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Andrà tutto bene?
Andrà tutto bene?
Andrà tutto bene?
E-book506 pagine7 ore

Andrà tutto bene?

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Info su questo ebook

Un surreale esperimento di traslazione spazio-temporale porterà Per Spicace, vicequestore della città di Bovino, di madre norvegese e padre calabrese e il fido ispettore capo Leone Saltalapappa, ferocissimo quando è a digiuno, su un pianeta chiamato Nux.

Nux assomiglia molto alla Terra ma con alcune importanti differenze. Gli abitanti sembrano essere immuni dalle malattie e sono legatissimi al pianeta e alla difesa dell'ambiente. Un luogo paradisiaco da cui, faranno dei salti avanti e indietro nel tempo nel tentativo di tornare a casa.

Per e Leone, dovranno affrontare una serie di sfide e problemi e si ritroveranno coinvolti nelle trame di potere del malvagio Mirdylav P. Dicov che mira ad ottenere il potere supremo su Nux.

Riuscirà Per a trovare le risposte alle sue domande e di accettare il suo vero destino? Riusciranno Per e Leone a tornare a casa?
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2023
ISBN9791221461275
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    Anteprima del libro

    Andrà tutto bene? - Mindaugas Deutheronomius

    Parte Prima

    Da Bovino a Nux

    Addio ferie!

    «Ma cos’ho fatto di male per meritarmi ‘sta condanna?» mormorava sconsolato il Vicequestore di Bovino pensando a cosa lo aspettava quel sabato sera.

    Sebbene fossero passati già due mesi dalla conclusione delle indagini, l'iter burocratico successivo alla cattura del responsabile dei cinque efferati delitti di Santa Pagaia Marina non si era ancora concluso. Quegli omicidi, descritti nel romanzo La generazione del pesce crudo, avevano pesantemente coinvolto alcune persone di Bovino e Per Spicace, Vicequestore della città nonché grande amico di Massimo Dellapena, Procuratore Capo della località di villeggiatura teatro dei crimini, non se la sentiva proprio di abbandonare il collega al suo destino dopo averlo concretamente aiutato a risolvere il caso. Malgrado il Procuratore lo avesse tranquillizzato assicurandogli che ce l’avrebbe fatta benissimo da solo, il suo senso di responsabilità gli imponeva di tenersi a disposizione per qualsiasi evenienza, anche se avrebbe tanto desiderato poter trascorre qualche giorno di riposo nella natia Calabria.

    «E se fosse necessaria la mia presenza per convalidare una testimonianza? Oppure se Massimo avesse bisogno di me per ottenere urgentemente dei documenti riservati da Bovino?» si domandava retoricamente Spicace, doverista all’estremo per le origini norvegesi di sua madre e caparbio come suo padre, calabrese doc. Così alla fine si rispondeva risoluto «No! Non posso certo andare in vacanza adesso e lasciare un amico in possibili difficoltà», gratificando così la sua proverbiale coscienza scomoda.

    Ma questo sacrificio lo rendeva particolarmente nervoso perché, dopo essere stato trasferito all’inizio dell’anno alla nuova sede di Bovino, il Vicequestore sentiva proprio il bisogno di staccare la spina, approfittando di un settembre ancora tiepido. Invece la sera di quel sabato 22 era in ufficio a concludere l’ennesima settimana di duro lavoro in costante contatto con Santa Pagaia per supportare l’attività dell’amico Massimo e del parigrado locale Pippo Bonfiuto.

    «Non potrò godermi le ferie, ma almeno una bella cenetta in collina con annesso percorso enogastronomico a base di agnolotti, funghi e tartufi questa sera non me la toglie nessuno» aveva pregustato quella mattina, sfregandosi le mani con l’acquolina in bocca. Ma la notizia sconvolgente ricevuta subito dopo pranzo gli gelò ogni entusiasmo.

    «Se non ha più bisogno di me, capo, io andrei» biascicò alle 18 in punto l’ispettore capo Leone Saltalapappa dalla chioma fulva più spettinata del solito, mentre con la borsa a tracolla si divorava un enorme panino alla bistecca, in attesa della cena direttamente in macelleria.

    «No, Leone, vai pure» concesse il Vicequestore con gli occhi che sorridevano sopra la mascherina anti-Covid. Doveva proprio ammetterlo: tra la profonda, disarmante tristezza di una quotidianità criminale contro la quale lui e i suoi collaboratori lottavano ogni giorno a rischio della vita e il frustrante permissivismo del Procuratore di Bovino Libero Tuttifuori, sempre pronto a vanificare i loro sforzi perdonando ogni tipo di reato purché commesso ai danni degli odiati borghesi, lo strano metabolismo del suo più stretto collaboratore era una delle poche cose di quell’ufficio che ancora riuscivano a metterlo di buonumore. Che però subito svanì ricordando l’impegno di quella sera, che tanto avrebbe voluto evitare. Sua madre l’aveva convocato – ebbene sì, cari lettori, questa è la parola giusta per descrivere l’invito ricevuto – per dibattere chissà quali profondi argomenti e, poiché all’uopo aveva organizzato una simpatica cenetta, non avrebbe accettato un rifiuto. Così il povero Per indossò la giacca, riordinò le carte che aveva sulla scrivania riponendole accuratamente nel primo cassetto, lo chiuse con la chiave che infilò nella tasca destra dei pantaloni, si cambiò la mascherina che aveva indossato per tutto il pomeriggio e uscì impavido ad affrontare il suo destino. La preoccupazione di dover trascorrere la serata con colei che sicuramente lo avrebbe messo in difficoltà propinandogli bizzarre teorie senza consentirgli di controbatterle nella sottomessa veste di figlio non era però l’unico problema. Ancor di più lo terrorizzava il menù preparato dalla badante, Vlada Draculescu, da lui assunta appena giunti a Bovino per accudire la madre senza immaginare le incredibili ripercussioni che quella scelta avrebbe comportato.

