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L'armadio dimenticato
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E-book413 pagine5 ore

L'armadio dimenticato

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Info su questo ebook

L'otto ottobre 1202 da Venezia salpò una flotta di 370 navi.

Una flotta maestosa e imponente costruita in poco più di un anno.

Era l'inizio della Quarta Crociata; la Crociata Veneziana, che non arrivò mai in Terrasanta, ma si fermò a Costantinopoli.

Su una delle navi un giovane Pantaleon Falier affrontò l'avventura e il destino.

Circa ottocento anni dopo, sempre a Venezia, un piccolo ladro, Antonio Zaniolo, detto Nani, ruba uno degli oggetti che Falier ha portato con sé da quell'impresa, ma le cose non vanno come aveva preventivato.

Toccherà all'Ispettore Alvise Scarpa, veneziano anche lui, nel nome, nel cognome e in tutto quello che fa, riunire le fila di questo intreccio storico, dopo che una mummia viene ritrovata in un vecchio armadio.
LinguaItaliano
Data di uscita5 lug 2023
ISBN9791221483307
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    Anteprima del libro

    L'armadio dimenticato - Roberto Carraro

    1 A

    50 Caorline

    Il pope teneva in mano il cordino che era legato alla lunghissima cima tesa a pochi centimetri sull’acqua della laguna.

    Un ronzio, come di uno sciame di calabroni, passò sopra le loro teste.

    Il drone stava effettuando una ripresa che sarebbe stata di grande effetto; lo sapeva bene, lo aveva visto nel filmato che avevano montato per l’edizione precedente. Lo guardava spesso quel filmato postato su Facebook, gli dava un’energia che definiva primordiale, gli ricordava di battaglie navali dei tempi antichi.

    Alzò gli occhi, lo vide passare e lo seguì per un attimo.

    A destra e a sinistra altre barche come la loro, tutte caorline¹, tutte sei remi, tutte cariche di equipaggi tesi, muscoli e adrenalina.

    Colori, tanti.

    Colorati gli scafi, colorate le magliette.

    - Quanto manca? –

    Chiese Mario, detto Pastina, dietro di lui, remo quattro.

    Il pope, il comandante e timoniere senza timone, sopra la poppa, sul punto più scoperto della barca, lo riprese.

    - Taci Pastina. Testa in barca e pronto sul remo. Quando danno il via, mi raccomando, le prime vogate corte e poi, mano a mano, le allunghiamo, al ritmo del prodiere. Non si può fare brutta figura. –

    Era la risposta che avrebbe dato anche lui, ma era così teso che aveva preferito stare zitto; remo tre, mani sul legno, pala a pelo d’acqua.

    La laguna era piatta davanti.

    Il campanile di San Marco li guardava attento e protettore, avanti, sulla loro sinistra.

    C’era sempre più tensione e sempre più silenzio, aveva l’impressione che aumentassero ambedue di pari passo.

    Lo scoppio del via lo sorprese, d’altronde era impossibile avere un segnale preventivo.

    L’acqua cominciò a ribollire tutto intorno, era come se un gigantesco frullatore fosse stato inserito per una lunghezza di mezzo chilometro.

    Il suo remo, lungo e pesante, entrava in acqua in sintonia con gli altri della caorlina.

    La tensione pre-partenza era svanita, ora era solo sforzo e tecnica, anzi più tecnica che sforzo, per poter diluire con continuità le energie fino alla linea del traguardo, che era così lontana da non pensarci neanche.

    Tirò su la testa e la girò leggermente.

    Delle barche a fianco vedeva solo lo sforzo dei vogatori, le facce a premere sul remo per spostare un’acqua così dura come non ti aspetteresti.

    Si accorse di non avere attivato l’udito – Spingi – Tempo – Dai, su, tosi, forza! – Vaiiiiii – tutte parole, più o meno urlate, che giungevano intorno e che non riuscivano a sovrastare il rumore dei colpi sull’acqua, del rumore dell’acqua che veniva divisa dalle prue.

