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Lo strano caso del signor Duebaffi
Lo strano caso del signor Duebaffi
Lo strano caso del signor Duebaffi
E-book144 pagine1 ora

Lo strano caso del signor Duebaffi

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Info su questo ebook

Sempronio Duebaffi è un gatto che lavora come addetto alla gestione archivio in un’azienda da diversi anni, e sta per convolare a nozze con la sua amata Clara, una dolce gattina. Durante una visita medica prescritta dalla sua ditta, si imbatte in uno strano medico, il dottor Crisantemi, che gli annuncia che la sua morte è imminente, ma che forse c’è un modo per evitarla. Inizia così una serie di avventure spassose ed esilaranti, con esiti imprevedibili, in questo divertente racconto di Riccardo Riganti, che ha per protagonisti dei simpatici mici.

Riccardo Riganti è nato a Varese nel 1976 e vive a Roma ormai da alcuni anni. È sposato con Dodò, una persona meravigliosa che lo sopporta pazientemente durante le settimane in cui si chiude in se stesso per scrivere e immaginare nuovi mondi, e convive con i suoi amati gatti, i quali, ogni tanto, gli raccontano incredibili favole vere. Oltre a Lo strano caso del signor Duebaffi, ha pubblicato L’ultimo quarto di Luna (Amazon, 2021), Four Fingers (Albatros il Filo, 2021), Buonanotte Dodò (Caosfera Edizioni, 2020).
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2022
ISBN9788830656802
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    Anteprima del libro

    Lo strano caso del signor Duebaffi - Riccardo Riganti

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    Riccardo Riganti

    Lo strano caso

    del signor Duebaffi

    © 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-4276-8

    I edizione dicembre 2021

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Lo strano caso del signor Duebaffi

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di Lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    a Kally, che vivrà per sempre...

    Finirà, Pina, finirà. E tornerà pure la primavera. E sarà più bella delle altre, perché saremo liberi.

    [...] Noi lottiamo per una cosa che deve venire, che non può non venire.

    (Roma città aperta, 1945)

    1.

    Sempronio Duebaffi lavorava da solo due ore, quando venne chiamato nell’ufficio del responsabile.

    «Si segga, giovanotto!» – gli disse costui, sfilandosi la coda da sotto il sedere per gustarsi per benino la propria poltroncina con lo schienale reclinabile.

    «Qui?» – domandò Duebaffi indicando la seggiola alla sua destra.

    «No, no, meglio quella lì!» – rispose il responsabile puntando il dito verso la gemella all’angolo opposto della scrivania.

    Costui era un gatto dal manto nero sul lato destro e marrone su quello sinistro. La sua faccia, curiosamente, era proprio divisa in due: metà nera e l’altra metà, per l’appunto, completamente marrone. Gli occhi erano scuri, come lo erano stati anche quelli del suo predecessore, il dottor Andirivieni, il quale era andato in pensione circa una settimana prima, lasciandogli l’incarico di dirigere l’intero piano interrato della Sezione Contratti.

    Si sistemò gli occhiali sul naso e lesse il fascicolo che stringeva tra le zampe: «Oh! Dunque: Sempronio Duebaffi, di anni trentasette… bla, bla, bla… leggo che lavora da noi da ormai dodici anni!»

    «È corretto, signore. Lavoro in quest’azienda dal mille-novecento-cinquantadue…»

    «E che cosa faceva prima di lavorare qui?»

    «Studiavo, signore.»

    «Che cosa?»

    «Archivistica.»

    «Qui a Roma?»

    «Sì.»

    «Bravo, ottima facoltà!»

    «Grazie, dottor Martini.»

    «Qui da noi ha sempre rivestito il ruolo di addetto alla gestione archivio?»

    «Sì, fin dal primo giorno, dottore.»

    «Molto bravo!»

    Duebaffi, che era un giovanotto ligio al dovere, sorrise compiaciuto.

    «Sa perché l’ho fatta chiamare?»

    «No, non saprei.»

    «Sto facendo una lista di tutti i dipendenti di questo piano che non hanno ancora svolto la visita medica periodica, quella triennale.»

    «Capisco.»

    «Eh, eh! Qui dice che lei si è sottoposto alla visita medica ben quattro anni fa, nel dicembre del 1960, insieme ai suoi colleghi Nimisi, Sartorelli, Sandrucci e Bonicalzi. Le risulta?»

    Duebaffi sollevò le spalle, dato che non ricordava minimamente quando gli fosse toccata l’ultima visita medica aziendale. Inoltre, nel frattempo, Nimisi aveva dato le dimissioni, Sartorelli era venuto a mancare, Sandrucci e Bonicalzi erano andati in pensione anche loro.

    «Mah… forse…»

    «Non importa, non importa!» – senza guardarlo, Martini sollevò una zampa sopra la testa arroncigliandosi un ciuffo di peli con le dita – «Glielo dico io: quattro anni fa!»

    «Mi dispiace, dottor Martini!»

    «Non è colpa sua, giovanotto, ma del mio predecessore, il quale mi ha lasciato non pochi garbugli da sistemare, compreso il suo caso!»

    Detto questo, il dottor Martini si sfilò gli occhiali e si allungò sullo schienale dondolandosi per qualche secondo con aria assorta.

    Il telefono squillò all’improvviso.

    Trovandosi impossibilitato a sollevare la cornetta prima del secondo squillo – poiché, nel suo sciabordare avanti e indietro, si trovava in quel momento nella fase di afelio rispetto alla pesante scrivania –, Martini sbuffò stizzito.

    «Mi scusi!» – disse tornando composto, quindi rispose.

    Duebaffi non poté far altro che sorridere cortesemente e con una certa deferenza.

    «Bene!… Molto bene!… Benissimo!» – seguì una lunga pausa – «Assolutamente no, signorina!»

    Martini appese rapidamente e tornò a concentrarsi su quell’individuo mingherlino e con i baffetti all’insù.

    «Dicevamo…»

    «Sì! Quindi la mia visita medica è scaduta?»

    «Non dica sciocchezze, Duebaffi, le visite mediche non scadono!» – rispose Martini inforcando nuovamente gli occhiali – «Mica sono bottiglie di latte!»

    «Già!» – sorrise Duebaffi.

    «Ho già organizzato sia per lei che per la signorina Colli: andrete questa sera, alle otto, allo studio medico del dottor De Giglis, sito in via Degli Orti 81, palazzina A, secondo piano.»

    «Stasera?» – Duebaffi si mozzicò un labbro.

    «Stasera, stasera!» – Martini chiuse il fascicolo di carte e lo ripose nello schedario – «È una cosa, la visita medica, della massima priorità!»

    «Capisco, dottore. Va bene. Alle otto… stasera!»

    «Molto bravo! Il medico le farà i soliti esami e le rilascerà il certificato di idoneità lavorativa. Come può immaginare… pura formalità!»

    «Pura formalità… certamente.»

    Duebaffi si alzò, gentilmente invitato da un gesto del superiore, quindi, con un movimento della schiena che pareva essere un inchino, rinculò verso la porta.

    «Ah, Duebaffi!»

    «Mi dica, dottore!»

    «Mi chiami la signorina Colli: devo comunicare anche a lei quanto le ho appena detto.»

    «Sarà fatto!»

    Duebaffi uscì e, dirigendosi verso l’Ufficio Trapassi, dove lavorava Cinzietta Colli, passò in mezzo a una dozzina di scrivanie – ognuna delle quali era dotata di macchina da scrivere e di relativo dattilografo –, quindi si infilò nel corridoio tamburellando le dita sulla

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