Ricordi... in frammenti: Tasselli per un mosaico
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Info su questo ebook
In questa nuova pubblicazione fra' Domenico Spatola apre ai lettori il suo scrigno di Ricordi... in frammenti: da divertenti aneddoti di infanzia come la grande festa del Crocifisso a Monreale, la prima volta al cinema per vedere Marcellino pane e vino, i ricordi di nonna Grazia a drammi di vita come il terremoto del 15 gennaio 1968, che distrusse la valle del Belice e che lui visse da diciannovenne al convento di Castelvetrano. Ci presenterà i tanti frati cappuccini che hanno incrociato la sua vita, generose e amorevoli figure come padre Liborio da Giuliana o padre Aurelio di Gangi, personaggi illustri come il cardinale Salvatore Pappalardo e piccoli amici che tanto lo hanno amato come la cagnolina Lilly, il gatto Fofò e il cagnolino Oscar.
I racconti si alternano a poesie, legate a ricordi o a eventi e personaggi da non dimenticare.
Il libro è impreziosito dai disegni di Isabella Ceravolo.
Per tanti sarà un tuffo nel passato, per altri la conoscenza di tradizioni e abitudini purtroppo scomparse: in entrambi i casi una piacevole e spesso commovente lettura.
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Anteprima del libro
Ricordi... in frammenti - Domenico Spatola
Colofon
Fra’ Domenico Spatola
RICORDI... IN FRAMMENTI
Tasselli per un mosaico
ISBN: 979-12-5547-024-3
©Copyright by
I BUONI CUGINI EDITORI
di Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra
www.ibuonicuginieditori.it - ibuonicugini@libero.it
Prefazione
Rivisito il passato in lacerti della memoria, monumento per i ricordi che il cuore conserva e nasconde a riserbo. Geloso!
Mi accosto trepidante e pur ardimentoso oso chiedere in prestito racconti e rimate poesie dei percorsi vissuti, dei sogni sognati, dei voli riusciti, dell'amarezze dissolte e forse delle presenti offese a chiedere dissolvenza. Bramoso del bello, agogno libertà da catartico cammino che dall'onirico fiorisce nel conscio di narrazioni a tinte forti o d'acquarello, rabberciate e accolte in miscellanea, garbata e variopinta, e rivisitate con pudore pari a stupore come di novità, che animo sensibile trascolora all'occorrenza.
Questo libro vuol decenza in chi racconta e consapevole pazienza in chi del mistero indaga l'uomo e il suo mondo, solo in apparenza, perché il profondo si intuisce per natura sua carsica che tende a obliviare continua la trama. Forse è l'età che ancor mi chiedo: qual il destino che uomo affronta? Il tracciato è in chi l'ha vissuto e di suo mistero vuol far dono.
Questo libro dà scintille, perché il fuoco è dentro. Togliere di maja il velo è illusione che l'autore a spezzoni si accinge a narrare.
l'Autore
GENNAIO
1 gennaio
L'anno che verrà...
L'anno nuovo
è come l'uovo
con sorpresa.
Non ti mettere in difesa,
ché la vita chiede attacco.
E non vivere il distacco
dalla gente.
Sii curioso e intelligente
e la vita di regali
ne farà anche a quintali.
Quintessenza però è l'amore
che fiorire fa il cuore.
Inizia bene l'anno nuovo,
e vedrai che come l'uovo
sarà ricco di sorprese
a soddisfare tue attese.
Tieni alta la tua fede,
perché è Dio che in te crede!
La speranza
Eran quattro candeline
accese tutte le mattine.
Ma un giorno (non so quale)
forse a Pasqua o a Natale
si parlarono tra loro.
Ad ascoltare il coro
c'era un bimbo che giocava
e a lor dir s'appassionava.
La candela verde a destra
guardò ancor dalla finestra:
" Non trovo – disse –
niun che crede,
perciò mi spengo, perché son la Fede".
La seconda, ch'era l'Amore,
" ve lo dico con terrore:
non c'è alcuno che più ama
è bugiardo chi mi chiama".
E suo gesto repentino
allarmò anche il bambino,
perché spense la sua fiamma,
che a lui ricordava mamma.
Chi venia era la Pace
che spense subito sua face.
Disse: "da me non commenti,
perché a guerra tutti intenti".
Il buio intanto calava fitto,
e il bimbo, già afflitto,
cominciò a pianger forte
che facea tremar la porte.
Ma la candela della Speranza
disse: "Cera in me ne avanza.
Non stare a piangere perché,
accenderò io le altre tre!"
6 gennaio
I Magi (Epifania del Signore)
I magi erano maghi, tra le categorie disprezzate. Divinatori di stelle, ne corsero a ruolo una, che sembrò loro la più bella. Da circa due anni lassù, a far l’occhiolino e invitarli a seguirla. Si guardarono in viso.
