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Il prodigio dell'Hampdenshire
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E-book238 pagine3 ore

Il prodigio dell'Hampdenshire

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Info su questo ebook

Figlio di un noto giocatore di cricket costretto anzitempo al ritiro, Victor Stott fin dalla nascita si rivela un bambino speciale. Inizialmente scambiato per un minorato, ben presto è chiaro a tutti che si tratta di un bambino prodigio, che a sei anni conosce a menadito tutta la filosofia antica e moderna. Non tutti però sono ammirati dal "Prodigio dell'Hampdenshire", attorno a cui cresce un'aria di diffidenza e di mistero. Uno dei primi esempi di narrativa dedicata alla figura di un bambino prodigio, Il Prodigio tratteggia magistralmente un quadro di inquietudine e soprannaturale.
LinguaItaliano
Data di uscita25 gen 2023
ISBN9791222054629
Il prodigio dell'Hampdenshire
Autore

J.D. Beresford

John Davys Beresford (1873-1947) was an English journalist and author noted for his science-fiction and horror stories, particularly his ghost stories. His most notable novels are The Hampdenshire Wonder, What Dreams May Come... and The Riddle of the Tower.

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    Anteprima del libro

    Il prodigio dell'Hampdenshire - J.D. Beresford

    10_cover.jpgCopertina

    #10

    Altair

    Collana di letteratura fantastica

    J. D. Beresford, Il Prodigio dell'Hampdenshire

    1a edizione Landscape Books, gennaio 2023

    Collana Altair n° 10

    © Landscape Books 2023

    Titolo originale: The Hampdenshire Wonder

    Traduzione di Vittorio Severini

    www.landscape-books.com

    Realizzazione: WAY TO ePUB

    J. D. Beresford

    Il Prodigio dell'Hampdenshire

    PARTE I.

    I MIEI PRIMI RAPPORTI CON GINGER STOTT

    I. Il motivo

    1.

    Non saprei dire a quale stazione la donna e il suo bambino siano saliti sul treno.

    Da quando eravamo partiti da Londra ero rimasto assorto in Tempo e libero arbitrio di Henri Bergson, come viene chiamato nella traduzione inglese. Ero consapevole di varie soste e cambi di passeggeri, ma la mia attenzione era stata catturata dall’argomentazione di Bergson. Ero d’accordo con le sue conclusioni in partenza, ma desideravo padroneggiare il suo ragionamento.

    Alzai lo sguardo quando la donna entrò nel mio scompartimento, anche se non notai il nome della stazione. Diedi un’occhiata al bambino che portava con sé e ritornai al mio libro. Pensai che il bambino fosse un fenomeno da baraccone, un’anormalità; e queste cose mi disgustano.

    Tornai allo studio del mio Bergson e lessi: È nella grande e solenne crisi, decisiva per la nostra reputazione presso gli altri, che scegliamo in barba a quello che convenzionalmente si chiama motivo, e questa assenza di ragione tangibile è tanto più sorprendente quanto più profonda è la nostra libertà.

    Tenevo gli occhi sul libro – il treno era ripartito – ma il passaggio successivo non trasmetteva alcun significato alla mia mente, e mentre cercavo di rileggerlo un’impressione si interponeva tra me e l’opera che stavo studiando.

    Vidi proiettata sulla pagina davanti a me un’immagine che all’inizio scambiai per le sembianze di Richard Owen. Fu la conformazione della testa a generare l’errore, una testa bombata e massiccia, bianca e liscia – una testa che mi aveva sempre interessato. Ma mentre guardavo, con la mente già alla ricerca del motivo di questa allucinazione, vidi che la parte inferiore del viso era quella di un bambino. I miei occhi si allontanarono dal libro e il mio sguardo fluttuò lungo le quattro persone sedute di fronte a me, finché non si posarono sulla realtà della mia visione. Mentre questi atti venivano compiuti, mi ritrovai a dire stupidamente: — Questa non la chiamo libertà.

