premuto il tasto pause. «Quando si gira non si vede alcun tatuaggio sulla spalla. Sappiamo tutti che Cole ha il tatuaggio delle Forze speciali».

    «Sì, è vero», interviene Paul. «Quindi…».

    «Come fai a essere tanto sicuro che non sia lui?», domanda Frank a Daniel.

    «Ho guardato il video altre due volte e sono sicuro, al cento per cento, che quell’uomo non è mio figlio».

    Frank si alza e tira fuori il cellulare. «Tanto basta. Dammi un minuto». Va in cucina.

    «Dan?», domanda Sue in un sussurro, ancora seduta sulla sedia. «Non credo sia il caso di dire niente a Savannah, finché non saremo certi di cosa sta succedendo. Non credo reggerebbe a un tale shock». Le scende una lacrima, Mark sente lo stomaco contrarsi. «Non credo che riuscirei a vederla crollare in maniera irreparabile, stavolta».

    Daniel attraversa la stanza e afferra la mano di sua moglie. «Sono d’accordo con te, cara».

    «Andrai anche tu». Si alza in piedi e copre la schiena ingobbita con il maglione. Dà l’impressione che riesca a malapena a contenere le proprie emozioni.

    «Sì».

    Fa un cenno col capo. «Vai e riporta a casa nostro figlio». Lui si avvicina e le dà un bacio sulla guancia, quindi la guarda allontanarsi verso le scale. Lo shock provocato dal corso degli eventi di questa serata la fanno avanzare come uno zombie. Daniel tira un sospiro, poi si volta e guarda tutti i presenti. Proprio in quel momento Frank rientra in soggiorno.

    «Bene, ci siamo fatti un’idea su dove possa trovarsi. Ci sono due vedette che sorvegliano una casa in un paesino poco lontano da Tijuana».

    Dan si avvicina e si passa le mani sudate sulla pellaccia dura del viso. «Dato che Paul non è operativo, Keith prenderà il suo posto mentre Mike si occuperà della casa». Derek fa per ribattere, ma Daniel scuote il capo e blocca la polemica sul nascere. «Nella squadra c’è bisogno di completa fiducia reciproca, Derek. Abbiamo capito che non riesci a lavorare molto bene in team. Finché non ci darai prova del contrario resterai qui». Derek indietreggia, borbottando fra sé.

    «Vi fornirò tutto il supporto che vi occorre», li informa Frank. «Dobbiamo muoverci più in fretta possibile. Lo tireremo fuori prima che inizi una guerra ancora più grande contro quegli stronzi, anche se non ho nulla in contrario se darete fuoco a tutto, quando andrete via». Frank si strofina il viso con foga. «L’elicottero sarà qui fra circa mezz’ora».

    «Okay, ragazzi, muoviamoci», ordina Daniel. Scattano tutti in piedi. «Frank, devo vedere la piantina della casa».

    Abigail si schiarisce la voce. «E se…».

    «No», sussurra Daniel con espressione truce, «non c’è nessun e se».

    Lei annuisce e dà un rapido abbraccio a Mark. «Fai attenzione, ragazzo mio». Lo bacia su una guancia. «Per stasera preparo l’arrosto».

    Mark accenna un sorriso. «Be’, in questo caso…». Appena avverte una forte sensazione di malessere si blocca.

    «Lo so, tesoro». Gli posa una mano sulla guancia. «Starà bene».

    «Già», ribatte con un sospiro, nella speranza che riescano a riportare a casa sano e salvo il suo migliore amico.

    ***

    Savannah

    Mi immergo nella vasca da bagno di Cole e guardo fuori dalla finestra. Sento June e Sue che discutono sussurrando fra loro riguardo a non so cosa, d’un tratto Abigail entra in bagno. Chiude la porta e viene a sedersi sulla poltroncina in pelle dall’altra parte della stanza. Sono le due del mattino, dopo il mio patetico tentativo di suicidio sono tutti svegli in casa.

    «Dobbiamo rinchiuderti in una stanza con le pareti imbottite, Savi?», domanda. Sento il cuore contrarsi. «Capisco che stai soffrendo, come tutti in questa casa, ma non aggiungere altro dolore alla nostra famiglia togliendoti la vita». Tiro le ginocchia al petto e le ingabbio con le braccia. Abigail sospira, poi si schiarisce la voce. «Mi dispiace tanto, Savannah, per il bambino».

    «Ti prego», cerco di ricacciare un singhiozzo che sale prepotente, «non parliamo di questo».

    Si mette dietro di me e inizia a versarmi dell’acqua calda sulla testa. Restiamo in silenzio mentre mi lava i capelli, quando ha finito mi asciuga e mi porta giù in cucina. Percepisco l’atmosfera pesante che aleggia in casa, sono certa che il motivo scatenante sia stato il mio gesto. La tensione che c’è si taglia con il coltello.

    Sfiliamo davanti a due di loro che, appena ci avviciniamo, smettono di parlare. Non mi guardano. Daniel entra in cucina, sembra parecchio sovrappensiero. Distolgo lo sguardo, ma lui mi abbraccia proprio come faceva sempre suo figlio. Faccio il possibile per trattenere le lacrime, ma non ci riesco. Finiscono senza alcuno sforzo per rompere una diga intorno a me che sembra fatta di stuzzicadenti.

    «Alcuni di noi stanno per partire in missione», mi informa, scostandosi per guardarmi negli occhi. «Mike sorveglierà la casa, dato che Keith verrà con noi al posto di Paul».

    Si rivolge ad Abigail. «Non dovremmo stare via per più di quarantotto ore». Indietreggia ed esce dalla cucina. Vorrei chiedergli perché stavolta parte anche lui, ma preferisco concentrarmi a fermare queste maledette lacrime. Piansi tanto quando mamma morì, ma questa volta è diverso. Il mio cuore si è rotto per sempre e so bene che, anche se non sono riuscita a uccidermi oggi, non ho comunque più alcun desiderio di continuare a vivere.

    «Savannah», interviene Keith sedendosi sullo sgabello accanto a me, «andrà tutto bene mentre sarò via, vero?». Annuisco, ma sono esausta. Mi solleva il viso posandomi una mano sotto il mento. «Savi, con Mike puoi parlare di tutto, e Derek sarà in casa per tutto il tempo. Non ti allontanare troppo, come fai sempre, capito? Con l’Americano…».

    «Non lo farò», dico senza dargli tempo di finire la frase. Scendo dallo sgabello. «Fai attenzione», sussurro mentre vado in soggiorno per sedermi al mio posto preferito, davanti al camino. Scoot, il gatto di casa, mi corre incontro e si rotola sulla schiena, solleva le zampine e inizia a fare le fusa finché non gli rivolgo un po’ d’attenzione. Cerco di distrarmi, ricordando di quella volta in cui mi sedetti sul pavimento ad accarezzargli il pancino, quando Cole si avvicinò a me per la prima volta. Anche

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