Dice a noi?
– si chiesero perplessi. – Vediamo dove ci conduce
.
Armarono bagagli, caricarono cammelli del ben di Dio che solo l’Oriente produce e si misero in cammino. La stella in cielo parve gradire. I tre si conoscevano. Vecchi amici di infanzia, e ora personaggi importanti.
Gaspare
, – chiese Baldassarre – che si dice nel tuo reame?
I miei sudditi son proprio contenti. Mi vogliono bene, li ho lasciati in apprensione perché ho detto loro che per qualche tempo lascerò il regno, per venerare un Re più importante e fare alleanza con lui. E tu, come te la passi?
Non mi lamento. Soprattutto dei miei sudditi, che tratto da amici
.
In quel momento sopraggiunse Melchiorre, l’etiope. L’abbraccio fra i tre fu commovente. Il colore della pelle non era ostacolo a stimarsi. Cominciarono lo stesso cammino, avendo tutti e tre avuto uguale messaggio. Si formò la carovana, ricca di drappeggi e baldacchini, cavalli e cammelli bardati a ricchezza. E i tanti servi con bauli e canestri, esorbitanti mercanzie esotiche e così varie da attrarre la curiosità della gente. Qualcuno li definì stravaganti. Era forse l’invidia per la felicità di quei visi sereni e gioiosi?
Attraversarono villaggi e città, con l’occhio a guardare la stella. Ma giunti nei pressi di Gerusalemme, essa scomparve. Si unirono a concilio i nostri personaggi, domandandosi il perché. Facevano calcoli logici:
Se il Neonato è il re dei Giudei, dev’essere nato nella città del sovrano
.
Domandavano ai curiosi affacciati all’uscio di casa, ma nessuno sapeva che fosse nato da poco il loro re. Anzi, preoccupati per gli strani visitatori li invitavano a non dirlo a voce alta, perché il regnante Erode era geloso e crudele, e non ammetteva rivali.
Comunque della strana compagnia fu avvertito il re, che li fece accomodare nel suo palazzo. Chiese loro chi fossero e soprattutto il perché della strana visita. Si informò della stella, e li fece andar via a patto che, trovatolo a Betlemme come aveva predetto il profeta, tornassero ad informarlo.
Sulla via indicata, ricomparve la stella. Somma fu la loro gioia e trovata la casa, adorarono il Bambino in braccio alla madre. Tra i doni eccelleva l’oro, per la regalità, l’incenso per la Divinità e la mirra, profumo sponsale, per la sua umanità.
I lontani riconobbero Gesù, a differenza dei vicini che tenteranno di farlo fuori.
I Magi e la Stella
I Magi, vista la stella
che parve la più bella,
cercarono il Re,
e, ai Giudei che il perché
avean loro posto,
da essi fu risposto
che la stella li guidava
al Re che li chiamava.
Andarono da Erode
che vide solo frode,
e, per il trono da salvare,
chiese ove egli scrutare
a sacerdoti e a chicchessia
dove nascerà il Messia.
" Da Michea – fu risposto –
unico posto
è Betlemme
che a Gerusalemme
fu preferita".
A risposta, appena udita:
" Andate dunque – disse il re –
e cercatelo per me,
perché anch’io possa adorare
chi voi state a ricercare".
Il cammino fu ripreso,
e quel astro, tanto atteso,
ricomparve alla lor vista
e li portò su giusta pista.
Al vedere il Bambino,
lo adorarono divino,
e, come si fa col Dio immenso,
gli offrirono l’incenso.
Ma ci furono coloro
che al Re offriron l’oro,
mentre chi l’umano aspetto
volle ancora più diretto
con la mirra esaltare
poté in lui ammirare
dell’Umanità lo Sposo
e tra tutti il più affettuoso.
Erode, i Magi e il Bambino
Si rode
Erode
per il Bimbo già nato
e, ancor sconsolato,
vuol dai Maestri
sensibili estri,
a trovar tra i profeti
gli eventi già lieti.
" Betlemme diletta,
da David eletta
a prima dimora,
rimane ancora,
tra i borghi ideali,
la città dei natali.
Da due anni vi è nato
il Figlio adorato!"
Ripartito in sella
ognun da cammella,
rivide la stella
che parve più bella.
Giunti alla casa
la videro invasa
da angeli in festa.
Piegaron la testa
e adoraro il Bambino
riconosciuto divino.
Chi gli offrì l'oro
dal cuore tesoro
intese donargli,
e chi affidargli
volle l'immenso,
lo fè con l'incenso,
mentre da sposa
fu la mirra odorosa
a Colui che d'amore
nutre il tenero cuore.
La Befana e il Covid
Vedo strana
sta Befana,
che la scopa
non adopra.