    Non potendo più sottrarsi alla sua sorte ria, il Vicequestore si incamminò mestamente verso il luogo dell'esecuzione, con il capo chino e il passo lento del condannato a morte che spera così di ritardarla il più a lungo possibile. E mentre camminava si interrogava: «Ma cosa dovrà mai dirmi mia madre di così importante per invitarmi a cena e desiderare che resti con lei tutta la sera? Già mi ha imposto il nome norreno che porto a dispetto della mia carnagione olivastra e nemmeno ha domandato il permesso di trasmettermi quei cromosomi all’origine di questo fisico da vichingo, quando il naso ereditato da mio padre sarebbe più adatto a un viso mediorientale. Dopo un tale improbabile mix genetico in quale altro modo vorrà condizionarmi la vita?»

    Appena uscito dall’ufficio, come prima di ogni missione impossibile, decise quindi di entrare nella vicina Cattedrale della Crocifissione di Cristo, dove si raccolse in meditazione davanti all’imponente pala omonima, dipinta da un celeberrimo anonimo del ‘300 e spacciata come capolavoro allo scopo di attirare fedeli per rimpinguare le esangui casse della parrocchia con le loro generose elemosine. Non era un assiduo frequentatore di chiese ma quella circostanza richiedeva un’eccezione, nella speranza di ottenere consiglio e ispirazione.

    Una badante molto particolare

    Dopo un numero indefinito di Padrenostro e Avemaria, recitati anche lungo il tragitto per esorcizzare il momento, giunto alla casa dell’amata genitrice Per suonò il campanello con dito tremolante: al citofono rispose una voce, calma e decisamente profonda per appartenere a una donna, che molto formalmente pronunciò: «Prego, dottor Per, salga pure, sua madre la attende», terminando la frase con un ghigno raggelante.

    «Mamma mia che allegria! Sarà di sicuro una piacevolissima serata» pensò ironico il Vicequestore mentre premeva il pulsante di chiamata dell’ascensore. «Ma perché sono circondato da persone così stravaganti?» si domandò, pensando anche al suo famelico ispettore capo.

    Quando erano arrivati a Bovino, sua madre era ancora profondamente turbata per la prematura perdita del marito, David Spicace, anche lui poliziotto ma agente della narcotici, specializzato in pericolosissime operazioni sotto copertura. L’ultima di queste l'aveva visto protagonista della cattura di una pericolosa banda internazionale di narcotrafficanti che agiva tra il Sudamerica e la Calabria: David, grazie alla sua perfetta padronanza della lingua spagnola, appresa dalla madre Carmen ex ballerina di flamenco, era riuscito a infiltrarsi in un’organizzazione malavitosa e a conquistare la fiducia del boss venendo così a conoscenza della data e del luogo di un’importante consegna di cocaina. Di conseguenza aveva informato i colleghi, che erano intervenuti per sventare la transazione arrestando i colpevoli. Purtroppo, però, all’irruzione nel magazzino abbandonato teatro dello scambio era seguito un violento conflitto a fuoco, nel quale il padre di Per perse la vita, gettando la famiglia nello sconforto più profondo. Ma se il figlio poteva distrarsi immergendosi anima e corpo nel lavoro, la vedova non riusciva a superare quella tragedia, non tanto perché era rimasta priva della persona che amava di più al mondo quanto per la mancanza di chi le risolveva i problemi pratici quotidiani. Per questo non riusciva a perdonare al marito quella che lei riteneva un'imperdonabile imprudenza, commessa senza pensare a lei. Così, nella speranza di sostituire il marito con il figlio, aveva preteso che costui la portasse con sé nella nuova sede di lavoro, Bovino, dove lei, di origini norvegesi, avrebbe comunque potuto vivere in uno dei luoghi più a nord d’Italia. Raggiunta la nuova destinazione, Per dovette quindi trovare una collaboratrice familiare che non solo aiutasse la genitrice a svolgere le faccende domestiche, ma soprattutto le tenesse compagnia e sbrigasse per lei quelle incombenze alle quali lui, con il suo lavoro, non avrebbe potuto di certo assolvere. Conoscendo il carattere piuttosto autoritario della madre, che mal si adattava a vivere in Italia pretendendo da tutti sempre la perfezione, la missione era pressoché impossibile, ma lui non se la sentiva di lasciarla da sola in una nuova città e così, dopo parecchi incontri con potenziali candidate e l’esame di decine di curricula, alla fine decise di assumere Vlada Draculescu, nata in Transilvania non si sa bene quanti anni prima e già impiegata come badante-convivente presso diverse famiglie, alcune delle quali di antichissimo lignaggio. La donna, dai lunghi capelli neri e dal fisico magrissimo, aveva un aspetto particolarmente emaciato, caratterizzato da una carnagione pallidissima sulla quale risaltavano labbra sottili color rosso fuoco a far da contraltare a due livide occhiaie nero-violacee. E parlava appunto con una strana voce, calma e profonda.