    Un ribollire di acque che creava onde che disturbavano una barca con l’altra.

    Staccò tutto e tornò ad occuparsi solo del ritmo e del remo.

    Avanti e indietro, dentro e fuori.

    Spinta di peso, di corpo e di gambe, le braccia solo all’ultimo, remo dentro l’acqua.

    Ritorno, remo fuori, scarico della tensione, ma solo un attimo.

    Dentro ancora.

    La partenza era metri indietro e ora le barche cominciavano ad accodarsi, il fronte lungo era un ricordo.

    Cominciava la battaglia dura, quella che impegnava il poppiere che doveva trovare la scia giusta, tagliare la strada o evitare di farsela tagliare.

    - Dai su, cinque di buone. –

    C’era da tentare in sorpasso, servivano cinque vogate ancora con più forza di quella che stavano mettendo.

    - Una. –

    Remo dentro, acqua dura.

    - Due. –

    La prua spaccava l’acqua.

    - Tre. –

    Girò la testa e si vedeva che avrebbero avuto la meglio.

    - Quattro. –

    - Forza, forza. – gridavano dall’altra barca, sembravano scomposti.

    - Cinque. –

    L’abbrivio aveva portato la loro prua più avanti.

    Non era finito niente, c’era ancora da spingere, il duello era continuo, c’erano le altre barche, c’era la gara.

    Sentiva tutti i muscoli guizzare.

    Cercò di concentrarsi sul movimento in modo da non sprecare le forze che sarebbero servite per gli altri duelli, per lo scatto finale.

    Facile da dire, spingere al massimo però tenendosi una riserva di energia da adoperare al momento giusto e quando la si adoperava, come poco prima, averne subito pronta dell’altra ancora.

    Erano mesi che si allenavano, erano anni che vogavano insieme.

    Amici.

    Il sudore della fronte era fermato dalla bandana da pirata che aveva annodato sulla testa che però cominciava a sentire umida.

    Venezia, la parte che i turisti non vanno mai a visitare, era ormai raggiunta.

    Qualche barca, fin troppe, era avanti a loro.

    Qualche barca, troppo poche, era dietro di loro.

    Numeri impossibili da verificare.

    Remo dentro, spingere.

    La barca era stata alleggerita al massimo, niente pedane oltre quelle dei vogatori, niente peso supplementare oltre a qualche bottiglietta d’acqua poggiata a terra. Nonostante questo, la barca, come le altre intorno, continuava ad essere pesante; lunga, di legno, remi lunghi, di legno, i vogatori con muscoli e la panza.

    Peso, un peso che cercavano di far volare sull’acqua, meglio, di far scivolare, e sarebbe stato già un bel risultato.

    Si accorse che stavano passando davanti alla sede del Coordinamento Remiere, più di metà gara era andata, la boa del traguardo era sulla destra, ma neanche a pensare di girare la testa e cercarla con lo sguardo, si sarebbe sbilanciato e poi c’era qualche barca in mezzo.

    In barca solo qualche mezza parola, monosillabi, poco più. – Dai – Forza –

    Era fatta metà, ma ora c’era la metà più dura.

    Remo dentro, spingere.

    Più avanti, alla boa dove si doveva girare, c’era battaglia.

    - Dai Biondo, no sta farte fregare². – trovò il fiato di urlare.

    - Strinxi quea barca, che no i passa³. – disse un altro.

    Come in tutte le regate, il giro della boa era un momento cruciale, la scelta della giusta direzione per non allargarsi troppo, per chiudere la strada, per non farsi chiudere dagli altri. Era il momento in cui il pope, dietro, remo e timone allo stesso tempo, capitano e coach, doveva trovare la strategia e adattarla all’onda, alla forza, ai nemici attorno.

    La barca rossa davanti aveva fatto un errore, si era allargata troppo e si infilarono nello spazio.

    - Poppe in acqua. Prue spingere. –

    I remi del lato di poppa dentro l'acqua, fermi a fare da perno, quelli del lato di prua dentro a spingere cercando di stare allo stesso ritmo.

