La Valutazione? Un fatto davvero complesso.
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Anteprima del libro
La Valutazione? Un fatto davvero complesso. - Francesca Caliendo
LA VALUTAZIONE?
UN FATTO DAVVERO COMPLESSO
Note introduttive di Antonio Esposito
CAP. 1 LA VALUTAZIONE NELLA SCUOLA PRIMARIA TRA VECCHI E NUOVI MODELLI RILEVATIVI E DESCRITTIVI
1) Ricostruzione storica.
2) La centralità degli obiettivi e i livelli di apprendimento.
3) La complessità della valutazione.
4) Quale futuro per la scuola che valuta?
Note bibliografiche
CAP. 2 I GENITORI E LA VALUTAZIONE: INTERFERENZE E (DIS)INFORMAZIONI
1) Genitorialità e coinvolgimento dei genitori nella scuola.
2) La tecnologia, tra i segreti dei social network e la trasparenza del registro elettronico.
3) Genitori e giudizi descrittivi: tra interferenze e mancate informazioni.
4) Il doppio ruolo dei figli: studenti a scuola e docenti a casa.
Note bibliografiche
Sitografia
CAP.3 VALUTAZIONE INCLUSIVA: UN PARADOSSO TERMINOLOGICO?
1) Dal diario di bordo.
2) La valutazione degli alunni con disabilità: un breve excursus normativo.
3) Valutazione formativa e inclusione.
4) La bocciatura: un dilemma?
Note bibliografiche
Sitografia
Conclusione
Ringraziamenti
Bibliografia Critica
Caliendo Francesca
LA VALUTAZIONE? UN FATTO DAVVERO
COMPLESSO
Note introduttive di Esposito Antonio
Michelangelo 1915 Editore
Caliendo Francesca – LA VALUTAZIONE? UN FATTO DAVVERO COMPLESSO
© copyright di proprietà dell’autrice.
Maggio 2023
Michelangelo 1915 Editore
Codice ISBN: 9791221484816
Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge. Nessuna parte di questa opera può essere riprodotta, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, senza l’autorizzazione scritta dell’Autore.
La valutazione?
Un fatto davvero complesso
Note introduttive
Prescindendo dalle definizioni, più scontate e generiche, di istituzione e di organizzazione complessa, e attraversando quelle più suggestive di processo sociale e non meno e dunque educativo, di manifestazione pedagogica, di vivaio antropologico, di laboratorio sociologico o di palestra didattica, mi piace approdare alla inusuale definizione della scuola quale ‘fatto’ culturale, laddove l’uso del termine ‘fatto’ può suscitare non poche perplessità se ci si lascia sfuggire che esso indica anche il risultato di un processo e, quindi, di un’esperienza. Fatto culturale, dunque, la scuola, che continua a trasmettere, a dispetto di chi ritiene che non lo si debba fare, ma anche a produrre cultura, l’ultimo fine che la natura ha ragione di porre al genere umano, come scrisse Immanuel Kant nella sua Critica del Giudizio.
Di qui nasce anche la definizione della valutazione in termini di fatto e di fatto complesso, sia perché la valutazione è, in sé, complessa, sia perché si attiva nella scuola che, come già detto, si definisce anche quale organizzazione complessa.
Intanto, ripercorrendo la mia esperienza di Dirigente Scolastico e quella di Supervisore di Tirocinio presso la Facoltà di Scienze della Formazione (Università degli Studi di Salerno), e senza assolutamente smarrire la memoria dell’esordio come insegnante di Scuola Elementare, con meravigliosi ‘postumi’ nell’immagine viva dei miei alunni, penso alla mia voglia esasperata di fare ‘ricerca’, magari anche ricerca maldestra, del che conservo tracce in una decina di volumetti che recano, nei titoli, a mo’ di ritornello, i termini Educazione e Scuola, con il recupero, nell’ultima pubblicazione, del termine che ritengo essere super omnia, l’Uomo. (Dall’Uomo alla Scuola e ritorno, 2020).
Ed ecco ora, puntuale, un’ennesima riflessione, con conseguente analisi, di alcune problematiche educative e scolastiche più cogenti, sostanzialmente ‘raccontate’, visto, peraltro, che la pratica autobiografica ha trovato piena cittadinanza anche in pedagogia, perché consente di interpretare l’identità dei soggetti e il gioco stesso dei loro ruoli sociali.