    «Ciao Vlada» la salutò cortese togliendosi la mascherina. «Come sta la mamma?» domandò retorico il Vicequestore entrando in casa.

    «Sua mamma sta bene, tanto che ringiovanisce ogni giorno di più» rispose orgogliosa la transilvana con la sua tipica inflessione grave mentre accompagnava Per dalla madre senza venire riflessa dallo specchio dell’ingresso, cosa che fece invece riflettere il Vicequestore, seppur in altro senso. «Ogni sera usciamo insieme a fare una passeggiata e spesso incontriamo dolci persone con le quali ci intratteniamo per un breve abboccamento. Poi, quando rientriamo» proseguì guardando con affetto la sua datrice di lavoro, «sua mamma si sente rinata, tanto da restare sveglia tutta la notte a giocare a Castlevania, un innocente gioco di ruolo che ci siamo inventate per passare piacevolmente il tempo. Poi, alla mattina, dopo la sua consueta colazione con fiocchi da vena, lei crolla esausta e dorme fino a sera, quando torniamo a uscire per le nostre escursioni che sembrano davvero rinvigorirla. Da quando è con me, ha praticamente smesso di invecchiare» spiegò la Draculescu.

    Per guardò allibito la madre, che mostrava almeno trent’anni di meno, e le domandò, incurante della presenza di Vlada: «Come fai a sopportare una badante così?»

    «Ma me l’hai scelta tu, bambino mio» rispose la donna con un sorrisetto polemico che a stento nascondeva i lunghi canini, «e ricordo che mi dicesti pure: Se qualcuno deve succhiarci il sangue, con tutto quello costa oggi un’assistente familiare, che sia almeno una professionista con antiche tradizioni in quella nobile arte» concluse. «E poi perché mi dici così? Questa è la prima volta da quando vivo con una badante che mi trovo davvero benissimo e non voglio di certo perderla» dichiarò senza possibilità di replica, ricambiando lo sguardo affettuoso di Vlada.

    «Forse perché sono molto simili» pensò Per ricordando le strane attenzioni che sua madre gli riservava da bambino quando cadeva e si sbucciava le ginocchia. Ma adesso non poteva fare a meno di immaginare la mamma con la badante, vestite con ampi mantelli neri dalla fodera di seta rossa, camminare di notte verso l’obitorio con dei pallidi cadaveri sulle spalle a portare indietro i vuoti.

    Erano settimane, se non mesi, che Per mancava da quell’appartamento e guardandosi intorno notò con sorpresa come l’arredamento fosse stato stravolto. Le finestre, ornate da preziosi vetri-cattedrale, erano nascoste da pesanti tendaggi viola e aperte soltanto di notte per permettere la necessaria aerazione dei locali; le pareti erano rivestite a tutta altezza dallo stesso ebano del parquet e avvolte da drappi, alcuni di raso rosso e altri porpora; dove non c’era legno, faceva bella mostra di sé del marmo Nero Marquinia che creava, con il resto dell’arredamento, un perfetto ambiente gotico, illuminato fiocamente da candele rosse posizionate così in alto da poter essere accese e spente soltanto grazie ad aste telescopiche, oppure… volando; il tavolo da pranzo in cristallo di design, che Per aveva scelto personalmente, era stato sostituito da un’imponente struttura in marmo decorata con strani intarsi lungo tutto il perimetro. Il piano superiore, su cui si consumavano i pasti, era incernierato su un lato per consentirne il ribaltamento, a scoperchiare quello che sembrava tanto un sarcofago. Un mobile analogo era sistemato in camera da letto della madre, ora tutta tappezzata di nero e di viola come Per ebbe modo di vedere recandosi in bagno a lavarsi le mani.

    «Mamma» gridò per farsi sentire dalla sala da pranzo, «perché non fai sistemare questa lampada? Penzola dal muro e con i suoi fili scoperti potrebbe essere pericolosa» la rimproverò.

    «Non preoccuparti, caro, perché a noi non può accadere nulla di male!» rispose lei tranquilla. «Purtroppo l’attacco di quella applique prevede il fissaggio con un certo tipo di viti e lo sai che Vlada non maneggia cacciaviti a croce!» si giustificò, lasciando il figlio esterrefatto a guardarsi nello specchio chiedendosi perché mai si trovasse lì.

    Invito a cena con… domande

    Tornato nella penombra della sala da pranzo, Per notò che il tavolo-sarcofago, come per magia, era stato apparecchiato in un nanosecondo e che sua madre lo stava aspettando severa, seduta a una delle due estremità. Lui si dovette accomodare all’estremità opposta e poco importava se si trovava a quasi cinque metri di distanza da lei: così imponeva l’etichetta e così doveva essere.

