Elephas Sapiens: Hoity Toity
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"Non sono un elefante, sono un essere umano": è così che scrive sulla sabbia Hoity Toity, l’elefante geniale del circo di Berlino. Dopodiché fugge, inseguito da polizia ed esercito, decisi ad abbatterlo. Il professor Wagner, da Mosca, arriva a Berlino per salvarlo e raccontare l’incredibile storia di Hoity Toity, nel cui cranio è stato trapiantato il cervello di un essere umano…
Completa il volume "Mister Risus", in cui l’autore immagina la possibilità che la risata, opportunamente codificata, diventi una terribile arma.
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Anteprima del libro
Elephas Sapiens - alexander beljaev
#12
Altair
Collana di letteratura fantastica
Colophon
Alexander Beljaev, Elephas Sapiens (Hoity Toity)
1a edizione Landscape Books, maggio 2023
Collana Altair n° 12
© Landscape Books 2023
Titolo originale: Хойти-Тойти
Traduzione dalla versione inglese di Vittorio Severini
www.landscape-books.com
Realizzazione: WAY TO ePUB
Alexander Beljaev
Elephas Sapiens (Hoity Toity)
I. Un artista straordinario
A Berlino, l’enorme Circo Busch era pieno zeppo. Giù per le ampie scale, silenziosi come pipistrelli, i camerieri portavano boccali di birra. Quando i coperchi si aprivano, a indicare una sete inesauribile, i camerieri li rimpiazzavano con altri boccali pieni. Poi si affrettavano, per rispondere ai richiami di spettatori ancora più assetati. Madri paffute, accanto a figlie ancora zitelle, aprivano pacchetti di carta oleata e masticavano panini e wurstel con aria di profonda concentrazione, con gli sguardi fissi sulla pista.
Tuttavia, per essere giusti, bisogna dire che l’attenzione degli spettatori non fosse molto attratta né dal fachiro né dal mangiatore di rane vive. Aspettavano tutti con impazienza che finisse la prima parte dello spettacolo e che, dopo l’intervallo, entrasse in scena Hoity-Toity. Sul suo conto si raccontavano storie incredibili; i giornali gli dedicavano lunghi articoli, perfino gli scienziati si interessavano alla sua persona. Era un enigma, un beniamino e una calamita di attenzioni.
Fino dalla sua prima apparizione, il cartello Tutto esaurito
appariva quotidianamente davanti alla biglietteria del circo. Hoity-Toity infatti aveva saputo attrarre anche la gente che di solito non mette piede in un circo. Certo, sia i distinti che i posti popolari erano occupati dai soliti piccoli impiegati e operai con le loro famiglie, commercianti e commessi. Ma molti dei palchi e delle prime file erano occupati da signori dai capelli grigi e dall’espressione seria, perfino severa e imbronciata, vestiti con cappotti e giacche un po’ fuori moda. Tra loro c’erano, spessissimo, dei giovani che avevano la stessa aria seria e taciturna. E costoro non masticavano panini né bevevano birra. Sedevano immobili, isolati, come una casta di bramini. Aspettavano la seconda parte dello spettacolo, aspettavano il numero di Hoity-Toity: era per vedere lui che erano venuti.
Durante l’intervallo, l’unico argomento delle conversazioni era l’imminente esibizione di Hoity-Toity. E i signori seri seduti nelle prime file perdevano parte della loro rigidità: il momento tanto atteso stava finalmente per arrivare.
Vi fu uno squillo di tromba, gli inservienti del circo nelle loro livree rosse e oro si schierarono, il sipario fu tirato e, accolto da un applauso caloroso del pubblico, fece la sua comparsa Hoity-Toity: era un enorme elefante, che portava una specie di berretto ricamato d’oro. Insieme al suo addestratore, un omino basso in frac, l’elefante fece il giro della pista, inchinandosi a destra e sinistra. Poi arrivò al centro della pista e rimase immobile, in attesa.
— È un elefante africano — mormorò un professore dai capelli grigi all’orecchio dei suoi colleghi.
— Mi piacciono di più gli elefanti indiani. Le loro forme sono più arrotondate, danno l’impressione di essere più civili, se posso usare questa espressione. L’elefante africano è di aspetto più goffo, più spigoloso. Quando un elefante africano solleva la proboscide, dà l’impressione di un gigantesco uccello rapace.
L’omino in frac che era entrato a fianco dell’elefante si schiarì la voce.
— Signore e signori! — cominciò. — Ho l’onore di presentarvi il nostro famoso elefante Hoity-Toity. Misura quattro metri e mezzo di lunghezza, e tre metri e mezzo di altezza. Dalla punta della proboscide alla punta della coda misura trenta piedi.
Hoity-Toity sollevò la proboscide e la protese davanti all’ometto.
— Oh, scusa, ho sbagliato — disse quello. — La proboscide è lunga due metri e la coda circa un metro e mezzo. Di conseguenza, la lunghezza dalla punta della proboscide alla punta della coda è di sette metri e novanta centimetri. Hoity-Toity consuma giornalmente trecentosessantacinque chili di verdure varie e sedici secchi di acqua.
— Sembra che l’elefante sappia fare i conti meglio di quell’uomo — esclamò una voce, dal pubblico.
— Vi siete accorto che l’elefante ha corretto il suo addestratore, quando ha sbagliato? — chiese il professore di zoologia al suo collega.
— Un puro caso — replicò l’altro.
— Hoity-Toity — continuò il cornac — è il più straordinario elefante del mondo. Ed è anche, probabilmente, il più grande genio di tutti i tempi, fra gli animali. Capisce il tedesco. Capisci il tedesco, vero, Hoity? — aggiunse, rivolgendosi all’elefante.
L’elefante annuì con solennità. Dal pubblico si levò un applauso.