    Si girarono perfetti, come se attorno non ci fosse stato nessuno; cosa che non era, l’acqua era tutta un movimento e l’aria urla indistinte.

    - Tutti. – urlò il Biondo, con una voce che era uno scarico della tensione degli istanti prima, un incitamento e un ordine.

    Tutti a riprendere a vogare, lato di poppa e lato di prua.

    Acqua dura, era quasi una ripartenza, altro che volare, quintali di peso da far ripartire.

    Remo dentro, spingere.

    Non era ancora il momento di staccare, c’era da cercare di recuperare qualche posizione, da cercare di non farsi recuperare la posizione.

    Il Biondo avvertì.

    - Forza, un poche de bone, che i xe drio rivare, no i ga da passare⁴. –

    Con la coda dell’occhio vide una prua bianco verde che era già quasi alla loro metà.

    I vogatori stavano spingendo, gara fino all’ultimo, finché non si passa la boa.

    - Dai, Sberega. –

    Sberega era l’uomo di prua, il primo remo, quello che dava il ritmo, era il suo posto. Cominciò ad aumentare la frequenza; fine gara, ormai bisognava adoperare tutto quello che era rimasto, non serviva più risparmiare.

    Remo dentro, spingere.

    Arrivarono alla boa con la bianco verde ancora dietro.

    - Fatta! –

    Lasciarono un momento i remi fuori dall’acqua per riprendere fiato, ma l’attimo dopo erano di nuovo in acqua, bisognava spostarsi, le altre barche stavano arrivando.

    - Dovremmo aver fatto meglio dell’anno scorso. – disse Pastina, mentre vogavano piano per spostarsi dalla linea di gara.

    - Forse sì. – disse il Biondo.

    - L’importante xe che ghemo dassà indrio i mestrini⁵. – sottolineò Sberega.

    ___________________

    ¹ Classica barca da trasporto della laguna di Venezia. Deve il suo nome, probabilmente, alla località di Caorle. Presenta un equipaggio di sei regatanti.

    ² Dai Biondo, non farti superare.

    ³ Stringi quella barca, che non passino.

    ⁴ Forza, un poche di buone – inteso spinte più intense e di forza – stanno arrivando, non devono passare.

    ⁵ L'importante è che abbiamo lasciato dietro i mestrini. - Mestre è la parte di terraferma del comune di Venezia.

    1 N

    Flash

    Sentì un click clack improvviso.

    Era in piedi sulla barca e il rumore lo fece trasalire, il trasalire lo fece spostare e la barca ondeggiò.

    Nello stesso istante ci furono una sequenza di luci intermittenti, con una sequela di click clack.

    La barca ondeggiò di più perché si mosse, si mossero, scompostamente.

    - Andate a fanculo. – urlò, anzi urlarono un attimo dopo.

    - Tatanti, tira su chel remo e ‘ndemo⁶. –

    - Gia giapponesi di merda. –

    Nani e Tatanti si misero a vogare.

    Due colpi di remo per muoversi e poi si calarono per passare sotto a un basso ponticello.

    Dei colpi di luce li colpirono ancora, alle spalle. Non si spara alle spalle, ma a parte il click clack e le luci, non si udiva nessun bum.

    Erano furibondi.

    Spinsero forte sull'acqua e si spostarono, poco dopo svoltarono.

    Il rio in cui si erano infilati, era stretto fra le case a picco, nessuna calle a fianco, le finestre dei piani superiori aperte, qualcuna con la luce accesa.

    La luna non illuminava la lama di spazio dove si trovavano.

    - Merde di tu tu turisti gia gia giapponesi. –

    Avrebbero urlato se avessero potuto, ma era meglio fare silenzio, anzi parlare piano.