    Gunilda Sjefsen vedova Spicace era un’austera signora norvegese piuttosto alta dai fluenti capelli bianchi che una volta avevano il colore del grano, fermati con uno spillone dalla foggia molto antica regalatole da Vlada, che sosteneva le appartenesse da secoli. I suoi modi freddi e autoritari intimidivano ancora il figlio come quando, da ragazzino, veniva continuamente rimproverato di non fare di più e meglio. Anche ora Per provava lo stesso disagio che, ne era certo, percepiva anche il padre David, suo alleato nella quotidiana lotta contro l’oppressione scandinava, quando alla compagnia della dolce mogliettina preferiva i pericoli cui andava quotidianamente incontro nello svolgimento del suo rischioso mestiere. «Maledetto campeggio estivo!» lo sentiva spesso imprecare e dopo tanti anni finalmente ne aveva compreso il motivo.

    «Possiamo cominciare, Vlada» ordinò Gunilda oscillando sobriamente un campanellino d’argento mentre il calore umano presente in quella stanza stava congelando persino il vaso di gaillardie dai petali rossi che sfumavano verso il giallo, di natura resistenti anche alle temperature più rigide. Tra l’altro, quei fiori erano finti, ciò nonostante stavano irrimediabilmente avviandosi a una triste morte per assideramento.

    «Bene, signora» rispose educata la collaboratrice domestica. «Porto subito gli antipasti» assicurò solerte mentre Per cominciava a sentirsi davvero a disagio per continuare a essere l’unica persona riflessa nel grande specchio dominante la credenza. Vlada sparì per qualche minuto in cucina, per ritornare poco dopo con un tagliere in legno di faggio recante quattro strane salsicce di colore rosso scuro. «Ecco i bodìn che ha ordinato, signora! Ho assaggiato gli ingredienti e devo confessare che sono davvero ottimi» esclamò abbozzando una rispettosa riverenza prima di servirne due pezzi a lei e due al figlio che, ancora inesperto della cucina bovinese, chiese, annusandoli sospettoso: «Che cosa sono questi insaccati? Non li avevo mai visti prima.»

    «Sono sanguinacci, dottor Per!» rispose Vlada, che proseguì vantando la sua maestria nel prepararli mescolando sangue fresco di maiale con patate, riso, barbabietole e spezie.

    «Ah… capisco» sospirò il Vicequestore mentre la mamma aveva già consumato entrambe le sue salsicce. «Non ti facevo cosi golosa» osservò rivolto alla genitrice mentre lui affrontava il suo salamino con i denti più lunghi della transiberiana.

    «In effetti non lo sono mai stata, ma da quando Vlada cucina per me mangio con grande appetito» rispose Gunilda nettandosi le labbra col tovagliolo di fiandra prima di sorseggiare un goccio di vino rosso, cosa che fece anche Per ma al solo scopo di deglutire quel boccone che proprio non voleva saperne di andare giù.

    «Sono proprio insipidi, Vlada» lamentò il Vicequestore con una smorfia di disgusto. «Non pensi che ci sarebbe stato bene uno spicchio d’aglio per insaporirli?»

    A quelle parole la povera domestica fuggì inorridita emanando un lacerante latrato mentre la mamma redarguiva il figlio lapidaria: «Da noi l’aglio è bandito perché non desideriamo avere l’alito cattivo quando baciamo qualcuno.»

    Pochi minuti dopo, riavutasi dallo spavento, Vlada ritornò nella sala da pranzo e notando che la mamma di Per aveva il bicchiere vuoto domandò cortese: «Gradisce altro Sangue di Giuda, signora?»

    «Prego?» esclamò Per. «Come ha chiamato questo vino?» chiese perplesso.

    «Sangue di Giuda» confermò calma la Draculescu che non comprendeva quello scetticismo. «È un rosso tipico dell’Oltrepò Pavese costituito per il 30% da uve barbera e croatina, con il restante 40% di uva rara, vespolina e pinot nero, assemblate in percentuali variabili». Poi, vista la curiosità del suo interlocutore, aggiunse: «Il nome è legato sia al colore rosso rubino con riflessi violacei che alla leggenda secondo la quale Giuda, passato a peggior vita di quella peraltro già triste condotta sulla terra, si sarebbe amaramente pentito di aver tradito Gesù. Costui, in segno di perdono, lo avrebbe fatto resuscitare in carne ed ossa nei pressi di Broni. Riconosciutolo, i cittadini del posto vollero subito ucciderlo per il ruolo negativo che aveva svolto nella passione di Cristo, ma lui si salvò grazie a un dono che fece ai viticoltori locali: compì un miracolo che risanò le loro viti da una malattia che a quel tempo le stava decimando e, per ringraziarlo, i contadini del luogo gli intitolarono questo vino. Ne gradisce ancora?» domandò fredda e professionale.

    «No, grazie» rispose Per sconvolto. «Non avreste per caso del bianco?»

    «Il menù che ho fatto preparare non lo prevede» tagliò corto la mamma. Comunque, se trovi troppo forte il Sangue di Giuda, posso offrirti del succo di sanguinella» propose gentile mentre il figlio, declinando l’offerta, pensava: «Ma qui il sangue è proprio un’ossessione!»