Riflessione che ha una sua particolarità perché Francesca Caliendo, da anni impegnata nella ricerca e nell’insegnamento, l’una propedeutica all’altro ed ora contestuali, compagna di lunghe conversazioni, negli ultimi mesi mi ha ‘provocato’, ma credo di avere anch’io provocato lei, reciprocamente inducendoci a riflettere su quel fatto complesso che riteniamo essere la valutazione.
Il pedagogista Franco Cambi scrive, in merito, ‘alla narrazione’ che
narrare se stessi è un modo (il modo) di ri-costruirsi, radicandosi proprio nello statuto problematico del soggetto contemporaneo […] L’autobiografia è – nel mondo contemporaneo – sempre più un processo di formazione, anzi quel processo basico di formazione a cui ogni soggetto è chiamato, è costitutivamente – nella sua debolezza e precarietà – vocato. Da qui anche l’uso educativo (autoeducativo) che dell’autobiografia si è venuto a prospettare, tanto sul fronte più generale della formazione del soggetto, di ogni soggetto, quanto su quello dell’uso professionale della formazione autobiografica (nella formazione dei formatori).
Ma c’è di più, perché Cambi riferisce anche della recherche come autobiografia, laddove, però, il suo riferimento esplicito è alla Recherche di Marcel Proust. Ciò nondimeno il pedagogista ci fa leggere, tra le righe, che la ricerca è una riflessione sul Tempo, sull’Esistenza, sul Metodo per comprenderla, sul Senso da assegnare al vissuto […] è formazione in chiave autobiografica […] ed ancora è una memoria che riflette su se stessa come momento di ricostruzione, di interpretazione, decodificazione, decostruzione e rielaborazione secondo tracciati immanenti, ma trasversali e nascosti. (L’autobiografia come metodo formativo, 2007).
Intanto siamo lontani anni-luce da quando Luigi Calonghi scriveva che
l'elemento tipico della valutazione è il confronto tra i risultati raggiunti e gli obiettivi: tra le prestazioni, la condotta dell'alunno e i criteri di confronto. Questi criteri sono il segno del raggiungimento d'un obiettivo, sono le condotte rivelatrici del conseguimento della meta voluta. Valutare è quindi un confrontare l'evidenza raccolta con un progetto, gli eventi osservati e quelli aspettati, le possibilità alla partenza con i risultati finali. (Calonghi, 1977).
Ma cosa davvero significa ‘valutare’?
La domanda, in esordio, si impone, per il che non appare assolutamente fuori luogo evocare, con Roberto Melchiori (2009), il pensiero di due studiosi, Ray Pawson e Nick Tilley secondo i quali il termine valutazione è carico di un tale fardello di significati che si ha l’impressione di avere a che fare più con un incantesimo che una metodologia. Resta, però, e fondamentalmente, il principio di fondo che valutare significa attribuire o dichiarare il valore di qualcosa, significa valorizzare qualcosa in funzione di uno scopo. Valutare nella scuola è ricercare, individuare e cogliere ciò che, complessivamente nella cultura, ha valore per la formazione della persona, talché l'atto valutativo può essenzialmente definirsi come una assegnazione di senso-valore a un determinato processo educativo e agli eventi ed elementi che lo costituiscono.
L'attribuzione di senso e valore è necessaria, ma non sufficiente per definire il nucleo concettuale della valutazione: anche il giudizio morale o il giudizio estetico conducono ad attribuire senso e valore a qualcosa, eppure non sono riconducibili in toto alla valutazione.
Per essere tale, un'attività valutativa dovrà considerarsi un'attività di pensiero produttivo nel senso che la valutazione deve produrre qualcosa di nuovo e di funzionale alla regolazione, al cambiamento, alla crescita e allo sviluppo.
Su queste premesse e sulla base del convincimento che, secondo la concezione che si ha dell'educazione e del suo fine, cambia lo scopo della valutazione e quindi anche il modo di procedere nel valutare, Calonghi percorreva, con linguaggio semplice ed efficace, gli obiettivi, la struttura, le esigenze e gli strumenti della valutazione, tra i quali l'interrogazione orale, l'interrogazione scritta informale e l'esame, nonché altri strumenti per la valutazione di