    - Che cazzo, a momenti cadevo in acqua per lo spavento. –

    - Anch’io. –

    - Ma ti pare… mezz’ora che siamo lì fermi ad aspettare che la luce si spenga. Quando si spegne aspettiamo un altro poco. Mi alzo e quei musi gialli di merda nel frattempo si sono appostati sull’unico pezzetto di riva che guarda al canale. –

    - Me me merde. –

    - Appena mi sono alzato ci hanno bombardato di flash. –

    - Ro roba che caschiamo in acqua. –

    - Volevano fare la foto dei gondolieri veneziani di notte, loro. –

    - Mi mi mi mica siamo gondolieri noi. –

    - Che ne sanno quelli? Quelli scattano! Girano la leva, fanno andare avanti la pellicola e scattano ancora, di notte col flash, come stanotte. Hanno certi cannoni. –

    - Intanto niente la lavoro per noi. –

    - Quelli non sarebbero andati dalla polizia, non era chiaro cosa stavamo facendo. Per loro era solo una foto come un’altra. La finestra era lì aperta, con il caldo. Sarei entrato a casa, dagli inglesi e via, oro, orologi e portafogli sarebbero venuti via con me. La Ninetta ha detto che li lasciano sempre sul tavolino nel salone e non li portano in camera. –

    - Stasera niente. –

    - E che cazzo di paura mi hanno fatto prendere quei giapponesi. –

    Si erano seduti uno di fronte all’altro per fare questo discorso, in quel rio stretto, dove la luce era poca, più ombra che altro. La mascareta⁷ era quasi ferma, non c'era corrente.

    - Co cosa facciamo adesso? –

    - Un bel problema. Non mi fido a tornare lì stanotte, dopo le foto. Cerchiamo qualche altro da derubare, magari qualche americano ubriaco. –

    - Bi bisogna stare attenti con gli americani, que quelli sono gro gro grossi. –

    - Però bevono, basta che siamo furbi. –

    - Sì. –

    Nani era piccoletto e magro, ma veloce e furbo, stava di prua sulla mascareta, remo davanti.

    Tatanti, stava dietro, remo di poppa.

    Tatanti si chiamava Mauro, ma nessuno lo chiamava mai così, neanche gli sbirri quando lo controllavano. Il soprannome gliel’avevano messo alle scuole elementari, tartagliava. Una volta la maestra lo aveva interrogato, ma lui si era bloccato sulla parola tanti, prima di pronunciarla aveva messo un numero indeterminato di ta, davanti. I compagni non avevano avuto nessuna pietà, e neanche la maestra, e da quel momento era diventato Tatanti. Poi, di colpo era cresciuto, e a quindici anni era dieci centimetri più alto di tutti i suoi compagni, così era rimasto Tatanti, ma non si poteva prenderlo in giro, se no dava tatanti pugni al malcapitato.

    Con Nani aveva stretto l’amicizia in quegli anni e non si erano più staccati, a parte dei brevi periodi di galera ogni tanto; si facevano qualche mese a Santa Maria Maggiore, il carcere della città, mai periodi lunghi. Erano due ladri, non facevano del male alle persone, erano svelti, anzi, lo svelto era Nani, Tatanti era di copertura, di appoggio, ma erano una squadra e lavoravano insieme.

    - Dobbiamo stare attenti a quelli di Marghera. – se ne uscì, c'entrava poco con quel momento, era più uno sbottare, quasi come quando uno si lamenta del tempo, delle tasse.

    - Quelli sono ba ba banditi. – mugugnò Tatanti. Non che loro non lo fossero, nel senso stretto del termine, ma erano cose diverse, per loro due la violenza non esisteva, per gli altri era il loro pane quotidiano, pistole, sangue e soldi.

    - Non bisogna pestargli i piedi, ma quello che facciamo noi non gli interessa. -

    - A A A volte sembra che non gli interessi e invece salta fuori qualcosa. -

    Da una finestra illuminata Nani, al secolo Antonio Zaniolo, vide una testa affacciarsi.

    - Adesso è meglio se andiamo via. –

    Si rialzarono e si misero in piedi sulla barca.

    Non ci misero molto ad arrivare sul Canal Grande, l’autostrada di Venezia.