    Per alcuni secondi gli occhi del bimbo si erano incrociati con i miei. Lo sguardo era fermo e chiaro come quello di un bambino normale, ma ciò che lo contraddistingueva era l’impressione di una calma intelligenza. La testa era completamente calva e non c’era traccia di sopracciglia, ma gli occhi erano protetti da ciglia folte e corte.

    Il bambino girò la testa e io sentii i miei muscoli rilassarsi. Fino a quel momento non ero stato consapevole del loro irrigidimento. Il mio sguardo fu liberato, per così dire spinto da parte, e mi ritrovai a guardare l’oggetto del successivo esame del bambino.

    Questo oggetto era un uomo di circa quarant’anni, incline alla corpulenza e trasandato. Portava le prove di un fallimento nel processo di trasformazione. Portava una barba rada e sfibrata, c’erano chiazze di pelle nuda sulla mascella; si deduceva che la portava solo per risparmiarsi la fatica di radersi. Era seduto accanto a me, il passeggero di mezzo dei tre sul mio lato della carrozza, ed era assorto nelle pagine di un giornale da mezzo penny – credo leggesse il Police News – che era interposto tra lui e il bambino nell’angolo diagonalmente opposto a quello che occupavo io.

    L’uomo era ingobbito, dinoccolato, con le gambe accavallate e i gomiti che cercavano appoggio sul corpo; teneva con entrambe le mani il suo giornale, spiegato, vicino agli occhi. Aveva l’aria di essere molto miope, ma non portava occhiali.

    Mentre lo guardavo, cominciò ad agitarsi. Scompose le gambe e si rannicchiò più profondamente nello schienale della sedia. Poi i suoi occhi cominciarono a risalire il foglio che aveva davanti. Quando arrivarono in cima, esitò un attimo, facendo un sopralluogo senza dare nell’occhio, poi lasciò cadere le mani e fissò stupidamente il bambino nell’angolo, con la bocca leggermente aperta e i piedi infilati sotto il sedile della carrozza.

    Quando il bambino lo lasciò andare, la sua testa si abbassò, poi si girò e mi guardò con un sorriso sciocco e vacuo. Distolsi frettolosamente lo sguardo: non era un uomo con cui volevo condividere un’esperienza.

    Il processo si ripeté. La vittima successiva era un uomo grande, rubicondo, dall’aspetto sano, ben rasato, con gli occhi azzurri leggermente ingranditi dagli occhiali dorati. Anche lui stava leggendo un giornale, l’Evening Standard, finché lo sguardo del bambino non attirò la sua attenzione, e anche lui fu tenuto immobile da quello strano sguardo indagatore. Ma quando si liberò, la sua sorpresa trovò sfogo nelle parole.

    Questo, pensai, è un uomo abituato a recitare.

    — Un bambino davvero notevole, signora, — disse rivolgendosi alla madre dall’aspetto magro e ascetico.

    2.

    L’aspetto della madre non dava l’impressione di povertà. Anzi, era vestita in modo caldo, decoroso ed elegante. Indossava un lungo cappotto nero, con le trecce e gli alamari; aveva l’aria di appartenere a una moda più antica, ma il materiale era nuovo. E la sua cuffietta, ornata di ornamenti ricamati che crescevano su steli che ondeggiavano tremolanti: anche quella era una replica moderna di un modello più antico. Sulle mani aveva dei guanti di filo nero, un po’ malridotti.

    Il suo viso non era quello di una donna di campagna. Il naso sottile e lungo, le guance cadenti, le ombre sotto gli occhi cupi e retrospettivi, erano segni della città; soprattutto, forse, quel grigiore della pelle che parla di reclusione...

    Il bambino sembrava abbastanza sano. La sua grande testa calva risplendeva come un globo di alabastro.

    — Un bambino davvero notevole, signora, — disse l’uomo rubicondo che sedeva di fronte alla donna.

    La donna aggrottò le sopracciglia nere dall’aspetto trasandato, la testa le tremò leggermente e fece danzare e annuire la sua cuffietta.

    — Sì, signore — rispose lei.