    «Comunque non ti ho fatto venire qui per parlare del vino o del cibo, ma perché vorrei affrontare con te alcuni problemi esistenziali che mi stanno turbando da troppo tempo. Vlada è molto paziente e ha una lunghissima esperienza ma tu, col lavoro che fai, vedi molte persone e ascolti le più disparate versioni dello stesso problema per cui desidererei tanto avere la tua opinione su tre temi che mi stanno angustiando» esclamò seria mentre la domestica ritirava il piatto del figlio col sanguinaccio e mezzo avanzato.

    «Dimmi, mamma» rispose Per, stupito di essere considerato per la prima volta un essere raziocinante. «Se posso aiutarti…»

    «Ecco la prima questione: perché a tuo avviso gli abitanti del nostro pianeta sono tanto stupidi da voler distruggere l’ambiente in cui vivono?» domandò implacabile. «Io vengo dal profondo nord, dove si è molto più sensibili a questo tema, ma qui in Italia…» terminò senza concludere la frase, lasciando intendere che l’interesse per questo argomento nel Bel Paese fosse pressoché nullo.

    Per, sorpreso da quell’interrogativo, replicò: «Forse perché alcuni spregiudicati mirano a un guadagno immediato invece di considerare il benessere più a lungo termine. Sai, mamma, nel mio lavoro incontro spesso delinquenti che per risparmiare qualche migliaio di euro smaltiscono i rifiuti, anche tossici, in maniera così scriteriata da inquinare persino le falde acquifere di intere città.»

    «Sarà come dici tu, figlio mio, ma io credo che il motivo sia un altro» contestò la madre.

    «E quale sarebbe secondo te?» ribatté il figlio incuriosito da quella affermazione.

    «Io credo che la maggior parte degli abitanti di questa Terra discenda da esseri provenienti da altri mondi e che non ami l’ambiente in cui vive perché non lo percepisce come proprio. Del resto, gli avvistamenti di oggetti volanti non identificati sono numerosissimi e non credo che gli alieni, appurato ormai che esistono, vengano qui da noi in gita turistica» sentenziò Gunilda.

    Per, che mai avrebbe osato dare della pazza a sua madre, rispose con il massimo della calma possibile, trattenendo a stento un sorrisetto sarcastico. «Effettivamente è un aspetto che non avevo mai considerato…» confessò, quando si ripresentò Vlada con una grande zuppiera in mano.

    Rivolgendosi alla madre di Per, che sempre serviva per prima, la donna esclamò: «Questa è la mia famosa zuppa czernina, ricca di sangue d’anatra. L’ho degustato scrupolosamente questa mattina prima di prepararla e vi assicuro che è freschissimo: vi invito a consumare subito la minestra prima che si rapprenda» suggerì, mentre Gunilda affondava impaziente il proprio cucchiaio nel piatto e Per si guardava intorno per vedere dove poter smaltire quella sbobba sanguinolenta non appena l’attenzione delle due donne si fosse distolta per un attimo da lui. E così, il vaso di moribonde gaillardie finte ebbe l’onore e il privilegio di ospitare quella brodaglia rossa che aveva chiuso lo stomaco del Vicequestore, abile a creare un diversivo per sbarazzarsene.

    Terminata in un attimo la sua zuppa, con un rivolo scarlatto che ancora le scorreva lungo l’angolo destro della bocca, Gunilda esclamò: «Come secondo, ero indecisa se proporre della carne cruda oppure delle bistecche al sangue, ma dal momento che la prima era particolarmente anemica ho optato per le seconde», lasciando pregustare al figlio qualcosa di finalmente commestibile. «Ma prima desidero porti la mia seconda domanda: perché le religioni anelano al cielo, cui si rivolgono tutte le persone devote quando pregano?» domandò ineffabile.

    Per, spiazzato da questo ulteriore interrogativo al quale da sempre le migliori menti non sanno dare una risposta plausibile, rispose: «Ma non lo so, mamma. Sai che non sono mai stato un buon praticante. Forse ci sono talmente tante brutture su questa Terra da pensare che il cielo, con il suo aspetto terso, rappresenti un ambiente più pulito anche dal punto di vista morale» improvvisò.

    «Io credo invece che l’Uomo aneli al cielo perché è da lì che viene ed è lì che vuole tornare. Chi ti dice che anche Gesù non venisse da un altro pianeta? Il fatto che sia risorto anima e corpo dopo tre giorni dalla morte non ti fa pensare a qualcosa del genere?» insinuò mentre Per, non riuscendo più a trattenersi, rispondeva piccato: «Ma con quale diritto parli di religione? Malgrado abbiate istituito la vostra specialissima Chiesa luterana di Norvegia, c’è soltanto un’infinitesima parte della popolazione che frequenta le funzioni! Ora capisco perché nel tuo Paese la partecipazione è calata ai minimi storici» obiettò muovendosi a disagio su un terreno non suo. «Non pensi che la tua ipotesi sia alquanto surreale, per non dire fanta-religiosa?»

    «E ora le bistecche!» li interruppe tempestiva Vlada. «Secondo le nostre tradizioni» riprese poi il discorso senza essere stata interpellata, «vi è una netta distinzione tra corpo e anima. Quest’ultima è imperitura e alla morte del corpo vagherebbe per moltissimi anni prima di trovar pace nell'oltretomba. Noi crediamo che durante questo periodo essa abbia la capacità di rientrare nel corpo del defunto ridandogli la vita. È proprio da questa credenza che deriva il nostro concetto di creatura soprannaturale quale manifestazione di uno spirito che possiede un corpo» terminò con lo stesso ghigno agghiacciante che aveva accolto Per al suo annunciarsi al citofono.