    - Co co cosa facciamo? –

    - Avviciniamoci lì, che c’è luce e guardo l’ora. –

    Tatanti mosse piano il remo, qualche vogata leggera e controllata, con la tecnica simile alla gondola, anche se la barca, gondola non era. Si fermò, per quanto una barca possa fermarsi, vicino alle bricole⁸ che il suo socio gli aveva indicato, mise una mano sul legno per fare un ormeggio momentaneo.

    Nani guardò il quadrante dell’orologio, solo le undici e mezza. Se lo portò all’orecchio per sentire se faceva tic tac, non c’era la lancetta dei secondi e anche se ci fosse stata sarebbe stata difficile da individuare. Le onde muovevano la barca, ma non era un problema, erano nati in barca. Il problema di prima c’era stato perché non erano pronti alla raffica di flash. Si concentrò e sentì il tic tac fra lo sciabordio delle onde addosso al palazzo cui erano vicini. L’orologio camminava, quindi l’ora doveva essere quella giusta.

    - È presto. – annunciò.

    - Po po potremmo andare alle Zattere. Sai che abbiamo visto che hanno montato un’impalcatura. –

    - Bravo Tatanti. È vicina al palazzo della Contessa Luciani. –

    - Be bene. Però non pre prendere più cose diverse dal solito, oro, gioielli, soldi. –

    - Non preoccuparti. –

    - Lo spero. Ora rema. Dai! –

    Nani, invece di cominciare a remare, si fermò, in piedi dritto, remo in mano con la pala nell'acqua. Guardava intorno a sé la bellezza di secoli. Sentì d'improvviso la stanchezza di stare continuare a fare quella vita.

    - Cossa ti ga?⁹ - chiese Tatanti.

    - Sono stanco. Dovremmo cambiare vita definitivamente. - gli uscì in un soffio.

    - Sì. Ne abbiamo già parlato, non possiamo continuare così. -

    ___________________

    ⁶ Tatanti, prendi quel remo e andiamo.

    ⁷ Imbarcazione tipica della laguna di Venezia, derivata dal sandolo, di cui ha la stessa forma, si caratterizza per la presenza di due vogatori, mentre nel sandolo le posizioni di voga sono quattro.

    ⁸ Le Briccole, sono strutture formate da 3 pali di legno grossi, normalmente castagno o rovere, legati tra di loro e posti in acqua, nel fondale. Hanno lo scopo di guidare le imbarcazioni, segnalando il limite dei canali navigabili nella laguna di Venezia e in quelle vicine (Marano,Grado). Nella città sono pali singoli piantati a cui è possibile ormeggiare.

    ⁹ Che cos'hai?

    1 P

    Arsenale

    L’Arsenale era, come al solito, pieno di gente che andava e veniva.

    Un odore di legno aleggiava nell’aria fondendosi con la brezza salmastra del mare e con l'acre della canapa formando un aroma indefinito che sapeva di vita.

    Nei lunghi capannoni delle corderie veniva intrecciata la canapa per le gomene lunghe e resistenti, grosse o sottili, che sarebbero servite ad assicurare le navi, a tendere le vele, a bloccare carichi.

    Pantaleon aveva passato i vent'anni ed era un uomo fatto. Si trovava lì per ritirare un carico di corde di misure diverse, che suo padre Leone aveva commissionato prima di partire per il viaggio verso la Germania.

    - Buongiorno messer Falier. – salutò il capo che sovrintendeva alle consegne, era un uomo ormai quasi anziano, sui cinquanta anni, capelli bianchi. Alla mano sinistra mancavano tre dita.

    Lo sapevano tutti come le aveva perse, gli piaceva raccontare di quel colpo di spada che gliele aveva staccate. Della spada del saraceno che era rimasta incastrata nel legno del manico dell’ascia che fino a un attimo prima stringeva, diventando un’appendice pesante e fastidiosa dell’attaccante che non era riuscito a rialzare la sua lama velocemente. Della sua istantanea invocazione a San Marco, perché gli occhi avevano incrociato la bandiera che garriva al vento, sopra le urla della battaglia. Della mano destra stretta al manico del lungo coltello che aveva approfittato dello sbandamento del moro per infilarlo nelle carni passando sotto la cotta di maglia all’altezza delle reni.

