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Confessioni di un riparatore di brand
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Confessioni di un riparatore di brand
E-book220 pagine2 ore

Confessioni di un riparatore di brand

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Info su questo ebook

Se ti avessero detto di imparare un’arte marziale per posizionare il tuo brand nel mercato, non ci avresti creduto, ma Confessioni di un riparatore di brand ti spiegherà questo e molto altro ancora, devi solo fidarti della via della flessibilità e trasformarti in un salice. 
L’autore attraversa i punti salienti della sua vita professionale con uno sguardo ironico e critico nei confronti delle passioni a cui si è dedicato e che ha trasformato in diversi lavori. 
Racconta la sua esperienza soffermandosi sugli strumenti e i punti di vista più applicabili nei settori di interesse, prendendo come esempio anche molti maestri e autori che hanno arricchito la sua cultura e lo hanno ispirato nelle sue idee e nel suo essere il professionista di oggi.
Marketing, gamification, comunicazione e judo vengono riuniti in un solo testo con lo scopo di gettarebuttare le basi per un vocabolario comune che possa costruire relazioni migliori tra mercato, clienti e professionisti attraverso il linguaggio e la visione di Helios Pu, che naviga nei mari di questi campi da molti anni.
LinguaItaliano
EditoreBookness
Data di uscita15 mag 2023
ISBN9791254892299
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    Anteprima del libro

    Confessioni di un riparatore di brand - Helios Pu

    Introduzione

    Oggi è il tuo giorno fortunato. Scommettiamo?

    Hai appena iniziato a leggere e già dall’indice ti sei reso conto che non è un libro che contiene cose banali, facili da trovare e da combinare insieme.

    Sono il presidente e direttore creativo di un’agenzia di comunicazione strategica, scrivo giochi di ruolo e ho studiato arte e graphic design. Inoltre, ho praticato Judo per diciotto anni e ho fatto parte di un gruppo musicale che suonava black metal in dialetto bolognese per ben vent’anni.

    Come può una cintura nera di Judo che canta black metal in bolognese insegnarti qualcosa sul marketing? A questa domanda risponderò attraverso il libro.

    Non esitare a chiedere. Magari vuoi sapere anche che cos’è e come si crea un gioco di ruolo. Saprò trovare una risposta soddisfacente anche a questa questione.

    Tutte le risposte partiranno dalla medesima strada: la via della flessibilità.

    O forse dovrei dire dal medesimo ramo: quello del salice.

    Ti racconto una storia. Molti secoli fa, un medico di origini giapponesi di nome Shirobei Akiyama fece un viaggio in Cina per approfondire i suoi studi in Medicina e, oltre a studiare la Medicina tradizionale e i metodi di rianimazione, si dedicò anche a comprendere alcuni metodi di combattimento che erano popolari a quei tempi. In particolare, approfondì un’arte chiamata Hakuda.

    Una volta tornato in Giappone, Akiyama insegnò le tecniche di quest’arte, ma fallì.

    Deluso dal suo fallimento, si ritirò per cento giorni in un tempio di Tsukushi a meditare e pregare affinché la sua situazione potesse migliorare, infatti, in questo luogo, il medico scoprì altre trecentotré nuove applicazioni della Hakuda.

    Un giorno si accorse di una cosa sorprendente.

    Durante una forte nevicata, tanti alberi persero i loro rami, anche gli alberi che apparivano più robusti e resistenti furono sconfitti dalla tempesta di neve. Solo un albero rimase intatto, il salice.

    Quando la neve si ammassava sui rami di quest’albero, essi si piegavano per liberarsi dal peso accumulato, per non spezzarsi e cedere, così da riprendere subito la posizione di partenza.

    A differenza degli altri alberi, i rami del salice erano flessibili.

    La flessibilità ha permesso all’albero di non farsi vincere dalla precipitazione atmosferica.

    I rami non hanno posto resistenza, hanno semplicemente sfruttato una loro caratteristica, coscienti del fatto che contro una tempesta del genere, il combattimento non sarebbe mai stato alla pari e, di conseguenza, vittorioso. Si sono saputi adattare e hanno riposto tutte le loro forze sull’unico elemento che li potesse salvare: lo spirito di adattamento.

    Shirobei Akiyama fu ispirato da questo evento e apprese l’importanza del principio della non resistenza, applicandolo alle tecniche che stava studiando, dando così origine a una delle scuole più antiche di Ju-jutsu tradizionale.

    Da cui proviene anche l’arte marziale del Judo.

    Quindi, non ti resta che essere flessibile e scoprire a mano a mano, ciò che questo libro ti riserva.

    Queste pagine nascono dal desiderio di presentare e promuovere l’agenzia di comunicazione per cui svolgo il ruolo di direttore creativo, perché si basa su un modello originale dettato più dalla passione che dalle regole dell’industria.