    «Moltissimi… anni? Forse si dovrebbe dire secoli» pensò Spicace prima di rispondere. «Io invece sono convinto che l’anima non sia altro che l’espressione di un campo elettromagnetico che fluttua nello spazio» affermò dando così conferma che in ambito razionale sapeva ancora dire la sua. «L’organismo umano» proseguì sicuro, «è un complesso di frequenze elettromagnetiche, di energie di fondo che lo animano e che lo rendono vivo. La nostra dimensione immateriale, che è quella del pensiero, degli stati d’animo e delle emozioni, ci mantiene interconnessi con le tre entità a queste strettamente correlate, vale a dire la psiche, il corpo e l’anima, dal cui accordo funzionale e armonico dipende il nostro campo energetico vitale. E quest’energia di fondo che alberga in noi non è altro che l’anima, la quale ci lega a doppio filo con l’essenza pura della creazione» concluse sorpreso dalle sue stesse parole, espresse con una tale logica da far invidia a Cartesio. Ma quando gli fu servito il secondo si rese conto di come la definizione al sangue rappresentasse eufemisticamente due pezzi di carne talmente crudi da poter essere apprezzati, oltre che da quelle due donne stralunate, soltanto dal suo fido ispettore capo Leone Saltalapappa.

    Gunilda fu sinceramente sorpresa dalle parole del figlio, anche se restò della sua opinione, mentre suonava il campanello per richiedere il dessert. Vlada per tutta risposta arrivò subito portando una grande torta accompagnata dalle parole: «Questa è la mia specialità, gateau di sangue di maiale, fresco fresco di macelleria, come ho potuto constatare io stessa assaporandolo questa mattina prima di acquistarlo.»

    Udita quell’esaltazione emo-gastronomica, la madre di Per guardò Vlada con profonda gratitudine ed esclamò: «Spero proprio che, tra mille anni, quando mi lascerai per accedere ai pascoli eterni, tu possa diventare il mio angelo custode.»

    Vlada ricambiò lo sguardo sorpresa, probabilmente perché per lei mille anni non costituivano un periodo temporale così lungo, mentre Per interveniva domandando con un sorriso sardonico: «A parte il fatto che lei apparentemente è molto più giovane di te, mamma, ma perché vuoi che la tua badante si trasformi in un assorbente intimo?»

    Le due donne lo squadrarono interdette non avendo colto la battuta, che lui spiegò dicendo: «E come altrimenti vorresti chiamare un protettore bianco con le ali che beve così tanto sangue?»

    Vlada, offesissima, posò sgraziatamente la torta fatta con tanto amore sul tavolo di marmo e ritornò in cucina tra le lacrime mentre Gunilda rimproverava il figlio per la sua scarsa sensibilità, spostando però il discorso sulla terza e più importante domanda che desiderava porgli in merito all’origine della pandemia presente sul pianeta da più di un anno.

    «A tuo avviso, come è nato questo maledetto Coronavirus? Non credi che si stia facendo troppo rumore per nulla?» domandò polemica.

    Per, al contrario della mamma, era invece molto preoccupato per il diffondersi dei contagi e lamentava l’impossibilità di essere più severo con chi si rifiutava di vaccinarsi, di indossare la mascherina e di astenersi dai saluti con falsi bacini e ipocrite strette di mano, ignorando persino i più elementari gesti barriera che avrebbero salvato molte persone.

    «Non posso fare a meno di considerare tutte le reticenze create attorno a questa situazione, come pure non posso ignorare il fatto che per certe patologie conosciute da tempo non si sia ancora scoperto un vaccino, o lo si sia trovato solo ora, come per la malaria, con una percentuale di protezione non superiore al 50%, mentre per il Covid-19 lo si sia sviluppato in meno di un anno dichiarando un’immunità superiore al 90%: non ti sembra strano tutto ciò, figlio mio? Credi davvero che questa moderrna pestilenza abbia cause naturali, o piuttosto non pensi anche tu che sia stata volutamente provocata da qualcuno per trarne vantaggio?» ipotizzò Gunilda. «Pensa che mia nipote Astrid, con la quale sono ancora in contatto, mi ha detto che in Norvegia ormai non c'è più da preoccuparsi, tanto che sono state abrogate tutte le misure protettive tranne il consiglio di tenere le mascherine sui mezzi pubblici, mentre qui da noi si fanno ancora tante storie» proseguì seccata.

    «Anche su questo punto non sono d’accordo con te, mamma, pur non avendo elementi concreti per poterti rispondere» ammise il figlio impotente mentre la genitrice incalzava: «E allora, perché la Norvegia è stata colpita molto meno dell’Italia da questo virus? È vero che la densità abitativa è molto inferiore, ma la differenza anche in percentuale resta enorme: come è possibile secondo te?» domandò curiosa.

    «Può darsi che lassù abbiano condotto indagini più approfondite, procedendo a un monitoraggio generalizzato della popolazione attraverso quei tamponi che qui da noi sono stati messi a disposizione troppo tardi, e che così facendo abbiano isolato le persone contagiose fin da subito. Ma questa è soltanto una mia supposizione» rispose il figlio.