    Ogni volta c’era qualche particolare in più, che magari era in conflitto con quello che aveva raccontato la volta precedente, ma grossomodo la storia era quella.

    - Come va, Venier? Le sue ferite. –

    - Ah, non me ne parli. Ho la gamba che mi fa un male cane. Quest’inverno non vuole più finire, siamo a fine febbraio e il freddo e l’umidità mi stanno devastando. Neanche una bella giornata di sole a scaldare le mie ossa. –

    Oltre alla mano, Venier aveva rotto qualche costola, un braccio e una gamba, sempre in scontri diversi in Adriatico e in Oriente, forse non tutti in battaglia, com'era la versione ufficiale, ma anche una rissa da osteria poteva diventare un battaglia. La gloria della Serenissima, e la sua potenza, passava attraverso la forza, il coraggio, il sudore, il sangue e il dolore di uomini come quello, come suo padre, come i suoi nonni, come quelli prima.

    - Ormai manca poco. Le giornate si allungano ogni giorno qualche minuto in più. La nebbia e il freddo sono in ritirata. –

    - Ritirata è un termine da battaglia, ma questa è una battaglia che non si può vincere. Il tempo è rimasto da sposare per fare quello che vuole. –

    - Allora andiamo all’osteria e beviamo un bicchiere di rosso di Sicilia che scaldi le ossa. –

    - Giovane Falier, ti ringrazio dell’offerta, ma devo rimanere sobrio fino a stasera. Devo controllare che questi lazzaroni, lavorino. – fece un cenno vago verso l’interno del capannone, dove ferveva l’attività. – e che i gentiluomini che vengono da fuori, non mi freghino. –

    - Ah ah ah, capisco. Comunque la mia offerta era sincera e non per cercare di darle una fregatura. –

    - Sei ancora giovane e sei un bravo ragazzo, non sei stato ancora molto fuori da Venezia e ti manca quel tanto di malizia che alle volte, serve. –

    Pantaleon storse la bocca, Venier aveva toccato, senza voler essere cattivo, un tasto che gli doleva. Suo padre era spesso via, per mesi, lontano; suo fratello maggiore lo seguiva, lui invece rimaneva a casa, per sua madre e per le sue sorelle che erano in età quasi da marito, o almeno, erano nell’età in cui bisognava controllare che non rimanessero nei guai, poi c’erano da seguire gli affari e, per quelli, si destreggiava bene. Non era poco, aveva grandi responsabilità, ma la voglia di andare a cercare quelle avventure di cui tutti parlavano, saliva ogni giorno.

    Già molti dei suo amici si erano imbarcati ed erano arrivati fino al lontano Oriente, qualcuno aveva visto Costantinopoli, qualcuno era arrivato fino alla Terrasanta.

    Venier si accorse dell’espressione e ne intuì i pensieri.

    - Non fare quella faccia, non preoccuparti, il tempo verrà anche per te e non mancherà molto, con l’età che hai. È bello vedere posti nuovi, commerciare, ma è anche pericoloso, molti di quelli che partono, non tornano o tornano senza qualche pezzo. – tirò su la famosa mano, sorridendo.

    - Anche i carpentieri perdono dei pezzi come i suoi. – replicò pronto Pantaleon. – Lavorare d’ascia e di sega in un cantiere non è esente da rischi. Meglio rompersi un osso per conquistare un porto, un bottino e la gloria, piuttosto che nel cantiere a due passi da casa. –

    Venier sorrise.

    Non c’era giovane a Venezia che non sognasse quello che sognava Pantaleon.

    - Hai ragione. Per quanto male mi fa questa gamba e per le difficoltà che mi creano le dita che mi mancano, non cambierei nulla di quello che ho fatto. – gli poggiò una mano sulla spalla. – Vedrai che quando arriverai alla mia età avrai molte cose da raccontare anche tu. Venezia è la signora dei mari e il mondo è tutto in movimento. –

    - In movimento di sicuro. Vedo quanti stranieri ci sono sempre in città e so in quante città ci sono i nostri fondachi. –

    - A proposito di stranieri, si dice che il Doge Dandolo, debba ricevere degli ambasciatori… - era una domanda di cui, forse, Venier sapeva già la risposta.