    — Davvero notevole — disse l’uomo, aggiustandosi gli occhiali e sporgendosi in avanti. La sua azione aveva un’aria di deliberato coraggio; stava giustificando la sua forza d’animo dopo quella temporanea aberrazione.

    Lo guardai un po’ nervosamente. Ricordai le mie sensazioni quando, da bambino, avevo visto un coraggioso entrare nella tana del leone in un circo itinerante. Anche il fallito alla mia destra era assorto nello spettacolo; lo fissava a bocca aperta, con gli occhi che sbattevano e si agitavano.

    Gli altri tre occupanti dello scompartimento, seduti dalla stessa parte della donna, di spalle alla locomotiva, lasciarono cadere giornali e riviste e girarono la testa, tutti interessati. Nessuno di loro, per quanto avevo osservato, aveva subito l’incantesimo dell’ispezione da parte dell’infante, ma notai che l’uomo – un artigiano, a quanto pare – che sedeva accanto alla donna si era allontanato da lei, e che i tre passeggeri di fronte a me si erano accalcati verso la mia parte dello scompartimento.

    Il bambino aveva distolto lo sguardo, che ora era diretto lungo il corridoio della carrozza, indefinitamente concentrato su un punto fuori dal finestrino. Sembrava distante, del tutto indifferente a qualsiasi essere umano.

    Ne parlo in modo asessuato. Ero ancora incerto sul suo sesso. È vero che tutti i bambini mi sembrano uguali; ma avrei dovuto sapere che questo bambino era maschio, la sola conformazione del cranio avrebbe dovuto dirmelo. Fu il suo abbigliamento a farmi esitare. Era vestito in modo assurdo, con una lunga tonaca che nascondeva i piedi e si stringeva intorno al corpo.

    3.

    — Sa parlare? — esitò l’uomo rubicondo, e io rimasi impressionato per la sua audacia. Sembrava che ci fosse qualcosa di irrispettoso nel parlare davanti al bambino in questo modo impersonale.

    — No, signore, non ha mai emesso un suono — rispose la donna, contorcendosi e vibrando. Le sue pesanti sopracciglia scure sussultarono spasmodicamente, nervosamente.

    — Non ha mai pianto? — insistette quello, con fare inquisitore.

    — Mai una volta, signore.

    — Stupido, eh? — lo disse a parte, a mezza voce.

    — Non ha mai parlato, signore.

    — Hm! — L’uomo si schiarì la gola e si fece coraggio con uno sforzo deliberato ed evidente. — È... non è idrocefalo... o cosa?

    Sentivo che un’attesa irrigidita senza fiato accomunava tutti gli occupanti dello scompartimento. Volevo, e so che ogni altra persona lì presente voleva, dire: Attento! Non esagerare. Il bambino, tuttavia, sembrava inconsapevole dell’insulto: continuava a fissare attraverso il finestrino, perso in una profonda contemplazione.

    — No, signore, oh no! — rispose la donna. — È più intelligente di un bambino normale. — Teneva il bambino come se fosse un pezzo di terracotta di valore inestimabile, non lo allattava come una donna allatta un bambino, ma lo teneva in grembo con estrema attenzione.

    — Quanti anni ha?

    Eravamo in attesa di questa domanda.

    — Un anno e nove mesi, signore.

    — Avrebbe dovuto parlare prima, non è vero?

    — Non ha mai pianto, signore — disse la donna. Guardò il bambino con uno sguardo in cui lessi qualcosa di apprensivo. Se di apprensione si trattava, era un sentimento condiviso da tutti noi. Ma l’uomo rubicondo era coraggioso, anche se, come il domatore di leoni della mia esperienza giovanile, era senza dubbio consapevole dell’aspetto che la sua temerarietà assumeva agli occhi degli osservatori. Doveva mettersi in mostra.

    — L’avete fatto vedere? — chiese; e poi, vedendo che la donna non capiva, tradusse la domanda – malamente, perché trasmetteva un significato diverso – in questo modo: — Voglio dire, l’avete portato da un medico? — Il treno stava rallentando.