    Il mio obiettivo è quello di trasmettere quanta creatività c’è dietro a un lavoro di marketing e di pubblicità per poter divulgare gli elementi specifici del settore in chiave diversa dal solito.

    Questo tipo di professione mi permette di incontrare sempre persone nuove con cui confrontarmi, idee e opinioni differenti alle quali approcciarmi, è una scoperta continua che si basa proprio sul concetto della flessibilità.

    Non puoi fare questo mestiere se sei rigido e non ti lasci andare alle novità e alla diversità.

    È sotto questo punto di vista che si parla di creatività. Essere pronti a creare.

    L’esperienza che ho accumulato in questi anni mi ha aiutato a capire che spesso si pensa al marketing come a qualcosa su cui investire per fare pubblicità al puro scopo promozionale, in realtà il mio punto di vista (e quello di Officina Immagine) è completamente diverso.

    Secondo noi il primo passo, l’elemento imprescindibile per scegliere se investire su quel prodotto, è come investire, ovvero quali strumenti potremo utilizzare per presentare e poi promuovere quel messaggio, quel contenuto, in quella precisa dimensione.

    Senza voler contraddire Simon Sinek¹, per noi ciò che conta è il come.

    Ovvero la strategia giusta.

    La prima fase del lavoro è legata alla comunicazione col cliente, colui che sta investendo nel marketing per promuovere l’oggetto di interesse su cui vuole guadagnare o farsi conoscere ed è la fase decisamente più complessa perché manca un vocabolario comune con cui parlare.

    In ventun anni di carriera ho percepito quanto la conoscenza del marketing sia esigua e piena di preconcetti, di conseguenza quanto sia fallimentare il dialogo per arrivare a un punto in comune, quello di partenza, proprio perché il cliente e il professionista sembrano parlare lingue diverse.

    Da questa osservazione, che è diventato un grande spunto di riflessione, è nata la mia esigenza di educare le persone al marketing.

    Necessitiamo tutti di una educazione.

    Non per forza al marketing, anche se sono sicuro non guasterebbe.

    Un’educazione finalizzata alla ricerca di un vocabolario comune per delineare una comunicazione efficace tra le persone che si occupano di marketing e le persone che vogliono usufruire dei benefici.

    Infatti un altro mio obiettivo è la divulgazione del marketing, spiegato con parole semplici, al fine di comprenderne gli elementi costitutivi per arrivare a questo benedetto vocabolario comune.

    Dobbiamo arrivare al giorno del colloquio e conoscere entrambi la lingua con cui parleremo. Spesso invece mi sembra di parlare giapponese con un tedesco che si aspettava di interloquire in spagnolo!

    Come faccio a fare marketing per il mio brand? Te lo spiego io.

    Anche se come cliente hai il bonifico dalla parte del manico, il tuo unico compito è dirmi cosa vuoi comunicare e a chi vuoi comunicarlo. A tutto il resto ci pensiamo noi. È compito nostro decidere gli strumenti più rappresentativi ed efficaci. Ovvero il come.

    Il nostro approccio è strategico.

    Ci sono molte volte in cui incontro persone con obiettivi diversi che sentono la necessità di delegare la risoluzione di un problema a qualcuno. Ciò accade perché, anche se una persona è esperta in una particolare tecnica e ha una conoscenza teorica avanzata, potrebbe non essere in grado di vedere il problema in modo completo e ampio dal punto di vista pratico. Pertanto, potrebbe aver bisogno dell'aiuto di un altro per risolvere la difficoltà incontrata in modo esaustivo.

    Io utilizzo il termine strategico perché mi aiuta a concepire la questione in modo più complessivo e mi aiuta a mettere a fuoco le varie parti che compongono il problema in questione.

    Il concetto di strategia nasce all’interno del settore militare, difatti prima capisco dove si trova il focus del problema e immagino quali siano gli obiettivi da raggiungere, poi disegno le tattiche per mettere in atto le varie azioni da seguire per arrivare allo scopo.

    Le tattiche nel campo del marketing fanno riferimento alle emozioni percepite.

    Non si vende mai una cosa secondo una logica razionale, bensì attraverso le emozioni.

    (Parlo di emozioni, ma non sono un grande fan della metafora dei tre cervelli che motivatori e blogger di varia estrazione continuano a promuovere: mi bastano i due sistemi teorizzati da Kahneman in Pensieri lenti e veloci, che ti invito a leggere non appena avrai finito il mio libro).

    La strategia giusta è quella che fa leva sulla percezione del compratore, non si vende qualcosa che funziona da un punto di vista distaccato da quello percettivo ed emozionale, ma qualcosa che attrae ed emoziona.