    - Ne ho sentito parlare anch’io, pare che ci siano sei Baroni franchi che sono venuti per chiedere i nostri servigi. –

    - Davvero? –

    Pantaleon non era certo se Venier fosse davvero sorpreso, ma a dire tutto ciò che aveva sentito non avrebbe certo causato danni. Le voci correvano sempre per Venezia e la venuta di ambasciatori non era un tipo di notizia destinata a restare segreta. Forse Venier cercava conferme di ciò che già sapeva.

    - Si dice che siano qui per conto dei Franchi, per organizzare un trasporto di cavalieri e fanti. Una nuova crociata, come ha richiesto il Papa Innocenzo III. –

    - Questa è un’ottima notizia. Una spedizione del genere deve essere pagata. Richiederà un gran numero di navi e di tutto quello che ne consegue. Ci sarà molto lavoro da fare. –

    - Non si sa ancora di quante navi abbisognino né di quanti uomini ci saranno da trasportare. –

    - Credi a me, giovane Falier, vedrai… se sono venuti degli ambasciatori la trattativa sarà per un gran numero di cavalieri e fanti. La Terrasanta ha bisogno di essere riconquistata a quei mori infedeli. Se ci sarà da costruire una flotta vedrai che Venezia non li lascerà partire da soli e affiancherà un bel numero anche dei nostri. Il nostro Doge, ci vede poco con gli occhi, ma benissimo nelle cose, quello che ha perso negli occhi lo ha moltiplicato con la sensibilità. Ci sarà bottino e ci saranno nuovi basi per i nostri commerci. –

    - Dice, Venier? –

    - Dico. E in più ti dico che stavolta sarà anche la tua volta. Hai l’età giusta per ben figurare in un’impresa come questa. –

    Venier gli poggiò la mano sulla spalla.

    - Ora andiamo a vedere per le vostre corde. –

    Pantaleon cominciò a camminare, ma sentiva uno strano brivido corrergli lungo la schiena.

    Era certo che se Venezia avesse appoggiato la crociata, sarebbe giunta anche la sua ora di partire.

    2 A

    Squadra Mobile

    Guardò a destra e a sinistra.

    Sapeva bene che cosa c’era e che da quel punto non avrebbe potuto scappare, a meno di fare una giravolta che sarebbe stata di pessimo gusto, e non sarebbe passata inosservata.

    I due si stavano avvicinando e non aveva altra scelta che fermarsi per consentire un più agevole passaggio nel corridoio, cosa che fece, però non era abbastanza, i due si stavano fermando.

    - Buongiorno Ispettore. –

    - Buongiorno Dottore. – rispose.

    Di solito lo chiamava Capo, ma non era il caso, il Capo era in compagnia del nuovo Questore, gli stava facendo visitare gli uffici.

    - Signor Questore, le presento uno dei nostri migliori uomini, l’Ispettore Capo Alvise Scarpa. Veneziano nel nome, nel cognome e in tutto quello che fa. –

    Il Questore allungò la mano e anche lui la sua. Una bella stretta energica.

    - Piacere. – disse il Questore. – Veneziano Doc, quindi. –

    - Da sempre, da un milione di generazioni credo. –

    Era una frase bella da dire, ma, ci aveva ragionato più volte, non sapeva niente di quelli che erano venuti prima dei bisnonni e anche un paio di loro, veneziani non erano. Non era il caso di stare a sottilizzare.

    - Ieri com’è andata? Bella gara? – chiese il capo.

    - Ci siamo piazzati bene, speravamo meglio, ma non possiamo lamentarci. Diciottesimi. –

    - Che su cinquanta non è male mi pare. –

    Il Questore aveva ascoltato le due battute, ma si vedeva che voleva gli fosse data una spiegazione, un Questore non può non sapere.