    «Potrebbe essere» ammise Gunilda con aria pensierosa sollevando lo sguardo al cielo per poi riportarlo, indagatore, sul figlio insinuando: «Come potrebbe anche essere che i paragoni tra le situazioni in Stati diversi non si basino sugli stessi parametri, confrontando così mele con pere. Comunque sono convinta che le informazioni che ci vengono propinate siano condizionate da oscuri centri di potere economico e geopolitico. E se in realtà il virus avesse origini aliene?» ipotizzò paventando una qualche forma di complotto.

    «Davvero, mamma, capisco che il tuo rapporto con la realtà terrena sia ormai piuttosto distorto ma attribuire ogni responsabilità agli extra-terrestri mi sembra assurda. D’altronde non so che dire, se non che il contagio esiste ed è pericoloso» ribadì, esasperato da quella conversazione surreale. «Nel mio mestiere, per individuare i colpevoli si deve comprenderne il movente e verificare se abbiano avuto i mezzi e l’opportunità per compiere i delitti di cui sono accusati. In questo caso posso solo considerare che, se la pandemia non avesse cause naturali come sostiene l’informazione ufficiale, l’infezione potrebbe essere stata generata soltanto da chi avesse avuto gli strumenti per creare il virus, ad esempio in laboratorio, e l’opportunità di diffonderlo. Per quanto riguarda il movente, invece, basta pensare a chi sta traendo grande profitto da questa tragedia, che comunque non reputo abbia origine aliena, auspicando che ci sia davvero la volontà di far chiarezza sull’argomento da parte di chi ha la possibilità di svolgere le opportune indagini. I governi e i servizi segreti dei vari Paesi dovrebbero a mio avviso approfondire la questione senza alcuna sudditanza psicologica o economica e rendere pubblici i risultati delle loro indagini per dare a tutti noi le risposte che aspettiamo da quasi due anni. Ma su questa eventualità nutro seri dubbi» lamentò.

    Vlada, che nel frattempo si era ripresa da quella che aveva considerato una tremenda umiliazione, stava servendo i caffè quando Gunilda, evidentemente insoddisfatta delle risposte ricevute dal figlio, affermava: «Caro il mio Per, erano mesi che non venivi a trovarmi, ma se quello di questa sera è tutto il conforto che sai dare a tua madre quando ti chiede aiuto, allora non venire pure mai più, perché Vlada ed io ce la sappiamo cavare benissimo da sole. Del resto anche tuo padre non sapeva pensare ad altro che al suo maledetto lavoro e quando si trattava di consigliarmi o di condividere qualche mio pensiero non perdeva occasione per defilarsi, preferendo rischiare la vita piuttosto che stare con me» lamentò offesa. «E ora su, vai, ché non abbiamo più nulla da dirci. Senza considerare che sta avvicinandosi l’ora della mia passeggiata!» lo congedò.

    Per avrebbe tanto voluto rispondere Evidentemente mio padre, per comportarsi così, aveva le sue ragioni, che peraltro mi sembrano buonissime, ma non osò infierire su quella povera vecchia ringiovanita. Così, senza indugiare oltre, si alzò, si accomiatò dalla madre che tentò vanamente di baciarlo sul collo, salutò Vlada, che rispose con un grugnito condito da colorite espressioni balcaniche, indossò diligentemente la sua mascherina e uscì con passo svelto da quella casa del brivido per ritornare tra le sue quattro piccole ma rassicuranti mura.

    Una notte piuttosto agitata

    Quell'esperienza lo aveva turbato a tal punto da fargli dimenticare che in tutto aveva mangiato soltanto mezzo sanguinaccio innaffiato da un paio di bicchieri d'acqua e il suo stomaco glielo stava ricordando con rumorosi borborigmi. Ma ormai era rientrato, si era fatta quasi mezzanotte e lui non aveva alcuna voglia di uscire di nuovo per cercare un ristorante. Così aprì il frigorifero nella speranza di trovare qualcosa di commestibile ma il risultato fu sconsolante perché, accanto a diverse bottiglie d'acqua, vasetti di yogurt scaduti e un barattolo iniziato di maionese, trovò soltanto una lattina di trippa di maiale al sugo piccante di 'nduja che un amico di gioventù gli aveva mandato tempo addietro dalla Calabria. Aprì la confezione, che per poco non scoppiò a causa della carica esplosiva di quel condimento, ne versò il contenuto in un pentolino e lo mise sul fuoco a scaldare, aggiungendo un bicchiere d'acqua per diluire la pozione. Quando finalmente la pietanza fu pronta, Per notò che non aveva nemmeno del pane per accompagnarla, ma poiché l'appetito aumentava decise di affrontare ugualmente quella prova fisica che gli procurò sudore al cuoio capelluto, ustioni di secondo e terzo grado a lingua e palato nonché una serie incontenibile di starnuti. Dopo una buona mezz'ora di autentica sofferenza, quando la sua bocca stava finalmente riacquistando la naturale sensibilità, il nostro eroe dovette rassegnarsi al fatto che la porzione di trippa non aveva affatto placato i morsi della fame e quindi, disperato, aprì il freezer confidando in un miracolo che si palesò sotto forma di pizza surgelata alle cipolle, peperoni e salamino piccante, uno scherzo rispetto a quanto aveva appena sperimentato. Così prese il cartone, estrasse la pizza, la scaldò in forno e la mangiò avidamente lasciando che lo stomaco si satollasse, mentre il fegato gli telefonava per avvertirlo del grosso rischio cui stava andando incontro ospitando quel cibo così indigesto.