    — Oh! Sì, signore.

    — E cosa dicono?

    Il bambino girò la testa e guardò l’uomo rubicondo negli occhi. Non ho mai visto sul volto di un uomo o di una donna un’espressione così sublime di pietà e disprezzo...

    Mi ricordai di un piccolo monello che avevo visto una volta al Giardino Zoologico. Spinto da un gruppo di altri monelli, stava lanciando dei sassolini a un grande leone che se ne stava sdraiato, beatamente indifferente, sul pavimento del suo recinto. Il monello si avvicinava; si faceva splendidamente audace; lanciava sassolini sempre più grandi, finché il leone si alzò improvvisamente con un ruggito e si precipitò ferocemente verso le sbarre della gabbia.

    Pensavo alla faccia spaventata e urlante di quel monello, mentre l’uomo rubicondo si rituffava velocemente nel suo angolo.

    Ma non fu tutto, perché il bambino, forse soddisfatto dell’ignominia della sua vittima, si voltò e mi guardò con un sorriso cinico. Ero, per così dire, entrato in confidenza con lui. Mi sentii lusingato, immeritatamente ma enormemente lusingato. Arrossii, forse gli feci un sorriso di circostanza.

    Il treno si fermò alla stazione di Great Hittenden.

    La donna raccolse con cura il suo inestimabile oggetto tra le braccia e l’uomo rubicondo le aprì la porta in modo formale.

    — Buona giornata, signore — disse lei scendendo.

    — Buona giornata — fece eco l’uomo rubicondo con sollievo, e tutti noi tirammo un profondo respiro di sollievo insieme a lui, come se avessimo appena assistito alla discesa sicura di un aviatore troppo audace.

    4.

    Mentre il treno procedeva, tra noi sei, che eravamo stati compagni di viaggio per circa trenta o quaranta minuti prima che la donna entrasse nel nostro scompartimento, e che fino a quel momento non avevamo scambiato una parola, scoppiò improvvisamente una conversazione generale.

    — Idrocefalo; non mi interessa quello che dicono gli altri — affermò l’uomo rubicondo.

    — Mia sorella ne aveva uno molto simile — disse il fallito che era seduto accanto a me. — È morto — aggiunse, per dare un senso alla sua affermazione.

    — Non si dovrebbero esporre in pubblico fenomeni da baraccone come quello — disse un vecchio di fronte a me.

    — Avete ragione, signore — fu il verdetto dell’artigiano, che sputò con cura e raschiò lo stivale sul pavimento; — certe cose dovrebbero essere tenute private.

    — Pazzo, naturalmente, cioè imbecille — ripeté l’uomo rubicondo.

    — Ha una testa orribile — disse il fallito, e rabbrividì istrionicamente.

    Continuarono a dimostrare il loro disprezzo per il bambino con molte affermazioni. La reazione crebbe di intensità. Erano tutti audaci ora e tutti volevano parlare. Parlavano come i sopravvissuti a un pericolo comune; erano sempre più ansiosi di dimostrare che non avevano mai subito intimidazioni, e nel loro sollievo erano ansiosi di ridere di ciò che per un certo periodo li aveva sottomessi. Ma non la nominavano mai come causa di paura. I loro discorsi erano solo allusioni.

    All’ultimo, però, colsi un’eco del vero sentimento.

    Fu l’uomo rubicondo che, più audace durante la crisi, ora aveva il coraggio di ammettere la curiosità.

    — Qual è la sua opinione, signore? — mi disse. Il treno stava arrivando a Wenderby; lui si stava preparando a scendere; si chinò in avanti, con le dita sulla maniglia della porta.

    Ero imbarazzato. Perché il bambino aveva scelto proprio me? Non avevo preso parte al recente dibattito. Era forse una conseguenza dell’attenzione che mi era stata rivolta?

    — Io? — Balbettai e poi tornai alla frase iniziale dell’uomo rubicondo. — Era certamente un bambino molto notevole — dissi.