Le sue scarpe
sono ad arte
più bucate
con le calze colorate
già di giallo
come un gallo,
ma tendenti all'arancione.
Sarà questa conclusione
che a noi fa sol paura?
Al Covìd non c'è altra cura
del vaccino,
ch’è un vero spadaccino!
Con Mattarella presidente,
anche il papa è consenziente,
e i medici in ospedale
a noi mostran quanto vale.
Dico a te, o mia Befana,
se tu puoi, da noi allontana
questa dannosa epidemia,
che quest'anno è ancor follia!
Fai il regalo che più vale:
togli a tutti il carnevale
di mascherine tutto l'anno.
Abbiam promesso a capodanno
che qualcosa cambierà.
Ma dillo tu quando avverrà.
Ti ringrazio mia Befana
che tua festa non sia vana!
12 gennaio
Ricordando San Bernardo
La mia personale testimonianza su San Bernardo da Corleone copre pressoché l’intero arco della mia vita, perché venni a contatto con le sue reliquie fin da quando avevo otto anni e, come un fidato cagnolino, seguivo l’allora sacrista frate Andrea da Palermo, che mi metteva in mano ogni pomeriggio un pennellino da pittori perché spolverassi gli angoli più reconditi degli altari, avendo egli una esagerata fobia anche per un solo granello di polvere. Controllava il mio lavoro e alla fine mi gratificava con qualche presente in dolciumi o magari rimasugli delle ostie che le suore di san Giuseppe gli regalavano, allo scopo di far felici noi bambini, che glieli chiedevamo come fossero manna.
Così, tutti i santi giorni, armato dello strumento, giravo per gli altari della chiesa dei Cappuccini a caccia delle polveri più sottili, come se fossero streghe. Ma a quell’età tutto era gioco e privo di fatica, e di ciò non mi lamento.
Ogni giorno dunque, puntualmente, mi confrontavo con l’urna di legno di pregevole fattura settecentesca, che conteneva il cranio del Santo, collocato in bella vista sopra due ossa lunghe disposte a croce di sant’Andrea.
Ce n’erano ragioni per fare paura ad un bambino, ma io sapevo che erano le ossa di un Santo e gli parlavo in confidenza, sicuro che mi avrebbe accontentato.
E così fu quando gli dissi che volevo diventare frate come padre Teodosio o padre Beniamino, che allora ai miei occhi erano quelli che tiravano la carretta, perché li vedevo sempre in sacrestia. Entrai nel seminario di Sciacca a dieci anni e ci parlavano di san Bernardo, raccontandoci episodi che sbalordivano quella che era l’età delle fiabe. Vissi l’adolescenza a Caltanissetta e il ricordo del Santo, ancora beato
, si corredava di altri dettagli che ci venivano ammanniti insieme al desinare da qualcuno che, a turno, leggeva a voce alta i fioretti
di fra’ Bernardo, mentre ci impressionava la sua eccezionale penitenza. Assorbivamo i racconti più spettacolari, come quello del pollo già lesso e in brodo che il Santo fece camminare, o del Crocifisso in legno caduto nel fiume che, anziché seguire la corrente, ritornò in senso contrario tra le mani di san Bernardo. E poi il morto per il calcione di un cavallo. Il Santo lo restituì vivo alla famiglia. Ci entusiasmavano anche le sue elevazioni mistiche, quando, durante la preghiera volava fino all’altezza del Crocefisso già abbastanza sollevato da terra. Facevamo a gara a ricordare e a raccontare questi e tanti altri episodi, che avevamo imparato a considerare come gioie di famiglia.
Nel 1967 si celebrò in modo molto solenne a Corleone il terzo centenario dalla morte. L’evento coinvolse tutti i Cappuccini della Provincia religiosa di Palermo, e noi frati più giovani facemmo parte del coro polifonico diretto da Padre lo Nigro e dal suo assistente padre Umberto Sciamè. Il canto refrain che risuonò come un mantra in ogni strada e vicolo di Corleone, accennava alla sua capacità di fare penitenza: Evviva Bernardo, il gran penitente, fu giusto e prudente, il cielo acquistò!
.
Poi l’anno seguente ci fu il terremoto, che sconvolse mezza Sicilia e a seguire i grandi reati di mafia con il Made in Corleone , fino a vergognarci di accostare il nostro Santo al nome del suo paese d’origine. Corleone infatti, ricorda il Padrino
del più famoso best seller di mafia e la cittadina del palermitano da cui prese avvio l’avventura dei malavitosi, identificati come Corleonesi
che tutto il mondo conosceva nel modo più sinistro. Nei villaggi sperduti dell’Africa – scrivevano i giornali dell’epoca – sapevano di Corleone, anche se non conoscevano né l’Italia né la Sicilia.