    Verso l'una di notte il languore era ormai svanito, lo stomaco taceva, non si sa se perché sazio oppure definitivamente distrutto, e Per poteva finalmente andare a letto, tranquillizzato dal fatto che al risveglio avrebbe goduto di un’intera domenica di riposo. Così si spogliò, gettando gli abiti distrattamente sulla poltrona della camera da letto, si lavò, indossò il pigiama e si infilò sotto le coperte, non prima di aver impostato sul suo smartphone la sveglia alle 8.30, mantenendo come suoneria l'attacco di Born in the USA per darsi la carica. Quindi si coricò, ma non riuscì a prendere sonno pensando alla sgradevole conversazione sostenuta con la madre e commuovendosi al ricordo del padre che ancora gli mancava tremendamente, tormentato dal rammarico di non avergli saputo dire quanto bene gli volesse nel momento in cui ne avrebbe avuto l'opportunità. Quel giorno disgraziato, infatti, non aveva nemmeno potuto salutarlo prima che morisse ammazzato in servizio.

    Per due ore buone il Vicequestore si girò e rigirò nel letto, preda delle sue angustie e del turbamento per il ricordo del padre, finché alla fine si assopì. Morfeo tuttavia non era ancora riuscito ad accoglierlo completamente tra le sue braccia quando il cordless trillò: nel buio della stanza Per tastò il comodino facendo cadere l’apparecchio. Assonnatissimo accese l’abat-jour, lo raccolse dal pavimento e premendo il tasto di ricezione biascicò «Pronto?» restando sbalordito nell'udire la risposta.

    «Ciao, figlio mio, sono tuo padre» disse la voce all'altro capo dell'etere. «Scusa l'ora ma sto lavorando sotto copertura e non posso assolutamente farmi rintracciare. Chiamo da un telefonino usa e getta che dopo questa conversazione non esisterà più, per cui non darti la pena di memorizzarne il numero. Piuttosto ascolta bene ciò che ho da dirti» intimò lasciando il discorso in sospeso.

    A quelle parole Per trasalì, balzò giù dal letto e bofonchiò, ancora non completamente lucido: «Papà? Ma non eri morto nell'agguato in quel magazzino?»

    «Questo è ciò che ho fatto credere e che tutti devono ancora pensare affinché io possa completare la mia missione: quelli del magazzino erano soltanto dei pesci piccoli; ora sono sulle tracce dei veri capi dell'organizzazione e quindi nessuno deve sapere che sono ancora vivo» precisò il padre.

    «Capisco» mentì Per, che in realtà non riusciva a capacitarsi di quanto gli stava dicendo il padre, dopo che lui l'aveva visto con i propri occhi nella bara in attesa della sepoltura e poi l'aveva accompagnato nell'ultimo viaggio insieme a sua madre e a tanti colleghi della Polizia. Ma il genitore incalzò senza dargli il tempo di connettere: «Più tardi, alle 10, si terrà un convegno al Palazzo delle Esposizioni organizzato da un mio amico, un ingegnere astrofisico specializzato in traslazioni spazio-temporali alle quali sono fortemente interessati i delinquenti cui sto dando la caccia, perché in esse intravedono nuove importanti opportunità di business, oltre che inaspettate possibilità di fuga. Per favore vieni almeno mezz'oretta prima, così potrò spiegarti tutto. E fatti accompagnare da qualcuno fidato che possa testimoniare quanto accadrà nel corso dell'evento» decretò senza possibilità di replica.

    «Ma papà, domani, anzi oggi, è domenica e non vorrei disturbare il mio ispettore Saltalapappa: non potrei venire da solo?» implorò.

    «Assolutamente no!» replicò secco il padre. «Non so se mai più si presenterà una simile occasione e poiché presumo che durante il seminario succederà qualcosa di grosso, è fondamentale che ci sia il maggior numero possibile di testimoni.»

    «Ma scusa, papà, il meeting è aperto al pubblico o è riservato a pochi intimi?» domandò Per che piano piano si stava riprendendo dalla sveglia improvvisa e dallo choc.

    «È aperto al pubblico, ma tu sai meglio di me che la gente non ama essere coinvolta, tanto più che stiamo parlando di feroci criminali pronti a tutto pur di raggiungere i loro scopi, compreso intimidire le persone che testimoniassero contro di loro. Dunque dal pubblico non mi aspetto nulla, come neppure credo saprà aiutarmi il mio amico scienziato, ignaro di tutto ciò. Io, come ho detto, non potrò palesarmi e allora diventa fondamentale che almeno due stimati funzionari di Pubblica Sicurezza, integerrimi e insensibili alle minacce di quei farabutti, possano certificare quanto avverrà. E io so per certo che qualcosa accadrà, anche se adesso non posso dirti di più. E poi, quante volte un buon poliziotto ha dovuto lavorare nei giorni

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