— Sciocchezze! — esclamò il professor Schmidt.
— Vedrete il resto! — obiettò Stolz.
— Hoity-Toity sa anche fare di conto e distinguere i numeri.
— Basta con le spiegazioni! — disse qualcuno dalla galleria. — Vogliamo vederlo all’opera!
— A scanso di equivoci — continuò l’addestratore, senza scomporsi, — vorrei che qualche spettatore scendesse in pista, in modo da assicurarsi che non vi sono trucchi.
Schmidt e Stolz si scambiarono un’occhiata, poi scesero in pista.
E Hoity-Toity cominciò a mostrare i suoi incredibili talenti. Gli furono posti davanti dei numeri stampati su grandi quadrati di cartone, e l’elefante fece somme, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni, scegliendo, dal mucchio dei numeri, quelli che corrispondevano ai risultati dei suoi calcoli. Dai numeri a una cifra passò ai numeri a due cifre, poi a tre. L’elefante risolveva tutti i problemi senza commettere un solo errore.
— Bene, avete qualcosa da dire, adesso? — chiese Stolz.
— E va bene. Vedremo se capisce davvero i numeri — rispose Schmidt, con un grugnito. Si tolse dal taschino l’orologio, lo sollevò e chiese all’elefante: — Ti dispiace dirmi che ore sono, Hoity-Toity?
Con un inatteso movimento della proboscide, l’elefante prese l’orologio dalla mano di Schmidt, lo sollevò all’altezza dei propri occhi, lo restituì all’esterrefatto proprietario e formò la risposta, servendosi dei quadrati di cartone:
10:25
.
Schmidt guardò l’orologio e scrollò le spalle, imbarazzato. L’elefante gli aveva detto l’ora, esatta al minuto!
Il numero successivo era un esercizio di lettura. Il cornac mostrò all’elefante alcuni grandi cartelli su cui erano raffigurati degli animali. Altre tabelle portavano le diciture corrispondenti: leone, scimmia, elefante
. L’addestratore indicò a Hoity-Toity l’immagine di un animale, e Hoity-Toity indicò, con la proboscide, il nome corrispondente. Non sbagliò nemmeno una volta. Schmidt provò a invertire l’ordine del test: mostrò la parola all’elefante e gli chiese di trovare l’animale corrispondente. L’elefante obbedì, senza commettere errori nemmeno questa volta.
Alla fine fu posto davanti a Hoity-Toity l’intero alfabeto: ora l’elefante doveva scegliere le lettere e formarne parole, per rispondere alle domande.
— Come ti chiami? — chiese il professor Stolz.
— Hoity-Toity... adesso — rispose l’elefante.
— Cosa intendi con adesso
? — intervenne Schmidt. — Prima avevi forse un altro nome? Quale?
— Sapiens — rispose l’elefante.
— Forse "Homo sapiens"? — chiese Stolz, ridacchiando.
— Forse — ribatté l’elefante, enigmatico.
Poi cominciò a raccogliere altre lettere e compose la frase completa:
E per oggi basta così
.
Ignorando le vivaci proteste del suo cornac, Hoity-Toity si inchinò in tutte le direzioni e uscì dalla pista.
Durante l’intervallo, gli scienziati si riunirono nella sala, poi si suddivisero in gruppi, impegnandosi in discussioni vivaci.
Schmidt e Stolz, in un angolo, stavano quasi litigando.
— Non vi ricordate, mio caro amico, lo scalpore sollevato da quel cavallo di nome Hans, qualche anno fa? — disse Schmidt. — Sapeva calcolare la radice quadrata di un numero e sapeva fare calcoli di ogni genere, battendo le risposte con lo zoccolo. Ma poi si scoprì che, in realtà, reagiva a un segnale del padrone, che il pubblico non poteva vedere, e batteva lo zoccolo in risposta. Non sapeva fare i calcoli più di quanto li sappia fare un cucciolo appena nato.
— È solo un’ipotesi — obiettò Stolz.
— E cosa ne pensate degli esperimenti di Thorndik e di Yorks? Erano tutti basati sull’addestramento degli animali tramite associazioni naturali. Gli animali venivano messi davanti ad alcune scatole, una sola delle quali conteneva cibo. Diciamo che era la seconda scatola da destra. Se l’animale indovinava qual era la scatola giusta, la mangiatoia si apriva automaticamente e l’animale aveva la sua razione di cibo. Di conseguenza, questo avrebbe portato l’animale a stabilire la seguente associazione mentale: la seconda scatola da destra significa cibo
. Successivamente, l’ordine delle scatole veniva modificato.
— Ma di sicuro non avevate del cibo nell’orologio — osservò Stolz, ironicamente. — In questo caso, che spiegazione potete dare?
— L’elefante non ha capito niente del mio orologio. Per lui non era altro che un oggetto luccicante che si è portato davanti agli occhi. Quando ha cominciato a scegliere i numeri dalle carte, evidentemente ha obbedito ai segnali del suo cornac: segnali che noi non potevamo percepire. È tutto un trucco, che comincia nel preciso momento in cui Hoity-Toity corregge
il cornac che ha fatto un errore nel calcolare la sua lunghezza. Un riflesso condizionato... niente di più.
— Il direttore del circo mi ha dato il permesso di rimanere con alcuni miei colleghi dopo lo spettacolo, per compiere alcuni esperimenti su Hoity-Toity — disse Stolz. — Suppongo che non rifiuterete di partecipare anche voi…
— Certo che no! — rispose Schmidt.
II. Disobbedienza
Quando il circo si fu finalmente svuotato degli spettatori e gli enormi riflettori si furono spenti, tranne uno sulla pista, Hoity-Toity fu fatto entrare di nuovo. Schmidt chiese al cornac di restare lontano durante