Tempi tristi e dalle conseguenze non definitivamente risolte. Il vescovo cappuccino greco, Giorgio Papamanolis, con l’intento di riscattare il buon nome dei tanti altri Corleonesi onesti e più numerosi, propose in Vaticano la canonizzazione di fra’ Bernardo che, da due secoli, sedeva senza successo nella panchina dei Beati in attesa di titolarità. Non gli riuscì. E quando sembrava spenta ogni speranza, il nostro confratello padre Gaspare Lo Nigro, noto per l’impegno che soleva porre nelle cose in cui credeva, venne a conoscenza di un miracolo operato dal Nostro nei pressi di Genova, in epoca molto antica, nel 1786.
Egli chiese ai superiori di recarsi in Vaticano per rispolverare il prodigio, che giaceva nel dimenticatoio a causa della Rivoluzione francese (1789) e del successivo ciclone napoleonico. Raggiante, padre Lo Nigro poté, prima di morire, saper realizzato il sogno della sua vita: vedere sugli altari della Chiesa universale il nostro confratello san Bernardo. È con immensa emozione che guardiamo a lui, le cui reliquie sono custodite dal 1975 in un’urna più grande, resa elegante anche dall’artista Pietro Buttitta che ne modellò in legno il capo, le mani e i piedi, così che alla devozione si aggiunse meritatamente l’arte. San Bernardo è sicuramente adatto a tutte le stagioni della Chiesa. Prima del Concilio Vaticano II di lui si enfatizzava legittimamente la sua grande penitenza. Dopo il Concilio, con altri criteri di valutazione più vicini a quelli evangelici, di lui si possono ricordare soprattutto la grande carità verso i poveri, gli ammalati, i bambini, i confratelli. E se la sua penitenza può essere giudicata eccessiva, il modello adottato coscientemente da fra’ Bernardo fu il Crocifisso che amava fino all’identificazione, per dimostrare l’amore più grande, quello di chi dà la vita per gli altri.
Generazioni di frati sono passate e tutti hanno visto in san Bernardo il vessillo della nostra Famiglia provinciale. Molti confratelli ormai esultano nella gioia insieme con lui, gli altri gli chiediamo di sostenerci con il suo carisma senza ombre e senza scarti.
15 gennaio
1968: anniversario memorabile...
Quella notte la terra in Sicilia tremò. Alle 02:55 la fortissima scossa (la massima della scala Mercalli) seppelliva interi paesi della valle del Belice, e con essi storia e cultura di intere generazioni che vedevano, impotenti, annegare progetti e speranze.
Lo vissi, nel mio piccolo, in diretta
. Abitavo insieme ad altri confratelli, giovani e studenti come me, nel convento cappuccino di Castelvetrano. La costruzione muraria cinquecentesca era massiccia e antisismica (ante litteram), per cui subì poche e superficiali lesioni. La paura però fu tanta, anche se, a primo impatto, ci sembrò che tutto si fosse risolto in quegli imprecisati e sicuramente interminabili minuti di scuotimento tellurico, preceduto dai ringhiosi e terrorizzanti boati profondi, in grado di farci sobbalzare dal letto e fiondarci fuori dalle cellette conventuali. Impreparati e soprattutto ignari, ci mettemmo a gironzolare per il Convento, con incolpevole ingenuità. Volevamo verificarne i danni, inconsapevoli che le scosse, come sperimentammo nelle ore successive, potessero ripetersi. Mi impressionò nell’incosciente sopralluogo, il lampadario del tetto della chiesa che dondolava furioso, come un’altalena spinta da bambini al massimo della sua potenzialità.
La piazza antistante il convento, allora Bertani
oggi piazza San Francesco
fu subito ritrovo di bivacchi e di falò improvvisati, per il freddo stagionale e la paura di rientrare nelle proprie case dei tanti accorsi nel frattempo, impauriti e desiderosi di pregare.
Fino a quel momento avevamo sottovalutato l’effettiva entità dei danni, compresi solo a giorno inoltrato. Folle di diseredati, intirizziti dal freddo e coperti da qualche plaid afferrato all’ultimo momento prima di scappare dalle case, in vestaglia e pigiama, provenivano, a piedi o con mezzi di fortuna, dalle case che avevano visto crollare come castelli di sabbia. Gibellina, Salaparuta, Santa Ninfa, Montevago... non esistono più!
raccontavano tra lacrime e terrore.
Fu catastrofe che conobbi in diretta
e, nell’entusiasmo dei diciotto anni, non potevo consentirmi l’inattività: così, insieme a qualche altro confratello volenteroso, mi diedi da fare per l’emergenza.
La notte seguente il terremoto si passò all’addiaccio perché nessuno, anche se infreddolito,