    L’uomo rubicondo annuì e si strinse le labbra. — Molto — mormorò mentre scendeva. — Davvero notevole. Beh, buona giornata a voi.

    Tornai al mio libro e fui sorpreso di scoprire che il mio indice segnava ancora il punto in cui ero stato interrotto un quarto d’ora prima. Il mio braccio si sentiva rigido e pieno di crampi.

    Lessi ...questa assenza di ragioni tangibili è tanto più sorprendente quanto più profonda è la nostra libertà.

    II. Appunti per una biografia di Ginger Stott

    1.

    Ginger Stott è un nome che un tempo era conosciuto come nessun altro in Inghilterra. Stott è stato oggetto di articoli in prima pagina su tutti i quotidiani; la sua vita è stata scritta da un abile giornalista che ha intervistato Stott stesso, durante dieci affollati minuti, e ha riempito trecento pagine di dettagli, il settanta per cento dei quali sono stati presi dai giornali e il resto fornito da una brillante immaginazione. Dieci anni fa Ginger Stott era all’apice, c’era una Stott-mania. Si trovava il suo nome in calce agli articoli firmati dai membri della redazione; si compravano colletti di Stott, anche se Stott stesso non portava colletti; c’era un valzer di Stott, che ogni tanto viene canticchiato dai commessi e fischiettato dai fattorini ancora oggi; c’era un periodico che visse per dieci mesi, intitolato Ginger Stott’s Weekly; in breve, durante un’estate ci fu l’apoteosi di Stott.

    Ma questo accadeva dieci anni fa, e la nuova generazione ha quasi dimenticato quel nome un tempo ben noto. Ormai lo si vede raramente menzionato nei giornali del mattino, e non si tratta che di brevi riferimenti; qualche nota come questa: Pickering è stato al top della forma, ricordando i migliori risultati di Ginger Stott al suo meglio, oppure Flack è una magnifica scoperta per il Kent: promette di superare le imprese storiche di Ginger Stott. Questi superlativi giornalistici irritano solo chi ricorda le prestazioni a cui si fa riferimento. Noi che abbiamo assistito alla sua carriera sappiamo che Pickering e Flack non sono che dei pivelli in confronto a Stott; sappiamo che nessuno dei suoi successori ha potuto reggere il confronto con lui. Era una meteora che sfavillava nel cielo e se mai avrà un vero successore, stelle come Pickering e Flack risplenderanno pallide e fioche al suo confronto.

    Ci si sente improvvisamente vecchi ricordando quella grande matinée al Lyceum, organizzata a beneficio di Ginger Stott dopo il suo incidente. In dieci anni sono morte o sono cadute nell’oblio tante grandi figure di quel mondo. Posso contare sulle dita delle mani il numero di coloro che erano allora, e sono ancora, in prima linea nella popolarità. Degli altri, il povero capitano Wallis, per esempio, è morto – e nessuno scrittore moderno, a mio avviso, può eguagliare la brillante descrittività degli articoli di Wallis sul Daily Post. Bobby Maisefield, un altro collega di Stott, è un martire dei reumatismi e gestisce un negozio ad Ailesworth, teatro di tanti suoi trionfi. Che elenco si potrebbe fare, ma inutilmente. È sufficiente notare quanti nomi sono stati dimenticati, quanti altri sono i nomi di coloro di cui oggi si parla come veterani. In dieci anni! Fa certamente sentire vecchi.

    2.

    Non c’è bisogno di scuse per raccontare di nuovo la storia della carriera di Stott. Alcuni dettagli saranno ancora familiari, è vero, i dettagli storici che non potranno mai essere dimenticati finché il cricket sarà il nostro gioco nazionale. Ma ci sono molti fatti della vita di Stott, a me noti, che non sono mai stati resi pubblici. Se devo ripetere ciò che è noto, posso dare a ciò che è noto una nuova cornice, forse un nuovo valore.

    Oggi ad Ailesworth ci sono molte persone che ricordano il ragazzo robusto, lentigginoso e con i capelli color sabbia che andava in giro con i giornali del mattino e della sera; il ragazzo che

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