    Infatti, il brand positioning è una battaglia di percezioni, non una battaglia di prezzi, parafrasando il compianto Al Ries.

    È molto più rilevante l’aspetto umano che l’aspetto puramente economico o statistico, ecco perché la focalizzazione dovrebbe essere sulle persone e non sul prodotto.

    In questi anni ho osservato quanto le persone abbiano bisogno di essere ascoltate e di essere prese in considerazione. Cercano sempre di più qualcuno di umano, sensibile alle loro esigenze emotive e non solo economiche. Che lo ammettano o no.

    Quando le persone si rivolgono a te per promuovere la loro azienda, il loro brand o anche solo il loro lavoro, la richiesta materiale non nasce mai da sola, anzi, dietro c’è una richiesta molto più profonda che è legata ad aspetti che non hanno nulla a che vedere con motivazioni puramente economiche. Sono sempre legate a una dimensione psicologica, ad aspetti del Sé che la persona in questione percepisce come da risolvere o da sistemare.

    Faccio un esempio: una volta si rivolse a me un cliente che si occupava di mercato immobiliare, il suo intento era quello di pubblicizzare la sua azienda e farsi conoscere all’esterno.

    Io gli proposi i nostri metodi, le nostre strategie e il nostro stile comunicativo ma, dopo qualche riunione, emerse il vero fulcro del problema, diametralmente opposto al motivo per cui si era presentato da me. La loro azienda non necessitava, in quel momento, di una promozione verso l’esterno, bensì di una riorganizzazione interna.

    Il cliente si era presentato da me chiedendomi di aiutarlo a farsi conoscere e trovare nuovi clienti ma, in realtà, il primo problema da risolvere – e forse la causa stessa di questa richiesta di aiuto – era la mancanza di un dialogo interno che potesse far ingranare in modo migliore il lavoro delle persone dentro l’azienda.

    Non avevano bisogno di espandersi, ma di fermarsi e mettere in discussione il loro modo di interagire e la loro visione. Il buffo è che lo hanno compreso solo rivolgendosi a noi (ovvero all’esterno!).

    Così, spiegai a questo cliente che al momento non avevano bisogno di una strategia promozionale, ma di una strategia che avesse come fulcro la loro organizzazione lavorativa e che, una volta sistemato questo elemento, tutto sarebbe risultato più chiaro e più facile per comprendere in un secondo momento una strategia sul mercato.

    È una cosa interessante da osservare, molto curiosa, ma che si ripete più volte di quanto si pensi.

    Ecco perché affermo che paradossalmente il marketing si lega più alla psicologia che al mercato.

    Infatti, spesso non si fa marketing per vendere o per avere più soldi, ma per raggiungere un certo status.

    A tal proposito, cito un altro esempio: una cliente si rivolse a me per ampliare la vendita del suo prodotto. Nel corso della collaborazione capii che il suo vero intento non era solamente quello di vendere alla sua nicchia di pubblico, ma di dimostrare di essere capace quanto la sua ex-socia di vendere quello stesso prodotto. Lei ambiva a un senso di rivalsa, voleva dimostrare di essere superiore o brava quanto una persona con cui aveva collaborato in passato e per cui evidentemente provava ancora un certo risentimento.

    Quando ti rendi conto che la domanda è un’altra rispetto a quella che ti viene posta e che la soluzione esula da te, ti trovi in una situazione davvero complessa. Non è compito tuo rivelare al cliente il vero problema che lo affligge, in quanto potrebbe causargli frustrazione o tristezza e distoglierlo completamente dal punto su cui si concentrava inizialmente. Ti ritrovi in una posizione scomoda, in un ruolo che non è il tuo perché tu puoi offrire altro rispetto a ciò di cui realmente ha bisogno. È anche uno dei motivi per i quali sto studiando Coaching, ma non diciamolo in giro.

    Da questo punto di vista ritorna la questione della mancanza di un vocabolario comune. In questo caso dell’assenza di una linea condivisa sulla quale muoversi e dialogare. O forse anche di un vocabolario dell’anima.

    Se mi presenti A come problema da risolvere e poi mi rendo conto che in realtà mi stai parlando di B, la strada da percorrere è un’altra e può capitare che io non sia la persona giusta a cui rivolgerti.

    In relazione a ciò parlo di una educazione al marketing, ovvero un’istruzione riguardo a ciò per cui serve il marketing, ciò che può fare e dove e quando può agire.

    Avere una consapevolezza della propria azienda, delle persone che ci lavorano e dell’organizzazione interna è una caratteristica necessaria e propedeutica alla strategia di marketing, io non posso schierare alcun esercito se non conosciamo il campo di battaglia dal quale si parte.

    La prima arma è la consapevolizzazione.

    Immaginalo

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