    - Vede signor Questore, quando dico che l’ispettore Scarpa è veneziano intendo davvero, quando è fuori servizio, monta su qualche barca e voga avanti e indietro per la laguna. –

    - Sì, esatto, vogo. Vogo alla Veneta, remo e fatica, niente motore. –

    - Voga in piedi. – aggiunse il Questore.

    Alvise rimase stupito, era un commento a tono e preciso, sembrava che il Questore se ne intendesse, quanto meno si fosse informato.

    - Sì. È una delle caratteristiche. Voga in piedi guardando in avanti. –

    - Questa città è unica. Sono proprio contento di essere stato destinato qui. Cercherò di fare come in tutti i posti dove lo Stato mi ha mandato, oltre che fare il mio dovere, anche di integrarmi nella cultura e tradizioni del luogo. –

    - In una città come questa poi… - disse il Capo.

    - Unica al mondo. – confermò il Questore.

    - Unica al mondo, ma che il mondo tratta come se fosse una specie di Disneyland. – aggiunse Alvise, che, come tutti i veneziani residenti, soffriva per lo stravolgimento dei ritmi della città vera e per le torme di turisti low cost che ne stavano snaturando l’essenza.

    - Posso capire. – disse il Questore. – Per fortuna ci sono residenti come lei che mantengono vive le tradizioni. La voga è una di queste, no? –

    - Proprio così. È una delle tradizioni, oltre alle gondole, che sono le Ferrari della città, anche tutte le altre barche a remi stupiscono i turisti. –

    - Mi porterà a fare un giro, allora. –

    - Se ci sarà l’occasione, signor Questore. –

    - Ci conto. - disse, poi si girò verso il Capo. - Andiamo? Buongiorno Scarpa. –

    - Buongiorno. –

    Il Capo gli strizzò d'occhio.

    I due ripresero a camminare e Alvise fece i pochi passi che lo separavano dalla porta dell’ufficio.

    - Ciao Alvise. –

    - Ciao Dario. Hai conosciuto il nuovo Questore? –

    - Sì, è entrato poco fa con il capo. Sta facendo il giro, te lo sei perso. –

    - Per niente, mi hanno beccato nel corridoio e gli ho raccontato della voga. –

    - A proposito, com’è andata ieri? –

    - Diciottesimi. –

    - Non mi pare male, no? In fondo avete un’età… -

    - Vai a cagare, tu e l’età. –

    - Lo dico affettuosamente. –

    - Quando vai portati anche l’affetto. –

    - Accidenti, e pensare che non vi siete piazzati male, chissà cosa mi avresti detto se arrivavate più indietro. –

    - L’età è un tasto dolente. –

    - Lo so che ti da fastidio, ma non c’è verso di evitare che avanzi. Te lo dico sempre: siamo in salute, siamo in forma, facciamo molte attività, pensa ai cinquantenni di quando eravamo piccoli noi, erano già dei vecchi, si vedeva da com’erano vestiti da come si comportavano. -

    - Sì. Hai ragione, tuttavia sentire parlare di età, mi urta sempre. –

    - È una ruota. Prima agli altri, adesso a noi. –

    - Uffa. Torniamo a parlare delle barche, vuoi? –

    - E se andiamo a prendere un caffè alla macchinetta? –

    - Meglio fuori. Devo ancora prenderlo stamattina. –

    - Guarda che deve venire quel signore per il verbale. –

    - Chi? Rajantejuni? –

    - Non è mica quello il nome. –

    - Più o meno, ha un nome impronunciabile e ancora più difficile da scrivere. –

    - Già, comunque dovrebbe arrivare fra dieci minuti. –

    - Giusto, dovrebbe, e se non arriva? o arriva in ritardo? io devo rinunciare al caffè? Aspetterà. –

    - Ok. –

    - Se poi ci aggiungi che ci racconterà un sacco di minchiate su quello che è successo, delle fasi della rissa e dell’accoltellamento, e che non sarà in

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